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Autore: LilyGranger    11/11/2012    5 recensioni
Enobaria, celle di Capitol City. Tortura.
"Non sono mai stata una ragazza sensibile, in realtà non sono mai stata una ragazza. Ero più che altro una macchina da guerra, sanguinaria e spietata, creata per il divertimento di Capitol City, ma quando da giorni sei rinchiusa in gelide celle in attesa della tua tortura odierna e la luce è solo un vago ricordo tutto cambia. "
Genere: Triste | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna | Personaggi: Altri, Enobaria, Presidente Snow
Note: What if? | Avvertimenti: nessuno
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Un urlo, lancinante e disperato, spezza l’aria.
No, non è il mio. 
Il mio turno è già finito, per oggi.

E’ l’urlo del ragazzo innamorato. E’ l’urlo di Peeta.
Non sono mai stata una ragazza sensibile, in realtà non sono mai stata una ragazza. Ero più che altro una macchina da guerra, sanguinaria e spietata, creata per il divertimento di Capitol City, ma quando da giorni sei rinchiusa in gelide celle in attesa della tua tortura odierna  e la luce è solo un vago ricordo tutto cambia.
L’urlo continua.
Chiudo gli occhi per impedire alle cruente immagini di quel ragazzo di farsi  strada dentro me. Sento una mano cercare a tentoni nell’oscurità la mia, d’istinto l’afferro. Mi ci aggrappo come se fosse un’ancora.
Effettivamente questo contatto è l’unico che mi tiene attaccata alla realtà e m’impedisce di scivolare nel mondo , fantastico e indolore, della pazzia.
-Enobaria..- sussurrà la voce di Brutus.
-Sto bene..- rispondo con voce tremolante .
Nascondere le proprie emozioni è una delle cose che gli abitanti del distretto 2 sanno fare meglio.
Eppure con Brutus mi è impossibile.
-Va tutto bene, finirà presto- promette lui.
Una cella che si apre mi spinge ad aprire gli occhi, è la mia. Un Pacificatore mi strappa dalla solida presa di Brutus e violentemente mi spinge fino ad un altra stanza. Quella dove sta Peeta dev’essere vicina dato che le sue supplice e le sue grida sono più distinte qui.
Mi sbagliavo: il mio turno non era finito. E’ appena ricominciato.
La stanza è buia e vuota, al centro vi è una sola sedia di legno impregnata di sangue secco. L’unica luce presente è quella di deboli fiammelle.
Qui a Capitol City hanno imparato a odiare il fuoco.
Il Pacificatore mi spinge sulla sedia e blocca i miei polsi e le mie caviglie con ferri arrugginiti. Questa volta non arriva il solito torturatore, quello ormai abituato ai miei gemiti. No questa volta arriva lui. Il buio è tanto e la mia mente è confusa, ma riconoscerei quegli occhi da serpente ovunque. Il Presidente Snow si siede di fronte a me.
-Allora Enobaria, ti è tornata la voglia di parlare ora ?- chiede con fare amichevole.
Il suo sorriso, l’odore che la sua bocca emana, mi da talmente il volta stomaco che lo sputo che gli lancio in viso è più impulsivo che altro.
Uno schiaffo è la mia punizione per questo affronto. Sopportabile.
Esce dalla stanza e entra lo spietato Pacificatore, carnefice del mio corpo.
Comincia a pormi le solite domande sul piano dei ribelli e ad ogni risposta che non sono in grado di dare la lama squarcia la mia carne. Questo è meno sopportabile.
-N-non so niente...-
Non che faccia qualche differenza , comunque. Il mio odio per Capitol City è aumentato da quando prima mio padre e poi mio fratello hanno perso la vita negli Hunger Games. La mia lotta personale con la spietata città finirà solo con la mia morte. La resa non la considero nemmeno come opzione.
La tortura procede lenta per almeno altre due ore.
Quando si accorgono che su ogni centimetro della mia pelle c’è un taglio si fermano. Mi liberano dalla sedia e a forza portano il mio corpo, o quel che ne resta, alla mia cella.
Ok, questa volta, il mio turno è davvero finito.
Distesa nella cella, la mia forza è talmente minima che l’unico movimento che riesco a fare, involontario per altro, è l’alzarsi e l’abbassarsi del mio petto. La mano di Brutus è ancora qui a darmi conforto.
La stringo forte, quasi potesse scivolare via da me.
Ed effettivamente è quel che succede.
Brutus viene portato lontano a forza lontano da me, e so che questa è la mia vera tortura.
Ancora una volta, il mio turno non è finito.
Qualche ora dopo mi accorgo della fine dell urla di Brutus. Le celle sono infatti stranamente silenziose.
L’idea di una possibile morte di Brutus è talmente violenta da farmi perdere i sensi.
Quando riapro gli occhi, l’ambiente è totalmente diverso.
Pareti bianche i immacolate mi circondano, la luce non manca di certo. Il mio corpo è coperto da bende e disteso su un letto.
Mi trovo in un ospedale.
Il volto del mentore del distretto 12 è il primo volto familiare che vedo.
-Dove sono..? – dico in un sussurro
-In salvo- mi risponde Haymitch
-Dov’è Brutus?-
Haymitch abbassa lo sguardo e si schiarisce la voce.
-La sua tortura è finita, è libero- risponde cauto.
Il peso di queste parole si fa strada in me. Per la prima volta le lacrime sono presenti nei miei occhi.
Ora il turno di Brutus è ufficialmente finito, il mio ,invece,continuerà in eterno.
Ma almeno sono in salvo.
E imparare a vivere non sarà impossibile.
   
 
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