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Autore: Ikari Chan    12/11/2012    4 recensioni
Jonathan ringhiava e sbuffava come una locomotiva a vapore, alla disperata ricerca di una via d’uscita, di una soluzione che permettesse loro di salvarsi. Michael, dal canto suo, era stranamente calmo. Forse per abitudine al pericolo, forse per suo semplice spregio, si limitava ad osservare il suo amante che vagava per la sala da pranzo.
«Sembri il fantasma di un vecchio castello scozzese» ridacchiò, incrociando le mani sul ventre.
«Non è proprio il momento di scherzare Mike. Siamo in trappola.»
Eppure il biondo era sereno, compassato. Il suo sguardo era quello serafico di chi sa che andrà tutto per il verso giusto. «Mi arresterai.» Non era una domanda.
«Non lo farò.»
«E invece lo farai. Lo farai perché non hai altra scelta e questo è l’unico modo per uscirne. Tu passerai per l’eroe che ha fermato il cattivo, ed io sarò l’assassino pentito che si è consegnato nelle tue mani.»
«Non voglio che vada così» mormorò Jonathan, abbattuto.
«Ma lo voglio io. In fondo ti ho fatto venire qui per questo.»

Storia yaoi scritta dal mio fantastico Lulù (etero) per il mio compleanno :3 Gli è costata sudore e lacrime, quindi cercate di essere carini xD
Genere: Erotico, Generale, Malinconico | Stato: completa
Tipo di coppia: Slash
Note: Lime | Avvertimenti: nessuno
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Dunqueeee, come ho già scritto brevemente nella presentazione, non sono io l’autrice di questa storiella (anche se non mi dispiacerebbe prendermene il merito <3). Il vero autore è Luca *****(se poco poco dico il cognome, o il suo pseudonimo qui su efp, credo che passerò dei guai, quindi…. Shhh v.v), il mio grandissimo e fantasticissimo(?) sensei. Egli è, mi tocca specificarlo, etero fino al midollo (ma prima o poi riuscirò a farlo finire a letto con un uomo, non temete v.v)… tuttavia è un bravo ragazzo, senza nessun pregiudizio sugli omosessuali. E questa one-shot ne è la prova. I protagonisti sono infatti gay, e ci sono ben due (dico due!!) scenette hard ^^
Ora, visto che la maggior parte di voi si staranno chiedendo cose come “Ma se davvero è etero, perché ha scritto sta roba?”, mi sento in dovere di spiegare.
Vedete, questo dolce ragazzuolo *abbraccia Lulù* ha scritto questa storiella slashosa come regalo per il mio compleanno ** Cioè, avere un amico etero che ti scrive una bella slash come questa, è un regalo che vale più di qualunque altra cosa <3
Certo, c’è da dire che il mio compleanno è il 5 maggio, ed essendo oggi il 12 novembre, è un regalo che è arrivato con un po’ di ritardo… ma a parer mio ne è valsa la pena <3
La pubblico sul mio account perché lui si rifiuta di farlo nel suo, mentre io voglio che le sue gesta vengano conosciute :3 (e anche un po’ per soddisfazione mia, sadica e personale ^^).
Quindi che altro dire… dopo questa premessa, spero che possiate apprezzare la storia anche di più xD
Buona lettura <3
Ari :3

  
 
 
                                    Crossing life
 
Quando lo trovò, era da poco passata l’alba, e i rosei raggi del sole nascente spandevano morbide ombre sull’altura dove era seduto. Era strano il fatto che, nonostante fossero trascorsi vent’anni dall’ultima volta che l’aveva incontrato, il suo aspetto non fosse cambiato quasi per nulla, come se il tempo avesse deciso di preservarlo nella sua angelica bellezza da cherubino fino a quel momento. I lunghi capelli biondi erano ancora come li ricordava: una spettinata zazzera del colore del grano maturo che incorniciava due occhi azzurri come il cielo, carichi di una passata innocenza che ancora traspariva dal volto delicato e dal fisico minuto che l’avevano sempre reso oggetto di scherno agli sguardi dei suoi coetanei.
Era passato così tanto tempo da quei giorni, che sembrava il sogno di un’altra vita il ricordo dell’amicizia fraterna che li univa.
Ironico che fosse stato Michael, il timido, dolce Michael, il ragazzo che partecipava attivamente ad ogni iniziativa benefica della città ed era incapace di fare del male a chiunque, a diventare uno dei più efferati cross killer che la storia abbia mai conosciuto, quando era lui, Jonathan, quello che in gioventù era costantemente nei guai, attaccabrighe come pochi altri.
E invece, caso bislacco, era finito a lavorare nell’Interpol, e si era rivelato anche bravo come investigatore. Tanto bravo, in effetti, che gli era stato affidato quel caso nonostante ci fossero decine di agenti più anziani ed esperti che spasimavano per ottenerlo. Ovviamente il direttore sapeva del suo legame con Michael, e contava sul fatto che esso l’avrebbe aiutato a trovarlo ovunque si fosse nascosto. Aveva avuto ragione, dato che in ogni luogo in cui l’amico si era recato era riuscito a rintracciarlo, anche se non l’aveva mai catturato.
Cominciava quasi a pensare che lo facesse apposta a recarsi nelle località che avevano visitato nelle estati della loro giovinezza, ai tempi del liceo e dell’università.
Ora però l’aveva preso. O, per meglio dire, si era lasciato prendere. Era rimasto sorpreso di trovare un suo telegramma nella cassetta delle lettere, una settimana prima, che lo invitava con toni quanto mai urgenti a recarsi lì, a Silence Peak, dove entrambi erano nati e cresciuti.
