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Autore: gallavich    11/11/2012    4 recensioni
Senza pensare più, mi costringo a provare a capire che cos’ho sulla schiena e comincio a grattarmi le scapole. Ma non serve a niente perché le mie unghia sono troppo corte e quel gesto non mi porta da nessuna parte.
Riprovo toccandomi le spalle con le mani e i polpastrelli, ma anche se il dolore è sempre più forte, io non trovo nessun rigonfiamento, nessuna puntura, niente di niente. Provo a strapparmi la maglietta, ma poi penso che non è una buona idea, visto che non ho altro da indossare.
Continuo a cercare strofinando le mie mani contro il collo e la schiena finchè non trovo un filo bianco che mi esce da dietro la spalla. Sono spaventata.
Con un leggero sforzo tolgo quel filo dal mio corpo e me lo porto davanti agli occhi.
Ma non è un filo. È una piuma.
E quello che la ricopre è il mio sangue.
Genere: Drammatico, Malinconico | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna | Personaggi: Sorpresa
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Questa  one-shot nasce dalla bellezza del video di Give Me Love e ci ho messo una mattinata per scriverla.
Considerando che ho pure il blocco dello scrittore è stato abbastanza difficile, ma in the end questa os mi piace e spero piaccia anche a voi.
Lasciate una recensioncina please.

BTW: per chi ancora non l'avesse visto, oppure volete sentire la canzone mentre legge, il video è
qui.





Il freddo mi avvolge, questa sera come ogni giorno che passo in questo appartamento piccolo, polveroso e gelido.
Sono seduta sul materasso scomodo, coperto da un lenzuolo che non mi tiene nemmeno caldo. Ma a non riscaldarmi, non contribuiscono solo il luogo e le coperte, ma anche i miei vestiti.
Non posso permettermi niente, sono povera. Vado in giro con una canottiera bianca, delle calze nere e un paio di stivaletti neri e vecchi da chissà quanto.
Le mie mani sono tiepide rispetto al corpo, perché indosso dei guanti di pelle, trovati sotto il materasso quando sono entrata in questa casa tempo fa.
Le mie dita sono sporche. Non ricordo nemmeno l’ultima volta in cui sono riuscita a farmi la doccia. Non ho abbastanza soldi per pagare la bolletta dell’acqua.
L’unica cosa che mi piace di questo posto è che sono stata abbastanza fortunata da poter accendere l’abat-jour, da trovare una scorta di bustine di yorkshire tea e un bollitore.
L’elettricità viene pagata chissà da chi. Qui non arrivano mai bollette e io non ne so niente.
Prima di andare a dormire, una volta ogni tanto, bevo una tazza di tè, ma come ho già detto non lo faccio spesso, perché non voglio abituarmi a stare al caldo.
Londra è fredda di suo, questo posto è freddo, io lo sono.
Si vede dai miei capelli biondo platino, dal mio sguardo sempre perso…
Inutile riscaldarmi con una tazza di tè se mi da solo un leggero benessere temporaneo.
Metto su il bollitore quando quelle foto sulla parete mi fanno sentire troppo sola da desiderare qualcuno accanto a me. Faccio di tutto per non guardarle, faccio di tutto per non uscire e vedere tutte le ragazze e i ragazzi che mi circondano con qualcuno con cui condividere ogni cosa.
È una bella foto quella in bianco e nero, però non la guardo e sto sempre seduta sul materasso bianco poggiato a terra, con le gambe che tremano per il freddo e lo sguardo basso verso le mie unghia corte e rovinate.
Sto malissimo. Sto male fuori e sto male dentro. Ma non piango. Io non piango mai, sto sempre zitta, passeggio per Londra solo a volte, quando il mio appartamento è così solo e deprimente che sto meglio vedendo i londinesi accoppiati che si baciano davanti la porta di casa.
Oggi sto peggio degli altri giorni però. E non solo perché mi sento così sola da essermi preparata una tazza di tè, ma anche perché la mia schiena brucia e mi fa male da morire.
Non ho idea di che cosa sia. Forse un movimento brusco che ho fatto involontariamente, ma non credo. Io non mi muovo, forse perché sono troppo pigra o forse perché non vedo il motivo di fare qualsiasi cosa fuorché stare in silenzio a pensare tra me e me.
E non voglio fare niente nemmeno per quel bruciore che mi sta facendo pentire di possedere un corpo, perché il dolore, anche se si concentra nelle spalle e nelle scapole, si sta espandendo anche verso il collo e verso la parte inferiore della schiena.
Il prurito si unisce al bruciore e capisco che forse c’è qualcosa che non va in me.
Forse dalla finestra è entrato qualche insetto che mi ha punto, iniettandomi qualche veleno che mi sta bloccando le arterie o altro, ma il mio cuore batte regolarmente e io ho solo la schiena che mi brucia, mi prude e mi fa male.
Senza pensare più, mi costringo a provare a capire che cos’ho sulla schiena e comincio a grattarmi le scapole. Ma non serve a niente perché le mie unghia sono troppo corte e quel gesto non mi porta da nessuna parte.
Riprovo toccandomi le spalle con le mani e i polpastrelli, ma anche se il dolore è sempre più forte, io non trovo nessun rigonfiamento, nessuna puntura, niente di niente. Provo a strapparmi la maglietta, ma poi penso che non è una buona idea, visto che non ho altro da indossare.
Continuo a cercare strofinando le mie mani contro il collo e la schiena finchè non trovo un filo bianco che mi esce da dietro la spalla. Sono spaventata.
Con un leggero sforzo tolgo quel filo dal mio corpo e me lo porto davanti agli occhi.
Ma non è un filo. È una piuma.
E quello che la ricopre è il mio sangue.
Ne cerco altre e ne trovo ancora. Fa male tirarle e farle uscire, ma a poco a poco il dolore e il bruciore svaniscono e io sto leggermente meglio. Respiro a fondo quando non sento più niente e tutto è tornato alla normalità.
Guardo tutte quelle piume ammassate accanto al mio materasso e mi spavento.
Ma non voglio farmi domande perché non saprei rispondermi. Quindi accetto quello che è appena accaduto, distendendomi sul letto e chiudendo gli occhi.
 
