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Autore: hikachu    11/11/2012    1 recensioni
Nessun rancore, pensò, e lanciò il biglietto in una pila di foglie morte che bruciavano sul loro cammino.
Genere: Generale | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna | Personaggi: Altro Personaggio, Griffith, Guts
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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A crow buries its secret

 
 
 
Se doveva essere onesta, Milla pensava che sir Griffith fosse molto carino (era gentile ed educato anche con le servette imbranate come lei), ma sembrava così perfetto da essere sconcertante, inquietante quasi. Un viso come quello stava bene sulle pareti di una chiesa, non sull’uomo con cui avrebbe voluto trascorrere il resto della sua vita.
 
Suo marito, infatti, sarebbe stato alto, molto alto, e robusto e forte; forse un po’ rude, ma in fin dei conti gentile, perché è così che sono gli uomini buoni, onesti e laboriosi, era solita dire sua madre, ed era così che era stato anche suo padre, ai vecchi tempi, quando Milla era ancora troppo piccola per ricordarsene.
 
Le altre cameriere ridevano di lei quando lo diceva, dicendo che i suoi gusti erano rozzi e non aveva ambizioni (e quando pensavano che non potesse sentirle, la chiamavano anche, zotica di campagna). Ma a Milla non importava. Sapeva che volevano solo ferirla, perché era ancora piuttosto nuova del mestiere e proveniva da un paesino accanto alla capitale. Sapeva anche che l’ambizione non le mancava, no, era semplicemente più probabile che i suoi sogni si realizzassero. Un’altra cosa che sua madre era solita dire era, l’invidia è una brutta bestia, dopotutto.
 
Lavorare al palazzo reale era duro, ma dava anche soddisfazioni, e Milla non si sarebbe arresa—soprattutto non quando aveva finalmente incontrato l’uomo dei suoi sogni.
 
Si trattava di uno degli uomini che lavoravano per sir Griffith, e Milla l’aveva visto la prima volta circa quattro mesi prima, quando i Falchi erano tornati in città dopo una battaglia, vittoriosi, sotto una pioggia di incoraggiamenti e fiori. Lei era stata lì ad accoglierli, ed era stata certa che doveva semplicemente essere lui nel momento stesso in cui i suoi occhi erano caduti prima sulla schiena larga e poi, mentre lui si voltava a lanciare un’occhiata alla folla, sul suo viso: la sua espressione era in parte smarrita e in parte irritata, un pochino imbarazzata, quasi adorabile, come qualcuno che non è abituato affatto a tutte quelle grandiosità (Proprio come me!, aveva pensato allora Milla), eppure i suoi occhi erano gentili, lei lo sapeva, lei l’aveva visto, lei ne era certa.
 
E Milla ebbe un’ulteriore prova della sua gentilezza quando salvò lei (ed un cesto pieno di ortaggi freschi) da una caduta per le scale un giorno che stava correndo verso la cucina come un pollo decapitato: era uno spettacolo indecente per una signora, non avrebbe dovuto scorazzare in giro a quel modo, Milla lo sapeva, però, davvero, si era trattato di un’emergenza, perché era indietro sulla tabella di marcia e, senza gli ortaggi, anche il cuoco era di sicuro indietro sulla sua, e lei già tremava, pensando ai rimproveri che si sarebbe presa in pochi minuti ma, oh, quando Milla sentì quelle braccia avvolgersi attorno alla sua vita, fu certa che il cuoco e le altre domestiche avrebbero potuto sgridarla ogni giorno per tutti i restanti giorni della settimana e non le sarebbe importato.
 
“Attenta,” borbottò lui prima di lasciarla andare.
 
Milla poteva sentire la nuca e la punta delle orecchie bruciare mentre cercava di decidere se dire grazie o chiedere prima il suo nome. Finalmente, alzò lo sguardo, per poi vedere sir Griffith ai piedi delle scale che li guardava. Sembrava vagamente… impaziente, forse, con le braccia incrociate in quel modo.

“Guts? Vieni?”
 
“Ah,” il suo salvatore si voltò a guardare dietro di sé. “Certo, scusa!” le offrì un veloce cenno della testa, un’impacciata pacca sulla spalla, e corse dietro Griffith.
 
Guts, Milla sillabò, sir Guts, e cadde in ginocchio.
 
Nei giorni che seguirono, Milla imparò molto su di lui dagli altri domestici; coltivò il suo amore per mesi, aspettando la fine di campagna dopo campagna, solo per poi realizzare che, ogni volta, le mancava il coraggio di avvicinarlo. Ma oggi, oh, oggi avrebbe detto tutto a sir Guts! Avrebbe espresso i suoi sentimenti per bene e con la più assoluta sincerità, e a chi importava se le altre l’avrebbero chiamata grezza e zoticona per essere stata così diretta? Milla era certa che qualcuno come sir Guts l’avrebbe capita.
 
E così, nel suo giorno libero, vagava per i corridoi nel suo vestito migliore – quello grigio che metteva a messa – e con un cesto appeso all’incavo del gomito. L’aveva riempito con svariati tipi di biscotti, pane dolce e marmellata.
 
Milla non aveva idea di dove fosse il suo amore, se non che fosse nel castello, ma fortunatamente, fu la sua voce a condurla da lui.
 