Anche a distanza di anni, la strada che portava alla villetta collinare di Michael si dipanava con chiarezza assoluta nella sua mente, ogni dettaglio, finanche la posizione degli alberi e la forma delle rocce, stampato a fuoco nella memoria, indelebile come i ricordi di loro due che si rincorrevano nel boschetto, incuranti dei richiami seccati di madri e padri.
Persino il vento non era minimamente variato, sempre forte ed impetuoso, sempre profumato di muschio ed erba fresca.
L’amico l’aveva certamente visto avvicinarsi, dato che agitava una mano in segno di saluto, un sorriso smagliante ad illuminargli il viso di porcellana. Non sembrava armato, ma, se era per quello, non lo era neppure lui, che aveva lasciato la sua fidata Smith&Wesson ben riposta nella valigia, sepolta sotto i vestiti di ricambio che si era portato.
Jonathan provò un fastidioso groppo alla gola nell’osservarlo mentre si avvicinava a braccia spalancate, ma non ebbe il cuore di respingerlo quando lo strinse a sé.
«E’ bello rivederti Jo» sussurrò. L’ispettore sussultò: erano anni che nessuno usava quel soprannome con lui e, per difficile che fosse, dovette ammettere che gli era mancato farsi chiamare così. Istintivamente rispose all’abbraccio, stritolando l’amico in una presa poderosa. «Mi sei mancato femminuccia.»
Michael rise, un suono di acqua fresca e vita, dopo di che, con agilità, si liberò dalla stretta e lo accompagnò in casa. Neanche quella era poi tanto cambiata: i divani di velluto rosso, il fine tappeto persiano che copriva il parquet al centro del salotto, la cucina di legno lucido e le ampie vetrate delle finestre.
Passò accanto ad uno scrittoio antico, sfiorando con le dita il bordo di un vaso, lasciandosi sommergere ancora dai ricordi. Quante volte giocando l’avevano distrutto quel vaso? Troppe. Eppure riusciva a rammentare con chiarezza tutti i rimproveri bonari di Katerina, la madre di Michael, subito placati da suo padre Arnold, che puntualmente raccoglieva i cocci e li rimetteva insieme.
Si era sempre trovato bene coi signori Longkeep, l’una pasticciera e pasticciona, perennemente sorridente e profumata di torte e biscotti, e l’altro, contraddizione vivente, avvocato divorzista con il pallino delle riparazioni fai da te. Lo aveva addolorato molto la loro morte, avvenuta per un incidente stradale quando lui e Mike avevano diciassette anni.
A ben pensarci, forse era stata proprio quella la causa ultima delle azioni dell’amico. Quello, e le malignità della gente. Frasi pronunciate durante la pausa pranzo, parole sussurrate nei corridoi all’ombra degli armadietti, bugie, menzogne, cattiverie, falsità, dette unicamente perché la notizia aveva fatto scalpore e doveva diventare un pettegolezzo per il pubblico ludibrio.
A nulla erano valsi i suoi tentativi di metterli a tacere. Si era sbucciato a sangue le nocche a furia di spezzare denti, eppure aveva ottenuto lo stesso risultato che avrebbe conseguito colpendo un muro di cemento.
«Non pensarci» disse Michael, sfiorandogli la guancia con le dita fresche. Un gesto che lo fece rabbrividire e sorridere al tempo stesso. «Ciò che ho fatto è stata una mia libera scelta. Tu non ne hai colpa.» Tipico di lui, leggere nel pensiero con un semplice sguardo.
«Si, è stata una tua scelta. Ciò che non ho mai capito è perché l’hai fatto. Avresti potuto essere qualunque cosa, perché proprio un assassino?»
Gli occhi azzurri di Michael si velarono di malinconia e di tristezza. «Già» mormorò, «qualunque cosa, ma sempre nell’ombra di una legge che non è tale.»
«Che vuoi dire?»
Un sorriso stanco gli sfuggì dalle labbra. Sembrò invecchiare di decenni in un istante, ma fu solo un attimo e poi tornò al suo consueto aspetto di eterno fanciullo. «Dopo. Te lo spiegherò dopo» lo pregò, «non rovinarmi questo momento. Sono anni che sto da solo.»
Lo accontentò. Come poteva non farlo? Non era mai riuscito a negargli qualcosa quando erano giovani e felici, come avrebbe potuto farlo ora che Michael sembrava un cristallo pieno di crepe, pronto ad andare in pezzi al minimo tocco?
Cenarono insieme senza accennare alla questione, ignorando volutamente la tensione che permeava la stanza, desiderosi solo di capire e parlare e tuttavia privi del coraggio di farlo.
La notte trascorse agitata per entrambi, tanto che ad un certo punto Jonathan, stanco di rigirarsi nelle lenzuola madide del proprio sudore, decise di uscire a prendere una boccata d’aria sul tetto. Il passaggio che usava da bambino era troppo stretto per il suo corpo da adulto, quindi dovette limitarsi ad uscire dalla finestra, aggrappandosi alla grondaia.
In un certo senso non fu sorpreso di scorgere anche Michael lì. Era una sua vecchia abitudine rifugiarsi lassù quando aveva qualcosa su cui riflettere.
Allo stesso modo lui non fu stupito di vederlo, anzi, dal suo sguardo si intuiva l’opposto.
«Mi aspettavi?» chiese Jonathan, pulendosi le mani sul pantalone del pigiama di cotone. L’amico annuì, facendogli segno di sedersi sulla coperta che aveva steso accanto a sé. «Sapevo che saresti venuto qui, prima o poi. Ti è sempre piaciuto guardare le stelle.»
