PETITE CORBEAU

Ricordi quella sera nel giardino, ma petite?

I tuoi occhi inespressivi,  privati di quella inesauribile animosità che tanto amavo in te.

Io rammento perfettamente il fresco vento di mezza estate che accarezzava i tuoi capelli.

Mio piccolo corvo.

Ricordo che ti infuriavi sempre, quando il nonno ti apostrofava in questo modo.

Già, non posso fare a meno di sorridere, tu dovevi sempre apparire come una dea, non è così?

Una perfetta dama, ecco cosa volevi essere.

Lo volevi davvero?

Desideravi così intensamente essere un’esponente del sangue immacolato, del sangue torbido, come lo chiamavo io, nella solitudine della soffitta, durante gli innumerevoli castighi che mio padre adoperava, per riportarmi la ragione. Povero sciocco.

Probabilmente ha solo aggravato la situazione.

Non hai memoria nemmeno di ciò?

Tu sola hai scavato così a fondo in me, guardando nel mio animo già marcio, tu sola sei riuscita a mettermi dinnanzi al mio male.

Se di male si può parlare. In fondo, cos’è l’inferno, cos’è il paradiso?

Ce lo siamo domandati anche quella sera, anni e anni fa, o forse poche ore sono trascorse da quell’intenso profumo di rose rosse, che mi inebriò i sensi, e mi riempì il cuore, al primo sguardo, al primo leggero battito d’ali?

Io non riesco a non guardare indietro, non posso non rivedere il tuo corpo, leggero ed aggraziato, i capelli che scivolavano sulle spalle, innaturalmente chiare alla luce delle prime stelle, avvolgendole come morbide piume frastagliate.

Gentilmente, tu mi avevi riscosso da questi pensieri, prima che divenissero blasfema immagine della mia anima.

Mi hai detto che volevi prendere il volo, con quell’avvoltoio dagli occhi d’ambra, che sempre ti abbracciava, insieme a loro, i tuoi ammaestratori, i tuoi padroni, a cui  per nulla al mondo avresti mai mancato di rispetto.

Come potevo lasciarti andar via?

Rispondi, maledetta, come hai potuto credere che ti avrei lasciato tra quelle spire, senza provare a farti planare nuovamente nel mio cuore?

Lentamente le tue iridi si sono mischiate al sangue che tanto eri fiera di far scorrere nelle tue vene.

Non eri forse felice con me?

Te l’ ho domandato infinite volte, mentre sfregiavo le tue ali, per non farti spiccare il volo, mai più.

Un sibilo è uscito dalle tue labbra color lampone, cos’era, ma petite?

Hai forse invocato il mio nome, nel tuo ultimo volo?

Prima di affrontare gli avvoltoi ho lasciato il tuo corpo fra le rose che tanto amavi, sei contenta?

Nel luogo in cui ti ho invitata potrò volare con te in eterno, senza altri rapaci pronti a dilaniare il tuo cuore. Ci saremo solo noi due, mio piccolo corvo.

Scusa se non ti ho ancora raggiunta, ma gli avvoltoi erano tanti, e mi hanno rinchiuso in gabbia.

Ora però ho trovato il modo di spiccare il volo.

Riesco già a percepire i tuoi occhi innocenti nei miei, dolce Bellatrix.

Sto arrivando.

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Gazzetta del Profeta, 27 giugno.

Ieri notte, pochi minuti prima di mezzanotte, Sirius Black si è tolto nella sua cella nel carcere di massima sicurezza di Azkaban.

L’uomo, affetto da una grave forma di schizofrenia, è responsabile della morte della cugina, la giovane Bellatrix Black, e di tre Auror, che tentarono di arrestarlo il 30 giugno dello scorso anno.