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Autore: augustbird    11/11/2012    10 recensioni
Il fatto è questo: Sherlock pensava che avessero l'eternità per capirlo.
Genere: Angst, Introspettivo, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Slash | Personaggi: John Watson , Quasi tutti, Sherlock Holmes
Note: Traduzione | Avvertimenti: nessuno
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Note della traduttrice: salve a tutti *-* Mi cimento nella mia prima traduzione sherlockiana scegliendo una storia che mi ha ridotto a un penoso laghetto di lacrime – diciamo che se l’amore non corrisposto e i non detti non sono la vostra passione, è meglio che vi fermiate qui. L’autrice è a mio parere straordinariamente brava e molto disponibile, per cui è stata così gentile da lasciare che convertissi la sua fic in una versione molto meno incisiva dell’originale. Ahimé, non c’è nulla da fare: c’ho sputato sopra sangue ma alcuni punti proprio non tornavano, per cui mi scuso in anticipo per le libertà che mi sono presa nel tradurre e vi chiedo sinceramente di farmi notare errori se ne trovate.

Qualsiasi cosa vi paia poco chiara, io sono qui. Spero vi piaccia. :*

 

 

 

 

 

 

 

 

 

La luce del mattino filtra obliqua attraverso le tende. Sherlock apre gli occhi.

L’appartamento è vuoto. John se n’è andato ieri.

Sherlock chiude gli occhi e torna a dormire.

 

_____

 

“Stai-?” Lestrade si ferma mentre osserva Sherlock togliersi un cerotto alla nicotina dal polso. Il caso è risolto: un idraulico che aveva messo del mercurio cloro nei rubinetti degli uomini con cui sua moglie l’aveva tradito. A malapena un problema da un cerotto, davvero, ed ecco Sherlock, che se ne stava togliendo due dal braccio.

“Non ho alcun interesse nell’aiutarti a completare qualsiasi tipo di lavoro d’ufficio,” dice Sherlock, appallottolando il cerotto. Vi è dell’adesivo sotto le sue unghie e le sue dita sono appiccicose, “Come sempre.” Si avvia verso la porta.

“Non ti stavo chiedendo quello,” dic Lestrade seguendolo, “Ti stavo chiedendo se stai bene.”

Sherlock non si guarda alle spalle e si affretta giù per le scale, “Che domanda insensata, ispettore.”

“Sherlock,” Lestrade afferra il retro del suo gomito.

“Sono in ritardo?” John entra nella loro visuale spuntando ai piedi delle scale, scuotendo via la pioggia dal proprio ombrello. Guarda su in direzione di entrambi, “Mi dispiace, sono stato di nuovo trattenuto in clinica –oh, l’avete gìà risolto, non è vero?”

“Non importa,” dice Sherlock, divincolando il braccio dalla presa di Lestrade, “Puoi offrire la cena.”

_____

 

Lei si chiama Mary ed è un’insegnante di scuola elementare. É diversa dalle altre perchè permette a John di correre in giro per Londra senza battere ciglio. Non tira mai fuori l’argomento a parte quelle poche volte in cui John è capitato nel suo appartamento con del sangue sparso a casaccio sulla manica della sua camicia. O almeno questo è quello che dice John.

Sherlock non l’hai mai vista per più del tempo sufficiente a un sorriso forzato. Sherlock crede a John semplicemente pr il fatto che, se le cose non fossero state così, Mary non sarebbe mai durata così tanto.

La prima volta che Sherlock ha provato a decifrarla (occasionalmente affetta da crisi da alimentazione incontrollata, perseguitata dal senso di colpa del sopravvissuto a causa di un fratello che si era ucciso, vittima di sindrome dell’abbandono causata dall’essere cresciuta senza nessuno dei genitori), John si era zittito. E quando Sherlock era tornato di nuovo al proprio microscopio, John aveva detto alla sua nuca, “Per favore, non con lei, Sherlock.”

Sherlock tiene la bocca chiusa ma questo non gli impedisce di catalogare i suoi difetti ogni volta che la vede.

_____

 

“Caffé?” chiede Molly mentre affonda nel ginocchio di un cadavere con uno spesso bisturi.

“Due zollette di zucchero,” dice Sherlock, senza distogliere gli occhi da quel disordinato ammasso di sangue coagulato.

“No, stupido,” dice Molly, ma suona affettuosa. Sherlock ha vissuto nel suo appartamento per quasi due mesi. “Non intendevo un caffè in quel senso. Pensavo, non so, più tardi, dopo che hai finito.”

Sherlock non risponde, intento a segare un osso.

“Noi siamo amici, Sherlock?” Molly trascina uno sgabello verso il punto in cui lui è seduto. Sherlock si allontana solo per essere petulante.

“Hm.” Gratta contro il tendine, portando alla luce del bianco.

“Possiamo parlarne,” dice Molly. Sherlock si immobilizza. Se lei lo tocca, scaglierà il bisturi a terra e se ne andrà. Lei può pure ripulire tutto quel casino, non gli importa. La mano di lei si accosta alla sua spalla ma non la tocca. “Non lo dirò a nessuno, lo prometto.”

No,” risponde Sherlock, nella voce più gelida che riesce a tirare fuori mentre alza la testa per guardarla, “Grazie.”

Lei si morde un labbro e distoglie lo sguardo, “Pensavo soltanto-”

“La mia vita,” Sherlock enuncia chiaramente ogni sillaba, “non gira attorno a John Watson.”

