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Autore: Fusterya    14/11/2012    15 recensioni
John è un uomo forte. Ed ha un grande cuore. John trova sempre una soluzione, anche quando non ce ne dovrebbe essere una.
Post Reichenbach.
Genere: Angst | Stato: completa
Tipo di coppia: Slash | Personaggi: John Watson , Sherlock Holmes
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Allora, non so da dove sia uscita questa, oggi. L’ho buttata giù in mezz’ora giusto per staccare un po’ dalle altre cose che sto scrivendo e sulle quali sono un attimino bloccata, dopo aver chiacchierato un po’ con la splendida, fantastica Yoko Hogawa, Regina (pericolosa) dell’angst.

E’ liberissimamente ispirata alla sua incredibile serie Awake me not, hush. Whisper low, ,

che ogni essere umano che ama Sherlock - ed è dotato di un minimo di ragione - DEVE leggere in religiosa adorazione.

E’ un piccolo omaggio a lei, Yoko: mia amica, mia ispiratrice, mia futura co-autrice.

Per Yoko: mia cara, non c’è mai abbastanza angst a questo mondo. Grazie per la tua preziosa amicizia e per le tue storie meravigliose.  

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Something happens to me



La tazza è calda tra le mani, come la temperatura esterna.

E’ primavera inoltrata. O almeno così sembra a John.

Ed è mattina presto, come ogni mattina in cui lui si sveglia e il letto è già vuoto, e non riesce ad addormentarsi più. Allora si alza, perché tanto è inutile, anche se mancano tre ore all’inizio del turno, e canticchia in silenzio verso la cucina.

Oggi entra aria fresca dai vetri della finestra lasciati aperti: è un bel maggio piano di luce, anche se dal cortile interno arriva il solito odore di umido, e di fritto e caffè dello Speedy’s, ma è un odore così familiare che a John sembra più inebriante di quello dei fiori freschi. Non riuscirebbe più ad aprire una finestra, al mattino, senza sentire quell’odore.

Ah, questo è caffè! Ci ha messo anni e centinaia di negozi per trovare la miscela giusta, ma alla fine ci è riuscito, ed è persino un posticino vicino casa.

“Buono.”

“Sarebbe anche migliore se ogni tanto lo facessi tu.”

“Quella di essere petulante credevo fosse una mia prerogativa.”

Stamattina gli viene da sorridere.

“Non ce la fai a toglierti il cappotto nemmeno mentre fai colazione?”

“Smetti di fare domande ovvie.”

“Ok. Programmi?”

“Uhm.”

“Bene. Per fortuna almeno io lavoro. Tu ci faresti finire sotto un ponte.”

“Ma tu troveresti il modo di preparare pane tostato e caffè caldo anche sotto un ponte, John, per cui starei tranquillo lo stesso.”

Ridono, e a John sembra che quel suono assomigli alle campanelle di benvenuto appese dietro le porte.

 

John è resistente. Tenace.

John non vacilla dinanzi alle cose. Nemmeno di fronte alle tragedie.

Resta seduto in silenzio qualche giorno su una poltrona, a fissare l’aria davanti a sé, poi si infila la giacca, addrizza le spalle e va fuori nel mondo.

Tutti fanno “oooh” di fronte a John.

-Hai visto, Watson? Impassibile. Sì, è diventato più silenzioso, ma… che tempra.

- O che insensibilità…

-ma no, è autodifesa: certo che dopo una botta del genere…

-non erano una coppia

-ah! Così dice lui. Ma li hai mai visti insieme?

John sorride tra sé e chiama un altro paziente.

 

Sarah gli porta al lavoro contenitori pieni di cibo e di sorrisi compassionevoli.

Lui si scusa, sorride a sua volta (ancora), la prende in giro e mangia.

“Mi stai facendo ingrassare.”

“Bene. Ne hai bisogno.”

“Ma non è vero. Diventerò uno di quegli uomini bassi con la pancia estrusa tipo mongolfiera.”

“Saresti sempre affascinante.”

“Affascinante, non bello. E’ quello che vuoi dire?”

“Lo stai dicendo tu.”

Ride anche con Sarah, ma stavolta niente campanelle.

Un relax caldo e illuminato dal neon dell’ufficio nel tardo pomeriggio, la sensazione confortevole dell’amicizia, ma niente suoni argentini che solleticano le orecchie e la corteccia cerebrale.