“Ma guarda un po’ qui—”
 
“È soltanto… una questione di pratica.”
 
C’era qualcuno con sir Guts e quel qualcuno stava ridendo. Nessuno che avesse già sentito quella voce avrebbe mai potuto dimenticarne il proprietario.
 
“Eh? Vuoi dire che ti sei messo a ricopiare questa roba fino a che non ti è venuta perfetta? Griffith?”
 
“Beh. È in questo modo che i testi antichi sono stati preservati per secoli nei monasteri della Santa Sede…”
 
“Ehi, ehi, non dirmi che ora ti vuoi mettere a fare il monaco: il look mezzo pelato non ti donerebbe, mi spiace dirlo.”
 
Griffith rise di nuovo e Milla vide la sua mano cadere sulla spalla di Guts.
 
Si trovavano in uno dei giardini piccoli che nessuno di un certo rango usava mai, e Guts era seduto ad un piccolo tavolo di pietra munito di attrezzi per scrivere ed una mela. Griffith era in piedi dietro di lui. Entrambi sorridevano.
 
Prima che l’altro potesse dire qualcosa, Guts prese la mela e vi affondò i denti, solo per vedersene derubato un paio di morsi dopo da Griffith, che aveva apparentemente deciso di vendicarsi finendola da solo.
 
E la vendetta di Griffith iniziò proprio dove Guts aveva finito: denti bianchi sul segno di un morso e sulla polpa bianca già esposta.
 
Per qualche ragione, osservando ciò, Milla divenne improvvisamente conscia di essere un’intrusa, che non vi era spazio per le in questo quadretto che non fosse dentro, dietro una parete, a nascondersi e a spiare. Fece un paio di passi indietro, veloce, quasi sull’orlo del panico, e qualcosa scricchiolò sotto il suo piede (Stupidi scarafaggi! Stupida Melusine, era il suo turno di occuparsi di loro!). il rumore, di solito così insignificante, in quel momento sembrò impossibilmente fragoroso.
 
Col cuore che le pulsava in gola, Milla sollevò la testa e allora—la vide. Era la stessa espressione di quel giorno, sulle scale. Così strana su quel volto gentile e sereno; ancora più inquietante della sua bellezza priva imperfezioni. Ma finalmente—Finalmente, oggi Milla riusciva a capire cosa significasse quello sguardo—e le fece gelare il sangue nelle vene.
 
Era uno sguardo riservato a qualcosa di sporco, meno che umano, di nessuna importanza, una seccatura, un’oscenità. Qualcosa che si vuole sparisca e che sparirà, perché ti assicurerai che lo faccia. Sir Griffith la stava guardando con questi occhi.
 
Milla vide la sua mano scivolare indisturbata dalla spalla di sir Guts verso il suo collo e poi la clavicola. Vide Griffith farsi più vicino, più vicino, fino a che fu sicura che il suo ventre stesse sfiorando la schiena di sir Guts. Vide i suoi capelli premuti contro e mischiarsi con quelli di sir Guts. Vide le sue labbra quasi toccare l’orecchio di sir Guts mentre gli sussurrava qualcosa. Milla vedeva tutte queste cose e non poteva distogliere lo sguardo, perché per tutto il tempo Griffith aveva continuato a fissarla, e la spaventava, adesso, pensare a cosa questa persona avrebbe potuto farle, se non fosse stata attenta mentre era nei dintorni.
 
Milla vide tutte queste cose e decise che doveva arrendersi, che non vi era altra scelta per lei, per una ragazza grezza come lei, una popolana come lei, una zotica di campagna come lei; non con quest’uomo, non in questo castello, non in questa città.
 
Corse via, coprendosi la bocca con ambo le mani perché non poteva lasciare che qualcuno sentisse i suoi singhiozzi.
 

---

 
“Ehi, fa già abbastanza caldo senza che ti ci metta tu,” borbottò Guts mentre allontanava bruscamente la mano di Griffith dalla sua clavicola.
 
Griffith ridacchiò.
 
“Te lo sei meritato per esserti preso gioco della mia calligrafia—Oh, guarda qui, Guts!” Griffith sollevò un cestino da un punto vicino all’ingresso. “È pieno di biscotti e vari tipi di dolciumi. Uno dei servi deve averlo lasciato qui per noi.”
 
“Una delle belle damine che ti vengono dietro l’ha lasciato per te, intendi.”
 
“Oppure, potrebbe essere stata una tua ammiratrice.”
 
Guts sbatté le palpebre, aggrottò le sopracciglia, poi gli diede un leggero spintone e cacciò una risata come un latrato.
 
“Su, andiamo a dividerlo con gli altri: Rickert ama questa roba e scommetto che anche Casca la adora—non che quella matta lo ammetterebbe mai.”
 
Sorridendo, Griffith annuì e seguì Guts.
 
In un pugno, stingeva il biglietto – adesso stropicciato – che aveva trovato nel cestino. Della ragazza non gli importava in nessun modo, ma proteggere ciò che era suo da avidi estranei era suo diritto e dovere come generale e futuro re ed inoltre, era semplicemente nella sua natura.
 
Nessun rancore, pensò, e lanciò il biglietto in una pila di foglie morte che bruciavano sul loro cammino.
   
 
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