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Autore: Fairy_tale    11/11/2012    3 recensioni
"Tutti quanti hanno un nome.
C’è chi ne ha tanti da non riuscire a ricordarli tutti e chi ne ha uno solo.
C’è chi ne ha uno importante, c’è chi ne va orgoglioso e chi invece se ne vergogna, o ancora c’è che preferirebbe cambiarlo con un altro.
Ma, qualunque esso sia e a discapito dell’importanza e del rango che indica, ci appartiene, ci caratterizza e ci rispecchia.
È l’unico modo che le persone hanno per indicarci, per riferirsi a noi, è la prima cosa che conoscono."
Spero solo che vi piaccia:)!
Genere: Introspettivo, Malinconico, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Gwen, Principe Artù | Coppie: Gwen/Artù
Note: Missing Moments | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Prima stagione
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A GIRL WITH TWO NAMES

 

 

Tutti quanti hanno un nome.

C’è chi ne ha tanti da non riuscire a ricordarli tutti e chi ne ha uno solo.

C’è chi ne ha uno importante, c’è chi ne va orgoglioso e chi invece se ne vergogna, o ancora c’è che preferirebbe cambiarlo con un altro.

Ma, qualunque esso sia e a discapito dell’importanza e del rango che indica, ci appartiene, ci caratterizza e ci rispecchia.

È l’unico modo che le persone hanno per indicarci, per riferirsi a noi, è la prima cosa che conoscono.

 

Tutti noi abbiamo un nome.

Per molto tempo era rimasta convinta di questo fatto, fino a quando qualcosa – o forse è meglio dire qualcuno – non le aveva fatto cambiare idea.

Fin da quando era bambina, tutti quelli che conosceva, suo padre, suo fratello, la sua padrona e per fino le altre ragazze che lavoravano al castello, avevano sempre usato un nomignolo per chiamarla.

Un’abbreviazione, un soprannome datole da suo padre quando era ancora piccola, quando sembrava tutto possibile, quando si poteva sognare.

Era nato così, per scherzo, o probabilmente per nascondere quel nome troppo strano per una semplice ragazza del popolo, quel piccolo nome che adesso aveva quasi preso il posto dell’originale.

Nessuno la chiamava più per intero, o nessuno almeno pareva ricordarsi di farlo.

E a chi sarebbe importato, infondo, di conoscere il vero nome di una serva? Per la maggior parte dei nobili con i quali aveva a che fare tutti i giorni, il nome serve solo ad indicare, a chiamare quando c’è qualche compito da svolgere o, nel peggiore dei casi, quando c’è qualcuno da incolpare.

E, ammesso che qualcuno avesse saputo che il suo nome era un altro, nessuno si era mai interessato a lei a tal punto di chiederlo.

All’inizio, quando ancora dava importanza a queste cose, era lei che lo specificava, andando tanto orgogliosa di quel nome così inusuale che sua madre aveva scelto per lei; ma poi aveva smesso, capendo che quella, dopotutto, era solo una perdita di tempo.

Col passare del tempo poi, aveva anche smesso di pensare di avercelo un altro nome, tanto abituata a non sentirlo mai ripetere da nessuno, che se l’era quasi scordato.

Per tutti quanti lei era solo Gwen, solo una serva.

E andava bene così, davvero. Cosa avrebbe potuto chiedere di più che lavorare al castello, per una padrona tanto dolce e amabile, con una paga alta e costante e senza nessun impiccio tra i piedi?

Niente, appunto.

La sua vita era felice, trascorreva lenta e continua tra le ampie e sfarzose sale del castello e la sua piccola ma accogliente casetta.

Ma, proprio quando aveva creduto di essere felice, di non avere bisogno di nulla, una piccola parola aveva fatto crollare tutte le sue certezze.

Il suo nome, quello vero.

Da quanto tempo non ne assaporava il suono?

Troppo, probabilmente.

Ma ricordava perfettamente l’ultimo giorno che lo aveva sentito. Era stato il giorno più brutto della sua vita quello e ancora oggi faticava a non piangere ricordandolo.

Il giorno in cui sua madre era morta e le aveva chiesto, invocando quel nome a lei tanto caro, di prendersi cura di suo padre e di suo fratello.

Se chiudeva gli occhi, riusciva ancora a sentire il dolce suono della voce di sua madre e la stretta della mano di lei farsi sempre più debole mentre stringeva la sua, tanto piccola ma già così forte.

E, risentirlo così all’improvviso, le aveva scatenato dentro una miriade di emozioni che non riusciva – o probabilmente non voleva – spiegare.

Per la prima volta dopo tanto tempo, qualcuno non l’aveva chiamata semplicemente usando quel soprannome tanto insignificante quanto piccolo, non si era rivolto a lei come una serva, come qualcuno a cui dare ordini.

