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Autore: Akil    11/11/2012    2 recensioni
Prendete il finale di Inheritance e dimenticatelo. Tenete solo la partenza di Murtagh. Nessun addio strappa lacrime, nessuna nave, nessun viaggio verso est.
Mettete Eragon al fianco di suo fratello, aggiungete una promessa più importante di Alagaësia e un viaggio che sotto sotto è una fuga.
Un Eragon cambiato profondamente da segreti nascosti al mondo.
Una famiglia distrutta.
Due giovani promettenti cresciuti senza conoscere parte di ciò che li forma.
Nuovi e vecchi personaggi, travolti dall’amore e dall’amicizia, ma soprattutto dal rancore e dalla vendetta.
Perché ad Alagaësia sono i pregiudizi a essere sovrani e il nome di tuo padre potrebbe decidere il tuo futuro.
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«Be’, ti devo fare i miei più sinceri complimenti, Eragon», disse infine. «Credo tu sia l’unica persona al mondo che è riuscita a cambiare il Fato».
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«Sai cosa c’è di più pericoloso di un pazzo con molto potere, Murtagh?», chiese cambiando apparentemente discorso.
Era ovvio che Eragon non si aspettasse una risposta, perciò stette zitto.
«Un pazzo, con molto potere e un
obbiettivo», spiegò il Cavaliere. «Perché l’unica cosa che gli importa è realizzare quell’obbiettivo, a qualunque costo»
Genere: Azione, Fantasy, Malinconico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Arya, Eragon, Murtagh, Nuovo Personaggio
Note: OOC, What if? | Avvertimenti: nessuno
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Il sole splendeva alto nel cielo mentre Arya sorvolava Ilirea in groppa a Fírnen. Lo faceva sempre quando aveva bisogno di pensare e parlare con il suo compagno.
Improvvisa un’ombra le passò sopra, dirigendosi verso le colline.
L’hai visto?, domandò al compagno.
Sì, lo seguiamo?
L’elfa assentì. Fírnen sbatté le possenti ali percorrendo la traiettoria dell’altro.
Rimasero diverso tempo in volo prima di fermarsi. L’essere nero - il drago di Logan, riconobbe Arya - era accucciato in mezzo ad una grande pianura vicino alle colline della città. Sembrava in attesa.
Fírnen fece diversi cerchi in aria, indeciso sul da farsi.
Scendete o restate lì a guardare le nuvole?, chiese una mente estranea, distruggendo le loro difese come se fossero burro. La voce era amichevole, ma aveva una sfumatura malinconica e ad Arya sembrava tremendamente familiare.
Scesero lentamente, attenti ad ogni minimo particolare che potesse preannunciare una minaccia.
Tranquillizzatevi, Maestà, non abbiamo motivo di attaccarvi.
«Abbiamo?», chiese quando fu a terra. «Io e Fírnen non abbiamo visto nessuno venire con te».
Il drago nero – Liar, l’aveva chiamato Eragon, se non sbagliava – scoprì i denti in un sorriso distorto e socchiuse gli occhi. L’elfa ne rimase colpita: quello destro era nero e lucido come l’ossidiana, mentre quello sinistro era completamente bianco. All’improvviso mutò e da candido divenne dorato e brillante.
Fírnen ruggì sommessamente, sospettoso.
Liar si rialzò mettendosi in una posa temibile e maestosa. Solo allora Arya si accorse che anche il suo petto e le membrane delle ali da nere erano diventate dorate.
L’elfa fece qualche passo indietro, quasi spaventata da quel cambiamento repentino.
È un piacere rivederti, Arya, disse una voce profonda ed antica nella sua mente. Solo allora la regina lo riconobbe.
«Glaedr?», sussurrò. «Sei tu? Ma come…?».
«Te l’ho detto, Arya, i draghi ci hanno mostrato capacità che Alagaësia ha dimenticato», rispose qualcuno alle sue spalle.
L’elfa si voltò di scatto, trovandosi davanti un Eragon dall’aria molto stanca.
«Cosa?».
«Andiamo lassù», indicò la collina che sovrastava Ilirea a mezz’ora di cammino da dove erano loro, «e ti spiegherò». Poi si rivolse al drago nero. «Liar, Glaedr, grazie per la vostra disponibilità», si portò il braccio destro al cuore e chinò leggermente la schiena in avanti in segno di saluto.
Il drago probabilmente gli rispose qualcosa per poi alzarsi in volo e scomparire tra le nuvole candide. Pochi istanti dopo altri due draghi blu lo seguirono.
Eragon sorrise al cielo e s’incamminò a passo sostenuto. Aspettò che l’elfa l’affiancasse e poi iniziò a correre. Arya lo imitò.
 