Mi sveglio dopo un po’, non so precisamente dopo quanto perché non ho orologi qui, ma un leggero bagliore dietro le nuvole gigantesche e grigie mi fa capire che il sole si sta alzando. Essendo coperto, però, l’unica cosa che illumina il posto dove si affaccia il mio appartamento è un lampione mezzo rotto che ogni tanto si spegne all’improvviso. Vivo un po’ fuori Londra, ovviamente e questo quartiere non è molto ben frequentato.
Un altro motivo per il quale non esco.
Poco dopo mi accorgo che il collo mi fa malissimo e mi sento il corpo pesante quando cerco di alzarmi e mettermi seduta.
Però il dolore e il bruciore sono passati, è questo l’importante.
Faccio scrocchiare le ossa del collo e mi stiracchio. Faccio un salto quando le mie mani toccano qualcosa di soffice, ma quando mi giro non vedo niente.
Il cuore batte forte, ho paura. Che mi sta succedendo?
Mi giro dall’altro lato, ma non c’è nessuno.
Cerco di calmarmi. Ma perché mi sento come se ci fosse qualcosa attaccato a me?
E se ci fossero altre piume che non ho fatto uscire?
Porto di nuovo la mano alla mia schiena e sobbalzo quando le mie dita toccano quel qualcosa che avevo già toccato qualche minuto prima.
Solo dopo un po’ mi accorgo che dalle mie scapole escono un paio di ali bianche, soffici, simmetriche. Non avrei mai pensato che una cosa del genere sarebbe successa a me, non avrei mai pensato che una cosa del genere sarebbe successa a qualsiasi altro!
Mi sento piena di qualcosa, di un non-so-che che mi impedisce di tornare seduta sul materasso a guardare verso il basso.
Nell’appartamento c’è un tavolo basso, di legno, con sopra un sacco di utensili. È una collezione che i vecchi proprietari hanno lasciato, non so il motivo.
Non li ho mai toccati, non mi sono mai stati utili.
Mi siedo a terra, visto che non c’è una sedia e le mie mani lavorano da sole.
Alzo lo sguardo verso la foto appesa al muro e mi vedo lavorare ancora più velocemente. Prendo quello, lo strofino contro quell’altro, creo una punta di ferro. Non mi sento più me stessa, ma lavoro comunque, veloce, esperta, senza la minima idea di ciò che combino. Quello che so è che mi riesce bene, a quanto pare.
Non so per quanto sto seduta per terra a creare, ma passano ore e adesso ho un arco e una freccia. Ammiro gli utensili che ho usato e le mie creazioni con soddisfazione e mi alzo.
Mi siedo accanto alla finestra e sistemo la freccia sulla corda tesa dell’arco. Aspetto.
Il cielo si scurisce un’altra volta e capisco che è di nuovo sera. Mi stupisco di quanto tempo sia passato apparentemente così velocemente. Finalmente vedo qualcuno passeggiare per il vicolo sotto la mia finestra.
Due ragazze, due bionde, sono amiche e si vede.
Chiudo un occhio per prendere la mira e la freccia trafigge la schiena della prima ragazza, che indossa una giacca di pelliccia.
Non vedo sangue, né lei che cade a terra. Solo fumo, direi. Che si disperde nell’aria.
La ragazza si ferma di botto, prende per le spalle l’amica e la fa indietreggiare fino ad appoggiarla al muro di un edificio.
La bacia, l’amica ricambia e io mi sento meno sola.
Allora è questo il mio compito? Fare innamorare?
