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Autore: jaybird    15/11/2012    3 recensioni
« … Non ho intenzione di abbassarmi al tuo livello, America. »
« Bene. Seguendo la tua logica, allora, non dovrebbe nemmeno interessarti se ora ti bacio, giusto? ~ »
« … No, non mi importerebbe. »
Genere: Comico, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: Shonen-ai | Personaggi: America/Alfred F. Jones, Inghilterra/Arthur Kirkland
Note: What if? | Avvertimenti: nessuno
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Quella che si sarebbe presentata: sarebbe stata una giornata interminabile e molto, molto pesante.

« Ehi, Arthur, eeeeeeehiiii! »
« Piantala. »
« Eh? Perché? »
« Perché non sei divertente. »
« … Guarda che non sto facendo nulla. »

Bè, se per  ‘’non fare nulla’’ Alfred intendeva  non tenere quelle manacce al proprio posto, tormentando il povero inglese, punzecchiandolo con una penna, mentre quest’ultimo tentava di restare impassibile, assorto nella sua solita lettura durante il meeting…  allora era proprio così: America, non stava facendo nulla. Le giornate, ormai, sembravano solo essere composte tra un rimprovero e una comica litigata tra i due, seguite, poi da quelle chiamate al cellulare, subito dopo essere tornati a casa. La loro, pareva essere quasi una sceneggiata: comportarsi come cane e gatto in pubblico e, una volta soli, poter quasi comportarsi in modo civile. Quasi come se si dovessero nascondere. O meglio: era Arthur, quello che voleva nascondersi—nonostante, alle fine, non c’era proprio un bel nulla da nascondere. Alfred e Arthur non erano una coppia, giusto? Arthur non sembrava aver acconsentito ai sentimenti altrui, no? Eppure, il nostro scorbutico inglese, quasi,  stava facendo di tutto pur di non far scoprire quello che pareva essere l’ennesimo scheletro nell’armadio. Si stava comportano esattamente come un’adolescente che non voleva far scoprire ai compagni di classe di avere una… cotta, definiamola così, per uno che poteva essere ritenuto il più stupido o il più speciale dell’intera aula. Sorvolando anche sul fatto di avere la classica paura di venir giudicato: dopo tutto non era un amore semplice, ne tanto meno fattibile—erano due Nazioni, quei sentimenti non dovevano nemmeno far parte di loro, se non solo per la propria patria. A pensare a queste cose non poteva che venirne un mal di testa, no? Altri problemi che sorgono dal troppo pensare, altro punzecchio causato da quella penna maledetta, ed ennesimo nervo che si  disfa, così come la sua ( misera ) pazienza. Un ringhio che viene soppresso, una venuzza nascosta dalla frangetta nascosta, che andava a coprire quelle sopracciglia maggiormente corrugate, ed ecco che un veloce gesto, improvviso e barbaro, andò ad afferrare quella penna impertinente con la mancina, non potendo che guardar male il nostro povero americano che, no, non si aspettava di certo un gesto del genere da parte del maggiore—e lo si poteva capire anche da quell’espressione poco sorpresa.

« Hai idea di dove te la potresti mettere quella penna, ah?! »

Certo, sbottare così, all’improvviso, davanti a tutti,  non faceva parte di quel piano… ma Alfred era un vero mago a fargli saltare su tutte le furie in pochi gesti. Era preso talmente tanto da quella foga nell’urlargli contro che, quasi, non si era andato a dimenticare che, nella sala, in torno a quel tavolo, smisurato, proprio nel bel mezzo di quella riunione, non c’erano solo loro: ma ben si, il resto dei colleghi, altre presenze che avevano appena assistito a quella che, Arthur, poteva ritenersi una figuraccia. Un attimo per realizzare il tutto;  in sotto fondo una risatina divertita da parte di Francia, un commento da parte del lato destro della tavolata, non capito,  e un tono di rimprovero da parte di Germania. Che avesse esagerato? Effettivamente, poteva ritenerla una sceneggiata quella appena conclusa—ma non sapeva spiegare il fatto del perché si sentiva infastidito nel nascondere quel qualcosa, tra i due, che in realtà non c’era. Se poi ci si metteva anche l’essere infantile di America, la situazione non poteva che peggiorare, no? Ma ora era meglio riprendere il controllo di quella scomoda situazione.