Si fermarono dopo diversi minuti di corsa sostenuta. Eragon sembrava fresco come una rosa, nonostante le profonde occhiaie che gli segnavano il viso, e non c’era neanche una goccia di sudore sul suo corpo, tutt’altro rispetto al ragazzo di trent’anni prima.
Fírnen non li aveva seguiti: Arya voleva stare da sola con il figlio di Brom.
Il Cavaliere si sedette con la schiena poggiata ad un albero e l’elfa gli si mise di fronte.
Stettero in silenzio per un po’. Lui guardava il suo volto confrontando la visone che aveva di lei adesso e quella che aveva da ragazzo; lei invece aspettava che parlasse, mentre si ripeteva tutto ciò che sapeva su di lui e cercava di capire quanto di tutto quello fosse ancora valido.
«Non so chi sei», disse infine guardandolo negli occhi.
Eragon rise amaramente. «È meglio così, credimi».
«Perché?».
«Perché ti aspetti di trovare Eragon Bromsson, un ingenuo diciottenne che gioca a fare la guerra e si crede un eroe solo perché un drago lo ha scelto come compagno. E rimarresti molto delusa nel sapere che quel ragazzo è morto molto tempo fa». Il suo sguardo era vacuo, perso nel vuoto, come se parlasse senza un’interlocutrice.
«Forse hai ragione, ma su una cosa ti sbagli: non cerco un ragazzino, cerco l’uomo che ha affrontato a testa alta tante, forse troppe, avversità; un uomo con degli ideali e dei sogni, sempre pronto a lottare per realizzarli. Cerco colui che ha liberato Alagaësia da un’era di oscurità e dolore, che ha ridato speranza ad un popolo, e che era un mio grande amico». Allungò una mano accarezzandogli la guancia. Il Cavaliere rimase immobile, come se neanche sentisse quel contatto. «Dov’è finita quella persona, Eragon?».
«Ha attraversato troppi ponti senza curarsi di quanto fossero resistenti, lasciando sempre indietro qualcuno. E ognuno di quei qualcuno portava una parte di lui con sé. Alla fine si è ritrovato solo e senza niente dentro».
«Ai sundavr», sussurrò l’elfa d’istinto.
Eragon annuì. «Un’ombra, esatto. Non sono altro che questo».
«Hai detto che sei solo... Ma Saphira? Sei un Cavaliere, dannazione! Come puoi non considerare il tuo drago?».
«Io non ho un drago», rispose il Cavaliere con fervore. «Nessuno possiede un drago! Sono loro che vogliono unirsi a noi e completarci. Io sono parte di Saphira, come lei lo è di me, siamo un unico essere. Ogni mio gesto, ogni mia parola, è volontà di Saphira oltre che mia. Se dico di essere un’ombra di me stesso vuol dire che anche lei pensa lo stesso di sé».
Rimasero per un po’ in silenzio, riflettendo su quelle poche battute che si erano scambiate. Alla fine Arya sospirò delusa.
«Cosa ti ha cambiato così tanto, Eragon?».
«I ponti sono crollati davanti ai miei occhi, senza che io potessi fare alcunché», rispose, ora atono. Poi tacque.
Arya capì che non sarebbe riuscita ad ottenere altro su di lui, perciò cambiò discorso. «Dove sei stato?».
«A rendere onore ai morti».
Lei lo guardò interrogativa. L’uomo scosse il capo, facendole capire che non avrebbe detto altro.
«Raccontami dei draghi, allora. Raccontami di Glaedr».
Solo allora Eragon sorrise, sorrise veramente, per un solo istante, ma lo fece. Ed anche quando la coltre di impassibilità calò di nuovo sul suo volto, i suoi occhi rimasero brillanti di emozione.
«Gli Eldunarí nascondevano molto di più di quanto ci mostravano. Anche se, in realtà, anche loro non erano a conoscenza delle loro reali capacità.
Avvenne per caso: alcuni dei cuccioli della Volta delle Anime erano stati per troppo tempo imprigionati nelle loro uova, non avevano molte speranze di sopravvivere. Non chiedermi come, non l’abbiamo ancora compreso, ma alcuni degli Antichi unirono i loro esseri con quelli dei cuccioli, salvandoli. Devi capire che le menti rinchiuse negli Eldunarí sono molto in sintonia con quelle delle uova, perciò una volta compresa la – chiamiamola così – “tecnica” è stato molto facile ripetere questa sorta d’incantesimo.
Glaedr fu il terzo. Si era affezionato alle emozioni di un uovo nero non Destinato. Di solito i selvatici sono più resistenti dei Destinati, ma lui era più piccolo degli altri e, perciò, più a rischio di morte».
