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Autore: nameless colour    14/11/2012    2 recensioni
One shoot scritta a quattro mani con lunablu12 per il concorso indetto da "Because of you I will never apologize for who I am; Klaineberry"
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Dal testo:
Kurt, Blaine;
[...]
Quando le mie scarpe escono dal mio campo visivo per lasciare il posto a un ragazzo coi vestiti fradici quanto i miei dall’altro lato della strada, il mio cuore è viene percosso da una scarica elettrica.
[...]
È distruttivo. Il nostro amore è distruttivo, ci ha spezzati, ci ha consumati. Come diamanti corrosi dall’usura del tempo. Ma allo stesso tempo ci fa vivere, rimette a posto le nostre vite con tanti piccoli pezzetti di scotch. Lui ha salvato me, ed io ho salvato lui. Istintivamente sento la necessità fisica di stringerlo. Il mio abbraccio è diverso da tutti gli altri. Non è un ‘non andare via.’ È un ‘resta.’
Non ci sono prati irlandesi, né tantomeno corse affannate.
Siamo Kurt e Blaine, che respirano l’uno nel collo dell’altro.
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Ricominciamo. Mi sei mancato. Ti amo più di prima.
Genere: Angst, Introspettivo, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Slash | Personaggi: Blaine Anderson, Kurt Hummel | Coppie: Blaine/Kurt
Note: AU | Avvertimenti: nessuno
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Did  you forget about me?

a glee fanfic written by lunaBlu12 (click) and nameless colour

Kurt

Blaine

Ho appena messo piede a Lima e l’odore di lui mi riempie le narici, mi accarezza la pelle come un vento caldo. Nonostante stia cercando in tutti i modi di dimenticarlo, di disintossicarmi dal suo profumo, lo respiro a pieni polmoni e lascio che riempia ogni angolo del mio corpo. Mi fa male ammetterlo, ma sono venuto qui per lui, per Blaine: ho bisogno di capire se voglio chiudere questo capito della mia vita, se voglio dire che è davvero finita o se voglio fidarmi ancora di lui, mettendo nuovamente il mio cuore nelle sue mani. Sono settimane che vivo sospeso su di un filo traballante posto davvero troppo in alto. Sono venuto per evitare di cadere di colpo e sentirmi morire più di quanto non mi senta già. Sono seduto al Lima Bean quando gli mando un messaggio chiedendogli di raggiungermi: ho bisogno di guardarlo in quegli occhi ancora una volta per capire se possono tornare ad essere la mia ancora, se posso ancora sentirmi al sicuro perso in quelle iridi caramello.

Siamo qui, seduti a questo tavolo da quelli che sembrano secoli. Mi sento congelato in quello sguardo. E la cosa peggiore è che non è inquisitore, o giudice; ne tantomeno irato o carico di follia: è uno sguardo deluso. Ed è la cosa peggiore che abbia mai dovuto sopportare in vita mia, inquietantemente calmo. Riesco ad estraniarmi da tutta la confusione del Lima Bean e posso sentire le lancette dell’orologio che ticchettano divertite mentre il mio mondo va a rotoli. Qualche perla di sudore mi scorre lungo la mascella e finisce dritta lungo il collo, imbevendo la polo ed i bordi del papillon. Kurt, ho messo un papillon.

La sicurezza e la tranquillità sono l’ultima cosa che i suoi occhi mi trasmettono e non è perché non mi guardano più come facevano un tempo: al contrario, probabilmente, quegli occhi mi amano più di prima. È che il ragazzo che mi ritrovo a scrutare non ha niente in comune con Blaine, con il mio Blaine: non è rimasto nulla di lui, della sua sicurezza, della sua tenacia, della sua determinazione. Quello che mi ritrovo davanti è un ragazzo in rovina, a pezzi, che viene costantemente logorato da qualcosa, da qualcosa che lo distrugge dall’interno. Non è più lo stesso: i suoi occhi non sono più abbaglianti, ma cupi e spenti, il suo sorriso smagliante e contagioso è diventato opaco e vuoto. Sento che una mia sola frase fuori posto potrebbe mandarlo in frantumi, in un numero di pezzi così grande che nemmeno io sarei in grado di riattaccare i cocci.

Mi tremano le labbra, vorrei avere il coraggio di provare ad emettere un qualsiasi suono ma, come era prevedibile, mi manca. Kurt non ha voluto che gli ordinassi il latte macchiato. Perché non hai voluto, Kurt? Perché hai cambiato ordinazione?

