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Autore: visbs88    15/11/2012    5 recensioni
Si sposta qualche centimetro più a sinistra, in modo da essere esattamente al centro del lettino. Appoggia con lentezza studiata la testa sulla stoffa ruvida, piega le gambe in modo che formino un angolo ideale, una posizione che metta ben in evidenza quanto siano lunghe e slanciate. Si agita ancora per qualche secondo in maniera impercettibile per assicurarsi che nessuna parte del suo corpo sia fuori posto; questo prima di portare le mani al colletto della propria camicia iniziando, calmo, a sbottonarla.[...]
La misera esistenza di uno strano ragazzo, la sua disperata e controversa ricerca d’amore.
[Scritta per il Contest a Bivi indetto da sango_79 sul forum di Efp e sul forum Disegni e Parole]
Genere: Erotico, Triste | Stato: completa
Tipo di coppia: Slash
Note: nessuna | Avvertimenti: Incompiuta, Tematiche delicate
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LA VITA DI UN SEDUTTORE INFELICE

 
Contest: Contest a Bivi indetto da sango_79 sul forum di Efp e sul forum Disegni e Parole.
Titolo:La vita di un seduttore infelice.
Introduzione: Si sposta qualche centimetro più a sinistra, in modo da essere esattamente al centro del lettino. Appoggia con lentezza studiata la testa sulla stoffa ruvida, piega le gambe in modo che formino un angolo ideale, una posizione che metta ben in evidenza quanto siano lunghe e slanciate. Si agita ancora per qualche secondo in maniera impercettibile per assicurarsi che nessuna parte del suo corpo sia fuori posto; questo prima di portare le mani al colletto della propria camicia iniziando, calmo, a sbottonarla.
La misera esistenza di uno strano ragazzo, la sua disperata e controversa ricerca d’amore.
Rating: Rosso/+18.
Generi: Erotico, Malinconico, Triste.
Avvertimenti:Lemon, Slash.
Disclaimer: i personaggi e le vicende descritti in questa storia sono totalmente di mia invenzione. Occorre il mio permesso per citare pezzi della storia, tradurla, riprodurla altrove o trarne ispirazione.

 

