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Autore: darkmage1975    28/05/2007    7 recensioni
Estate. Il mare. La spiaggia. Una storia d'amore adolescenziale, come ce ne sono tante. Ma questa è la mia. Ed è vera.
Genere: Romantico, Triste, Introspettivo | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Note dell'autore: la prima storia assolutamente autobiografica che abbia mai scritto in 24 anni (24 anni in cui scrivo eh! la mia età è un po' più elevata ^_^) Se vi piace, vi prego di lasciarmi una recensione anche inesistente: fa sempre piacere sapere di essere stati letti realmente! Se non vi piace invece ... vi prego di lasciarmi una recensione comunque: non fa piacere ma serve tanto essere criticati! Grazie e buona lettura.

Era l’estate del 94, l’estate dei miei 18 anni, l’estate della maturità. Dalla congiunzione di eventi avrei dovuto intuirne l’importanza, concentrarmi su di ogni piccolo istante di quei mesi per imprimerli nella mente e poterli poi assaporare ancora in futuro, come il gusto dolce che lascia in bocca un frutto maturo anche dopo averlo mangiato. Ma se così avessi fatto, non sarebbe stata la stessa cosa.

Stavamo insieme quasi da un anno. Era la storia più lunga che avessi avuto fino ad allora. Tutto era iniziato l’estate prima, in agosto. Un inizio travagliato: prima si fece avanti lei, poi mi feci avanti io, poi lei mi tradì non appena decidemmo di essere una coppia. Ma tutto iniziò e si rafforzò nel corso dell’anno. Purtroppo il suo tradimento iniziale e il suo carattere le fecero decidere di voler essere assolutamente gelosa del nostro rapporto e di me. Io ne fui felice all’inizio, lusingato poi, triste e insofferente in seguito. Ed era con questo stato d’animo che avevo deciso di trascorrere alcuni giorni da solo al mare, in attesa degli orali della maturità. Avevo portato con me anche i libri da studiare. Pensarmi ora mi faccio decisamente una gran tenerezza.

Non ricordo bene come iniziò. Incontrai la solita compagnia di ognuna delle ultime estati: ragazzi del posto, e ragazzi di tutta Italia lì radunati dalle famiglie, da anni, in quel solito mese di giugno. Ma c’è sempre qualcuno di nuovo e quel anno c’era lei.

“Cos’è questa lettera?” rientrato dal bagno in camera sua, fissai la mano che stringeva una lettera. Sul momento non capii, poi quando avvenne pensai che le gambe mi avrebbero ceduto. Ottobre del 94, mi pareva trascorsa una vita dai fatti raccontati in quelle pagine, dall’ultima estate. Con le parole cercai un appiglio, non ricordo sinceramente cosa farfugliai. Capii che non l’aveva letta, che le era sufficiente averla trovata per mettermi con le spalle al muro. Mi chiese di leggergliela. Di leggergliela? Sembrava una follia, come se la moglie, scoperto il marito a letto con un’altra, fosse solo capace di dire “Avanti, adesso presentamela!”

Eppure non avevo scampo, dovevo fare quello che voleva lei, in quel momento avrei fatto qualsiasi cosa mi avesse chiesto pur di far finire quella situazione. Non appena presi in mano le pagine della lettera e lessi le prime parole, tutto mi tornò chiaro alla mente, e non mi sembravano più trascorsi dei mesi, ma quasi sentivo ancora il suo profumo e il tepore di quei primi giorni d’estate.

Lei era svizzera. Canton Ticino, per carità, quindi per la mia semplice logica da adolescente era “come se fosse italiana al cento per cento”. Non ne ricordo il nome. Mio Dio non ne ricordo il nome! Ho provato a sforzarmi, mi sono impegnato a fondo, ma no, non lo ricordo. E’ stata così importante per me, da scrivere di lei ora a distanza di quasi quindici anni, e non ne ricordo il nome. Eppure a volte ricordo ancora la sua voce, il suo accento, il fatto che diceva sempre “giochiamo a footballino?” intendendo il biliardino. Ma esiste il termine “footballino”? mi sono ritrovato a pensare. No, non nella lingua italiana, e nemmeno in quella svizzera! Ma esiste un solo individuo a parte lei che lo chiami così? Non so, allora non m’importava, ma bastava che lo dicesse per farmi sciogliere. Tornato in città, a giorni di distanza, solo in camera, ripetevo quella parola a voce alta, e trasalivo ancora. Che stupido.