L’aveva chiamata con il suo vero nome, e aveva parlato con lei, con la persona celata dietro quelle piccole lettere che costituivano una parte tanto importante della sua personalità.

In quel momento, solo per quella piccola frazione di secondo, si era sentita libera e felice.

Non era Gwen, la serva.

Lei era Ginevra, la donna.

Una persona come tante altre, con i propri sogni, le proprie speranze, e i propri timori. Una persona degna di essere considerata come tutte le altre, che non deve temere il giudizio della gente e che non viene considerata in base al proprio titolo nobiliare.

E, inaspettatamente, l’unico che si era accorto di tutto questo, l’unico che forse si era preoccupato anche solo un minimo rispetto a molti altri, era stato proprio lui; probabilmente l’ultima persona che avrebbe dovuto farlo.

L’aveva chiamata con il suo vero nome.

L’aveva chiamata per quello che era, per la persona che c’era dentro di lei.

L’aveva chiamata Ginevra.

Neanche Morgana l’aveva mai fatto.

Lui, il Principe Ereditario di Camelot, il Principe Artù, l’aveva chiamata per nome.

Era una sensazione strana ma, inspiegabilmente, non riusciva a non essere felice.

Perché, anche se aveva usato il suo vero nome, il tono con cui l’aveva pronunciato, l’espressione del suo viso, tanto dolci e rassicuranti, non le lasciavano alcun dubbio sul fatto che, nonostante a tutti potesse sembrare una persona arrogante e capricciosa, lui l’aveva fatto per lei, per farla sorridere.

E, compiendo questo gesto, all’apparenza tanto semplice ma pieno di significato, aveva risvegliato la parte più nascosta e fragile di lei, la sua parte di bambina, che ancora credeva nelle favole e nel dolce lieto fine.

Probabilmente solo lui si era accorto che, dietro la facciata della solita, ordinaria ed ingenua Gwen, si nascondeva la forte e coraggiosa Ginevra, che proprio come le principesse delle tante fiabe che avevano accompagnato la sua infanzia, aspettava solo di essere risvegliata.

Ma, come aveva imparato più volte a sue spese, la realtà è molto diversa dalle favole.

Nella vita reale, se non sei una bella e nobile principessa, non c’è nessun principe dall’armatura splendente pronto a salvarti e a donarti il suo cuore.

Perciò, nonostante lui le fosse così vicino, così tranquillamente inconsapevole del turbine di emozioni che aveva scatenato dentro di lei, con quegli occhi così celesti da far invidia al cielo d’estate e quei capelli simili ai raggi del sole di Giugno, la distanza tra di loro era incolmabile.

Se fosse stata ancora bambina, probabilmente avrebbe iniziato a sognare che, magari, avrebbe potuto esserci un futuro per loro, da qualche parte.

Ma non lo era più purtroppo, non poteva più permettersi di sognare.

Da quel momento in poi avrebbe solo potuto assaporare il ricordo di quel momento, richiamando alla mente il suono della sua voce così perfettamente intonata alle lettere che componevano il suo nome da sembrare di essere state create proprio per pronunciarlo continuamente.

E lo avrebbe voluto. Oh, come lo avrebbe voluto.

Sentire quella parola così semplice quando era pronunciata da altri, assumere un significato così diverso, così profondo, mentre veniva pronunciata da quella voce forte e decisa, le avrebbe dato la forza per andare avanti nei momenti di difficoltà, quando la speranza l’avrebbe abbandonata.

Avrebbe conservato gelosamente questi piccoli attimi così intensi, non ne avrebbe accennato a nessuno. Così che, nei suoi pensieri – almeno in quelli – anche lei avrebbe potuto sentirsi una principessa per una volta, sentirsi importante per qualcuno.

Perché mai e poi mai, in nessun caso e in nessun luogo, sarebbe potuto accadere che il Principe si innamorasse di lei, mai. Probabilmente era stata solo gentilezza la sua, o pietà addirittura.

Ma anche se Artù un giorno si fosse accorto di lei, considerandola come qualcosa di più che la serva di Morgana, il loro avrebbe potuto essere solo un presente – un bellissimo presente – ma senza alcun futuro.

Un futuro per il quale non ci sarebbe mai stato spazio nel loro mondo, dettato da quelle leggi tanto assurde.

Così, avrebbe continuato a vivere normalmente, come se nulla fosse successo, vestendo i panni di Gwen, la serva leale e fedele davanti a tutti e comportandosi come al solito, senza fare il minimo accenno dell’accaduto.

Ma, dentro di lei, sarebbero cambiate molte cose.

Ginevra avrebbe continuato a vivere, cibandosi solamente di quei pochi istanti in cui il suo cuore era finalmente tornato a battere come non succedeva più da tanto tempo e come non aveva mai creduto possibile, attendendo con impazienza il momento in cui avrebbe potuto mostrarsi di nuovo.

A lui.

THE END

  
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