Dovrei odiarlo, lo so. Dovrei dire che si merita di sentirsi così, perché quello che ha fatto è tanto orribile quanto squallido. Dovrei sbattergli in faccia tutto il male che mi ha fatto, urlandogli che non ha avuto nemmeno un po’ di rispetto per me, per noi e per quello che abbiamo faticosamente costruito. Dovrei gridargli la mia rabbia per come ha maledettamente infangato tutti i nostri sforzi, per come ha buttato melma sulle nostre avventure, sulle nostre notti d’amore, sui nostri duetti ridicoli. Dovrei piangere davanti a lui, come non sono stato in grado di fare a Battery Park, e fargli capire quanto dolore mi ha provocato. Dovrei fare un sacco di cose e invece riesco solo a far finta di sorridere, perché, odio ammetterlo, la cosa che mi ferirebbe più di tutto, persino più del tradimento, è vederlo crollare davanti ai miei occhi, sapendo di essere la causa della sua rovina.
Lo vedo, ma non riesco a sentirlo, non riesco più a percepire la sua presenza. Tempo fa mi bastava essere nella stessa stanza con lui per avvertirlo, come se la sua anima riconoscesse la mia senza il bisogno di vederci. Ora invece, nonostante ci stiamo fissando intensamente, non riesco a sentirlo. È come se tra di noi ci fosse una parete di vetro che ci tiene divisi, che tiene lontani i nostri cuori e gli impedisce di unirsi. La cosa che noto con più piacere è che questo vetro è fragile: basterebbe che entrambi dessimo un colpo per farlo crollare in mille pezzi; l’unico problema che ho è che non so se voglio farlo, se voglio romperlo e mostrarmi di nuovo a lui. Non so che fare, perché la paura che lui possa ferirmi ancora è tanta, troppa.

Cerco di deviare il mio sguardo per evitare di cadere ulteriormente a pezzi e mi volto verso la finestra: vedo nubi cariche di pioggia che porteranno lacrime di risentimento. Il cielo sta cambiando, anche lui sembra prendersi gioco di noi. Con esso è cambiato anche il colore dei tuoi occhi; non sanno più di cielo. Sono grigi, cupi, spenti. Potrei leggervi tutta la sofferenza di questo mondo, ed oltre. Se non ti conoscessi ne rimarrei probabilmente stupito.

Ho paura di fidarmi ancora di lui, ma una parte di me sa che anche se non rompessi questa lastra, fredda come il ghiaccio, non smetterei mai di amarlo, di credere in lui e in quello che siamo stati.
In quello che ancora potremmo essere.

Dio solo sa cosa ci ho visto in quegli occhi.
Il verde del prato di casa mia sul quale ci sdraiammo per guardare i fuochi d’artificio del 4 Luglio.
L’azzurro dell’oceano e di quel mio costume che ti piaceva tanto.
O ancora il bianco, lo spavento che ti lessi negli occhi quando ti parlai dell’aggressione.
Ma tu mi conosci oggi, Kurt? Io conosco te?