“Va bene,” Molly solleva il mento, “Pensavo soltanto che potevo offrirtelo, così.”

_____

In un altro universo, Sherlock pensa che magari le cose sarebbero potute andare diversamente. Forse, in quella linea del tempo , lui e John sarebbero ritornati da una scena del crimine con il pulsare dell’adrenalina nelle vene e la vertigine di un problema ben risolto. Avrebbero chiuso la porta d’ingresso e Sherlock vi si sarebbe appoggiato contro con un sorriso. Si sarebbero guardati e Sherlock avrebbe sentito il rombo del sangue nelle orecchie nel momento in cui John l’avesse rinchiuso fra le proprie braccia. L’aspettativa avrebbe lasciato Sherlock senza fiato e tutto quello che avrebbe visto sarebbero stati i capelli grigi sulle tempie di John e la curva delle sue ciglia. John si sarebbe piegato in avanti, forse. Avrebbe cambiato idea all’ultimo momento e si sarebbe fermato, avrebbe rilasciato un sospiro sulla mascella di Sherlock fino a che Sherlock non avesse passato una mano tremante attraverso i morbidi capelli dietro al suo orecchio e avesse detto con voce rotta, “Ti prego, John.”

E in un universo parallelo, John avrebbe premuto le proprie labbra sul profilo della mascella di Sherlock, e sarebbe stato troppo. John avrebbe respirato contro la sua pelle e avrebbe baciato la sua mascella, il suo mento, la sua bocca e Sherlock sarebbe stato perduto.

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In questo universo, Sherlock è seduto al buio e guarda la televisione con il volume spento. Il suo telefono vibra a causa di messaggi mandati da un uomo che adesso vive a miglia da lì. Qualcosa è andato storto in questa linea del tempo ma Sherlock è stanco di individuare di cosa si tratta.

_____

“Ciao,” dice lei, “che bello incontrarti qui.”

Sherlock caccia le mani nella tasche del suo cappotto. La sta osservando da lontano da mesi. Gli ci è voluto meno di un giorno per capire come seguirla senza farsi notare. “Ciao Mary.”

“Sei qui per una torta?” chiede Mary. “Te lo chiedo solo perché io sono qui proprio per prendere la mia e magari potremmo mettere insieme gusti diversi, se avevi intenzione di prenderla anche tu.”

“Una torta,” ripete Sherlock senza espressione.

“Oh,” Mary si riavvia una ciocca di capelli dietro l’orecchio, “Pensavo, sai, è il compleanno di John e tutto. Ero così sicura che ti avesse mandato un’e-mail per dirti della festa.”

“Ah,” dice Sherlock. Non legge mail che non siano collegate a un qualche caso da settimane. “Sì, devo essermi dimenticato di confermare la mia presenza.”

“Non importa,” Mary gli sorride, “Segno che verrai, allora?”

“Certo,” dice Sherlock, “Dove si farà?”

“Al nostro appartamento,” dice Mary. Il nostro appartamento. Sherlock non sa quando è diventato così sentimentale – solo il modo in cui la parola viene pronunciata gli fa venire voglia di colpire qualcosa. “Sai dov’è, vero?”

“Sì,” risponde Sherlock, “Ci sono già stato.”

“Okay,” lei gli sorride di nuovo.

“Congratulazioni,” sbotta Sherlock. Suona molto più brusco di quanto avesse intenzione, quindi fa marcia indietro e dice in tono più calmo, “Per il vostro fidanzamento. Non potrei davvero essere più felice per voi due.”

Il suo sorriso svanisce mentre lo guarda. “Sherlock. Io non- Non avrei mai voluto intromettermi fra voi, sai.”

No, pensa Sherlock, l’hai già fatto.

“Non devi fingere,” dice lei. Sherlock detesta la sua gentilezza, avrebbe preferito che lei gli avesse intimato da stare lontano da John. “So che ti sembra di perdere il tuo migliore amico.”

Sherlock le sorride. Non è sincero e lui sa che lei lo sa.

“La sua torta, signora,” dice l’uomo dietro il bancone e lei si volta per pagare. Sarà di certo una red velvet. La preferita di John. Una delle tante cose inutili che Sherlock non è riuscito a cancellare.

“Ci vediamo, allora,” gli dice Mary mentre prende la scatola bianca.

Sherlock annuisce e finge di essere assorbito dai cupcakes mentre la guarda scomparire con la coda dell’occhio.

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In questo universo, Sherlock smette di suonare il violino alle quattro di mattina perchè non vi è più il brivido dei passi che scendono giù dalle scale. Non vi è nessun John che fa avanti e indietro nella cucina per cercare di bandire la guerra dal proprio subconscio. Non c’è nessun John accomodato sul divano con una tazza di acqua tiepida mentre Sherlock chiude gli occhi e sugge fuori lente, dolci note dalle corde.

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In un altro universo, forse: Sherlock accoccolato contro la schiena di John, le labbra che sfiorano la base del suo collo. La sua mano sul petto di John, il battito del suo cuore sotto il proprio palmo. Sherlock si sveglia quando John si stiracchia e lui stringe John forte, passa le dita attraverso i suoi capelli e recita la tavola periodica contro la sua pelle mentre la mente di John va in mille pezzi.

E forse anche: strisce dorate di sole sul petto di John, riflesse dai peli. Sherlock si sveglia e vede un sorriso e John non dice mai Ti amo e Sherlock non deve mai dirlo a sua volta.

