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Autore: Zero    28/06/2004    4 recensioni
Quis custodiet custodes?
Genere: Generale | Stato: in corso
Tipo di coppia: non specificato
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Nota: L’ambientazione di questa fanfictions si ispira a quella già utilizzata ne “La Giustizia” (in “Tarots”) di Galadwen e in

Nota: L’ambientazione di questa fanfictions si ispira a quella già utilizzata ne “La Giustizia” (in “Tarots”) di Galadwen e in Ta mellwnta - Il Futuro di Invader (entrambi racconti stupendi, leggeteli assolutamente se non lo avete ancora fatto).

Ho chiesto ovviamente il permesso per prendere spunto, anche se qui rimane solo l’idea di base, notevolmente rielaborata e utilizzata in maniera diversa. Tengo a precisare che nonostante l’ambientazione sia quella di un tribunale greco, non pretende assolutamente di essere una ricostruzione accurata, ma piuttosto una dimensione fantastica dove si mescolano elementi antichi, moderni e immaginari.

La pubblicherò presumibilmente in quattro puntate, questa è solo la prima. E’ un lavoro che mi sta venendo molto più lungo del solito, quindi tengo ai vostri commenti.

 

Prima parte – L’Accusa

 

Personaggi:

Kritos, il giudice dell’Areopago

L’Accusa

Aristodemo, giurato

Diogene, giurato

Gli altri giurati

Il pubblico ateniese

Gli opliti

Un giovane ateniese

 

[Un vecchio si rigira angosciato tra le coperte del suo letto, un oscuro presagio sta avvelenando il suo sonno con un’ombra funesta. Vederlo, raggomitolato nel proprio letto, come se fosse un bambino impaurito, ispira un sentimento di pietà e di compassione nei confronti di una persona che, in virtù della sua grande esperienza di vita, dovrebbe essere estranea ai violenti turbamenti e alle divoranti angosce della vita. Lui invece, è affetto da atroci dubbi, che lo dilaniano nella loro incertezza.

Ma quando egli si sveglia tutto cambia. Dopo essersi preparato, dopo aver indossato la lunga toga nera, perfettamente stirata, lui non è più un vecchio qualsiasi, non è più un comune mortale affetto dai tormenti dell’esistenza. Lui è la Giustizia, è l’Oggettività, è l’Equilibrio. E’ il Kritos, il giudice dell’areopago. Lui non sbaglia mai. Lui giudica gli altri, e per giudicarli deve essere per forza migliore di essi, e per questo quando si accinge ad uscire, scaccia dal proprio volto ogni ombra che potrebbe tradire il menomo dubbio, aggrotta le sopracciglia per assumere un’espressione grave, che incute soggezione ad imputati, testimoni e giuria e non fa avere dubbi sull’indiscutibilità del verdetto che pronuncerà, dopo aver preso in esame tutti gli elementi necessari. Mentre cammina per i lunghi corridoi del Tribunale, tutti lo salutano con ossequiosa reverenza, tutti si inchinano al suo passaggio, nonostante lui faccia cenni infastiditi perché avere benevolenza per il Mondo non si addice a chi quel mondo deve giudicarlo. L’aula del Giudizio è –come al solito- piena, in attesa unicamente della sua presenza, per dare inizio all’ennesimo processo. Un altro, estenuante processo per un uomo stanco, triste, solo. E infallibile.

Di cosa si trattasse quel giorno non lo sapeva. Ma non gli importava. Furti, effrazioni, rapine, corruzione, frodi, tradimenti, violenze, percosse, stupri, omicidi, lesioni dell’onore, questioni pubbliche e private, delitti passionali, premeditati, colposi o per legittima difesa. Lui li aveva visti tutti. Ogni giorno, un essere umano in preda al terrore, occupava lo scranno dell’imputato pregando gli Dei per la propria salvezza, ed un altro, che invece voleva vedere morto quel primo uomo, inveiva contro di esso, per sete di sangue, vendetta o denaro. E lui, dopo aver visto tutto, prendeva una decisione. Inappellabile, inattaccabile. La giuria si inchinava immediatamente al suo volere. E lui dispensava ogni giorno Vita e morte, premi e punizioni, risarcimenti e ammende. Ma di notte, quei condannati a morte che venivano trascinati nella loro cella, urlando bestemmie e maledizioni contro di lui, popolavano i suoi sogni. Il dubbio, atroce, che gli fosse sfuggito qualcosa nell’emettere il verdetto, lo straziava. Una piccola circostanza, che non era trapelata dalle arringhe della Difesa, che i sofismi dell’Accusa avevano nascosto, e che aveva irrimediabilmente compromesso la validità del responso. Ma in pubblico non poteva permettersi il lusso di questo dubbio. Il popolo voleva certezze. La giuria voleva certezze. Era per questo che da decenni ormai sedeva su quello scranno di pietra posto in quel luogo da Zeus stesso, e sul quale si erano avvicendati nei secoli miriadi di Kritos condannati alla sua stessa inumana infallibilità.