« … Mi assento un attimo, scusate. »

Un borbottio detto velocemente e le gambe che scattano, facendolo alzare in piedi, dirigendosi verso il portone, facendolo uscire, così, da quella situazione scomoda, da tutti quegli sguardi perplessi e, soprattutto da America stesso. Non si conosceva mai abbastanza bene Arthur per poter capire il perché di quello scatto di nervosismo improvviso e persino per uno come Alfred, la cosa, era complicata. Insomma, mai avrebbe pensato che un semplice fastidio di penna lo avrebbe fatto innervosire così tanto—non era nemmeno la prima volta che lo stuzzicava in tal modo e, non appena gli occhi azzurri videro scomparire quella zazzera scombinata color paglia, d’istinto non perse tempo nell’imitare  i gesti fatti dallo stesso inglese, di pochi attimi fa, dimenticandosi totalmente di tutti quegli occhi puntati addosso e che, probabilmente, gli altri avrebbero avuto da parlare di questa loro faccenda. Ma, per lui, le chiacchiere contavano ben poco.







« Ahh, idiota! »

Un insulto ringhiato nel bel mezzo del corridoio, vuoto, davanti alla macchinetta del caffè. Che si stesse dando dell’idiota da solo o ad Alfred, era ancora da capire, tutta via, non sarebbe ritornato nella sala riunioni tanto presto: dopo tutto, si era fatto la sua porca ( ed imbarazzante ) figura e doveva calmare i propri spiriti. E, per tanto, necessitava di starsene per conto proprio, con i propri pensieri, tentando anche solo per un’istante a capire che cosa gli fosse preso. Non era stato normale quel raptus improvviso di rabbia, giusto? Era solo che quando uno si complica la vita già da se, tutti quei pensieri complicati, quelle che sarebbero state le scelte che avrebbe dovuto seguire,  poco a poco iniziavano a presentarsi come degli enormi muri da scavalcare… stressanti e faticosi. E Arthur era il tipo che si stressava già da solo, se ci si mettevano in mezzo anche gli altri pensieri  ( e le emozioni che reprimeva ), era ovvio che sarebbe esploso. Anche se sperava che non succedesse mai in pubblico. Un sospiro, il suo, quasi stanco, andando a pizzicare la radice del setto nasale, tra gli occhi, con il pollice e l’indice, quasi per massaggiarsi, sperando quasi che quell’improvviso mal di testa possa dissolversi nel nulla, così, come era comparso.

« Arthur…? »

Poteva, il suo stesso nome, mormorato con quel tono, con quella voce, farlo sobbalzare, così, all’improvviso? Il cuore sembrava pulsare più veloce al suono di quel timbro di voce. Cosa che non era mai successa fino ad oggi. Facciamo finta di nulla, Arthur? Come al solito, ‘nevvero?

« Che vuoi ancora? Non ti è bastata la figura che mi hai fatto fare? »
« Che? Io non ho fatto nulla! Sei tu che hai sclerato all’improvviso. »
« E, secondo te, di chi è la colpa? »
« Arthur, guarda ch— »
« No, sta zitto. Non sopporto più la tua voce. »

Bugia. Chissà quanto, ancora, Arthur aveva intenzione di continuare quella ridicola sceneggiata da ‘’ragazzo prezioso’’, checché quasi pesante ed insopportabile. Insomma, costava così tanto lasciarsi andare a qualcuno? Lasciare che quel muro possa venir scavalcato facilmente senza piazzarci qualche altre mattonelle quando qualcuno sperava di aver raggiunto la fine? Arthur doveva sempre sfuggire a qualcuno, sempre. In questo caso: specialmente da America. Una delle tante occhiatacce dello scorbutico inglese, tanto per cambiare, andò a scagliarsi contro lo sguardo perplesso del minore, cacciando, poi, un sospiro pesante.

