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Autore: sourwolf    12/11/2012    1 recensioni
“Sono le dieci e venti”, obiettò Louis, in un sussurro un po' piccato, non appena Harry si fu fatto indietro. “Potresti fare un'eccezione per questa occasione campale”
Larry Stylinson. Lettore avvisato, mezzo gayzzato. 1829 w/
Genere: Commedia, Erotico, Fluff | Stato: completa
Tipo di coppia: Slash | Personaggi: Harry Styles, Louis Tomlinson
Note: Lime | Avvertimenti: nessuno
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Commenti: pubblicazione random, ispirata a questo bellissimo tweet, ché poi ci dicono che analizziamo troppo, ma dài, il Larry c'è ed è ovunque, e non perché lo "over-analizziamo", ma perché abbiamo dei fottuti occhi. Partendo da questo presupposto, mi è, di nuovo, caduto un po' di zucchero di troppo, ma sono riuscita a scrivere ad inserire un rispettabile Arancione, auuugh. Mi rimetto al vostro giudizio. /speranzosa
Disclaimer: i personaggi non mi appartengono. Come dicevo, si appartengono a vicenda (cough).

#wordcounter: 1828 w/


***


Hazza si grattò il naso con la punta dell'indice e sbadigliò pigramente, riverso su un divano rosa salmone di dubbio gusto e avvoltolato in un plaid a scacchi. Era il primo giorno libero da interviste, photoshoots, registrazioni e qualsiasi altra cosa riguardasse il “lavoro” che aveva di lì a quando ricordava, e intendeva goderselo per bene.

Si stiracchiò languidamente, tirandosi a sedere, e si profuse in un nuovo sbadiglio liberatorio. Adorava potersi svegliare tardi. Si guardò dolentemente attorno, strizzando gli occhi assonnati, e si passò una mano tra i riccioli, trovandoli in una situazione più o meno descrivibile come quella di un nido di cicogna.

La mano passò su tutta la faccia, delicatamente, e Harry azzardò un piccolo sorriso. Quel giorno neanche Louis aveva impegni particolari da svolgere, quindi poteva averlo tutto per se. Ricordò confusamente di averlo lasciato stravaccato sulla moquette, la sera prima, e di avere raggiunto per miracolo il divano, avanzando a tentoni per la stanchezza. Si alzò di scatto, terrorizzato, e borbottò un impastato “Louis” che avrebbe potuto assomigliare a qualsiasi altra parola.

“Auuugh”, si lamentò, sbattendo contro il basso tavolino, troppo rimbambito per organizzare una decente campagna oratoria contro i tavoli e tutti i loro parenti, e arrancò tenendosi il piede con una mano, rischiando automaticamente di inciampare su sé stesso. Quando alzò lo sguardo e vide un divertito Louis Tomlinson, appoggiato allo stipite della porta, con una ridicola maglietta a righe rosse, i jeans dello stesso colore e un sorriso enorme a fare da contorno, rimase impalato a bocca aperta, sbattendo le ciglia come un idiota.

“Eh?” esordì infine, eloquentemente, con la voce troppo roca e quell'aria sperduta così tipica delle sue mattinate. Louis Tomlinson non cucinava. Così come Harry Styles non era capace di intendere e di volere prima delle undici del mattino – cosa che acuiva la sua lentezza patologica sia nel parlare che nel compiere qualsiasi altra cosa; così come le arance hanno la buccia, i gatti il pelo e i gommoni hanno bisogno d'aria per acquisire una forma. Louis era incapace, disastroso, dannatamente menomato in fatto di cucina. E Harry Styles non poteva credere di star vedendo, ancora non nel pieno possesso delle capacità motorie e cerebrali, un tizio svogliato come lui con un mestolo in mano e uno stupido grembiule da cucina.

Si mollò il piede, riacquistando miracolosamente l'equilibrio, e alzò le sopracciglia. Non apiva bocca se non per bestemmiare, prima delle undici, o per emettere suoni gutturali dal tono cavernoso.

Louis lo squadrò con aria critica, sorrise a tutto tondo e gli venne incontro agitando estasiato il mestolo. “Ho cucinato!” esclamò, un'ottava troppo alta perché Harry la potesse sopportare. Dannato orso rumoroso, avrebbe detto, e invece si fece avanti e gli tappò la bocca con un bacio abbozzato, brusco e finalizzato alla sopravvivenza dei suoi padiglioni auricolari.