Capitolo 1- Il dottore e il portinaio

 
Si sposta qualche centimetro più a sinistra, in modo da essere esattamente al centro del lettino. Appoggia con lentezza studiata la testa sulla stoffa ruvida, piega le gambe in modo che formino un angolo ideale, una posizione che metta ben in evidenza quanto siano lunghe e slanciate. Si agita ancora per qualche secondo in maniera impercettibile per assicurarsi che nessuna parte del suo corpo sia fuori posto; questo prima di portare le mani al colletto della propria camicia iniziando, calmo, a sbottonarla.
 Sa che il dottore lo sta osservando e sa anche con quale espressione: quella annoiata ed esasperata di chi ha visto la stessa scena ripetersi ventisei volte senza che il protagonista si stanchi mai di recitarla impiegandoci ogni più infima briciola del suo talento; e pare proprio che nel muovere le dita abilmente per scoprire a poco a poco la propria pelle Stephen davvero metta tutto se stesso.
È sensuale, chiunque se ne renderebbe conto; lo è sia nei suoi movimenti sia nel suo fisico snello e muscoloso che fino a pochi istanti fa era nascosto dalla camicia. Ora Stephen la scosta, tradendo il suo strano desiderio di mostrare la propria nudità; posa le mani di nuovo lungo i fianchi e attende, gli occhi socchiusi come mentre si bacia il proprio amante.
Un sospiro risuona.
- Lo sai che per usare lo stetoscopio ho bisogno che tu ti sieda, e non che tu ti distenda.
Sono parole inutili, pronunciate già sapendo che non sortiranno alcun effetto, o almeno non subito: è necessaria una grande opera di persuasione per convincere Stephen, ormai questa è una realtà che il dottore conosce bene. Infatti il giovane sul lettino rimane immobile, in attesa.
Il medico si avvicina, sospira di nuovo.
- Avanti, tirati su.
- No. Mi visiti così.
La voce di Stephen rimane, malgrado tutto, sempre una sorpresa. È esile come quella di un moribondo, come fosse appesa ad un sottilissimo, impalpabile filo sempre sul punto di spezzarsi. È così di natura o è lui stesso a modularla in tal modo, volontariamente? Il dottore non saprebbe dirlo con certezza.
- Non ti visiterei bene, Stephen. Se sei così preoccupato, fammi controllare come si deve, forza.
Il ragazzo non muta espressione. Tende una mano, afferra il disco metallico dello stetoscopio e se lo appoggia al petto, tirando un po’ a sé il dottore.
- Non è la stessa cosa? - mormora. Quando l’altro scuote la testa, gli occhi azzurri di Stephen luccicano come se fossero pieni di lacrime, anche se di esse in realtà non c’è traccia.
- Salga sopra di me, la prego. Voglio che mi visiti salendo sopra di me. Salga sopra di me. La prego.
Le sue frasi sono spesso simili a deliri: concetti ripetuti sempre con le stesse parole, in maniera quasi ossessiva, richieste impossibili da soddisfare, parole assurde al punto che l’uomo in camice finisce ogni volta col pensare, non senza biasimarsi un poco, che l’unico dottore che serva a Stephen sia uno psicologo.
- Non vedo perché dovrei salirti sopra. Su, alzati e controlliamo questo battito cardiaco.
- Sono bello, secondo lei?
- Sì, ma non credo che importi adesso.
- A me importa… a me importa… non mi trova attraente?
- Lo sei. Vogliamo procedere con la visita?
Le labbra di Stephen tremano. Un’ansia strana si dipinge sul suo viso; chiude gli occhi, i suoi lineamenti si contraggono come se stesse per scoppiare a piangere.
- Anche lei è bello, dottore - sussurra - Potrebbe baciarmi?
Ancora una volta è impossibile trattenere un sospiro.
- Non è il caso, Stephen.
- Faccia almeno finta…
Il dottore si china, avvicinando il proprio viso a quello del ragazzo, il quale sgrana gli occhi e subito, lesto, si sporge a propria volta in avanti tentando di incontrare quelle tanto agognate labbra; ma il dottore non è certo uno sprovveduto e aveva già previsto il possibile tranello: si ritrae prontamente, scoccando un’occhiata di rimprovero a Stephen.
Non c’è bisogno di aggiungere altro: il paziente si alza a sedere, sebbene faccia ciò con movimenti tanto lenti al punto da ricordare un condannato a morte che avanza verso il patibolo. Trattenendo un’esclamazione di sollievo, finalmente il medico può ascoltare il battito del cuore che si nasconde sotto quel petto glabro. Quando sfiora un capezzolo, Stephen geme.
- Non sento nulla che non vada, anche stavolta - sentenzia una volta finito l’esame - Non hai nessun problema, abbiamo anche già fatto due prove sotto sforzo. Il tuo cuore è perfetto.
- Ma ogni tanto fa male, molto male. Anche adesso. Fa male.
“Psicologo”: ancora una volta questa parola balena nel cervello del dottore, che ha ormai rinunciato al tentativo di scacciarla.
- Stephen, sai cosa vuol dire “ipocondria”? - domanda, in un blando tentativo di chiudere quella storia una volta per tutte.
- Sì. Non è il mio caso, lo giuro. Non è il mio caso, lo giuro. Non è il mio caso. Glielo giuro.
- No, evidentemente no. Perché ti ripeti in questo modo ogni volta?
- Non lo so, davvero non lo so.
Mentre parla, Stephen scuote lentamente la testa. Non guarda negli occhi il dottore, ma un punto fisso di fronte a sé; sembra smarrito, perduto, disperato, ma il dottore non può rimediare in alcun modo a tutto ciò. Stephen non ragiona, non ragiona mai, non riflette, semplicemente dice ciò che prova senza chiedersene il perché: è un bambino che ha desideri adulti e sembianze tutt’altro che infantili.
- Rivestiti, va’ pure. Non occorre che mi paghi.
- Voglio fare l’amore su questo lettino, dottore, anche se il cuore mi fa male. Anche se il cuore mi fa male.
Seguono alcuni istanti di silenzio teso; i due si guardano negli occhi, gli uni lucidi di desiderio, gli altri stupiti da una frase tanto diretta.
- Non è il caso - riesce finalmente a rispondere il dottore, la voce ferma malgrado la situazione difficile e quasi assurda che è costretto ad affrontare.
- Mi riabbottoni lei la camicia.
- Non sei più un bambino, Stephen.
Questa risposta giunge glaciale. Stephen sussulta, e con mani tremanti inizia a ricomporsi. Non aggiunge un’altra parola fino a quando non esce dallo studio; in quel momento, il dottore lo sente mormorare:
- So di non essere più un bambino. Lo so. Lo so. Lo so. Lo so.
È sudato, il medico.
A volte il ragazzo è inquietante.
A volte viene spontaneo domandarsi se lasciarlo girovagare solo non sia pericoloso nei suoi confronti e in quelli degli altri.
 