Il peso di una tradizione millenaria grava sulle sue gracili spalle, mentre incede con passo lento, ma reso sicuro con indicibile difficoltà, tra le due ali di folla che popolano l’Aula. Quel giorno la sala è insolitamente gremita di folla. Nel corso del mattino nell’Agorà è serpeggiata la voce che quel giorno si sarebbe preso in esame un caso assolutamente eclatante e in molti si sono riversati, per semplice curiosità, sotto le alte colonne del Tribunale. Kritos si siede al suo posto e osserva la situazione. Un dettaglio quantomeno bizzarro attira subito la sua attenzione. Il banco dell’imputato è vuoto. Tutti gli altri sono al loro posto. I giurati sono al loro posto, e sembrano anch’essi piuttosto perplessi per l’evidente anomalia. Anche l’avvocato difensore sembra essere assente. Il posto dell’Accusa, è invece occupato da un individuo assolutamente sconosciuto al vecchio, dalle caratteristiche quantomeno eccentriche. E’ poco più di un ragazzino, ma i profondi occhi marroni, denotano un’intelligenza davvero fuori dal comune ed una spiccata forza di volontà. Indossa vestiti stranissimi, una specie di bianca toga leggera tagliata all’altezza della vita e delle maniche, e dei pezzi di tessuto blu che gli circondano interamente le gambe. Un osservatore nato un paio di millenni dopo avrebbe detto che era in jeans e maglietta, ma questi termini risultavano assolutamente sconosciuti a tutti gli altri presenti in aula, oltre a lui. Kritos appare seccato dall’enigmaticità della questione]

Kritos (rivolto agli opliti): Esigo spiegazioni! Chi è costui? E dov’è l’imputato?

[Gli opliti sembrano anch’essi notevolmente confusi e il capo di essi è in procinto di addurre delle scuse, ma viene interrotto dall’accusatore]

Accusa: Non inquietatevi, vostro Onore. Credo di poter dare delle risposte.

Kritos: Vostro Onore? Non si è soliti chiamare il Kritos con tale epiteto. Ragazzo, devi molte spiegazioni a questa corte.

[Sul pubblico è calato il silenzio. Tutti sono stupiti dall’inizio insolito di quel processo e sono curiosi di sapere come finirà. Gli opliti sono riusciti faticosamente a chiudere il pesante portone, lasciando fuori decine e decine di persone che spingevano per entrare nell’aula ormai strapiena. Tutti gli occhi sono ora puntati sul ragazzo]

Accusa: Oh, sì. (abbozzando un impercettibile sorrisetto) La corte avrà le sue spiegazioni, eccome se le avrà. Ma intanto, mi presento. Come potete ben vedere sono solo un ragazzo, e forse vi chiederete come possa avere l’ardire di parlare in quest’aula, tra le cui colonne sono riecheggiate sonanti le voci dei più grandi oratori della storia.

[Un mormorio diffuso dimostra come la questione sollevata dal ragazzo se la siano effettivamente posta in molti]

E allora, vi pongo io una domanda. Kritos, lei che ha affrontato tanti processi ed è ritenuto da molti giudice onesto e imparziale, se la sentirebbe di giudicare una persona basandosi unicamente sul suo aspetto esteriore?

Kritos (quasi indignato): Possa Zeus folgorarmi se facessi una cosa del genere!

Accusa: Dunque, vi esorto ad ascoltare la mia orazione, e successivamente stabilire se sono degno di occupare questo scranno. Non è forse vero che Ercole strangolò i serpenti a lui inviati dalla diva Era quando ancora giaceva in culla?

[La folla, vagamente stupita dalla non comune oratoria del ragazzo, è propensa a dare fiducia alle sue parole e si dispone in ascolto. La giuria è pervasa da un vago senso di inquietudine. Kritos alza impercettibilmente gli occhi al cielo e con aria rassegnata si prepara ad ascoltare il discorso del ragazzo.]

Kritos: Ti è dunque concesso di parlare. Ma prega gli dei di non aver fatto scomodare invano il Supremo Tribunale.

Accusa: Non si preoccupi, Vostro Onore. (sogghignando leggermente) Non abuserò della vostra pazienza.