***

Quando arrivo a casa, mio padre è seduto sulla sua poltrona.
L’ho visto in quella stessa posizione più e più volte, ma stavolta è diverso, perché questa è una prima volta: è la prima da quando sono andato via di casa, da quando questa non è più casa mia.
E se da un lato ne soffro la lontananza, dall’altro so di aver trovato un posto tutto mio da poter chiamare casa. La mia vita a NY è esattamente come volevo che fosse, tranne che per un piccolo, ma fondamentale, particolare: Blaine.
Sto di nuovo pensando a lui, quando dovrei odiarlo. Mi stupisco e mi arrabbio per l’ennesima volta con me stesso.
Porto di nuovo l’attenzione su mio padre e lo osservo, rendendomi conto di quanto effettivamente mi manchi, di quanto senta anche la mancanza di Carole e persino del salotto dove ora sto camminando.
A pensarci bene mi manca anche l’urlare per far approvare una dieta familiare salutare.
Sono curioso di sapere se c’è ancora la tradizione della cena del venerdì, così dopo aver salutato mio padre, glielo chiedo.
“Cerco che le facciamo ancora! Carole e Blaine prepar-”
Si interrompe non appena realizza le sue stesse parole. Non aspetto un attimo a fulminarlo e a diventare completamente gelido. Lui mi guarda senza sapere bene cosa dire. Si aggiusta il berretto sulla testa, anche se non è necessario, giusto per prendere tempo.
“Blaine ti ama, Kur-” balbetta incerto, senza terminare nemmeno questa frase, perché interrotto dalla mia voce.
“Blaine mi ha tradito, papà!”
La mia voce è talmente fredda che le mie parole sembrano urlate. Non posso credere che anche lui, così come Rachel, lo abbiano capito e perdonato. Non posso credere che lui, che è la persona che più mi ama al mondo, accetti il male che Blaine mi ha fatto e soprattutto che lo faccia entrare in quella che, nonostante tutto, resta casa mia. Sono furioso e amareggiato; arrabbiato con lui, con Rachel e con l’intero mondo.
L’unico che è stato in grado di capirmi è Finn, forse perché è il solo che sa quello che sto provando, che sa quanto faccia male la sensazione di non essere più abbastanza, di non essere più insostituibile e, di conseguenza, quella di essere rimpiazzati. E’ l’unico che sa quanto faccia ferisca perdere la fiducia nella persona che si ama.
Mio padre si è appena schierato dalla parte di Blaine e io mi sento morire dentro, ancora un po’.
La rabbia mi sta accecando e mi sta impedendo di ascoltare quello che mio padre sta dicendo.
“-biato con lui all’inizio. Non pensavo potesse farti una cosa del genere. Lui era s-“
“Lo ha fatto invece, papà!” Lo interrompo ancora una volta, ma lui non si arrabbia, anzi sembra comprensivo. Sento il bisogno di sfogarmi e lo faccio, alzando la voce più del necessario.
“Si è dimenticato di me, papà, lui mi ha rimpiazzato con uno sconosciuto. Lui lo ha fatto, lui che diceva di amarmi!”
Sto urlando contro mio padre e me ne rendo conto, ma non riesco a fermarmi. Al posto del sangue nelle vene sento scorrere ira pura, così cerco di calmarmi, sedendomi con i gomiti sulle ginocchia e la testa tra le mani.  Vorrei urlare al mondo quanto mi senta male, quanto mi senta a pezzi e quanto mi odi, nonostante io sia la vittima e non il carnefice.
Voglio calmarmi, ma non ci riesco, e quando mio padre riprendere a parlare, le cose vanno persino peggio.
“Finn mi ha raccontato tutto al telefono. Due ore dopo mi sono ritrovato Blaine in lacrime sulla porta. Stringeva ancora la valigia nella mano e piangeva come un ragazzino. Singhiozzava senza vergogna. Mi ha detto che non sarebbe più venuto a casa, perché non meritava di entrarci. Mi ha detto di essere una persona orribile e che tu sei troppo per lui. Cosa avrei dovuto fare, Kurt? Lui ti ama così tanto.”
Mi immagino la scena e scoppio in un pianto disperato, probabilmente tanto forte quanto quello di Blaine stretto tra le braccia di mio padre. Sono confuso e frastornato e ci vogliono una decina di minuti per riprendermi del tutto.
Mio padre si siede al mio fianco e cerca di farmi ragionare, anche se all’inizio capisco ben poco.
Mi fa domande su Blaine di cui non conosco le risposte; mi chiede cosa ha cantato durante la settimana di Britney o cosa è successo durante il suo dibattito a scuola. Sono tutte cose che dovrei sapere ma che non so, come non so cosa possa centrare tutto questo con Blaine nel letto di un altro. Sono arrabbiato e ferito e mio padre sembra non capirlo. Continua a parlare e io mi sento scoppiare il cuore. Perché nemmeno lui mi capisce? Perché?
E’ tutto un fiume di parole, di parole senza senso che non fanno altro che ferirmi ancora di più. Sentirmi non compreso anche da mio padre è una tortura e non riesco nemmeno a reagire, ancora troppo sconvolto e dolorante.
Poi dice una frase e tutto sembra chiaro, così chiaro che il dolore diventa lancinante e mi sento morire davvero, ora completamente.
“Tu ti sei dimenticato di lui e lui ha cercato di dimenticarti con un altro.”
Scoppio di nuovo in lacrime e stavolta non voglio nemmeno fermarle.
Voglio sentire il dolore scorrermi nelle vene, proprio come lo ha sentito lui ogni volta che ho rifiutato una sua chiamata, ogni volta che non ho risposto a un suo messaggio o che ho parlato di me senza ascoltare lui.
Lui mi ha ferito una volta e basta, io l’ho ferito ogni giorno.
Le lacrime mi bagnano il viso e bruciano come fuoco, ma non voglio asciugarle.
Adesso che mi rendo conto di come stanno le cose cambia tutto.
Fino a pochi minuti fa non facevo che chiedermi dove avrei trovato il coraggio di perdonarlo.
Ora non posso fare a meno di domandarmi se avremo mai il coraggio di perdonarci.
Nonostante che queste gocce amare mi stiano completamente offuscando la vista, mi alzo di scatto e corro verso la porta, esco e la sbatto con forza.
Ho bisogno ora di sapere la risposta.

