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Autore: Belarus    14/11/2012    1 recensioni
#01: " Gli vennero quasi le lacrime agli occhi mentre cercava di rialzarsi dal pavimento del corridoio per la diciottesima volta in quella giornata. Avrebbe dovuto cambiare le scarpe, appena comprate, con un altro paio. Pensare che Romario si era grattato la testa con compassione quando lui gli aveva esposto i suoi dubbi riguardo la discutibile fattura delle scarpe, quella era solo l’ennesima prova. "
[ Giusto perchè Dino è il mio fratellone. ]
Sperando di aver scritto qualcosa di decente.
Baci Belarus
Genere: Comico, Generale | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna | Personaggi: Dino Cavallone, Kyoya Hibari
Note: Missing Moments | Avvertimenti: nessuno
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#01. Lesson n°1 – Macbeth [ atto I scena III ]: « So foul and fair a day I have not seen »



Poggiato alla parete del corridoio, osservò per l’ultima volta il registro di classe.
Per l’ennesima volta sospirò afflitto chiudendolo. Non c’era nessuna scappatoia, nessuna scusa, andava fatto entro la settimana. Quella riga era rimasta vuota per troppo tempo e lui da bravo insegnante aveva l’obbligo di rimediare ad ogni costo. Quelli che lo avevano preceduto avevano rinunciato dopo una misera presentazione e per quanto lui fosse in vantaggio conoscendo il soggetto, non si riteneva per nulla fortunato.
Tirò su con la punta del dito gli occhiali che indossava - da quando era in quella scuola non facevano che scivolargli sul naso – e staccò la schiena dalla parete. Non appena cercò di muovere la gamba, qualcosa d’invisibile lo costrinse a baciare il pavimento, il registro gli sfuggì di mano e la penna agganciata al taschino della camicia attentò alla sua vita. Gli vennero quasi le lacrime agli occhi mentre cercava di rialzarsi dal pavimento del corridoio per la diciottesima volta in quella giornata. Avrebbe dovuto cambiare le scarpe, appena comprate, con un altro paio. Pensare che Romario si era grattato la testa con compassione quando lui gli aveva esposto i suoi dubbi riguardo la discutibile fattura delle scarpe, quella era solo l’ennesima prova. Fece forza sulle braccia e si tirò in piedi, cercò di acciuffare il registro per due volte e quando finalmente riuscì a rimetterlo sotto braccio, si diresse verso le scale che conducevano al tetto. Era ormai ora di pranzo e i ragazzi cominciavano a uscire dalle classi, avrebbe avuto lezione l’ora successiva e di Romario con i suoi maki non c’era traccia. Pregò al meno di riuscire a mettere qualcosa nello stomaco, prima di spiegare per almeno due ore in una lingua che non era neanche la sua. Quel giorno c’era in programma Macbeth di Shakespeare e sapeva già che avrebbe impiegato tutta la pazienza di cui disponeva per farlo capire a tutti, Tsuna compreso.
Era già sulle scale che conducevano alla parte superiore della scuola media di Namimori, quando un ragazzo con la divisa del comitato disciplinare lo superò salutando. Cercò di ricambiare, ma i gradini erano ancora tanti, le sue scarpe facevano schifo e quel registro sembrava ricoperto di olio. Ringraziò la sua buona stella per non averlo fatto cadere oltre il corrimano. Riuscì a raggiungere la porta del tetto dopo dieci miseri minuti, si passò una mano fra i capelli biondi e prese una boccata d’aria.
Il terrazzo della scuola era abbastanza ampio da concedere la vista di buona parte della città, si riusciva persino a vedere il tempio in cima alla collina, i boschi che si estendevano per miglia e la grande strada che portava verso la metropoli più vicina. Vide anche l’albergo dove alloggiava, nella zona più ricca e commerciale del centro, ma non fu in grado di identificare il terrazzino della sua camera al penultimo piano.
Costeggiò la recinsione di sicurezza, molto più giù, fra gli alberi vicino ai club Tsuna e la sua Famiglia stavano pranzando insieme. Distinse anche l’auto con l’emblema della sua di Famiglia parcheggiata accanto al marciapiede opposto alla scuola, alcuni dei suoi uomini parvero vederlo e accennarono un saluto entusiasta. Ricambiò con affetto e un po’ più sicuro di prima si decise a terminare quell’angosciosa ricerca. Non ci mise troppo a trovarlo, ma il risultato fu solo un silenzio imbarazzante.
Se ne stava come sempre sdraiato sulla casupola del blocco dell’elettricità della scuola, i tonfa lucidati ad arte accanto ai fianchi, le braccia incrociate dietro la testa scura.
<< Dino! Dino! >> cinguettò Hibird mentre svolazzava sopra la sua testa.
Kyoya non si concesse neanche lo sforzo di aprire un occhio e continuò a sonnecchiare come se nulla fosse. Non poteva sperare di convincerlo a scendere dal suo momentaneo giaciglio nel giro di pochi minuti, così provò a salire la scaletta agganciata alla parete chiara. Afferrò contemporaneamente registro e scaletta in ferro, ma un po’ per le mani sudate, un po’ per le sue schifosissime scarpe, scivolò sul primo piolo e il risultato fu solo un grosso tonfo. Caparbio tornò verso la scaletta, ma per la ventesima volta della giornata cadde – questa volta quando era ormai giunto in cima – e la penna ebbe la sua ennesima occasione per accecarlo. Strinse i denti e si rimise in piedi, era adulto ormai e non poteva di certo mollare come avrebbe fatto sicuramente da bambino.
<< Kyoya get down! >> tentò con tono fermo.