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“Sherlock!” dice John aprendo la porta, “Pensavo che non ti saresti fatto vedere”. Sherlock capisce che è perlomeno brillo, forse sulla soglia dell’ubriachezza, dal modo in cui sta invadendo il suo spazio personale, un braccio attorno alle sue spalle mentre lo trascina nell’appartamento. Sherlock non può impedirsi di guardare in giro e vedere le fotografie sparse ovunque: Mary e una classe piena di bambini, Mary e qualcuno che deve essere un cugino (a giudicare dal colore dei capelli, dalla forma del viso) durante una passeggiata nel bosco, John con su degli occhiali da sole, un’istantanea di John e Mary che ridono al ristorante. Sherlock si sente un intruso, non vuole stare lì.

“John!” chiama qualcuno. John tocca il gomito di Sherlock e poi il calore della sua presenza è sparito.

“Ciao Sherlock,” dice Mary mentre viene fuori dalla cucina. Gli sorride e si pulisce una mano su un cannovaccio, “Sono così contenta che tu ce l’abbia fatta a venire. Non volevamo tagliare la torta senza di te.”

“Ho portato del vino,” dice Sherlock, porgendole la bottiglia, “Spero che sia adatto.”

“Oh, già così ti dimostri un ospite migliore degli altri amici di John. Sono tutti dei ladruncoli scrocconi,” gli dice Mary, piegandosi su di lui, “Va più che bene, Sherlock, siamo davvero contenti per il semplice fatto che tu sia qui.”

“Okay,” dice Sherlock. Ha già incontrato gli altri amici di John: hanno giocato a rugby da giovani, qualcuno soldato, qualcuno fisico, e quasi mai interessanti. Ma sa che a John piace sentirsi normale di tanto in tanto.

“Hai bisogno di aiuto?” chiede a Mary, perché ora come ora il pensiero di affrontare Mary è meno spaventoso di quello di affrontare John. Non vuole vedere quanto bene John si adatti a questo nuovo appartamento, quanto facilmente riesca a far divertire i suoi vecchi amici in questo posto. Dev’essere stato principalmente il masochismo ad averlo guidato lì.

“Non posso assolutamente chiederti di aiutare,” dice Mary, “sei un ospite.”

“Sciocchezze,” dice Sherlock seguendola in cucina. Molly è appoggiata al frigorifero con un drink in una mano e il suo telefono nell’altra. Pare sorpresa di vederlo.

“Non sapevo che saresti venuto,” dice Molly e poi si volta verso Mary, “Non mi hai detto che Sherlock sarebbe venuto.”

“Perché mai Sherlock non sarebbe dovuto venire?” domanda Mary, “È il miglior amico di John, no?”

“Sì, certo,” dice Molly, e si sporge per versargli un bicchiere di vino, “Immagino che avrai bisogno di questo, allora.”

“Come posso aiutare?” chiede Sherlock a Mary.

“Davvero, Sherlock-  Non devi-”

Sherlock scova la credenza dei piatti in un battito di ciglia, “Apparecchio la tavola allora, eh?”

Sta disponendo le forchette accanto ai piatti quando John spunta dietro di lui. “Che cosa diavolo stai facendo?”

Sherlock si sposta al piatto successivo ma John lo segue. “Non farmi constatare l’ovvio, John.”

La mano di John gli circonda il polso. Sherlock si immobilizza e solleva lo sguardo su di lui.

“Tu stai,” dice John in tono fermo, “apparecchiando la tavola.”

Era questo che volevi da me? Sherlock pensa, è per questo che non siamo mai potuti essere?

È perché Sherlock è egoista ed esige da John che lui gli faccia il té,  che gli porti del cibo, è perché mangiano take away sul divano direttamente dalle confezioni con delle forchette di plastica, è perché lui lascia sempre tutti i piatti da lavare a John, è perché lui lascia sempre tutta la spesa da fare a John? Mary pulisce i mobili della cucina? Si sporge verso di lui e lo imbocca con delle posate di vero metallo? La mascella di Sherlock si irrigidisce. Vuole sbattere John contro il tavolo, spinto da una rabbia che lo lascia senza fiato, buttare a terra tutti i piatti. Vuole mordere la clavicola di John e palpargli il cazzo attraverso i pantaloni fino a che John non lo supplichi di spogliarlo. Lo fa questo, Mary?

“Acuta osservazione,” dice e divincola il polso.

“Perché?” chiede John

Sherlock è troppo stanco per sentirsi arrabbiato. “Mary mi piace,” dice invece e si chiede se John la sta avvertendo come la disgustosa bugia che è.

_____

Due bicchieri di costoso sauvignon blanc dopo e lui sta chiedendo a Molly se lei abbia o no intenzione di prestargli una parte di laboratorio per i suoi studi tossicologici. John è seduto in una poltrona in salotto. Sherlock lo sta osservando da lontano da tutta la notte. John rovescia la testa all’indietro ridendo di una battuta  e Sherlock torna a rivolgere lo sguardo a Molly. Lei tiene fissi i suoi occhi su di lui.

Deve essersi accorta che è stato distratto tutta la sera. Sherlock apprezza che non gliel’abbia fatto notare.

“Volete un altro po’ di torta?” chiede Mary dietro di loro. Tiene in mano un piatto con una fetta sopra.