 

“C’è del riso pilaf.”

“E’ freddo.”

“Devi mangiare. Sarah è una buona cuoca.”

“Mangerò più tardi.”

“Lo dici sempre.”

“Andiamo a letto, John.”

“Sherlock… “

“Lo sai che altrimenti non mi viene fame”

“Così la fai passare pure a me.”

Si guardano e Sherlock ha gli occhi vividi e pieni di una luce divertita che John raramente gli ha visto. Tenta di trattenersi ma scoppia a ridere anche stavolta, trascinando John con sé.

Prima non rideva così tanto.

“Dovrei capire se posso fare qualcosa a riguardo.” Dice toccandosi il cranio dalla parte sinistra.

Quando ritira la mano dai capelli scuri, John allunga la sua e aggancia le sue dita viscose con le proprie.

“E’ come con il cappotto” dice sfregando i polpastrelli contro quelli di Sherlock.

“Troverò un modo. Mi rendo conto che non è proprio il massimo.”

“Mi piaci anche così. Di questo devi essere certo.”

Le dita si stringono forte attorno a quelle di Sherlock.

 

Il modo si trova.

John non gli chiede come ha fatto.

E’ lui il genio tra i due: ha trascorso qualche notte in posizione riflessiva sul divano, e poi all’improvviso il mattino dopo il cappotto non c’era più.

In compenso è ritornata la vestaglia blu.

Sherlock è nudo nel loro letto e John si sveglia mentre una lingua curiosa cerca di entrare nel suo orecchio.

“Puoi fare qualcosa anche per l’altro problema? Mi stai gocciolando sulla faccia.”

“Temo di no. Baciami.” dice con un lungo rombo sommesso, carico di promesse e allegria.

John gli sorride sulla bocca perché aspettava questo da così tanto tempo che non riesce nemmeno a ricordarlo.

Ogni tanto la guancia è appiccicosa e il sapore in bocca è un po’ ferroso e le lenzuola sono sporche, ma nulla che non si possa sopportare, soprattutto se… oh… dio… così….

Dio mio…

 

John comprerà altre lenzuola. Anche due set al giorno. Magari non bianche.

 

Di domenica mattina John esce a comprare dei dolci e si ferma per il thé da Mrs Hudson.

Gli piace sentire i suoi complimenti, è come una mamma premurosa. Da quando l’anca le impedisce di fare commissioni faticose, si è procurata una lavatrice e si è offerta di fare il bucato anche per lui.

Per loro.

Stamattina Mrs Hudson ha uno sguardo affaticato, un po’ lucido.

“Ti sento parlare, John.”

“Mrs Hudson, lei ha un po’ di febbre. Non è niente, vado su e le porto due aspirine.”

“Ti sento parlare di notte, John.”

“Faccio lunghe telefonate.”

Sorriso. Occhi blu luminosi, guance rosee.

“Sto bene. Mi sento spesso con mia sorella. Lei soffre di insonnia.”

Mrs Hudson sospira profondamente, quasi come se le fosse mancata l’aria per anni, e poi sorride anche lei.

“John… tu non hai idea… sono contenta. Davvero. Magari, per quelle aspirine….”

John non se lo fa ripetere due volte.

Quando sale nel loro appartamento, Sherlock è sulla soglia e gliele porge con un gesto di intesa.


“Ti trovo... bene.”

Greg non ha quasi il coraggio di pronunciare quella parola.

Bene. Beh, sì, bene, obiettivamente.

“Sto abbastanza bene.” John ha uno sguardo limpido e prende un’altra forchettata di riso. Non è mi stato capace di mangiare con le bacchette, cosa che invece sembra che a Lestrade venga naturale.

Sente su di sé lo sguardo indagatore dell’amico, che dopotutto è un poliziotto, no?

“Davvero, Greg. Lavoro, scrivo, mi tengo impegnato.”

“Incredibile.”

Greg ha la barba lunga e delle occhiaie scure da ben sette mesi, invece.

“Bisogna andare avanti, no?” John lo sta guardando come un padre saggio guarderebbe un figlio adolescente in crisi.

Sherlock porge a Lestrade la ciotola con la salsa di soja, che Greg detesta e che rifiuterebbe con la faccia contratta dall’indignazione, come sempre.

Lo fa con il sorrisetto sadico che mette su quando gli vuol dare fastidio.