«Anche a te, se ben ricordo.»
«A me piaceva perché c’eri anche tu.» Quelle parole gli smossero qualcosa in fondo allo stomaco, qualcosa a cui non seppe dare un nome né un volto, ma che gli inondò le membra di un piacevole calore.
«E perché mi aspettavi?»
«Per parlare. È quello che volevi, no?» disse, serio come non l’aveva mai visto. Jonathan non poté far altro che annuire e accostarsi a lui, incatenato dalla forza di quegli occhi color del cielo che sembravano invocare aiuto. Un richiamo silenzioso cui non riuscì a sottrarsi.
«Voglio solo sapere il perché Mike. Nient’altro.»
«Nient’altro» ripeté l’amico, stringendosi le ginocchia al petto. «Sai cosa successe dopo che i miei morirono Jo?»
L’agente dell’Interpol si strinse nelle spalle massicce «Aprirono un’indagine ed esaminarono le prove. Se non ricordo male, trovarono del DNA su un frammento di parabrezza, ma non portò a nulla.»
«E qui ti sbagli. Lo trovarono, il bastardo che causò la morte di mamma e papà. Riuscirono anche a farlo confessare.»
Jonathan corrugò le sopracciglia scure, confuso. «Non ne ho mai saputo nulla.»
«Non è mai stato reso noto. Il padre di quel bastardo usò tutta la sua influenza per mettere a tacere l’intera faccenda» sibilò, carico d’ira repressa. Un sospetto si fece strada nella mente dell’ispettore «Non sarà mica…?»
«Si, la mia prima vittima: il figlio del ministro della difesa. Era qui in visita ad un amico, tornava da una festa, ubriaco e sotto l’effetto di stupefacenti. Non si rese nemmeno conto di star andando a centoventi miglia orarie contromano.»
«Perché non me ne hai parlato? Ti avrei…»
«Cosa?» lo interruppe lui. «Mi avresti aiutato ad uccidere una persona? Forse l’avresti fatto sul serio, ma io non avrei mai potuto permetterti di buttare via la tua vita insieme a me.»
«Tu l’hai fatto però.»
Michael si lasciò sfuggire una risata amara «Io non avevo più nulla. Tu si.»
«Una famiglia di puristi bigotti, una ragazza che non avevo scelto io e che non amavo e un futuro da avvocato già deciso prima ancora che nascessi. Nulla a cui tenessi.»
«E ciononostante non ho voluto coinvolgerti.»
Jonathan sospirò e si distese sulla coperta, rilassando i muscoli della schiena. «Sei stato egoista. Nobile, ma egoista.»
L’amico arrossì leggermente. «Però, dai, hai fatto carriera. Ispettore dell’Interpol pluridecorato. Quando l’ho scoperto quasi non ci credevo. Come mai questa scelta?»
«Vari motivi. Volevo scrollarmi di dosso l’autorità di mio padre, credo, e poi…» pronunciò l’ultima parte della frase con un tono così basso che, anche nel silenzio della notte, Michael non riuscì a comprenderla. «Che hai detto Jo?»
«Ho detto che era anche un buon modo per cercarti» borbottò, arrossendo sotto la barba incolta. Ecco, la sua famigerata aria da duro era andata a farsi benedire. Ma tant’è, con Mike era sempre andata a finire in quel modo, non c’era nulla da fare. Sapeva troppo bene come metterlo in difficoltà.
«Sei sempre stato fin troppo buono con me. Anche ora, dovresti arrestarmi all’istante invece di ascoltare la mia storia.»
«Forse lo farò Mike, ma non ora. Prima devi dirmi una cosa.» Si rimise a sedere, così da poterlo fissare negli occhi «Hai ucciso solo criminali che la legge non osava toccare o anche innocenti?»
«Solo persone che lo meritavano Jo» rispose immediatamente il biondo con sicurezza, quasi si aspettasse una simile domanda. «Non sono un pazzo omicida.»
«Non ho mai pensato che lo fossi» replicò Jonathan, battendogli una mano sulla spalla e alzandosi in piedi. Se sentiva più leggero, il peso che da anni gli opprimeva il cuore non era svanito, ma almeno si era ridotto. «Torniamo a letto Mike. Riprenderemo il discorso domani.»
Il giorno dopo, però, il parlare passò in secondo piano. Era una mattina troppo bella e soleggiata per rimanere chiusi in casa, quindi, di comune accordo, discesero il declivio che costeggiava la collina e si recarono alla minuscola spiaggia privata della famiglia Longkeep.
Come ogni altra cosa di quella famiglia, lì il tempo si era fermato con la morte dei due coniugi. La sabbia era ancora dorata e fine com’era in passato, e l’acqua limpida emanava il piacevole odore salmastro del mare aperto, dove gli scarichi delle navi non riuscivano a contaminare quell’aroma corroborante. Jonathan passò qualche minuto a bearsi di quella vita. Michael no.
Una saetta bionda gli sfrecciò accanto, e l’amico si tuffò a capofitto tra le onde, sollevando un ventaglio di spruzzi che lo inzuppò da capo a piedi.
In qualsiasi altra situazione l’ispettore si sarebbe lanciato in una sequela si imprecazioni tale da far implorare pietà alle Schiere Celesti, ma ora l’unica cosa che gli venne in mente di fare fu scagliarsi a sua volta nell’acqua, nel chiaro tentativo di trascinare con sé anche il padrone di casa.