***

Una volta uscito dal Lima Bean mi sentivo soffocare. Era come se l’aria mi si bloccasse in un punto indefinito tra i polmoni e la bocca, e non c’era niente che potessi fare per cercare di smuoverla da li. Stavo sudando freddo. In quel momento non avevo intenzione di vedere nessuno; la consapevolezza di ciò che avevo fatto era tale da farmi sentire disgustato dall’intero mondo. Tranne che da lui. Come avevo potuto essere tanto egoista da rovinare qualcosa di così perfetto? Spesso si dice che il tempo lenisca le ferite, ma non è così. All’inizio era diverso; ripensandoci, non saprei neanche dire come abbia creduto di cavarmela con un ‘mi dispiace’. Poi ho razionalizzato. Lui era fuggito, ed è quando non si riesce neanche più a litigare che capisci che c’è poco da fare. Le ultime luci del tramonto stanno per abbandonare la misera strada di provincia sulla quale passeggio, trascinando i colori di pesca e ambra che tanto amavo guardare dipinti sul suo volto. Decido di recarmi a scuola: l’unico posto in cui possa essere me stesso e che, ultimamente, tante ne ha viste di emozioni. Il mio passo è lento, come se volessi crogiolarmi in una situazione di malsana attesa. I ricordi mi assalgono. Prima la luce della luna era la sola testimone di uno spettacolo andato in rovina. Come si fa a dire al cuore che lo sto perdendo?
Il senso di colpa continua a perseguitarmi, un incubo senza fine. Mi sento come un cervo nella notte, in ginocchio, senza punti di riferimento. Solo. È incredibile quanto ci si possa sentir male pur essendo, in questo caso, il carnefice; forse è perché si aggiunge la paura di aver spezzato – non solo il proprio – ma anche il cuore della persona che si ama. E questo ti logora, ti riempie di marcio, e di vuoto. Sono pieno di vuoto, ed è tra le peggiori sensazioni che abbia mai provato.
Il tubare dei piccioni appollaiati sui fili elettrici mi ridesta. Complice, una goccia d’acqua piovana mi scorre lungo la tempia; penso che forse sarebbe potuto esserci qualcuno pronto ad asciugarmela. Ho martoriato il suo cuore, puro come un giglio, ed il mio, troppo pieno d’amore. Percepisco il rumore dei sassolini a contatto con le scarpe, il che mi avvisa di essere arrivato. Entro a passo sicuro, certo che il McKinley a quest’ora sia pressoché deserto. Il contrario della Dalton. Un sorriso amaro mi compare sul volto.
Improvvisamente, come il tintinnio di una lacrima di rugiada nel silenzio più assoluto, una voce cristallina torna a ravvivarmi. Entro nell’auditorium e mi siedo tra le ultime file, ascoltando Rachel cantare. Mi illudo lo faccia per noi.
Sulle ultime parole di “On my way”, noto che si è accorta di me, i suoi tratti ebrei che un po’ ricordano i miei. Si avvicina, sento di poter parlare con lei perché beh… è nella mia stessa situazione.
"Questo sguardo perso nel vuoto non fa parte di te.”
Il suo tono non è accusatorio. Curiosità ed invadenza hanno lasciato spazio a comprensione, ed un misto fra collera e angoscia. Un po’ come il mio.
“Niente – le dico – questo è lo sguardo di chi sa di aver perso tutto.”
Parliamo. Parliamo per quelle che sembrano ore fino a quando non abbiamo entrambi la gola secca per le troppe parole che si librano dalle nostre labbra.
“Non puoi pretendere di attribuirti tutta la colpa. Spesso, i nostri comportamenti non sono altro che reazioni ad atteggiamenti altrui… pensaci.”
La sua voce è calante, come se si fosse accorta che da me potesse ricevere tutto tranne che assenso. Perché io ho ferito Kurt. Perché sono io quello sbagliato. “Ti capita mai – le dico – di sentirti tanto inutile da non riuscire a percepire neanche il tuo corpo? È così che va, sempre…”
Vuole farmi ragionare, la sua parte razionale che vuole prevalere sulla mia emotività. “Rachel, come puoi non capire? Non hai quella smodata voglia di andare da Finn… ed abbracciarlo? Senza risentimento o odio, solo per amore… amore e basta.”
Mi accorgo delle sue labbra tremanti, quasi come tema di dire qualcosa.
“Blaine, quello che cerco di farti capire, è che… forse, in quel momento, è stata la decisione che a te è sembrata la più giusta da prendere. Non fraintendere le mie parole. Nel bene o nel male, li per li, ti ha reso felice. Hai sbagliato, ed è inutile che continui a colpevolizzare te stesso a vita. Forse non sono la persona più adatta per dire certe cose. Ma se lo faccio, è perché so come ci si sente. So che l’unica cosa che vorresti è scomparire, ridurti a cenere e smettere di pensare, ma avrei voluto – a mio tempo – qualcuno che mi avesse detto queste esatte parole. Devi rialzarti, per te e per lui.”
Una valanga di pensieri mi attraversano la mente. Non le darei ragione se non fossi almeno un po’ sicuro che, dopo tutto, è inutile starsene con le mani in mano. Ho Kurt Hummel da riconquistare. E fosse l’ultima cosa che faccio, devo riuscirci.
Ora Rachel si siede accanto a me, il velluto rosso delle sedie mi ricorda quella volta in cui Kurt si era macchiato i pantaloni per guardarmi in West Side Story.
Le prendo le mani e gliele stringo. I suoi occhi, oceano di caramello come specchi dei miei.
“Grazie, Rachel. Forse l’ho capito solo ora, o forse era un concetto latente ed avevo bisogno che qualcuno mi aprisse gli occhi. Ma… sono contento che sia stata tu. Probabilmente non avrei dato ascolto a nessun altro avesse provato a parlarmi. Quindi… grazie. Grazie per aver aiutato me quando, forse, qualcuno avrebbe dovuto aiutare te.”
Sono le mie ultime parole. Un’illuminazione mi folgora sul momento. Decido di seguire l’istinto.
Saluto Rachel con un abbraccio, un solo pensiero mi pervade: devo andare da lui.
Mi sbatto la porta alle spalle. Il tonfo della porta arriva lontano alle mie orecchie.