Dalla cima della casupola non giunse alcun suono e Dino cominciò a indispettirsi. Strinse le braccia al petto, riposizionando con calma gli occhiali che portava ormai ogni giorno e decise di attuare l’unica tecnica possibile con un allievo come Hibari. Se c’era una cosa che aveva imparato scontrandosi con quel ragazzo a ogni ora del giorno per tutta la durata degli allenamenti, era che non c’era niente che fosse capace di smuoverlo, eccetto Reborn e la prospettiva di potersi scontrare con qualcuno di più forte. Motivo per cui l’unica tattica da adottare era quella di prenderlo per sfinimento e farlo innervosire abbastanza da costringerlo a inforcare i suoi tonfa.
<< Kyoya scendi! >> ripeté quasi con il sorriso, sapendo che due volte erano già abbastanza.
Non sapeva se Hibari capisse l’inglese, per quanto ne sapeva e per quanto avevano registrato sui registri i suoi predecessori quel ragazzo nemmeno esisteva. Uno dei vecchi professori aveva persino cancellato il nome dall’elenco della classe giustificando l’accaduto con: “ Comitato disciplinare “.
<< Sono il tuo insegnante d’inglese! Scendi ora Kyoya! >> Hibird smise di svolazzare e si posò sulla recinsione.
<< La tua colonna dei voti in inglese è completamente bianca! >> si lamentò.
Niente di niente. Ostinato lo era di certo, anche zuccone, ma se c’era qualcosa in cui eccedeva, era l’essere suscettibile. Scosse la testa in segno di dissenso, non avrebbe pranzato quel giorno, neanche se Romario lo avesse imboccato mentre cercava di raggiungere l’aula in cui avrebbe dovuto fare lezione. Si passò nuovamente la mano fra i capelli, parte delle bende con cui aveva coperto il braccio si sciolse. Le sistemò con calma, premurandosi che non si scorgesse nulla di ciò che celavano. Ai suoi colleghi non sarebbe piaciuto molto, anche se le ragazze sarebbero state entusiaste. Era comunque meglio continuare a mantenere quella falsa identità, almeno con gli altri alunni.
<< E’ un vero peccato che tu non conosca l’inglese, lo parlano tutti ormai… non vorrai essere da meno, vero? >>
Hibird si premurò di avvisarlo prima che il colpo arrivasse a pochi centimetri dai suoi occhiali nuovi.
<< Hibari! Hibari! >>
Dino non seppe mantenere bene l’equilibrio, ma la recinsione riuscì a non farlo cadere per terra o peggio, di sotto. Strinse il registro nella mano destra, poggiando la sinistra sulle grate di ferro. Si rimise ritto, mentre un Hibari infastidito, lo fissava con i tonfa in pugno.
Probabilmente il moro era venuto giù solo per cacciarlo dal terrazzo, o per il gusto di scontrarsi con qualcuno per qualche minuto, ma Dino era più che fiducioso nelle sue capacità. La porta che dava sulle scale si aprì con un cigolio, gli occhiali di Romario fecero capolino dal corridoio scarsamente illuminato. Fortunatamente aveva portato una doppia porzione di maki, lo stomaco di Dino borbottò appena quando il sottoposto lo salutò da lontano.
<< Dovrei andare a lezione, quindi vediamo di fare in fretta. Devi essere interrogato almeno una volta, attualmente stiamo studiando Shakespeare quindi vada per una qualsiasi delle sue opere teatrali. >>
Era come parlare a un sordo. Non c’era niente che potesse interessarlo della discussione appena fatta, neanche il fatto che lui, un professore, stesse andando contro le regole della scuola sostando sul tetto oltre l’ora di pranzo. Essendo del Comitato Disciplinare la cosa avrebbe dovuto infastidirlo, magari gli avrebbe anche solo fatto aprir bocca pensando che c’era una classe vuota a fare chissà che al piano inferiore. Invece continuava a fissarlo con quei tonfa stretti nelle mani, mentre Hibird smuoveva la testolina dalla recinsione opposta.
<< Kyoya per una volta posa quei tonfa e vai in classe a fare lezione come gli altri! >>
Si chiese perché si ritrovasse a dire certe scemenze a una persona che non accettava ordini da nessuno. Aveva sperato che essendo un professore gli avrebbe dato ascolto, ma tacitamente era sempre stato consapevole del fatto che niente di tutto ciò che avrebbe detto sarebbe servito. Sospirò lanciando il registro tra le braccia di Romario, qualche metro più in là. Tirò fuori dal maglioncino in cotone la frusta di pelle, un lampo attraversò gli occhi di Hibari quando quella colpì il pavimento del terrazzo. Lo osservò ghignare compiaciuto mentre le gambe scivolavano in posizione e i tonfa andavano a coprirgli parte del volto.
<< Facciamo a modo tuo… >>
<< I’ll bite you to death! >> minacciò con voce fredda.
Dino si ritrovò a sorridere divertito. Quel ragazzo era ingestibile sotto ogni aspetto.
<< That’s no good Kyoya! >>
Romario dalla parte opposta del terrazzo si sedette sulla centralina accanto alla porta delle scale, afferrò la porzione di maki e la mise al sicuro. Sarebbe stata una lezione lunga, molto lunga e il Boss avrebbe avuto molta fame quando avrebbe finito.

La campanella suonò indicando l’inizio della seconda ora di lezione quando lui aprì la porta dell’aula. I ragazzi erano per la maggior parte in piedi, ma non ci misero molto a sedersi mentre lui si poggiava alla cattedra di legno. Gokudera vedendolo scosse la testa disgustato, Tsuna dalla terza fila assunse un’espressione terrorizzata.
<< Dino-san?… >> balbettò titubante, strabuzzando gli occhi.
<< Sorry for the delay! >>
Sorrise stanco mentre apriva il libro. Macbeth, atto I scena III.






  
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