Giocarono come due idioti per ore, recuperando gli anni che avevano passato lontani, raccontandosi a vicenda aneddoti di vita e di lavoro fino a farsi gemere la mascella per il troppo ridere. Infine, stremati, si trascinarono verso le sdraio e vi si abbandonarono sopra, sonnecchiando finché il sole non iniziò la sua lunga parabola discendente verso Ovest.
Jonathan fu il primo a riprendersi, ma non ebbe la forza di svegliare Michael, che sonnecchiava placidamente.
Lo sguardo dell’ispettore scivolò involontariamente sul corpo dell’amico. Gli anni erano stati benevoli con lui. Il ragazzino smilzo e femmineo aveva lasciato il posto ad un uomo dal fisico scolpito ed aggraziato. L’accento di pinguedine che l’aveva caratterizzato durante l’adolescenza era stato cancellato, sostituito da un ventre piatto e da addominali ben delineati. Le braccia esili ora mostravano bicipiti ben torniti.
Quella vista scosse qualcosa in lui, attecchì una fiamma che non aveva mai sospettato di possedere. D’un tratto riuscì a dare un volto alla sensazione senza nome provata la seta prima, perché l’aveva sperimentata ogni volta che aveva giaciuto con la donna che i suoi genitori avevano scelto per lui e con tutte quelle che erano venute dopo. Una sorta di vuoto, un’insoddisfazione radicata a fondo nel suo essere che gli impediva di godere a pieno delle gioie della vita.
Il suo membro s’inturgidì come mai prima di allora, tanto da dolergli, e ruotò di scatto la testa, ringraziando il cielo che l’amico fosse ancora addormentato. Girato di schiena, non si accorse del lieve sorriso che increspò le labbra di Michael.
Anche quella sera cenarono insieme, ma senza la cappa cupa e pesante che aveva rovinato quella precedente.
Finito di mangiare riuscirono persino a farsi una partita a carte, con in sottofondo la televisione che trasmetteva una partita della NBA. Erano entrambi distrutti, però: Mike perso in chissà quali pensieri, e Jonathan ancora profondamente turbato dalle reazioni che il corpo di un altro uomo aveva suscitato in lui.
Quando fu chiaro che a nessuno dei due fregava qualcosa del poker o dei Lakers, spensero tutto e andarono a letto, sebbene a causa del pisolino sulla spiaggia non avessero sonno.
Jonathan decise di ingannare l’attesa leggendo un libro preso in prestito dalla biblioteca del defunto Arnold, che di sicuro in quel momento si stava contorcendo nella tomba urlandogli di non sgualcire le pagine. Sghignazzò a quel pensiero, perché quell’uomo era stato realmente più geloso della sua collezione che della sua fedelissima moglie.
Lesse con una discreta avidità le pagine del romanzo, finché, alle due passate, le sue palpebre iniziarono a farsi pesanti.
Dormì un sonno leggero e incostante per una, forse due ore, poi un sommesso cigolio stuzzicò i suoi sensi e lo spinse ad aprire gli occhi.
Michael era sulla soglia, a braccia conserte e con un’espressione imperscrutabile in viso. Si avvicinò al suo letto in silenzio assoluto, rotto unicamente dai morbidi tonfi dei suoi piedi nudi sul legno. Il buio e la luce giocavano sulla sua pelle diafana e sui capelli dorati, rendendo la sua figura eterea, mentre le iridi azzurre avevano assunto una piacevole tonalità plumbea.
Si piegò su di lui con la leggerezza di un velo di nebbia, sfiorando le sue labbra con le proprie. Una scossa elettrica attraversò Jonathan fino alla punta dei corti capelli neri, inebriandolo con un senso di esaltazione che non aveva mai provato prima. Poi Michael si allontanò, fissandolo in attesa di una reazione. John, tuttavia, non si mosse. Si sentiva come se gli avessero immerso il cervello nella melassa.
Deluso, Mike fece per andarsene, ma all’ultimo momento la mano dell’ispettore gli artigliò il polso e lo strattonò. «Perché?» sussurrò, senza lasciarlo andare.
«Erano anni che volevo farlo Jo, però non sapevo come l’avresti presa. Mi spiace. Dimentica tutto, se vuoi prendilo come un incubo.»
«Idiota» borbottò il moro, riappropriandosi delle sue labbra e trascinandolo sul letto. Finalmente poté dare anche un nome alla sensazione di desolazione che l’aveva sempre accompagnato nelle sue relazioni: desiderio. Un desiderio diverso, una pulsione più potente di quella che qualunque donna avrebbe saputo risvegliare e che il gesto del biondo aveva scatenato.
L’assassino sgranò gli occhi quando sentì sopra di sé il piacevole peso dell’uomo che aveva amato per anni con la certezza che non sarebbe mai stato ricambiato. Quella mattina, quando l’aveva visto così eccitato – perché era sveglio, anche se Jonathan non se n’era accorto – si era concesso di sperare che ci fosse una possibilità, ma fino all’ultimo istante aveva temuto di rovinare un trentennio di splendida amicizia solo perché non aveva saputo tenere a freno i propri sentimenti.
Felice come non gli accadeva da una vita, socchiuse la bocca, lasciando che la lingua di Jonathan la invadesse, intrecciandosi con la sua e sottomettendola in un gioco perverso e dolce come il miele.
Gemette mentre lui gli mordicchiava il labbro inferiore e, nel contempo, gli infilava una mano sotto il pigiama, solleticandogli il petto glabro con lenti movimenti circolari delle dita massicce.