“Sono le dieci e venti”, obiettò Louis, in un sussurro un po' piccato, non appena Harry si fu fatto indietro. “Potresti fare un'eccezione per questa occasione campale”. Si mordicchiò le labbra sottili, pensosamente, e l'entusiasmo tornò ad illuminare il suo volto come se non fosse mai svanito. “Ho cucinato”, ribadì, ma con un tono più basso. Gli afferrò il gomito e lo condusse gentilmente in cucina, dove una pentola borbottava pigramente esalando probabilmente vapori mortiferi. “Vedi?” la indicò, con un gran sorriso da esaltato.

Hazza abbozzò un sorriso titubante e si grattò il naso. Vide la delusione sincera sul viso di Louis e si sentì stringere il cuore, mentre la sonnolenza si scioglieva e le parole si sbrogliavano nella sua mente. “Lou”, borbottò, ancora rauco, con quella sua calata profonda, lentamente “sei stato bravissimo”. Louis gli schioccò un bacio sul naso e ridacchiò scioccamente. “Sono un genio!” si lodò, di nuovo allegro “Sono il mago della cucina!”

Harry arricciò il naso, divertito, e annuì. “Oggi ordiniamo al cinese” strascicò, con quella sua voce graffiante, tutta gola, e rise piano, sinceramente, dell'espressione scioccata ed offesa che si dipinse sul volto del compagno. “Sei un bastardo” lagnò il più grande, pescando l'acuto migliore che aveva nel suo repertorio, per ripicca. Vide l'altro che scuoteva i riccioli, strizzando gli occhi ancora pieni di sonno, e la sua bocca piena storcersi appena sui denti bianchi, per poi aprirsi in un grave “'fanculo, Boo” e tuttavia seguito da uno sbuffo giocoso.

Louis si spalmò sulla sua maglietta stropicciata e sbatté le ciglia lunghe, passandogli le mani, liberatesi del mestolo poco prima, sulla larga schiena. “Dammi una possibilità, cuppycake” lo fulminò, con un sorriso malizioso e brillante. “Sono sicuro che non te ne pentirai”.

Styles si svincolò appena dalla sua presa, si grattò un'ascella e strinse le labbra, indeciso. “E sia” concesse infine, meritandosi uno schiocco delle labbra sottili di Lou sul naso e una pacca sul sedere. “Sapevo che l'avresti detto” asserì allegro il più grande, e tornò con le mani sul mestolo, cominciando a girellare la sostanza nella pentola.

Harry si appoggiò al piano cucina, sbadigliando, e squadrò la figura sottile del proprio coinquilino. Non era in grado di riderne decentemente, ma l'avrebbe sfottuto a vita, ne era sicuro: sotto quel vestito alla marinaretta, Lou indossava un paio di calzini bianchi che sapeva essere fino al ginocchio, completamente sprovvisto di ciabatte, che completavano il quadro oltre ai suoi capelli disastrati e impiastricciati da quella che doveva essere farina. Cosa mai ci avesse fatto, con la farina, non ci è dato saperlo.

“Lou, ho sonno” si lamentò, passandosi le dita tra i capelli aggrovigliati, e in tutta risposta ricevette un sorriso da psicopatico, durato giusto un istante, e un “non puoi tornare a dormire adesso” malamente borbottato.

“Ma se sono le dieci” bofonchiò Hazza, tristemente consapevole del suo destino, ovvero attendere una pietanza dalle fattezze e proprietà sconosciute, pregando qualche dio di non morire, non proprio adesso che aveva realizzato il suo sogno, seppur con qualche aggiunta indesiderata. “E cosa sarebbe quella roba, poi?”, soggiunse, in mancanza di una risposta.

Tommo tornò a dedicargli dieci millesimi di secondo di attenzione, tramite uno sguardo esagitato, e stridette “un sughetto”. Rimuginò un attimo, mescolò ancora una volta la brodaglia con il mestolo e si decise a soggiungere “di cavoletti di bruxelles”.

“Whot?” fu la reazione, piuttosto apprezzabile, considerato l'orario, dell'altro. Cavoletti di bruxelles? Non esisteva! “Starai scherzando, spero”

Stavolta Louis si girò completamente, spalancò gli occhi e con labbro tremolante “Haz, please” soffiò, zuccheroso “lo sai che prima o poi dovrò imparare a cucinare da solo, nel caso che-”

“Non dirlo neanche” stridette Harry, spalmandosi la mano sulla faccia “Non sopravviveresti” e sbirciò tra le dita. Louis parve offeso per i primi cinque istanti, poi raddrizzò la schiena, sbuffò dal naso e “vedremo” sputò fuori, orgogliosamente.