[L’accusatore esce dal banco a lui riservato e si piazza al centro della sala, in modo da essere ben visibile sia dal pubblico che dalla giuria ed inizia il suo discorso]

O voi ateniesi, che affollate quest’Aula di Tribunale per interesse o semplice curiosità, o voi giurati, o Kritos, vedo in voi un qualcosa che non è solito dimorare in quest’aula. Vedo serpeggiare tra di voi il freddo siero del dubbio, che si cangia nelle mille domande inespresse che vorreste pormi. Vedo il sorriso sui volti di alcuni di voi. Ma talvolta il sorriso può preludere al terrore. Lo scherzo può tramutarsi in veemente rifiuto quando parole poco gradite giungono all’orecchio dell’ascoltatore. Ma di rado la verità è armoniosa da udire. E’ assai più spesso accolta con levate di scudi che con tappeti rossi.

[Alcuni tra i giurati iniziano ad essere seccati dall’apparente presunzione di quello strano oratore e borbottano indignati tra loro. Kritos sembra invece dimostrare segni di interesse]

Io vengo da molto lontano. Ho compiuto un viaggio difficile e rischioso, che nessuno aveva mai tentato prima. Ho solcato i mari del tempo per giungere in quest’Aula, che avrà fama immortale nei secoli a venire, ma che segnerà anche un triste destino per il mondo intero.

[Un borbottio confuso si diffonde nell’Aula. Alcuni pensano che il ragazzo stia delirando. Altri attendono frementi che arrivi al dunque. I giurati lo guardano scandalizzati e alcuni vorrebbero cacciarlo fuori dall’Areopago.]

Aristodemo: Abbiamo sentito abbastanza! Vogliamo forse continuare a perdere il nostro tempo dietro alle chiacchere di un ragazzino presuntuoso?

Kritos: Silenzio, Aristodemo. Non è saggio saltare alle conclusioni senza avere udito tutta l’orazione. Che l’Accusa continui.

[Molti dimostrano stupore per l’insolito appoggio di Kritos al ragazzo.]

Accusa: Grazie, Vostro Onore. Ora placherò la curiosità di tutti voi. Vi chiedete cosa ci faccia io qui, perché sieda su questo banco, che è quello dell’Accusa, quando non c’è nessun imputato da accusare, forse?

[In molti annuiscono]

Ma l’imputato c’è eccome. L’imputato è accanto a voi, è intorno a voi. (ad alta voce) Tutti voi siete gli imputati!

[Un boato generale accoglie quest’ultima frase. Tutti i presenti iniziano a vociare indistintamente, accogliendo la tesi della pazzia dell’accusatore. Alcuni giurati si alzano in piedi, rossi dall’indignazione. Vorrebbero parlare ma la voce del ragazzo si eleva potente sopra tutte le altre.]

Io, qui, su questo banco, muovo la mia accusa tutti voi, che sedete in questo Tribunale, e accuso il Tribunale stesso di illegittimità. Chiedo che veniate condannati a morte dal primo all’ultimo, e che l’Areopago intero venga raso al suolo, affinché non ne sopravviva nemmeno il ricordo stesso.

[La confusione è decuplicata. C’è chi crede che sia uno scherzo e sghignazza clamorosamente, chi inveisce contro il ragazzo, chi prova a mettergli le mani addosso. Gli opliti devono faticare non poco per mantenere l’ordine. Kritos appare perplesso e irritato per il fracasso.]

Kritos (battendo con il pesante martello): Silenzio! Silenzio! O faccio sgombrare l’aula!

(ottenuto, con notevole fatica, il silenzio si rivolge al ragazzo) Quello che dici non può che apparire il parto della mente di un pazzo.

Accusa: Chi può arrogarsi il diritto di decidere dove finisce la pazzia e dove inizia la lucidità? E se la pazzia fosse una forma di tale lucidità tanto chiara e sfolgorante da riuscire assolutamente intollerabile agli altri uomini, che hanno la presunzione di definirsi sani?

Ma non temete, io vi mostrerò, con argomenti chiari e inoppugnabili, come la mia accusa sia mossa sensatamente e come nessuno possa ragionevolmente contrastarla.

Vi fu un tempo in cui gli uomini soggiacevano pienamente al volere degli dei. Si rimettevano in particolare ai voleri di Ares e Dioniso: somigliavano più agli animali che agli dei, e se dovevano invece risolvere talune questioni tra di loro, usavano gli strumenti che gli dei stessi gli avevano dato: i fendenti dei loro pugni, la potenza del loro corpo, la forza di una spada. Allo scontro, solo il più forte sopravviveva, e nessuno avrebbe potuto lamentarsi: il verdetto della lotta era sempre incontrovertibile.