“Sono davvero sazio, grazie,” dice Sherlock. Ha a malapena toccato il proprio cibo prima.

“È una torta davvero buona però,” dice Molly, scuotendo la testa. Mary ride e le tocca la spalla prima di allontanarsi.

John guarda in su mentre lei si avvicina e Sherlock sposta bruscamente la sua attenzione su di loro. Lei gli porge la torta. John ride e scuote la testa. Lei gli sfiora la fronte con la punta delle dita, proprio all’attaccatura dei capelli e si china per baciarlo. John le prende una guancia in mano come in preda a un ripensamento quando lei si tira indietro.

Sherlock deglutisce. Si morde l’interno delle labbra e si forza a voltarsi di nuovo verso Molly.

“Sherlock,” dice dolcemente lei.

Sherlock scuote la testa e rilassa i pugni che aveva stretto dietro la schiena. Riesce a sentire i sempre più evidenti segni delle proprie unghie. “Di che cosa stavamo parlando?”

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Non riesce a ricordare la prima volta che ha desiderato John Watson. Ma sa che precede l’aver realizzato di essere in grado di desiderare, punto.

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“É stato assolutamente fantastico,” dice John quando si trovano in un sotterraneo male illuminato, e Sherlock ha appena cacciato una mano dentro una grata per tirarla fuori con il sangue congelato della vittima sparso sulla punta delle sue dita guantate. Alza lo sguardo su John e per un singolo, irrazionale momento Sherlock pensa che il tempo si sia davvero riavvolto.

Ma poi il cellulare di John suona e lui si allontana per rispondere e quando ritorna, dice, “Mi spiace davvero ma devo andare, Mary ha un’emergenza familiare.”

Nessuna seconda possibilità, solo un pio desiderio. Sherlock si intima di non ricaderci così spesso.

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“Morbo di Parkinson,” dice John quando sono in un taxi diretto a Scotland Yard, “Mary ha insistito perché dessi un’occhiata alla sua cartella.”

Sherlock guarda i negozi davanti a lui sfilare veloci, “Sua zia non può essere molto più vecchia di cinquantacinque anni.”

“Questo non cambia la sua diagnosi.”

Sherlock tira fuori il suo telefono ed è sollevato dall’avere la scusa di rispondere a un messaggio di Lestrade. John sprofonda nel silenzio, guardando fuori dal finestrino. Sherlock aspetta finchè il taxi si ferma per chiedere, “Quando sarà, quindi?”

John si blocca a metà dell’apertura della portiera, “Scusa?”

“Il matrimonio. Immagino che Mary ti avrà chiesto di anticiparlo per venire incontro a sua zia.”

John scuote la testa con una risata e scende giù dal taxi, “Dicembre. Maledizione, sarà impossibile trovare un posto per la cerimonia in tempo.”

Sherlock getta alcune banconote al guidatore attraverso il finestrino e guarda su in direzione dell’edificio invece di guardare John. Mancavano a malapena cinque mesi.

“Beh,” dice infine, “Si sa che i miracoli accadono.”

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Forse dovresti cercare di trovarti un nuovo coinquilino. – MH

Sherlock ha una mezza idea di scagliare il telefono contro il muro quando leggere il messaggio. Ha abbastanza da parte per pagare la retta dell’affitto del prossimo mese e Mycroft lo sa.

Capirai che sono semplicemente interessato al tuo benessere. MH

Non esserlo. SH

Il telefono squilla. Sherlock va a farsi una tazza di té. Quando ritorna, ha un nuovo messaggio vocale.

Accende il portatile e chiama a raccolta la motivazione necessaria per dare un’occhiata agli sciocchi casi che la gente gli invia per e-mail.

Preferisce sopportare ore di zelante stupidità piuttosto che rimpiazzare John.

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A: sh@thescienceofdeduction.co.uk

From: m.e.morstan@gmail.com

Subject: pranzo?

Ciao Sherlock,

Immagino che troverai strano ricevere un e-mail da me visto che non ci conosciamo molto bene, ma vorrei davvero che le cose cambiassero. Sei chiaramente una parte integrante della vita di John e speravo che magari potessimo entrare un po’ più in confidenza. Magari potremmo pranzare insieme questo weekend? John ha un turno, così saremmo solo noi due. O potrei provare a venire incontro a qualsiasi orario sia comodo per te.

Tua,

 

Mary

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Mary sceglie un minuscolo ristorante francese incastrato dietro un negozio di materiali artistici. Il pavimento che conduce alla porta d’ingresso è striato di vecchia vernice gialla che è stata versata secoli prima e l’odore di acquaragia aleggia fuori dalle finestre aperte del negozio direttamente nel ristorante. Il chiacchiericcio all’interno è tranquillo e Sherlock deve dare una sola occhiata in giro prima di trovare Mary seduta nel retro, che si rigira un coltello da burro nelle mani.

“Non ti ho fatto attendere troppo,” dice Sherlock mentre si siede nella sedia di fronte alla sua.

“No,” risponde lei, offrendogli un sorriso anche se lui non ha formulato la frase come una domanda, “È bello vederti, Sherlock.”

Sherlock solleva il menu senza guardarlo.

“Posso suggerirti la crepe mela e brie? Hanno delle crepes fantastiche qui.”

Sherlock tiene gli occhi fissi sulla faccia di Mary e non batte le palpebre.

“O le cialde,” aggiunge Mary, poi si ferma. Mette giù il coltello da burro, “O suppongo che potremmo semplicemente parlare.”