Hazza non poté trattenere una risatina divertita. Tirò fuori il cellulare, gli scattò una foto e masticò un divertito “Questa va su Twitter”. Vista la mancata reazione, si appiccicò alla schiena di Louis e gli soffiò giocosamente sul collo “Avanti, Boo”, passandogli le labbra sulla pelle “Mi spiace”. Tirò fuori i denti e gli mordicchiò pensosamente una ciocca di capelli, passandogli i palmi sui fianchi per poi raggiungere i glutei stretti in quei ridicoli jeans e stringerli gentilmente. Vide l'altro sobbalzare appena, ma rimanere in quell'insolito mutismo ostinato. Quando le dita di Harry si spostarono avanti, a slacciare il bottone e stringere la linguetta della zip, lo sentì diventare una statua di sale e stirò le labbra in un sorriso.

La zip scivolò facilmente giù, insieme ai jeans, che finirono sul pavimento, e Louis espirò un piccolo, soffocato respiro dalle labbra strette, senza tuttavia parlare. Era strano come la situazione si fosse improvvisamente ribaltata, pensò distrattamente Harry, lanciando un'occhiata all'orologio, ed era ancora così dannatamente presto.

Il suo palmo pressò gentilmente sui boxer dell'altro e si strofinò lentamente su e giù. Louis deglutì piano, perché le dita di Harry erano così dannatamente lunghe e giuste, e si dovette mordere a sangue le labbra per non lasciarsi scappare un suono quando elargirono una carezza più ardita, ma non poté più resistere, buttò fuori un gemito quasi disperato, perché quelle dita avevano stretto la sua erezione da sopra la stoffa, e sentì chiaramente il sorriso tutto fossette del suo stupido coinquilino allargarsi sulla sua spalla.

“Lou”, soffiò quell'ingrato, allungandosi per spegnere il fuoco sotto la sua meravigliosa, maleodorante creazione, e tirandolo all'indietro contro il piano cucina, girandolo in modo da intrappolarlo da una parte contro il marmo e dall'altra col suo corpo. “Lascia perdere la cucina” ebbe il coraggio di consigliargli, innocentemente, mentre le sue dita continuavano a tenere la sua lunghezza e non si muovevano, maledette, e gli soffiò un bacio sulla mascella, giocherellando con l'orlo dei suoi boxer.

“Ti prego”, sputò fuori Louis, cercando di essere sardonico e invece emettendo quello che sembrava più un pigolio. Suo malgrado, o forse no, Harry lo interpretò come una dichiarazione di sconfitta, e infilò la mano nelle sue mutande, strappandogli un gridolino perché era calda, ed era così bello il fatto che adesso stesse stringendo il suo membro con gentile rudezza, e che avesse cominciato a muoversi.

Louis incassò la testa tra le spalle, ma infine si arrese completamente, abbandonandosi al calore del petto di Harry contro la sua schiena e socchiudendo gli occhi, adesso liquidi. “Oh dio”, sospirò, posando il capo contro la spalla del compagno e inarcandosi per offrirsi meglio “oh dio”, ripeté, e Harry rise e gli morse una spalla. Ormai Louis ce l'aveva duro come un sasso, e odiava ammetterlo, aveva desiderato quel rendez-vous sin da quando lo aveva visto pieno di sonno, mentre si teneva un piede per il dolore e si tratteneva per non bestemmiare.

“Ti amo”, fu quasi costretto a sputare fuori, annaspando, e le dita del più piccolo ebbero uno spasmo delizioso contro la sua carne. Louis spalancò gli occhi e “ti prego, voglio guardarti” quasi soffocò, perché Harry lo fece girare e si trovarono petto contro petto, occhi negli occhi, e Harry gli rivolse quel sorriso sporco, con le guance chiazzate di rosso, i capelli sconvolti e gli occhi pieni di sonno, e gli stava facendo una sega nonostante tutto, e lui venne, accasciandosi contro di lui, che gli soffiò un piccolo “Anche io” imbarazzato.

Rimasero così per qualche istante, Louis che aspirava grandi boccate d'aria, aggrappandosi alle spalle di Hazza come se fossero scogli e lui una cozza – il suo ego avrebbe avuto tutto il tempo di rimpiangere quel paragone dopo – e Harry che sorrideva, meno scontroso del solito, visto che era ancora mattina, annusandogli il collo, cercando di dimenticare l'odore nauseante del 'sughetto' nella pentola che avrebbe dovuto scrostare da solo, e pensava che avrebbe dovuto chiamare il cinese, maledizione, solo ancora cinque minuti così.

Sentì Louis borbottargli qualcosa contro e sollevò la testa per sentirlo meglio. “Chiamiamo il cinese”, stava dicendo, in un sospiro, e sembrava così afflitto che non poté fare a meno di soffocare la risata spontanea e “Un giorno ti insegnerò a cucinare” promise, meritandosi un grosso bacio e un “grazie” allegro e decisamente troppo speranzoso. Ah, dannazione.
   
 
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