***

Solo quando chiudo la porta dietro di me, mi accorgo che sta piovendo a dirotto; probabilmente non me ne sono reso conto prima perché i miei singhiozzi erano così forti da coprire qualsiasi altro rumore. Sono corso via come una furia, senza realizzare veramente perché lo stessi facendo. Avevo così tante immagini e pensieri in testa, che probabilmente ho pensato che uscire fuori mi avrebbe dato un po’ di tregua e invece questa pioggia pesante mi sta facendo stare persino peggio: forse perché mi bagna e mi far ricordare che sono vivo, anche se dentro mi sento morire.

La pioggia scrosciante ha cancellato ogni traccia di vita nella Lima di ottobre. Solo il rumore dei battiti irregolari del mio cuore rompe quest’armonia composta da tintinnii e gocciolii; l’odore di asfalto bagnato arriva aspro, e quasi posso sentire in bocca il sapore di ferro troppo tipico di questi giorni, di questi attimi. Sole e sabbia hanno lasciato il posto a foglie oramai secche gettate agli angoli dei marciapiedi e al profumo di mosto che ancora riesco a sentire nelle zone di campagna. I riflessi di ogni stilla di pioggia che scivola lungo i sottili e deboli fili d’erma creano giochi di luce e magia perfetti. Perfetti come eravamo noi. Li paragono ai suoi occhi, quei riflessi.
Sono fuori casa di Kurt da ore. Forse venire qui non è stata, dopotutto, una buona idea. La mia istintività è tra le cose che più mi rimprovero. L’incertezza mi strazia: una parte di me si tufferebbe contro quelle mura in un secondo, e un’altra parte mi suggerisce di lasciargli il suo spazio. Ed è quello che merita.