“Vorresti andare maggiormente d’accordo con me.”

“Per il bene di John,” dice lei, “Sgombrare il terreno e sedare qualsiasi astio sul nascere.”

“Vuoi che io ti apprezzi.”

“Beh,” sorride e Sherlock non riesce a dire se finge o no, “Quello sarebbe il mio obiettivo, sì. John attribuisce un enorme valore ai tuoi giudizi. Ma sono perfettamente conscia del fatto che ogni giudizio positivo debba essere guadagnato piuttosto che richiesto.”

 “Non sarai in grado di aggiustare John,” sbotta Sherlock, perché è una persona terribile e si abbasserà al punto di buttare fango su John pur di riprenderselo indietro.

“Non ero al corrente del fatto che John avesse bisogno di venire aggiustato,” risponde Mary e Sherlock la odia per la sua riposta.

“Tra cinque anni,” dice Sherlock e la sua voce è piatta, “Si sveglierà urlando nel bel mezzo della notte e sarà la quinta volta, quel mese. Quando gli toccherai la spalla ti afferrerà il polso e te lo stringerà finchè le tue ossa non sfregheranno una sull’altra, prima di rendersi conto di quello che sta facendo. E dopo si scuserà e scivolerà giù dal letto e non tornerà o non sarà in grado di guardarti negli occhi prima di mattina. Gli chiederai migliaia di volte di condividere quel peso ma lui ogni volta dirà di no.”

Sa come deve star suonando, e si chiede se lei tornerà a casa quella sera e chiederà se lui e John – hanno mai? E lui si immagina la risata incredula di John, che forse dirà persino non anche tu, Mary. O forse l’ha già detto. Forse Sherlock è patetico abbastanza da voler vivere nelle sue stesse parole pronunciate ad alta voce.

“Fra cinque anni,” continua Sherlock, “Riceverà un messaggio da me. Voi due finalmente avrete un giorno libero dal vostro bambino per andare a cena in qualche bel ristorante. Ma in quel messaggio, gli dirò che c’è un caso che richiede la sua presenza, che è urgente e che ci sono delle vite in ballo. E lui cancellerà la prenotazione e ti dirà scusa, che rimedierà, te lo promette. E verrà da me, ogni volta.”

Mary si appoggia allo schienale e incrocia le braccia. Sherlock odia il modo in cui i suoi occhi si dirigono al semplice anello di fidanzamento sulla sua mano sinistra. “Perché mi dici questo?”

“L’hai detto tu stessa,” dice Sherlock, incapace di distogliere gli occhi dall’anello. “Sedare ogni astio sul nascere. Ti sto semplicemente esponendo i fatti.”

Mary si sposta in modo da nascondere la mano sinistra. Gli occhi di Sherlock tornano bruscamente al suo viso.

“Penso che sia un po’ troppo tardi per intimidirmi in modo da farmi interrompere la relazione, Sherlock,” dice, fissandolo negli occhi, “Non mi hai detto niente che io non sappia già.”

Sherlock abbassa lo sguardo sul tavolo. Mary Morstan è più intelligente di quel che inizialmente credeva e lui si chiede se lei riesca a capirlo dal suo aspetto, dal modo in cui le sue spalle sono piegate all’ingù, dai suoi occhi che guardano in basso. Maledizione, Lestrade l’ha capito e Molly l’ha capito – tutti l’hanno capito tranne John.

“Voglio che tu mi apprezzi,” dice Mary, “Ma anche io voglio apprezzarti, Sherlock. Magari possiamo ricominciare da capo.”

_____

Sherlock si sveglia la mattina odiandosi ancora di più del solito, aggrappandosi ai rimasugli sussurranti dei sogni in cui John spunta sull’uscio di casa con una valigia e la semplice spiegazione non ha funzionato, punto. Non succede nemmeno niente – John si limita a tornare alla sua stanza al piano di sopra e persino nei sogni di Sherlock si arrabbia per i pezzi di cadavere messi vicino al cibo nel frigo e brontola riguardo all’incompetenza di Sherlock nel ripulire da solo. Non succede nemmeno niente e Sherlock si sveglia con qualcosa di simile a un dolore dietro lo sterno, la tensione che percorre il suo collo.

Tutto questo deve finire, pensa Sherlock mentre schiaccia delle foglie sciolte di tè in un colino. L’acqua bolle e va tutta sul tavolo e inzuppa la corrispondenza cui lui non ha risposto. Sherlock mette giù la teiera e fissa quel pasticcio fradicio di fogli prima di cominciare a ridere.

Sta operando a bassa efficienza, se ne rende conto. Ma a meno di dimenticarsi dell’esistenza di John Watson, non sa come migliorare le cose.

_____

“É per il caso Quinn,” dice Sherlock con il cellulare premuto fra orecchio e spalla, “Il tuo aiuto mi farebbe davvero comodo.”

“È il nostro nono mesiversario,” dice John, “Ho già messo trenta sterline di deposito nel suo ristorante preferito.”

“Davvero la gente celebra cose così insulse?” chiede Sherlock, “Posso ricordarti che ci sono due bambini che ancora non si trovano?”

Vi è silenzio. E poi, “Va bene, va bene,” dice John, “Cosa diavolo dico a Mary?”

Inventati qualcosa, è quello che Sherlock aveva intenzione di dire ma in qualche modo viene fuori come, “Perché non le chiedi di venire?”