Ansante, con la virilità che gli premeva inturgidita contro i pantaloni, Michael gli sbottonò la camicia, mentre i suoi baci passionali scendevano dalla bocca al collo, lasciandosi dietro una scia di saliva tiepida e luccicante al chiarore della luna. Gli scoprì i pettorali imponenti, villosi, e carezzò i suoi muscoli vigorosi, avvertendone la compattezza e la potenza repressa.
Con un sospiro ansioso, alzò le braccia per farsi sfilare più facilmente la maglietta e si morse l’interno della guancia per non urlare quando Jo gli strinse un capezzolo con bramosia.
Desideroso di andare avanti, il biondo gli infilò una mano nei calzoni rigonfi e cominciò a stuzzicargli il membro con decisione, massaggiandogli la cappella rovente con carezze lente e sensuali.
Il mugolio compiaciuto del compagno lo face sorridere, pago del potere che quel semplice gesto gli conferiva. L’amico era sempre stato così: tanto duro e rigido fuori quanto tenero e malleabile dentro. Ed ora era suo, per poco forse, ma suo.
John irruppe nei suoi pensieri sfilandogli i pantaloni, spingendolo a fare lo stesso. La vista della propria virilità a pochi centimetri dalla sua, quasi a contatto l’una con l’altra, gli fece perdere definitivamente il controllo.
Con una spinta dei reni, assecondata anche dall’amico, Michael ribaltò la situazione e si portò sopra, leccandosi trepidante le labbra.
«Che cosa vuoi fare?» domandò l’ispettore, la voce resa roca dalla lussuria.
Mike non rispose, chinandosi per mettere in bocca il suo membro pulsante. Succhiò con ardore, godendo quasi quanto Jonathan nel farlo. Leccò ogni centimetro, beandosi del suo calore, inebriandosi del suo odore e del sapore del suo liquido preseminale. Non si scostò quando venne, anzi, permise al seme del suo amato di farsi largo nella propria gola. Ingoiò quanto poté, asciugandosi il resto col dorso della mano e poi si piegò su di lui, mormorando: «Lo sai cosa voglio.» E cosa poteva fare Jo, se non accontentarlo?
Rizzandosi a sedere, spinse nuovamente il biondo sotto di sé e lo fece voltare, trattenendo a fatica una frenesia che minacciava di sopraffarlo.
Non rimase a contemplargli i glutei sodi e candidi, non ne aveva la forza di volontà. Lo penetrò con un unico, fluido movimento, spingendosi più in fondo che poté.
Michael inarcò la schiena per assecondarlo, la bocca spalancata in un muto grido di piacere. Artigliò le lenzuola con tanta foga che la stoffa fu sul punto di lacerarsi, mentre un senso di completezza che non aveva mai provato con nessuno dei suoi amanti si faceva largo nel suo animo come il membro di Jonathan si faceva largo nel suo corpo.
Anche per l’ispettore fu lo stesso. Finalmente poté far divampare quel desiderio che aveva sempre represso senza neppure esserne consapevole, schiavo di regole che altri avevano scritto, imprigionato da concetti di lecito ed illecito che adesso, agli occhi della passione, non avevano alcuna importanza. C’era solo Mike, la sua carne che si stringeva intorno alla sua virilità, i suoi gemiti che gli riempivano le orecchie al ritmo delle proprie spinte ora lente ora veloci, le promesse d’amore che sussurrava alla luna e alle stelle, silenti testimoni della loro unione.
L’orgasmo li colse quasi all’unisono. Il senso di liberazione che travolse Jonathan fu pari a quello di soddisfazione che provò Michael nel sentire lo sperma caldo dell’amato riempirlo per la seconda volta.
«Ti amo» sussurrò l’assassino, le gote candide arrossate dallo sforzo dell’atto appena compiuto, lo sguardo languido.
«Oh, sta zitto» borbottò il moro, baciandolo.
Rifecero l’amore altre volte, talvolta invertendo i ruoli, con dolcezza o con violenza. Godettero di ogni sensazione che i loro corpi potevano provare, sprofondando sempre più in quel minuscolo angolo di mondo che, sebbene per poco tempo, era soltanto loro, finché, stremati, si abbandonarono al sonno l’uno nelle braccia dell’altro.
Il mattino seguente, l’ispettore si svegliò solo, immerso nelle lenzuola ancora tiepide. La casa era pervasa dal piacevole odore delle uova e del bacon, quindi dedusse che l’assenza di Michael fosse dovuta alla colazione. Stiracchiandosi, s’infilò nel bagno e si fece una doccia veloce. Si rase con cura, perdendo in parte l’aria da orso che lo caratterizzava e si passò il dopobarba sul viso.
Conclusa quella specie di toeletta, scese in cucina. Per poco non gli si staccò la mascella dallo stupore quando scorse il suo amante con indosso uno dei vecchi grembiuli di sua madre. «Ma come accidenti ti sei conciato?» esalò, basito.
L’assassino si volse, un ghigno ilare sulle labbra «Come sto?»
«Sembri una fottutissima casalinga.»
«Bene. L’intento era quello» commentò compiaciuto Mike, mettendo i piatti in tavola.
Scuotendo il capo con simulata rassegnazione, Jo si sedette e attese la propria porzione, circondato da un alone di serenità che sapeva non sarebbe potuto durare. Di sicuro il suo caporeparto stava cominciando a domandarsi che fine avesse fatto, visto che si era preso le ferie di punto in bianco ed era sparito nel nulla. Con i mezzi a propria disposizione, l’Interpol poteva rintracciarlo ovunque, lo sapeva, ed era certo che a breve avrebbe dovuto decidere cosa fare di Michael.