Non era forse così che facevano in principio i gloriosi Avi achei, che affrontavano, con largo dispiego di puro valore, i Troiani in battaglia? Non guardavano il nemico faccia a faccia, nei duelli che decretavano la supremazia di uno e la morte dell’altro?

Ma poi tutto cambiò. Venne il giorno sciagurato in cui Pallade Atena suggerì alla mente ambiziosa di Odisseo l’idea infausta del cavallo, e così Troia fu presa con l’inganno. Fu da lì che ebbe inizio tutto. I giovani più acuti iniziarono a pensare di poter avere ragione del loro nemico col sale dell’intelletto, piuttosto che col ferro della spada. E come si esprime l’intelletto se non con la parola? In fondo, non si dicono allo stesso modo?1

Così quei due uomini che prima lottavano tra loro, ora fanno la fortuna di altri uomini che combattono per loro armati di retorica e sillogismi. Ma, come c’insegna Gorgia, che scagiona Elena con poche frasi armoniose e ben congeniate, la parola manipola, deforma, altera la realtà, la abbellisce o la peggiora, rende orrendi crimini le inezie e punti d’onore le malefatte. E questi tribunali pretendono forse di ricostruire come si sono espletati gli imperscrutabili disegni del Fato basandosi solo su una materia tanto sfuggevole? Sarebbe come voler costruire un palazzo sulla sabbia. Tale è pazzia, non quella che dite essere la mia.

E non solo; degli uomini, come Lei, Kritos, in tutto uguali agli altri, ritengono di potersi ergere al di sopra degli altri e di arrogarsi il divino diritto di giudicarli. Quale arbitrio! Quanto dev’essere decaduto il vostro onore per avere l’ardire di chiamare questa giustizia! Questa è ingiustizia, questa è abuso. E’ come tale, dev’essere punita con l’unica legge che è stata data all’uomo dagli dei: occhio per occhio, dente per dente. E’ per questo che, per vendicare coloro che sono stati uccisi a causa di questa pratica infame, tutti coloro che siedono in quest’aula dovranno subire la stessa sorte che hanno inflitto agli altri! Siete tutti ugualmente colpevoli e per questo, chiedo la morte di tutti voi.

[Si siede, soddisfatto del suo discorso. La platea è in subbuglio. Come in una tavolata di ubriachi, ove ognuno urla una canzone diversa, così le opinioni si sprecano. Taluni vorrebbero uccidere subito il ragazzo, ad altri la sua orazione ha fatto presa sulla coscienza e si guardano intorno, titubanti e impauriti. Anche Kritos, sotto la sua maschera seria e composta, è scosso dal dubbio. Quel ragazzo, venuto da chissà dove, ha riportato in superficie le voci che aveva ricacciato nel fondo della sua anima. E ora urlano in lui, più violente che mai, nonostante cerchi disperatamente di zittirle. Nel frattempo, un giurato prende la parola.]

Diogene: Ragazzo, quello che dici è pazzesco. Forse preferiresti vedere il sangue scorrere ovunque in città e gli uomini togliersi la vita a vicenda per i motivi più futili?

Accusa: E’ forse più giusto che degli uomini perdano la propria vita per il volere e i capricci di altri, per una parola ben detta in un discorso fluente? Ascoltatemi. Avete di fronte a voi un bivio. Potete ignorarmi e mettermi a tacere, e non ascoltare il mio monito. E allora posso già dirvi quale sarà il futuro, giacché lo conosco. All’umanità aspetterebbero giorni in cui l’importanza di un uomo non si misurerà dal suo vero valore. Si misurerà da come riuscirà a ingannare gli altri. Come riuscirà non ad essere, ma a far credere di essere. Processi come questo continueranno a celebrarsi in tutte le terre del mondo, ma la corruzione e l’arbitrio regneranno sovrani. Basterà potersi permettere un abile difensore e la Ragione e il Torto diventeranno merci come tutte le altre, che si potranno acquistare come fate con l’olio e il vino.

Davvero volete questo? Se continuerete così, la strada è segnata. Ma avete un’altra possibilità. Potete ancora trarvi fuori dal baratro. La ferita è grande, ma può essere sanata. Ma dovrà essere sanata col fuoco. Un sacrificio sarà necessario, un sacrificio per gli dei e soprattutto per gli uomini. Come riparazione per le storture che ha creato, l’ultimo atto di questo Tribunale sarà la sua stessa eliminazione.