La compagnia di quell’anno era numerosa, ogni sera eravamo circa una ventina di persone, durante il giorno pochi di meno, in giro sul lungomare, in acqua, in sala giochi, in giro per le strade di quel paesino romagnolo. E lei c’era sempre. La vedevo tutto il giorno. E in un modo o nell’altro finiva sempre per essermi vicina. Giocavamo sempre in coppia a “footballino”, seduti sulle panchine eravamo sempre accanto, in giro in gruppo mi cercava con lo sguardo e mi aspettava se ero rimasto indietro. Anche al mio occhio poco sveglio da maschio adolescente il suo interesse pareva evidente. Ed era così bello stare con lei! Non mi chiedeva mai con chi ero stato, quante ragazze avevo incontrato quel giorno. Non le interessava nemmeno parlarmi dei suoi problemi, apparentemente non ne aveva nessuno, era piena di energia come il sole di quel mese. Quando le dissi che ero preoccupato per l’esame lei mi guardò e con sincerità mi disse solo “ma dai! tu?” e si mise a parlare d’altro.

No, non era difficile capire che mi stavo avvicinando a lei pericolosamente; la sera sentivo al telefono la mia ragazza che chiamavo dalla cabina mentre con lo sguardo ero già fuori di lì, già al suo fianco, a ridere e scherzare senza pensare alla gelosia, all’esame, all’università dell’anno successivo, alle responsabilità. Dentro di me si agitavano pensieri che non mi erano familiari, che non capivo, che non volevo capire, che in un qualche modo cercavo di fuggire e assieme abbracciare.

Ma la vacanza fu breve e anche se mi pareva fosse trascorso un mese, giunse presto l’ultima sera. In gruppo fuori dalla sala giochi, poi tutti assieme in spiaggia a camminare sul lungomare verso il paese vicino, probabilmente verso un altro bar e un’altra sala giochi identici. Camminavamo a fianco noi due, come sempre, la cosa non destava più alcuna curiosità. E lei stava parlando della sua città, di quello che faceva la sera.

Poi d'un tratto rallentò il passo continuando a parlare. Quasi impercettibilmente, pian piano, il gruppo si stava staccando e noi rimanevamo indietro. Faceva un piacevole caldo mitigato dalla brezza del mare. Era uno di quei mesi di giugno di qualche anno fa in cui la sera c'era sempre una piacevole bava di vento. Alla mia sinistra il mare, alla mia destra lei. Osservai le onde, mi inebriavo della loro melodia e vedevo in distanza le luci di alcune navi riflesse sul mare calmo. Stavo bene, in pace con me stesso come non mi capitava da mesi. Mi accorsi che lei aveva smesso di parlare e voltando lo sguardo in avanti per vedere quanto fosse distante il gruppo, quasi mi inciampai in lei che si era portata davanti a me. Mi fermai e non potei fare a meno di fissarla. Il suo viso era lì, a pochi centimetri dal mio, e i suoi occhi mi guardavano senza sosta. Attorno solo il rumore del mare, ormai il gruppo era molto distante e si sentivano solo le risate più forti. E lei invece sempre lì e sorrideva. Sorrideva come a dire "ehi, io sono qui, queste labbra sono qui che ti aspettano, ma se non vuoi non preoccuparti, non me la prenderò"

Un sorriso pacifico, bello da guardare, bello da baciare. Mi avvicinai di alcuni millimetri. Sentivo già le sue labbra contro le mie, una piacevole impressione. Poi chiusi gli occhi. Vidi tante cose, in un solo istante: l’anno trascorso, ogni singola litigata dettata dalla gelosia, quelle sere trascinate fino a tardi per cercare di fare pace, perché sembrava impossibile salutarsi senza aver prima fatto pace. Trassi un profondo respiro lungo un'eternità e con un alito di fiato dissi tremando "Mi spiace"

Continuai a fissare il suo sorriso, che non mutò, forse si increspò per un attimo, ma fu veramente soltanto un impercettibile attimo, o forse semplicemente è la mia mente che vuole ricordarselo così. Continuò a fissarmi ancora mentre la sua mano si stava muovendo per prendere la mia. "Fa niente" disse "non preoccuparti." E mi afferrò la mano, stretta come non mai. Poi si voltò e iniziando a correre trascinandomi con se disse "Andiamo adesso altrimenti li perdiamo!" e mentre correvamo la vedevo, un passo avanti a me, di profilo. Vedevo l'angolo della sua bocca ancora rivolto all'insù in un sorriso placido, ancor più deciso di prima, come non fosse successo assolutamente nulla. Eppure quella mano stringeva tanto forte che faceva quasi male.

  
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