_____

Sherlock non sa cosa pensava di ottenere. Forse che la prospettiva di cadaveri e pericolo avrebbe in qualche modo allontanato Mary. Il suo senso logico lo sta tradendo, le sue decisioni normalmente razionali lo stanno abbandonando.

Mary ha il bimbo in braccio e gli sta parlando con voce soffice. John ha avvolto una coperta attorno al ragazzo di dieci anni che fissa con sguardo vacuo il pavimento e gli sta mormorando parole rassicuranti. Sherlock glielo ha già visto fare con altre vittime, sa che gli viene da anni e anni di pratica in clinica.

Ma la vista di loro due insieme, Mary con un bambino in braccio e John inginocchiato di fianco al ragazzo – somiglia abbastanza all’immagine di una famiglia e Sherlock non riesce a farne a meno – la sua esaltazione post-caso risolto viene distrutta dal promemoria di un’altra cosa che non sarà mai in grado di essere per John perché non ci sono figli nel loro ipotetico futuro insieme. John non deve dirlo a Sherlock perché lui sappia che quel bisogno c’è: lui vuole dei bambini, è spaventato dal pensiero di dimostrarsi distante come i suoi genitori, ma lui vuole dei bambini. E Sherlock è egoista ma non abbastanza da ingannarsi sul fatto che John non sarà un buon padre, con le sue mani ferme e la sua forza stoica.

John solleva lo sguardo, sempre continuando a formare parole tranquille all’orecchio del ragazzo – ma non solleva lo sguardo su Sherlock. Cerca Mary con gli occhi, invece, e i due si scambiano un’occhiata silenziosa prima che John rivolga di nuovo la sua completa attenzione al ragazzo.

Sherlock scivola via dalla scena del crimine e trova un taxi sulla strada principale.

_____ 

Quando Sherlock distanzia il suo ego dalla faccenda, quando approccia la situazione nella sua interezza da un punto di vista neutrale, sa che John ha fatto la scelta giusta.

Che cos’ha Sherlock da mostrargli? Cinque relazioni sentimentali fallite e otto anni di quasi celibato. Una profonda mancanza di esperienza sessuale per qualcuno della sua età. John probabilmente si sarebbe stancato di lui alla seconda settimana. O forse avrebbe preso sul ridere i terribili tentativi di Sherlock con la sua solita pazienza, il tutto rimpiangendo di aver acconsentito alla cosa in primo luogo.

Sherlock sa apprezzare la bellezza estetica e sa che Mary è una donna attraente. Fra la sua popolarità all’università e il suo fidanzamento con un soldato morto in Afghanistan, Sherlock è certo che lei sappia come navigare attraverso i più problematici aspetti di una relazione a lungo termine.

Sa probabilmente come far godere John a letto. Come leccare la punta del suo cazzo nel modo giusto, così da rendere John una confusione di gemiti, i pugni che si aggrappano alle lenzuola. Come lasciare succhiando segni sul collo, così che non siano visibili sotto il suo colletto il giorno dopo in ambulatorio.

Un’ondata di desiderio gli sale dentro e Sherlock è obbligato a ricacciarla giù. E anche nel momento in cui ogni istinto nel suo corpo protesta urlando, è costretto a dirsi,  non è mio, non è mio.

_____

Il taxi lo lascia a cinque strade di distanza e Sherlock ne approfitta per pensare.

Passeggia avanti e indietro davanti al palazzo per quasi tre minuti prima di ricevere un messaggio.

Perché non vieni su e basta? – MH

“A cosa devo questo raro piacere?” chiede Mycroft aprendo la porta del suo ufficio. Sherlock ciondola contro il muro nel corridoio e non alza lo sguardo su di lui.

“Vieni dentro,” dice Mycroft, facendo un passo di lato. Sherlock considera di starsene nel corridoio solo per fargli dispetto, ma alla fine gli passa oltre e si siede in una delle poltrone.

“Ho bisogno del tuo aiuto,” mormora.

“Giornata rara davvero,” dice Mycroft.

“Non è per me,” aggiunge Sherlock. “Il matrimonio di John è fra quattro mesi e non hanno ancora prenotato un luogo che si convenga.”

“Ah.”

“Tu prenoti quelle ridicole conferenze con a malapena settimane d’anticipo,” dice Sherlock, “So che puoi trovare un modo per aiutarli.”

“Sì, posso,” concorda Mycroft, “Cosa ne avrei in cambio, caro fratello?”

“Tre giorni,” dice Sherlock, “Mi occuperò di qualunque caso tu voglia per tre giorni.”

“Una settimana.”

“Tre giorni,” ringhia Sherlock.

Mycroft sorride, “Cinque giorni.”

Sherlock teme il tedio dei meschini crimini burocratici che Mycroft sicuramente gli affibbierà.

“Va bene.”

“Che cosa inaspettatamente generosa da parte tua.”

“So essere gentile,” sbotta Sherlock.

Mycroft scribacchia qualcosa sul blocco per appunti accanto al proprio braccio. Sherlock lo prende come un segnale di congedo e si alza in piedi.

“Sherlock.”

Sherlock si ferma con una mano sulla maniglia. Non si guarda alle spalle.

“Ce ne sono stati altri prima di lui e ce ne saranno molti altri dopo di lui.”

Sherlock deglutisce. Odia il modo in cui la sua voce se ne viene fuori malferma. “Direi di no.”