Esco di casa ed entro nel tunnel che mi porterà ad una fermata della metro. Di solito lì dentro è pieno di persone, ma forse non a quell’ora.
Comunque trovo un ragazzo e una ragazza che camminano. Il maschio va verso la fermata, la femmina si dirige dalla parte opposta.
Tiro una freccia verso la schiena di lui e il ragazzo, sui venticinque anni, si gira verso di lei. Ora stanno parlando e io sorrido di nuovo.
Innamorata dell’amore, ecco che cosa sono io.
Esco dal tunnel e mi rendo conto che sta piovigginando, ma cammino comunque per il quartiere in cui abito, fermandomi solo davanti ad un bar. Poggio una mano sul vetro che separa il freddo di fuori dal calduccio di dentro. C’è un ragazzo, solo, triste, che forse sta peggio di come mi sento spesso io. Toglie e infila la sua bustina di tè dentro la tazza, annoiato e io mi rattristo. Ha i capelli spettinati e arancioni.
Le persone non devono stare sole, devono essere felici.
E allora per tutta la sera cammino, scocco frecce verso chiunque mi capiti. Verso due amici, verso un uomo e una donna davanti la porta di casa, verso un barbone e una ragazza che gli sarebbe passata accanto senza nemmeno degnarlo di uno sguardo.
In poco tempo non trovo nessuno per le strade e allora decido di andare sottoterra, nel locale più frequentato nelle vicinanze.
Le mie ali. Non so se qualcuno riesca a vederle, ma cammino comunque in mezzo a quei corpi sudati, che si toccano, che si strusciano e si muovono a ritmo di musica. Anche io mi lascio andare e con la freccia creo coppie su coppie, ma non mi basta. Mi giro. Due ragazzi si baciano.
Mi volto di nuovo, ma lì c’è un’altra coppia e in poco mi rendo conto che non sono felice.
Non voglio che gli altri stiano insieme, io ho bisogno di qualcuno.
Ma non c’è nessuno che mi colpisca per farmi innamorare, perché sono io che lo faccio agli altri.
La punta della freccia scorre su qualche altro corpo, ma non voglio più conficcarla nella loro carne per vedere altro fumo arancione al posto del sangue che dovrebbe esserci.
La tocco, mi solletico le dita delle mani con la punta, mentre mi muovo rapita dal ritmo della musica. Lì sotto non c’è freddo, mi sento al caldo.
La freccia poi scorre per il mio collo, mi solletica la pelle e penso che anche io potrei innamorarmi se avessi il coraggio di farlo. Di colpirmi con la punta di metallo.
Lo voglio fare, ma non qui, non so che fine farei.
Torno a casa velocemente, il freddo mi fa rabbrividire un’altra volta e mi distendo sul letto, su un fianco, per non farmi male schiacciando le ali.
Chiudo gli occhi e penso a cosa mi è successo, a quello che ho fatto e non so se sto bene o male. La freccia mi solletica la pelle un’altra volta.
Anche io mi merito amore, penso. Non voglio essere io quella che lo crea, ma quella che lo riceve.
Allora lo faccio. Conficco la freccia dritto nella trachea.
Ma niente fumo stavolta. Solo la consapevolezza che è tutto finito.
 
Apro gli occhi di scatto, ritorno a respirare.
Vedo sfocato un ragazzo in uniforme che mi fissa.
-Stai bene?- chiede.
Sorrido.
La freccia non c’è più, si è trasformata in fumo nello stesso istante in cui sono tornata a vedere.
Finalmente ho ricevuto l’amore.
  
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