Pur amandolo, infatti, l’amico rimaneva un assassino, e per nobili che fossero le sue intenzioni la legge che aveva giurato di proteggere non permetteva di farsi giustizia da soli. D’altra parte , comprendeva bene le motivazioni che avevano spinto Mike ad agire  in quel modo, e non era sicuro che al suo posto avrebbe avuto la forza di comportarsi diversamente.
Nello stesso momento in cui il biondo gli mise il piatto davanti, quasi evocato dai suoi pensieri, il cellulare iniziò a squillare, facendolo trasalire.
Con mano tremante, prese il telefono dalla tasca e contemplò con terrore il nome sul display: Austin Rogers, il suo diretto superiore. Fece cenno all’altro di tacere e rispose, sforzandosi di apparire il più tranquillo possibile.
«Pronto?»
«Salve Huges» rispose la voce acida del direttore Rogers. «Sai, mi chiedevo che fine avessi fatto, visto che le tue ferie sono finite esattamente  due giorni fa.»
«Mi scusi. Avevo trovato una pista sul caso e volevo seguirla finché era ancora calda. Non ho avuto il tempo di avvisare la centrale.»
«Davvero? Strano, perché a me risulta che Michael Longkeep non si sia più fatto vedere a Silence Peak da almeno quindici anni.»
«Cosa vorrebbe insinuare?» ringhiò, sperando di risultare convincente.
«Insinuo che, conoscendo il tuo rapporto con quel killer, sei un possibile collaboratore.»
«E allora perché mi ha affidato questo caso?» Jonathan riusciva quasi a vederlo mentre sogghignava dall’altra parte della linea, comodamente seduto nel suo ufficio.
«Perché sapevo che in un modo o nell’altro mi avresti portato da Longkeep. So che sei insieme a lui, Huges. Non so cosa stiate facendo e non lo voglio sapere, ma se entro ventiquattrore esatte non lo vedrò bello che ammanettato alla più vicina stazione di polizia sappi che ti considererò complice di ogni suo omicidio, e dunque reo di tutte le sue colpe. Arrestalo, o ti braccherò fino all’inferno» sibilò riattaccando.
Jo fissò allibito il telefono, poi in un impeto d’ira lo scaraventò contro il muro, mandandolo in frantumi. Si perse in una sfilza di imprecazioni e continuò ad inveire finché Michael non gli posò delicatamente una mano sulla spalla. «Ti hanno ordinato di arrestarmi, vero?» John annuì. «Quando?»
L’ispettore scosse la testa «Rogers ha detto un giorno. Conoscendolo, abbiamo solo quattro o cinque ore prima di vederci piombare addosso i suoi uomini. Scommetto che sono già in città, pronti ad intervenire.»
Michael sospirò, pensieroso. Si sfilò il grembiule e guardò fuori dalla finestra, socchiudendo gli occhi. «Cosa farai?»
«Non lo so» fu la risposta. «Sei colpevole di omicidio Mike. Poco importa alla legge se erano santi o criminali.»
«Quindi mi arresterai?»
«Col cazzo!» sbottò, «come potrei dopo tutto questo? Come?»
L’atmosfera si era fatta tesa come la corda di un arco pronto a scoccare. Jonathan ringhiava e sbuffava come una locomotiva a vapore, alla disperata ricerca di una via d’uscita, di una soluzione che permettesse loro di salvarsi. Michael, dal canto suo, era stranamente calmo. Forse per abitudine al pericolo, forse per suo semplice spregio, si limitava ad osservare il suo amante che vagava per la sala da pranzo.
«Sembri il fantasma di un vecchio castello scozzese» ridacchiò, incrociando le mani sul ventre.
«Non è proprio il momento di scherzare Mike. Siamo in trappola.»
Eppure il biondo era sereno, compassato. Il suo sguardo era quello serafico di chi sa che andrà tutto per il verso giusto. «Mi arresterai.» Non era una domanda.
«Non lo farò.»
«E invece lo farai. Lo farai perché non hai altra scelta e questo è l’unico modo per uscirne. Tu passerai per l’eroe che ha fermato il cattivo, ed io sarò l’assassino pentito che si è consegnato nelle tue mani.»
«Non voglio che vada così» mormorò Jonathan, abbattuto.
«Ma lo voglio io. In fondo ti ho fatto venire qui per questo.»
L’ispettore si volse di scatto, fissandolo con un’espressione sconvolta «Di che diavolo stai parlando?»
«Avevo deciso di costituirmi. Prima, però, volevo rivivere la serenità della mia vecchia vita. Volevo riassaporare la quiete, la pace, l’innocenza di questa casa. Volevo sognare che non fosse accaduto nulla, che gli ultimi vent’anni fossero solo un incubo. Che poi sia andata come è andata, beh, quello è stato un piacevole imprevisto.»
«Perché?» ansimò l’altro, la voce rotta. «Perché arrendersi proprio ora?»
D’improvviso Michael chiuse gli occhi e sembrò molto più vecchio di quanto fosse in realtà. «Sono stanco Jo. Stanco. Ho avuto la mia vendetta, ma uccidere non fa per me, non l’ha mai fatto. La scorsa notte è stata l’unica, da non so quanto tempo, in cui non ho avuto incubi orrendi. Ho bisogno di pace, e non posso trovarla nella fuga, perseguitato dai rimorsi.»
«Quindi sarò colui che ti strapperà la libertà?»
«No, amore mio, sarai colui che mi salverà l’anima.»