Esce e si sbatte dietro la porta prima che Mycroft possa rispondergli.

_____

Il campanello squilla. Sherlock apre gli occhi e smette di pizzicare il violino. Andrà ad aprire Mrs. Hudson.

“John!” la sente esclamare. Si siede e si sporge a prendere l’archetto. A John è sempre piaciuta un po’ di contemporanea, quindi Sherlock accenna le note iniziali di qualcosa di Philip Glass e si alza in piedi.

Osserva John venir su per le scale nel riflesso della finestra e non smette di suonare. John indugia sull’uscio per un po’ prima di andarsene in cucina. Sherlock chiude gli occhi e si concentra sulla musica ma sente il tintinnio dei piatti e delle posate. L’odore di roast beef gli fa aprire gli occhi e lo spinge a girarsi – sì, John ha appena aperto un tupperware e sta mettendone delle fette in due piatti.

Si perde su una nota pensierosa e John alza lo sguardo. Sherlock toglie il violino da sotto il mento.

“Mangiamo, questa settimana?” chiede John, “O siamo su un caso?”

L’ha cucinato Mary, senza dubbio. L’odore è delizioso.

“Io sono un cuoco terribile,” dice Sherlock senza volerlo davvero.

“Sei decente,” risponde John, “Anche se paragonati a Mary, entrambi facciamo veramente pietà a cucinare.”

Sherlock posa il violino. John spinge uno dei piatti verso Sherlock e si mette in cerca del telecomando sotto i cuscini.

Sherlock chiude la custodia del violino e si siede di fianco a John, facendo in modo che ci sia dello spazio fra loro. Non importa, comunque, perché si ritrova il ginocchio di John schiacciato contro la coscia in ogni caso. Tenta di non pensarci e mangia. Il roast beef è delizioso, ovviamente.

 “Sei felice?” Sherlock si sente domandare durante una pausa pubblicitaria.

John lo guarda. Sherlock sta fissando con aria determinata la tv da almeno quindici minuti. Il contatto è sufficiente. Non ha bisogno di vedere anche il viso di John.

“Penso proprio di esserlo, sì,” dice John, suonando prudente, “Tu sei felice, Sherlock?”

“Sì,” mente Sherlock, perché John è felice e questo deve bastargli.

_____

Più tardi Sherlock alza lo sguardo dal pc sul quale stava lavorando e trova John addormentato sul divano, la testa appoggiata sul bracciolo. Sembra più giovane di come l’abbia mai visto sino ad allora. Non c’è più Sherlock a svegliarlo ad ore oscene della mattina, a chiedergli di restare alzato fino all’alba per lavorare a un caso. Non c’è più Sherlock ad ordinare take away ogni giorno, tutto olio e grasso e carne trattata.

Una tranquilla vita domestica gli si confà. Mary, gli si confà.

 Sherlock gli butta addosso una coperta. Non sa se dovrebbe ma si ferma e sfiora con una mano la guancia di John. Com’è possibile che a Sherlock manchi così tanto John se lo vede quasi ogni giorno?

Sarebbe così semplice chinarsi e premere le labbra contro la guancia di John. Così semplice immaginare di svegliarlo con un bacio. Così semplice immaginare John offrirgli un sorriso insonnolito prima di seguirlo a letto.

Sherlock respira e gli dà le spalle. Si mette il cappotto e se ne va fuori a farsi una passeggiata.

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Miracoloso buco al 116 Pall Mall. Tu ne sai niente al riguardo? – JW

Avete deciso una data? – SH

12 dicembre. Siccome tutto questo sta davvero succedendo, mi faresti da testimone? - JW

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“Stai ignorando i miei messaggi di proposito,” dice John a mo’ di saluto mentre sguscia sotto il nastro della scena del crimine.

“Attento a non calpestare le impronte,” dice Sherlock, non alzando lo sguardo dal punto in cui è accucciato di fianco alla vittima.

“Sherlock, ti è permesso dire di no se non vuoi farlo,” dice John, “Seriamente. Pensavo soltanto di chiedertelo perché sei il mio migliore amico e tutto il resto.”

“Lo sono davvero?” chiede Sherlock, alzandosi in piedi.

John guarda lui, poi il cadavere, poi di nuovo lui, “Ehm, sì. Quando mai è stato messo in dubbio?”

“Mai, immagino.”

“Non mi offendo se non vuoi farlo, lo giuro.”

Sherlock sfodera la sua lente d’ingrandimento e torna a voltarsi in direzione della vittima, “Lo farò.”

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“Non è giusto,” dice Molly mentre pulisce la propria panchetta attorno al punto su cui Sherlock è al momento seduto, gli occhi al microscopio. “Non avrebbe dovuto chiedertelo. Non avresti dovuto acconsentire a farlo.”

“Non essere ridicola, Molly,” dice Sherlock, distogliendo lo sguardo per annotare in fretta un calcolo cellulare, “Preferisco di gran lunga essere io il testimone al posto di uno di quei tipi senza cervello che John ha incontrato in Afghanistan.”

“Ma tu sei innamorato di lui,” dice Molly – e la mano di Sherlock si chiude con forza attorno al suo polso. Non la guarda, si concentra sul muro davanti al quale è seduto.

“La vita non è giusta, Molly,” dice senza alcuna inflessione, “E certamente non risponde alle leggi di nessuno degli schemi fiabeschi coi quali tu ti ostini a ingannarti. Astieniti gentilmente dall’infliggermi ulteriori chiacchiere.”