« Senti, America, vediamo  di finirla con questa pagliacciata—  E’ chiaro che tra di noi non succederà un bel niente, per tanto: mettiti l’anima in pace. »

Va bene, probabilmente non capiva quell’ondata di emozioni che erano un po’ ‘’troppo’’ per uno che aveva tentato di reprime così tante cose di se stesso nel corso degli anni. Dopo tutto, la paura di venir nuovamente ferito c’era, no? Ed era ovvio che si stesse solo difendendo—anche se, da una parte, una piccola parte, curiosa dello stesso inglese, sperava in una qualche insistenza da parte dell’americano. Quell’insistenza del fatto che sarebbe stato capace di tutto per lui e che non si sarebbe fermato a quelle sue lamentele, a quella sua muraglia. Con lui, evidentemente, era solo una questione di pazienza e di molta, molta persuasione.

« Hai finito? Non è una pagliacciata, te l’ho già detto un mucchio di volte. Mi sto sforzando a far finta di niente, ma quello che la deve veramente piantare, sei tu, Arthur.  »

Non potette fare a meno di ribattere, Alfred, assumendo un tono abbastanza seccato e rigido, come poche volte lo si poteva sentire con quel tono di voce e la cosa, ovviamente, non poteva che far disapprovare l’inglese, specialmente se stava mettendo in discussione quello che aveva appena detto. Lo sguardo, quindi, si fa più burbero e, un ringhio, andò a deformargli il volto, soffocando qualche insulto in gola. Era il solito: se avrebbe sbottato, era come se avesse dato la vinta al minore, per  tanto,  ( se ben fosse difficile ) Arthur, doveva mantenere quel tono… tranquillo?

« Che— come ti permetti, moccioso? Io non sto facendo un bel niente, sei tu che continui ad insistere su di una cosa che, probabilmente, non cambierà mai! »

Tono tranquillo? No, perché sembrava che l’inglese avesse deciso di tradire se stesso di urlare,  come se si fosse dimenticato che, a pochi metri da loro, vi era in corso una riunione con tutti gli altri, la quale avrebbero anche dovuto parteciparvici, invece che stare a battibeccare—cosa che sembrava essersi fatta sempre più frequente con il passare di quel mese. E, come se non bastasse, Arthur non pareva intenzionato ad ascoltare quello che il minore, in questione, aveva da dire, dato che sembrava quasi che ogni parola che dicesse, entrava da un orecchio ed usciva dall’altro. Per tanto, era ora di passare a quelli che sarebbero stati i fatti. I fatti che avrebbero dato una svolta a quello che il maggiore dice che ‘’non cambierà mai’’. Impuntato, Alfred, su quello che era il suo volere, dato che aveva promesso a se stesso che avrebbe fatto Arthur il suo tesoro, prese un veloce passo, deciso che andava contro al britannico facendolo, ancora una volta, portare con la schiena contro il muro, con quelle possenti braccia a bloccargli le vie di fuga.

« Scacciami, allora. Adesso. »

Che i gesti del giovane avessero uno scopo? Se c’era una cosa che Arthur, probabilmente, aveva imparato nel corso di quei secoli, era che Alfred sapeva come spiazzarlo, notando altre cose che, da prima, non poteva ( o non voleva ) vedere. Gli occhi, quindi, smeraldini del maggiore, andarono a sbarrarsi a quella che sembrava essere un ordine. Scacciarlo, diceva?

« … Non ho intenzione di abbassarmi al tuo livello, America. »
« Bene. Seguendo la tua logica, allora, non dovrebbe nemmeno interessarti se ora ti bacio, giusto? ~ »
« … No, non mi importerebbe. »

Chissà perché, ma aveva come quella sensazione di essersi fregato da solo.  Certo,  poteva sembrare impassibile, peccato solo che il proprio cuore aveva deciso di impazzire per lui. Insomma, se davvero non gli interessava, un bacio non avrebbe significato nulla, giusto? Eppure, aveva quel timore, quella scossa indescrivibile lungo la schiena che andava a sgomentarlo, non volendo non credere che, una cosa futile come un bacio, dato da America, gli importasse, ecco.  Un suono rumoroso, fatto con la gola, andando a deglutire quasi pesantemente, mentre  lo sguardo, corrucciato, restava fisso su quello che sembrava essere uno di quei sorrisetti soddisfatti e spavaldi dell’americano.