C’è solo una cosa che posso fare per tornare in vita, per ricominciare a respirare davvero.
Così inizio a correre, con la testa china e l’acqua che mi colpisce forte dietro la nuca, che mi bagna, fredda, e che sembra volermi ricordare che non c’è tempo da perdere, che devo sbrigarmi, devo muovermi. Sembra voglia dare il ritmo ai miei passi, che nonostante tutto restano pesanti.

Ho sempre amato l’odore dell’erba bagnata. Ho sempre immaginato un giorno in cui corressimo fino allo stremo in una di quelle verdeggianti e lussuriose distese irlandesi. Ho sempre immaginato un fare l’amore, dopo, tenendoci stretti e respirando l’uno nel collo dell’altro. Ora quest’erba e questa pioggia non mi fanno desiderare altro che silenzio e solitudine. Forse è una punizione, forse no. O forse non c’è neanche da prendersela col destino, forse era tutto pianificato. Di storie simili ne è pieno il mondo. Amici, parenti, tv… si vive circondati dalla parola tradimento. Allora perché suona tanto vile e crudele? Mi vedo perso, ho passato la mia vita a dare consigli, aiutare, spargere coraggio come sale sulla neve… ed ora? Cosa mi resta? Non Wes, Jeff, o Nick può capire il mio dolore e la mia frustrazione.

Cerco di correre il più veloce possibile, senza vedere davanti a me, perché mi manca la forza di alzare lo sguardo. Attraverso il vialetto che copre la distanza tra la porta di casa e il marciapiede; solo allora mi fermo e decido di guardare dove sto andando.
Quando le mie scarpe escono dal mio campo visivo, per lasciare il posto a un ragazzo coi vestiti fradici quanto i miei dall’altro lato della strada, il mio cuore è viene percosso da una scarica elettrica.

Il tempo passa, ma l’atmosfera sembra sospesa, piatta, buia. Ad un certo punto qualcosa mi fa sussultare. Vedo una porta aprirsi. Vedo un angelo uscire fuori, con il viso purpureo e gli occhi madidi di lacrime. Ci fissiamo, quasi sorpresi delle nostre stesse presenze pur avendo entrambi la voglia di cercarci. Le sue iridi sono un misto tra una nebulosa ed il fuoco scoppiettante di un camino. Iniziano a tremarmi le gambe, sto fremendo. Il bisogno di corrergli in contro e farlo mio domina su qualsiasi altra idea. Le mani iniziano a sudarmi, le pupille mi si dilatano. Mi ritrovo con la bocca secca nel giro di pochi secondi. È l’effetto che mi fai.
Inizio quasi a spaventarmi quando le mie gambe si muovono da sole. Dopo poco sono in piedi, davanti a lui. Incredibile quanto mi senta nudo in questo momento. Davanti a lui non sono Blaine l’usignolo, o il solista della Dalton, o il rappresentante del McKinley. Con Kurt sono Blaine. Solo Blaine. Mi ritrovo a sperare che si senta anche lui così, come mi sento io, anche se probabilmente è tra le ultime sensazioni che desidera provare.

Blaine è di fronte a me, posso vederlo chiaramente, ma è troppo lontano per capire se anche le sue gote, così come le mie, vengano bagnate non solo dalle gocce di pioggia ma anche da lacrime.
Non so cosa fare, mi sento bloccato, pesante.
Vorrei correre da lui, stringerlo e dirgli che solo adesso ho capito quanto io sia un’idiota, quanto sia anche colpa mia se lui mi ha tradito e quanto lo amo, nonostante tutto, quanto incredibilmente e visceralmente lo amo. Lui sembra bloccato, forse anche più di me. E’ lontano, ma posso vedere che sta stringendo forte i pugni, probabilmente talmente tanto che unghie gli stanno graffiando i palmi.
“Vieni da me, Blaine, vieni da me.” mormoro, con troppa poca voce perché possa sentirmi, ma lui lo fa davvero. Ha appena fatto un passo verso di me e io l’ho subito imitato. Quando ne fa un altro, io non resto indietro e lo imito ancora.
Bastano pochi attimi e ci ritroviamo a meno di un metro di distanza, occhi dentro occhi.
La pioggia cade talmente forte tra i nostri corpi e sembra formare un muro.