«Aspetta, Glaedr ha salvato un dragoselvatico? Quello di prima?».
«Liar, esattamente».
«Ed un drago selvatico si è legato a qualcuno? Di sua volontà?».
«Esatto. Logan è diventato Cavaliere ad otto anni. Eravamo arrivati a Mandras da poche settimane e per diverse ragioni eravamo stati accolti con onore e gloria, perciò avevamo intrapreso buoni accordi con quel regno. Gli avevo spiegato tutto ciò che sapevo sui draghi – Eldunarí esclusi, ovviamente – e una sera, durante uno dei grandi banchetti di presentazione, una delle uova Destinate si schiuse per una serva quattordicenne. Da allora ci stabilimmo sulle Alture della Tempesta, una catena montuosa a ridosso del mare con alti picchi invalicabili… può sembrare un torto verso di noi relegarci in quel luogo, ma era perfetto per far crescere i cuccioli. A poco a poco cambiammo il nome di quelle montagne: adesso si chiamano le Alture del Fuoco, puoi ben capire il perché. Anche a…». Scosse la testa all’improvviso, senza un motivo apparente. «Scusa, sto divagando», si ricompose, lo sguardo ora gelido e fisso nel vuoto.
«Non… non preoccuparti. Dicevi di Logan, della serva…?», rispose Arya appoggiandogli una mano sul braccio, colpita dal repentino cambiamento di Eragon.
Il Cavaliere si riscosse a quel contatto e ritrasse di scatto la mano come se si fosse bruciato. «Sì, giusto», disse nervosamente. «Il primo drago nato a Mandras fu quel cucciolo già destinato ai Cavalieri. Dopo pochi giorni iniziarono a schiudersi i selvatici. Devi capire che Logan passava gran parte del tempo con quelle uova. Gli parlava, gli raccontava ciò che gli insegnavo e provava persino a raggiungerli con la mente. In particolare quel piccolo uovo nero lo aveva incantato, come aveva fatto con Glaedr. Ogni giorno lo sommergeva dei suoi pensieri, cercando disperatamente una risposta. E quando Liar nacque riconobbe subito quella giovane ed inesperta mente che gli aveva fatto compagnia».
«Perciò è nato comunque un collegamento? Come se Liar fosse stato veramente un drago “Destinato”, come dici tu?».
Eragon scosse la testa. «Non esattamente. Logan e Liar ricordano di più il mio omonimo ed il suo compagno: sono amici, non si tradirebbero mai, ma non sono un’unica identità».
«Eppure lo chiami comunque Cavaliere».
Eragon la fulminò con lo sguardo. «Lo sono drago e Cavaliere. Logan non sarà marchiato dal gedwëy ignasia, ma il loro rapporto è più puro della maggior parte dei legami tradizionali dei miei Cavalieri».
«Parli di lui con lo stesso tono con cui un padre orgoglioso parla del proprio figlio», considerò Arya.
Un altro breve sorriso si fece spazio sul volto serio del Cavaliere, ma venne subito cacciato da un’espressione malinconica ed addolorata. «Avrei sinceramente voluto che fosse sangue del mio sangue», ammise. «Ed anche per questo l’ho nominato mio erede».
«Non hai figli? Non hai mai trovato una compagna?».
Una singola lacrima che silenziosa rigò la guancia del giovane, fu l’unica risposta che ottenne.


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Come promesso, domenica 11 ho postato =)
E' corto, ma è pieno di informazioni ed è troppo distaccato dal resto per essere accorpato ad un altro capitolo. Spero non lo troviate troppo noioso come tutti i capitoli che servono a spiegare.
Ditemi se c'è qualcosa che non capite o se avete qualche dubbio, cos' se non è qualcosa che devo spiegare più avanti, posso chiarirvi le idee.
Per il resto, ho scritto anche il 5, ma devo capire bene come organizzare il 6 per decidere se mi va bene o no.
Qui si sono aperti nuovi questi... che io non vi illustrerò perché dovete arrivarci voi =)

Ringrazio Manta, KiaC92 ed Edoardohaitroppinumeri,nonmeliricorderòmai,peròc'èun2 per aver commentato =)
E ringrazio anche Bertuccia95, lettoreaccanito, UraniaSolanos e _Lenalee_ per aver messo Revenge tra le seguite.

Non so quando posterò il prossimo, ma lo posterò, prima o poi ;-D
Alla prossima,
Akil
  
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