« Bene. Allora non è il caso che ti dica che cosa sto per fare, giusto? ~ »
« Stai attentando alla tua stessa vita, abusando della mia pazienza, ecco cosa. »
« Ahaha- nope~!  »

Anche perché, in cuor suo, America sapeva che, almeno un po’, ad Arthur interessava quello che stava cercando di fare, e glielo si poteva anche leggere da quella tensione dipinta sul volto, no? Era ovvio che cosa volesse fare con quella distanza che, lentamente si stava accorciando e con quelle labbra che, lentamente, si stavano avvicinando alle sue—e poi glielo aveva appena detto che voleva baciarlo. O, per lo meno, così Arthur credeva.  Il silenzio, tornò sovrano in quell’istante, mentre gli occhi del maggiore si muovevano a destra e a sinistra, in scatti veloci, non potendo che socchiudere lentamente le palpebre degli occhi, data la figura altrui che si faceva sempre più sfocata in attesa di quell’ennesimo bacio che lo avrebbe fatto pentire di ogni cosa. Poteva confermare, lo stesso americano, di volerlo baciare, ovvio—ma quell’espressione ridicola ed involontaria dell’inglese lo bloccò, a pochi millimetri da quel naso arricciato in una smorfia imbarazzante e titubante. Forse stava agendo in maniera egoistica, non che no  lo avesse mai fatto con qualcuno, ma con Arthur, la cosa era diversa: gli importava, ecco. E rubargli un bacio che, probabilmente, non sarebbe stato di suo gradimento, sarebbe stato come mandare avanti un carro senza ruote. Che si fosse lasciato prendere da un momento di sconforto? Un secondo di immobilità, per poi, con il pollice e l’indice della mano destra, inguantata, l’americano, andò a pizzicare il naso altrui, tirandoglielo appena, non potendo che spiazzare lo stesso inglese.

« W-What the—! »

Ok, non se lo sarebbe mai aspettato, probabilmente, data la convinzione del maggiore che si sarebbero baciati e… e che era quella sensazione di amarezza? Insomma, aveva detto che non gli importava, no? Così non sembrava.

« C-Che diabolo pai—!? »

La voce, nasale, andava  a rimproverare il gesto altrui, non potendo non notare quelle guance gonfie e quello sguardo imbronciato davanti a se, facendogli strabuzzare gli occhi, dimenticandosi, per un’istante di quella presa sul proprio naso, non potendo che chiedersi che cosa gli fosse preso, così, all’improvviso.  Un mugolio di disapprovazione, per poi andare a scostare quella presa che iniziava ad essere ( decisamente ) fastidiosa per la sua respirazione, continuando a fissare il minore con un’espressione interrogativa. Il desiderio di chiedergli che cosa gli fosse preso, era forte—ma così facendo, avrebbe compromesso le parole dettate prima sull’indifferenza di quei suoi gesti. Tiene a freno la lingua, allora, lasciando che la distanza tra i due, raffiorasse, lasciandosi salire una strana angoscia, facendolo rantolare tra se e se. Che sensazione stupida e priva di senso; non lo aveva baciato, doveva essere una cosa buona, no? No. I denti dell’inglese vanno a digrignare, nascosti, mentre l’altro pensò bene di mantenere quello snervante silenzio, susseguito da un lieve sospiro. Che fosse di arresa? Non lo stava nemmeno più guardando—e Arthur avrebbe compiuto un gesto che, probabilmente lo avrebbe fatto pentire per tutto il resto di quella giornataccia.