John deve dare fondo a tutta la sua volontà per non scoppiare a ridere. A Lestrade non sfugge lo sforzo.

“E’ più di questo. Sembri proprio... di buon umore.”

John sospira.   

“Non è buonumore, è istinto di conservazione. Tutti ne abbiamo uno, in un modo o nell’altro. Non sappiamo che c’è finché non siamo costretti a tirarlo fuori.”

Lestrade inarca le sopracciglia e resta un attimo in silenzio perché non è sicuro di cosa significhi, poi riprende a mangiare quietamente.


Il pomeriggio porta nel soggiorno una luce rosata che si abbassa ogni minuto che passa e rende difficile a John leggere il libro che ha tra le mani.

“Potevi fare a meno di sanguinare sulla tovaglia.”

“Credo sia caduto anche qualche pezzo di materia grigia, se è per questo.”

“Sherlock, ma che schifo!”

“Sei un medico, non dovresti parlare così.”

“Non smettere di suonare.”

“E tu fai del thè.”

Tutto nella norma. A parte le macchie sul tappeto.


Poi, una sera, John torna da un turno particolarmente lungo, e scopre che Sherlock è riuscito a sistemare la cosa.

O almeno crede che sia stato lui.

Quando entra in casa, Sherlock solleva la testa dal cuscino del divano, sul quale è sdraiato mollemente con le spalle alla stanza, nella tipica posizione da broncio, e l’union jack è pulita.

“Meno male” sospira John chinandosi a baciarlo “Ora devi solo fartelo sparire dalla faccia.”

Sherlock ha un’espressione strana: è un po’ confuso, un po’ eccitato.

“E’ come se mi stessi aggiustando.”

“Bene. E’ quello che vogliamo, no?”

John si spoglia del giaccone invernale e lo lascia sul bracciolo del divano, poi si dirige in cucina sfregandosi le mani.

“Era troppo sperare che mettessi su la cena.”

Mentre riempie il bollitore, sente l’ombra dietro di sé.

Percepisce una specie di tremore interno, una vibrazione di... paura che non ha mai sentito provenire da lui.

Si gira lentamente e lo guarda negli occhi. Quelli di Sherlock sono grandi e traboccanti di angoscia.

“Se non sparisse...”

John capisce. E sorride piano, con tutta la sua pazienza e il suo amore.

“Non mi importerebbe, lo sai.”

“Lo dici adesso, ma tra qualche tempo? Tra qualche mese? O anno?”

John gli prende le mani.

“Non lo so. E’ così che funzionano queste cose, Sherlock. Le relazioni, intendo. Oggi siamo qui: noi due, e ti giuro che ci resteremo per un bel pezzo. Poi non lo so cosa accadrà. Potrai essere anche tu a volertene andare. O qualcuno si accorgerà di te. E di me. E mi farà imbottire di psicofarmaci e di elettroshock. Ma per adesso, abbiamo questo. E ce lo teniamo stretto. Io ti tengo stretto.”

Sherlock annuisce impercettibilmente ma non è persuaso.

Deglutisce. Abbassa gli occhi, li rialza.

“Non ha senso. Tutto questo non è... logico.”

John ride e non può proprio farne a meno.

“No, non è logico.” gli fa eco.

Poi lo attira a sé e lo tiene forte. Inspira il suo odore. Gode della incrollabile certezza che non lo vedrà mai andare via di nuovo.

Lo tranquillizza, calma i suoi battiti, affonda il naso tra i capelli imbrattati e appiccicosi.

“Non è logico, Sherlock. Ma quando mai io lo sono stato?”


Verrà il giorno, pensa John quella notte, mentre è accoccolato dietro la sua schiena e lo sente respirare piano, che qualcuno lo vedrà parlare a nessun interlocutore. Accadrà quando diventerà meno prudente, più incline a tradirsi per via dell’abitudine, e quel qualcuno vorrà fare qualcosa in proposito.

Quel qualcuno vorrà aiutare John.

Ma John farà in modo di aiutarsi da solo, portando Sherlock con sé.


Dopotutto, lui è quello che lo sta facendo smettere di sanguinare.

Lui è quello che ha permesso a sé stesso di ridere ancora.

Lui è l’uomo che crea speranza e produce amore.


Quando arriverà il momento, ci penserà.

Per adesso John appoggia l’orecchio tra le scapole di Sherlock, che dorme silenzioso e si muove appena, e riesce solo a sorridere nel buio.





  
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