Viene verso di me, viene verso di me ed io inizio a correre. A correre sotto la pioggia di una Lima malinconica, incurante di tutto. Perché lui ne vale la pena. Noi ne valiamo la pena. E se in passato ho peccato ed ho martoriato il frutto del nostro rapporto dandomi alla confusione e alla pigrizia… ora so che non succederà più. Lo so, perché due labbra di rosa hanno appena sfiorato le mie, trascinandomi in una realtà fatta di ‘ricominciamo’ e ‘mi sei mancato’ e ‘ti amo più di prima’.

Lo guardo fisso ed è bello come sempre, nonostante i capelli che cadono scomposti sul viso, gli occhi arrossati e le labbra gonfie e violacee.
Vorrei dire qualcosa, per squarciare questo silenzio che mi sta opprimendo il cuore.
Vorrei che dicesse qualcosa, sperando che le sue parole riempiano il vuoto che sento ancora.
Non lo facciamo, sappiamo entrambi che qualsiasi cosa stessimo pensando, verrebbe fuori sbagliata.
Non siamo mai stati bravi con le parole, io ancor meno di lui. Ma coi fatti sì, con quelli siamo bravi.
Ed è per questo che non riusciamo più a trattenerci. È per questo che pochi istanti dopo le mie labbra e le sue sono unite in una danza dal ritmo incerto. Non siamo minuziosi come siamo sempre stati, siamo passionali, siamo bisognosi. Adesso non c’è il bisogno di ribadire di amarci, adesso c’è il bisogno di ribadire di esserci: così le mie mani volano tra i suoi capelli bagnati e morbidi, stringendoli forte, cercando una presa sicura. Premo la mia bocca sulla sua e lui mi stringe forte da farmi male. Sinceramente non mi interessa, visto che questa morsa mi fa sentire vivo.
Ci siamo. Io e lui ci siamo ancora.

Riesco a vedere finalmente a colori. Probabilmente non avrei mai assaporato tanto un bacio quanto ora. Da casto muta, diventando passionale, carnale, quasi violento. Ci stiamo riappropriando l’uno dell’altro, per troppo tempo siamo stati divisi. La sua lingua, decisa, si fa spazio tra le mie labbra, che sono ancora tremanti. Lacrime calde continuano a scorrermi lungo il volto. Gli accarezzo le guance, e sento sulla sua pelle lo stesso calore. I miei polpastrelli un po’ ruvidi gli percorrono ora le palpebre, ora la fronte, ora le guance. Ho bisogno di sapere che lui c’è. Che è qui esattamente come quando è andato via. Ci stacchiamo per un attimo; mi poggia le mani sulle tempio ed io faccio lo stesso sulle sue. Ci fissiamo. Potremo dire di fissarci da anni, in effetti, se sui nostri corpi non cadesse sempre la solita pioggia. Come tra di noi c’è sempre il solito amore.

Sono caduto dal filo su cui ero sospeso e sono atterrato fra le sue braccia. Finalmente riesco a sentirlo: percepisco di nuovo la sua aura, la sua presenza ed è come se ad un tratto tornassi a respirare, come se in queste settimane avessi vissuto in apnea. Spingo più forte la testa nell’incavo del suo collo e il mio corpo verso di lui, lasciandogli la possibilità di stringermi ancora più forte. Ho bisogno di sentirlo ancora di più, per riprendermi tutta l’aria che ho evitato di respirare. Quando, dopo poco, alzo leggermente la testa e apro gli occhi, qualcosa è diverso. Le gocce di pioggia che fino a poco fa ricoprivano tutto e correvano veloci su ogni cosa, ora, ai miei occhi, si sono trasformate in piccoli pezzi di cristallo, piccoli diamanti luccicanti che rivestono tutto.
Il muro è distrutto, il nostro amore, invece, è intatto.

È distruttivo. Il nostro amore è distruttivo, ci ha spezzati, ci ha consumati. Come diamanti corrosi dall’usura del tempo. Ma allo stesso tempo ci fa vivere, rimette a posto le nostre vite con tanti piccoli pezzetti di scotch. Lui ha salvato me, ed io ho salvato lui. Istintivamente sento la necessità fisica di stringerlo. Il mio abbraccio è diverso da tutti gli altri. Non è un ‘non andare via.’ È un ‘resta.
Non ci sono prati irlandesi, ne tantomeno corse affannate.
Siamo Kurt e Blaine, che respirano l’uno nel collo dell’altro.

 Fine.

  
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