« Ahh- Idiota—»

Un insulto, l’ennesimo,  andando a d aggrottare lo sguardo, così poi da andare a fare un passo, svelto, e con una presa poco gentile al colletto altrui, andò a trascinarlo poco più in basso, alla sua altezza. All’altezza delle sue labbra, per essere più precisi, andando a compiere quel gesto che, evidentemente, Alfred non aveva avuto il coraggio di compiere: baciarlo. Baciarsi. Ci voleva tanto? Bè, provate voi a capire come funzionava la coerenza di Arthur.  Prima non voleva una cosa e poi, se lo si veniva accontentato ( se così si poteva definire ),  non la voleva e, di conseguenza, pretendeva il contrario. Strambo. Non c’era un altro modo, giusto, per poterlo definire. E il seguito di quel gesto improvviso, andò a spiazzare lo stesso americano che,  signori e signore, poteva ritenersi un’impresa, eh! Non che gli dispiacesse, ecco, ma preferiva prevedere una cosa tale—anche se le sorprese, si sia, sono sempre le più piacevoli… anche se il suo cervello non sembrava provare la stessa idea, dato che sembrava essere andato in pappa. E, come tale, non poteva, non riusciva, a gestire quella situazione che preferiva averne il controllo, andando a dimenarsi di poco, da quel contatto, lasciandosi dietro svariati mugolii di disapprovazione… e Arthur non poteva non credere che,  gli dispiacesse. Insomma, non era quello che America voleva fin dall’inizio? Per una questione di principio, non lo avrebbe lasciato andare finché non avrebbe saputo capire che cosa fosse un  /vero/ bacio. Magari avrebbe fatto abbassare anche la cresta al nostro Eroe, no? Per tanto, senza badar troppo a quei mugolii da bambinone, Arthur, premette maggiormente le proprie labbra con quelle altrui per ancora un’istante,  andando, poi, a schiudere quest’ultime, con estrema lentezza, conscio che, probabilmente, America, nemmeno sapesse che cosa stesse per fare.

« Mhn—!? »

Decisamente non sapeva che cosa stesse per fare dato quel mugolio di sorpresa. Gli occhi azzurri si chiusero, allora, strizzandoli senza aver alcuna intenzione di aprirli finché quel contatto non sarebbe finito. Certo, avrebbe potuto scostarsi, ma era un’Eroe, no? E, quindi, non sarebbe scapato ad un contatto che, alla fine, non gli dispiaceva, affatto. Aspettava una cosa simile da tempo… anche se ben diversa da come realmente se lo immaginava. Ma—ritornando alle labbra altrui, non capiva che cosa stesse realmente architettando l’inglese: che volesse mangiarlo? Con tutto il tempo che aveva per poter pensare, questo era proprio un ottimo momento per farlo, eh, Alfred? Peccato che quei suoi pensieri, quelle sue constatazioni ( stupide ),  vennero quasi prese alla sprovvista da una sensazione strana… umida e calda che andava ad accarezzargli le labbra tremolanti e serrate in un’espressione tesa e palesemente imbarazzata. Il cuore che aveva preso improvvisamente a galoppare e una pressione, quasi prepotente, andava a tentare di  schiudere le sue stesse labbra e.. e Alfred non sapeva che diavolo fare se non assecondare quelle che erano i voleri altrui. Dunque, spegnendo il cervello, titubante, andò ad aprire lentamente le proprie labbra, lasciando  che le mani, nel frattempo, andassero ad avvolgere la vita, esile, altrui, non potendo che pensare di /dover/ fare del suo meglio per far capire che fosse all’altezza dell’inglese… anche se si trattava di come baciare. Dopo pochi istanti nel seguire il volere altrui, la propria lingua venne accarezzata, improvvisamente, da quella gemella,  andando a reprimere l’ennesimo mugolio di sorpresa, tentando di prestare una seria attenzione a quei movimenti che avevano deciso di  scontrarsi con estrema foga  ai propri sapori—potendo  assaporare quell’improvviso retrogusto amarognolo e dolciastro del tea, oppure quel pizzichio, deciso, di bruciato… gusti differenti dai suoi, che andavano a mescolarsi sempre con più foga, andando a fare una danza indescrivibile con le lingue: una che roteava contro l’altra e il fiato che, poco a poco, andava a mancare, quasi—costringendolo a trattenere  il respiro, dato che non voleva ancora interrompere quel contatto, Alfred, mai provato. Perché, bhè, nonostante l’età e la propria megalomania, il nostro americano, non aveva mai baciato. Non aveva mai pensato o mai ne sentiva il bisogno di farlo, se non solo con Arthur stesso: ma questo era bene tenerselo per se, no?  E, in quegli istanti, giurava di pensare ‘’wow, cavolo—non ci posso credere’’ e, a seguire un ‘’… ma io bacio meglio’’. E dopo poche altre manciate di istanti, ecco che i movimenti della lingua del maggiore, presero a rallentare, sempre di più, segno che probabilmente aveva deciso di voler interrompere il tutto; cosa buona, così che Alfred potesse riprendere a respirare, anche se a malincuore, significava staccarsi da quelle labbra. E la fine di quel bacio, si concluse con un filo di ragnatela di saliva che univa le labbra dell’americano a quelle dell’inglese, lasciando  un sottofondo di fiati appena pesanti—e un imprevisto imbarazzo che, Arthur, preferiva evitare.