Si guardarono negli occhi per un tempo lunghissimo, poi, con una smorfia, Jo annuì «Sarà come vuoi.»
Il sorriso di Mike si riaccese d’allegria «Grazie.»
«Non ringraziarmi, non per questo, ti prego.»
«Allora ti chiederò un favore: fa un’altra volta l’amore con me.» Un’altra volta, un’ultima volta. Non aveva neppure bisogno di chiederlo, dato che tanto l’avrebbe fatto lo stesso. Lo baciò con trasporto, facendogli scorrere le mani callose sulla schiena. Intrecciò la propria lingua con la sua, succhiandogliela, carezzandogliela. Il pene gli si rizzò all’istante, duro come una sbarra d’acciaio.
Lo schiacciò contro il tavolo, stringendogli possessivamente le natiche in una presa ferrea, come se non dovesse mai più lasciarlo andare.
Gemendo contro le sue labbra, Michael cominciò a sbottonargli la camicia, scoprendogli palmo a palmo la peluria scura del petto e del ventre. Giocherellò coi suoi capezzoli, titillandoli con tocchi delicati delle dita affusolate, godendo dei suoi mugolii eccitati.
Jonathan gli infilò una mano nei pantaloni e cominciò lentamente a masturbarlo. Con l’altra lo aiutò a togliersi la maglietta, si staccò dalla sua bocca e prese a mordicchiargli l’incavo tra la spalla ed il collo.
«Non qui» sussurrò il biondo, la voce arrochita dalla passione. «Raggiungiamo almeno il divano.»
L’ispettore grugnì il proprio assenso e lo trascinò fino al sofà. Nonostante fosse un uomo adulto, l’assassino pesava come un bambino tra le sue braccia muscolose. Lo depositò sui cuscini, rimirandolo dall’alto: pelle d’alabastro, occhi color lapislazzulo, capelli d’oro; era splendido, il tipo di bellezza per cui molte donne si sarebbero accapigliate senza pudore, ed era suo. Un bislacco senso di orgoglio gli scaldò il cuore, subito ridimensionato dalla consapevolezza che presto l’avrebbe perduto.
Si slacciò i pantaloni in un lampo, gettandoli via con un gesto rabbioso. Chissà come, Mike era riuscito a fare lo stesso. Le loro erezioni pulsavano di desiderio, ardenti, quasi tendendosi l’una verso l’altra, pregustando il rapporto.
Jonathan si piegò sulle ginocchia, afferrando il pene dell’amico tra le dita enormi. Lo leccò, lo massaggiò e si gingillò con esso in ogni modo che gli venne in mente finché il biondo mugolò, invocando pietà. Allora mollò la presa. Era troppo pesante per montarlo senza fargli male, quindi gli permise di invertire le posizioni e si lasciò penetrare.
Non poté non notare le differenze tra lui e Mike nel modo di fare sesso. Le sue spinte erano rapide e forti, quasi violente, mentre quelle dell’amante rispecchiavano la sua personalità: erano gentili e delicate, una lenta tortura che si prendeva il suo tempo nell’agire. Ogni affondo lo conduceva passo dopo passo all’estasi, permettendogli di assaporare attentamente ogni istante, ogni centimetro del suo membro. Gli donava una conoscenza sconcertante dei più intimi recessi del proprio corpo.
L’orgasmo del partner lo colse quasi di sorpresa, riempiendolo di una morbida sensazione di calore che non fece altro che accrescere la sua eccitazione.
Quando il biondo uscì da lui, Jonathan gli diede a stento la possibilità di trarre un respiro, prima di spingerlo sulla sua virilità rovente e sollevare le anche per rendere il movimento ancora più rapido.
L’assassino sussultò di dolore e di piacere quando il suo pene massiccio si fece spietatamente largo tra le pieghe della sua carne. La sua mente si perse in una vampa al calor bianco, mentre il suo corpo si dibatteva tra le spire del godimento, mosso unicamente dall’istinto e dalla passione.
Michael urlò, venne, sussurrò il suo nome e venne ancora. Il sudore gli imperlava la pelle pallida, macchiando la fodera già bagnata dai loro umori.
Passarono i minuti, e Jo non sembrava intenzionato a venire. Il corpo del biondo era ormai fuoco liquido, talmente caldo e sensibile che il minimo tocco bastava a farlo gridare. «Jo» mormorò, «non ce la faccio più.» Era tutto quello che l’ispettore stava aspettando. Si abbandonò all’orgasmo con un ruggito d’estasi, riversando nell’amante un fiume di sperma ardente, poi si lasciò cadere al suo fianco, rosso per la fatica.
«Oh Dio» ansimò Michael, «questo me lo ricorderò a vita.»
Jonathan ridacchiò, stiracchiandosi rumorosamente sul divano, i muscoli piacevolmente indolenziti. «Lo spero, altrimenti mi sarei impegnato tanto per nulla.»
Scoppiarono a ridere entrambi, poi l’ispettore tornò serio, gettò un’occhiata all’orologio, valutò il tempo che restava loro e mise una delle enormi mani callose sulla spalla dell’altro. «E’ quasi ora. Sei sempre deciso?» Mike annuì, alzandosi senza una parola.
