“Invidio coloro che affermano di poter cambiare, di voler cambiare, migliorare; mettersi alla prova e al confronto, mostrare i propri difetti ed imparare da essi. Quelli che vogliono scoprire cose nuove, capire di non essere abbastanza e continuare a migliorare.
Io nella mia ignoranza mi ci crogiolo, mi ammanetto ad essa; la ingurgito come litri d’olio che non fanno che ingrassare il mio ego.
Il sapere ha creato la scienza e di conseguenza la mia ignoranza, come ci si può capacitare di tutto ciò? L’ignoranza è così movimentata, la scienza è statica; ed io odio la tranquillità, la tranquillità mi fa male. Io voglio il dolore, io voglio tornare alle origini, il silenzio mi uccide; la sapienza è calma piatta e non ha rimedio. Il benessere è subdolo, la tranquillità mi fa male, il dolore mi eccita.
Il fatto è che dopo averla vista non ho desiderio di conoscere, sapere di più.
Perché i miei incubi hanno cessato d’esistere? Perché la mia paura sta scemando?
L’acqua che bevo è ferrosa e continuo a pensare, ma non voglio, io voglio ricordare.
Voglio correre alla stazione e non trovarti, voglio che tu continui a trascinarmi nel nero, macchiandomi di bianco.
Mi piace il fatto che, guardandomi, le persone possano scappare. Sono ripugnante per me stessa e per chiunque, tranne che per te.
La verità è che il riflesso nello specchio mi brama, scorge in me ciò che vuole vedere.
E fu bello, fu ciò che di più bello troverai. E molto peggio sarà di ciò che lasciasti addietro nella via, mia signora. Quando il fuoco risplende ed arde più del sole una promessa c’è da rispettare.
Sono solo immaginazioni o sarebbe meglio che danzassi sulla neve, la corona ai tuoi piedi e solo spighe verdi nei capelli.”
 
Naja smise di scrivere, la mano le doleva. Si alzò cercando di non produrre alcun tipo di rumore e osservò il cielo autunnale che, sotto ai suoi occhi, volgeva verso il grigio attorno al paesaggio danese.
Raccolse piano i fogli di carta carbone e con le dita li infilò nello spazio angusto tra il camino e l’asse del pavimento, lì dove non li avrebbe più trovati.
Sorrise. Nessuno avrebbe mai letto, così non avrebbero saputo.
Colma di dolore represso guardò Else dormire in una posizione scomoda sulla poltrona; si avvicinò e le soffiò sulla fronte, spazzando via i suoi sogni.
-Occhi ebano, pelle e porcellana, labbra carminio, dita e paura, ti amo.
Else arricciò il naso e si voltò dall’ altra parte mentre Naja si appoggiava alla sua schiena e, chiudendo gli occhi, attese il blackout.
 
 
 
Note dell’autore: Altafgørende in danese significa cruciale, primordiale.
Il momento cruciale in questo testo è l’esaltazione dell’ignoranza; scritta e capita da una persona che sostanzialmente non possiede questa caratteristica.
Naja ed Else sono due poli negativi che si avvicinano ed all’ultimo momento scivolano via, la prima nella conoscenza, la seconda nell’oblio.
Chi stia meglio tra le due sta a chi legge deciderlo, non sono in grado di definirmi così presuntuosa da giudicare; in ogni caso mi sento in dovere di citare il fatto che io sono sempre stata Naja, e di questo me ne sono pentita amaramente.
Un grazie a chells che ha espresso il suo giudizio in proposito, e a chi spende il suo tempo a leggere i miei sfoghi.
--Flick