La lascia libera e torna a guardare dentro il microscopio, così non è costretto a vedere l’espressione sul suo viso.

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Rifiuta di organizzare l’addio al celibato di John, il che significa che se ne occupa uno dei suoi amici più imbecilli. Sherlock non coglie il fascino del reclutare donne dall’aspetto mediocre per farle ballare in maniera provocante  a patto di non toccare nulla, quando vi sono video pornografici molto più adatti allo scopo, e con donne molto più attraenti. Il suo interesse viene solo momentaneamente stuzzicato dalla comparsa della cocaina – ma lo sguardo che John gli rivolge è abbastanza da fargli tenere le mani nelle tasche.

John sembra in ogni caso più interessato al poker che alle donne e Sherlock è interessato a cercare un modo per andarsene. Trascorre la maggior parte dell’ora in cui è lì a poltrire nel suo angolo col suo telefono, sperando che nessuno lo forzi o socializzare o che peggio, lo riconosca da più di dieci anni prima.

Southwark, due cadaveri al Guy. Se non sei occupato a festeggiare.

Qualcuno gli tocca una spalla mentre si sistema velocemente addosso il cappotto  e si volta per andarsene.

“Che stai facendo?”

“Vengo con te,” risponde John.

“Non puoi,” dice Sherlock, gesticolando, “Questa dovrebbe essere la tua notte.”

“Esatto,” dice John, alzando il mento, “E posso farne quello che voglio. Io voglio venire con te.”

“Sei-” comincia Sherlock, e non sa in che modo terminare la frase. Pazzo. Terribile. Impossibile.

“Bene,” acconsente Sherlock e sorride.

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“Perlomeno non c’è stato nessun bisogno della pistola,” dice John tra un respiro e l’altro, le mani sulle ginocchia.

“Sarebbe stata utile, però,” il cuore di Sherlock sta battendo forte e l’ondata di adrenalina gli dà una sensazione di euforia, “Anche soltanto per il fatto che avresti potuto rispondere al fuoco quando hanno cominciato a sparare.”

“Avrei avuto una mira molto migliore,” John sbircia oltre l’angolo del palazzo, “Pensi che se ne siano andati?”

“Se siamo fortunati, la nuova squadra di Lestrade non è così incompetente come sembra.”

Il sole del nuovo giorno colora il cielo ad est. I lampioni brillano ancora nella luce soffusa. Sherlock finisce di mandare un messaggio a Lestrade e rovescia indietro la testa contro il muro di mattoni attendendo che gli torni il fiato.

Quando apre gli occhi, John lo sta guardando. Una nebbiolina gelida e sottile sta cominciando a salire dalla strada. Sherlock vuole distogliere lo sguardo ma non ci riesce.

“Da quanto?” La voce di John è calma. Sherlock desidera che il muro si apra e lo inghiotta.

“Da quanto, cosa?”

“Lo sai, Sherlock.”

Sherlock si lecca le labbra. “Non lo so.”

John non si muove. Sherlock conosce intimamente così tante delle espressioni di John, ma davvero non riesce a leggere questa qui.

“Da tanto tempo,” chiarisce Sherlock.

“Non ci credevo quando me l’ha detto,” dice infine John.

“La tua fidanzata è molto più perspicace di te.”

“Le ho dato un anello,” dice John. “Cerca di capire.”

Sherlock si ficca le mani nell tasche così John non le può vedere tremare, “Non c’è niente per me da capire perché non c’è mai stata nessuna scelta, John. Lei è bella e intelligente ed è più che entusiasta di formare una famiglia con te.”

John fa un passo in avanti, “Sherlock-”

“Non lo fare,” dice Sherlock, “Non ho bisogno della tua pietà, John.”

“La smetteresti di-”

“Avere ragione?” sbotta Sherlock, “Perché riesco a leggerlo sulla tua faccia e riesco a udirlo nella tua voce e non ho bisogno di tutto questo.”

“In un mondo diverso,” dice John, “Saremmo potuti essere.”

Sherlock ride atono, “Ti avrei preso tutto. Avrei tentato di distruggerti e ricostruirti a mia immagine. Ti avrei rovinato, ti avrei ucciso. Meriti molto di meglio di me, John.” Sorride, ma non è affatto un sorriso. “Sono felice che tu l’abbia trovato.”

“Sherlock,” esala John.

“Mary,” gli ricorda Sherlock.

Il sole erompe dietro l’orizzonte. È il giorno del matrimonio di John.

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Sherlock fissa le spalle di John per tutta la cerimonia. Guarda il pubblico quando John e Mary si baciano e accidentalmente incontra gli occhi di Molly. Sembra triste per lui. Distoglie lo sguardo e si unisce all’applauso.

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Harry Watson gli porge un bicchiere di champagne mentre prende posto di fianco a lui. L’ha incontrata solo una volta prima di quel momento.

“Sai,” dice dopo aver ingollato tutto il suo bicchiere in un sol sorso, “Ho sempre pensato che se mai mio fratello si fosse sistemato, l’avrebbe fatto con te.”

Sherlock appoggia il bicchiere sul tavolo senza berne nulla. “John non è gay.”

“Voglio dire,” gesticola lei, “Dal modo in cui mi ha sempre parlato di te.”

Sherlock se ne va.

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London City Airport, in 20 minuti? – SH

Ci vediamo fra 20. - JW

 

  
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