« … Hmph- ci voleva tanto? »
« … Avrei potuto farlo anche io, se solo mi avessi dato il tempo! »
« Certo. »
« Uhm. Pensavo che volessi mangiarmi! »
« A-AH?! Che-? »
« … Si-! Non pensavo che un bacio fosse così complicato! Nei film non lo fanno mai vedere in questa maniera. »
« Tu vedi troppi film. »
« Non è vero! E poi… è stato meglio questo bacio che quelli che vedevo nei film. »

Doveva sembrare un complimento, soprattutto se poi, le guance dell’americano mostravano un filino di imbarazzo, il quale, dopo quella confessione, era comparso anche sulle gote altrui, andando a rantolare qualcosa di poco comprensibile, limitandosi ad aggrottare maggiormente lo sguardo.

« Mh. Pensiamo a ritornare alla riunione, piuttosto. Muoviti. »
« Yes. ~ »

E, nemmeno farlo apposta, quasi come la mano destra dell’americano avesse deciso di muoversi da sola, quelle cinque dita, andarono a stamparsi sul sedere dell’inglese, non potendo che sentire un suono secco e quasi piacevole, a dir la verità, che fece eco nel corridoio; anche se Arthur non sembrava essere di questa opinione, nel vederlo sobbalzare in quella maniera, andando poi, subito dopo, a coprire entrambe le natiche con le proprie mani, andando a lanciare un’occhiataccia omicida, con la tentazione di tirargli una testata.

« C-CHE CAZZO FAI– »
« Eh? Come che faccio? Ora stiamo insieme, no? ~ »
« … Ah? »

Questa, quindi, era la logica di Alfred? Per un bacio, aveva deciso ( da solo ) di autodefinirsi una coppia e che, di conseguenza, paccargli il sedere quando più voleva? Evidentemente, non aveva afferrato nulla.

« Che stai dicendo? Non siamo una coppia. »
« … Eh? Ma ci siamo baciati prima! »
« E allora? Hai ancora parecchia strada da fare, moccioso. »

Le guance del minore, inesorabilmente, si gonfiarono, mostrando un’espressione pressocchè offesa, e ance un po’ perplessa. Poteva, l’amore, essere così difficile? Ma poteva dire di aver fatto un bel passo in avanti, no? Sicuramente, conoscendo il maggiore e i suoi modi di fare ‘’da vecchio’’, voleva una cosa fatta bene—e Alfred lo avrebbe accontentato, ma magari calma, eh.

« … Ma io voglio palparti lo stesso. »
« SHUT UP. »
 

















RECENSITE, VE NE PREGO! Q___Q
Mi farebbe piacer sapere che vi è piaciuta o meno! Ci terrei particolarmente, ecco!

  
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