Si fecero una doccia veloce e si rivestirono. Prima di partire, il biondo volle dare un ultimo sguardo alla casa, in segno d’addio. Quando arrivarono alla stanza da letto dei suoi genitori, la nostalgia ed il dolore nel suo sguardo erano così intensi, così laceranti che l’amico dovette fare appello ad ogni briciola del proprio autocontrollo per rispettare il suo volere e non sollevarlo di peso e fuggire via, in cerca di un luogo sperduto dove avrebbero potuto vivere in pace. Ma era un desiderio egoista, lo sapeva – Michael poteva fuggire dall’Interpol, ma non dai suoi fantasmi –, quindi si morse la lingua e costrinse le gambe a muoversi attraverso i corridoi e le stanze della tenuta dei Longkeep, immerso nei ricordi di un tempo che non sarebbe mai tornato. Volenti o nolenti, il passato era immutabile, e la sua ombra si stagliava imperiosa sul futuro, stabilendo in anticipo il cammino che avrebbero percorso. Una sfilza di “se” gli si affacciò alla mente: se i Longkeep fossero rimasti a casa quella notte; se il figlio del ministro non avesse bevuto e non si fosse drogato; se il ministro stesso non avesse insabbiato i fatti; se Michael non avesse ucciso nessuno. Tutti se che avrebbero reso la loro vita migliore.
E invece, anziché baciarlo si ritrovò a mettergli le manette ai polsi e a scortarlo in città. Come aveva previsto, gli uomini di Rogers erano già sul posto, alloggiati in un albergo del centro, in attesa del segnale per entrare in azione. L’espressione basita che assunsero fu una magra consolazione alla desolazione che stava lentamente facendosi largo nel suo animo.
Malgrado i loro sforzi, John non permise loro di sfiorare Michael neppure con un dito. Fu lui a farlo salire sul furgone blindato, lui a guidare per tutti i duecentoventi chilometri che li separavano dall’aeroporto e, una volta atterrati a Lione, lo scortò in una delle celle della sede centrale dell’Interpol.
Il processo si tenne la settimana seguente in diretta internazionale. Ogni emittente televisiva si contese con le unghie e con i denti il diritto di riprendere l’evento.
Michael andò al tavolo degli imputati da solo, rifiutando di farsi difendere da un avvocato, e quando la pubblica accusa gli pose la fatidica domanda: «Come si dichiara?», ammise di essere colpevole di ogni capo di imputazione presentato. Chiese ed ottenne di confessare interamente, e narrò accuratamente le vicende degli ultimi vent’anni, senza tralasciare il benché minimo particolare. Più di una volta John, che era seduto al banco dei testimoni in attesa di essere chiamato a deporre, scorse lacrime di sincera compassione negli occhi dei giurati, ma non si permise di sperare nella grazia della corte, perché i crimini di cui l’amato si era macchiato erano troppi e troppo gravi per essere perdonati in toto. Il suo unico augurio era che gli fosse accordata la condizionale.
Il giudice – un uomo sulla cinquantina, magro e canuto dallo sguardo mite – ascoltò assorto tutto il racconto, annuendo e corrugando la fronte di tanto in tanto, come se si stesse sforzando di capire quanto ci fosse di vero.
Davanti agli occhi del mondo intero, Michael sviscerò il suo passato e mise a nudo il suo cuore, spaccando l’opinione pubblica in pezzi. C’era chi chiedeva che fosse liberato, chi asseriva che la vendetta non era una giustificazione per l’omicidio; altri lo accusarono di essere un bugiardo, e altri ancora lo elevarono a vittima di un sistema ingiusto e senza morale.
Quale che fosse la verità, il processo si protrasse per ben tre mesi e si concluse con una condanna all’ergastolo. Per quanto Jonathan avesse previsto quell’esito fin dall’inizio, vederlo scritto nero su bianco sugli atti fu un pugnale arroventato nel cuore, ma Michael sembrava quasi contento.
«Non sei un po’ troppo allegro?» domandò il moro, mentre un furgone blindato scortava l’assassino nel carcere di massima sicurezza dove avrebbe scontato la sua pena. Il biondo si strinse nelle spalle «Non direi felice. Però mi sento più leggero, come se mi fossi scrollato di dosso un gran peso.» Poi lo guardò negli occhi scuri «Mi mancherai, in galera. Mi verrai a trovare ogni tanto?»
«Tutte le volte che potrò, idiota.»
E fu di parola. Negli anni che seguirono, di settimana in settimana, andò a fargli visita, sebbene ogni volta che lo osservava attraverso il vetro di sicurezza, così vicino ma troppo lontano per toccarlo, il suo cuore perdesse un pezzo.
Eppure, guardandolo negli occhi, Jo poteva vedere Michael rifiorire di volta in volta, mentre i sensi di colpa lo abbandonavano, e, sempre più spesso, nella quiete di casa propria, l’ispettore si ritrovò a pensare che, forse, la decisione che aveva preso era stata la più giusta. Anche se per una sola notte, aveva amato profondamente l’amico d’infanzia, e lui era stato suo, solo suo, e lo sarebbe sempre stato.
Doveva solo aspettarlo, che ci fossero voluti dieci anni o cinquanta. In fondo, ne valeva la pena.
 
 
 
 
 
Io te l’ho scritta Ally. Secondo me fa schifo, specie il finale (Gli one shot non fanno per me), poi fai tu. Postala, leggila, disintegrala, capperi tuoi u.u Io il mio dovere l’ho fatto, anche se con un “”””leggero”””” ritardo dovuto a cause di forza maggiore.
Sayonara.
 
 
 
Toh, vi ho lasciato anche il suo commento a me rivolto <3
(per la felicità sto seminando cuoricini <3 ovunque)
Spero che al contrario dello stupido e coraggioso Lulù voi non abbiate trovato questa storia schifosa :3
Fateci sapere xD :3
P.s. se questa shot avrà successo, credo che lo costringerò a scriverne tante altre <3 xD
 
Ari :3
  
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