[Ora l’aula giace in un silenzio innaturale. Tutti hanno finalmente compreso l’entità della questione e la logica, perversa ma inoppugnabile, che regge il discorso dell’Accusa. Un giurato ha infine il coraggio di interrompere il silenzio.]

Aristodemo: Ma come pretendi che noi emettiamo un verdetto di condanna contro noi stessi? Vorresti che ci suicidassimo tutti quanti? Solo un pazzo potrebbe decidere una cosa del genere.

Accusa (con veemenza): Era forse pazzo Socrate? Colui che la deifica deità suggellò come il più saggio tra gli uomini, proprio lui pose fine alla sua vita con il suicidio.

Dite anche che non potrete giudicare voi stessi? Ma così, non fate altro che avvalorare la mia tesi. Se non conoscete voi stessi a sufficienza per potervi giudicare, con quale coraggio potrete decidere per gli altri? Se questo Tribunale non è in grado di deliberare per sé stesso, allora non potrà più farlo per nessuno, e quindi, in ogni caso, dovrà avere fine.

[La paura inizia a serpeggiare tra la folla. Le parole del misterioso giovane sembrano aver scosso l’uditorio nel profondo e incrinato le certezze millenarie che essi nutrivano nelle istituzioni della polis. Kritos, però, è stranamente soddisfatto che l’Accusa abbia scosso quel pubblico, sollevando anche negli altri il dubbio che lo tormentava. Ma d’altra parte, non può certo augurarsi la fine di quel tribunale, che infondo, rappresenta tutto sé stesso.

Nel frattempo tutti gli altri cercano disperati qualcuno a cui appoggiarsi, che li rassicuri sulla falsità delle illazioni inoltrate. Non sembra che nessuno abbia il coraggio di replicare alle pesanti accuse, quando, improvvisamente un altro giovane, che si trovava in piedi al fondo della sala, incede lentamente verso il centro di essa. E’ leggermente più alto dell’accusatore, ha un corpo robusto e ben formato, tipico di un giovane ateniese di buona famiglia, e guarda avanti, con lo sguardo sicuro, ma non altero, di chi ha una grande fiducia in se stesso. I drappeggi di una toga bianca ricoprono morbidamente le sue fattezze, non più efebiche, ma non ancora quelle di un uomo maturo. Si ferma di fronte all’accusatore e lo fissa negli occhi. Duello di sguardi e di personalità. Nessuno dei due sembra intenzionato a cedere e così il nuovo venuto inizia a parlare, con voce chiara e ben udibile.]

Giovane ateniese: O voi tutti, cittadini liberi della nostra amata polis, onorabili giurati il cui rigore morale è noto e manifesto a chiunque sia dotato di ragione, supremo giudice Kritos, che più di ogni altro è degno di sedere in questo luogo che infonde saggezza e fiducia nella Giustizia a chiunque vi metta piede, a tutti voi io mi rivolgo, e se me lo concederete, vorrei che mi accordaste il permesso di prendere le difese della nostra antica democrazia contro questo sconosciuto, che si prende la libertà di accusarla impunemente.

[Lo sconosciuto in questione fa una smorfia e sembra visibilmente irritato dalla piega che hanno preso le cose. Il pubblico è quasi interamente entusiasta di aver trovato qualcuno che dica quello che desiderava sentire e applaude fragorosamente. I giurati appaiono vagamente seccati perché in quel processo la loro classe di anziani, sembra essere stata scalzata dalla gioventù, ma si rendono conto che la situazione è grave e quindi approvano il nuovo difensore. Il Kritos, invece, sotto l’espressione rigida e immutabile, è diviso tra la felicità e la delusione per l’apparizione di quel nuovo difensore delle tradizioni, che sembra ostacolare il cammino dell’innovatore. Questo conflitto interiore rimane perfettamente nascosto sotto la sua perfetta neutralità.]

Kritos (dopo aver consultato i giurati): Ti è dunque concesso di assumere il ruolo di difensore.

[Esclamazioni di approvazione accompagnano questa dichiarazione.]

Che il processo prosegua.

[Il giovane prende posto sul banco della Difesa e lancia uno sguardo al suo avversario, sorridendo soddisfatto. L’accusatore non risponde al sorriso, anche se tenta di nascondere la sua stizza per quell’improvviso ostacolo che si frappone tra lui e la vittoria.]

L’Accusa ha qualcosa da aggiungere?

Accusa: No, vostro onore. (con tono sarcastico) Sentiamo cos’ha da dire il vostro difensore.

Kritos: Dunque, la Difesa può parlare.

 

Fine prima parte

  
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