 
- Lo so che non sono un bambino. Io lo so, lo so bene…
Stephen non ha ancora smesso di mormorare quelle parole mentre si avvicina al portinaio dell’edificio che ospita l’ambulatorio del dottore; un giro di parole piuttosto pomposo per descrivere un ragazzo mingherlino dai capelli rossi che indossa un uniforme da poliziotto di quelle che si comprano nei negozi di costumi e che sta lì nella sua piccola cabina dai vetri appannati a studiare su libri usati, preparando chissà quale esame universitario. Di tanto in tanto aiuta chi ha difficoltà ad aprire e chiudere il portone, essere bisbetico e pesante: questo è il lavoro per cui viene pagato con qualche spicciolo alla settimana.
Oggi è fuori dalla cabina, in piedi, rimuginando nervoso sul test svolto il giorno prima. Non ha risposto ad una domanda, sarà andato bene lo stesso?
Stephen ha ormai visto molte volte il portinaio. Gli si avvicina, e mormora:
- Sai che non sono più un bambino? Lo sai, vero?
Il ragazzetto arrossisce scostandosi.
- S-sì, certo. S-si vede.
Le labbra di Stephen si arricciano in un pallido sorriso soddisfatto; socchiude gli occhi. I suoi capelli neri sono scompigliati: è più attraente che mai.
Sembra in qualche modo ritornare in sé: drizza la schiena, si liscia la camicia, assume una postura perfetta, quasi militare, anche se di certo non rigida a tal punto.
- Vorrei vedere cosa c’è lì dentro - soffia piano, e i suoi occhi dardeggiano per un istante sulla minuscola portineria.
- Non c’è nulla, signore - risponde il ragazzetto, suo malgrado spaventato dagli strani modi di quell’insolito e avvenente giovane: si comporta come se desiderasse sedurlo.
- Vorrei vedere lo stesso. Sì, lo stesso.
Impacciato, il portinaio apre la porticina del piccolo locale e ci si infila, seguito da Stephen. Non c’è davvero nulla, solo uno spazio angusto e soffocante, un ripiano in legno a malapena sufficiente per poggiarci un libro e un paio di pulsanti per aprire il portone.
- Come vede, non c’è nulla - dice il ragazzetto, ansioso di uscire di lì e di sfuggire alla compagnia di Stephen, che invece risponde:
- È bellissimo.
E mentre il portinaio lo guarda stupefatto, il giovane lancia un gemito strozzato, strabuzza gli occhi, porta le mani al cuore e si accascia.
Il silenzio cala, agghiacciante.
Che cosa farà, adesso, il portinaio? Se lo domanda, boccheggiante e già ricoperto di sudore freddo. Forse sta per sentirsi male anche lui. Un uomo è morto di fronte ai suoi occhi: questa consapevolezza fa divenire le sue gambe molli. Cade in ginocchio e disperato si protende verso quel corpo inanimato, chiamandolo –dice solo “Signore!”, perché pur avendolo visto altre volte non ne conosce il nome. Eppure ciò che è successo è così terribile, così inaspettato nella sua vita monotona e tranquilla, così sconvolgente, che si sente come se ciò fosse accaduto ad una persona a lui cara: non aveva mai pensato che la morte potesse giungere tanto all’improvviso prima d’ora.
Afferra il bel ragazzo per il colletto della camicia, lo scuote, sull’orlo della lacrime. A chi chiederà aiuto? Al dottore? Alla polizia? E cosa avrebbe detto? Perché ciò doveva succedere nella sua minuscola portineria, inutile e così poco importante?
Perso nel turbinio di questi pensieri, a malapena si accorge dello scintillio azzurro che fa capolino da sotto le palpebre, prima chiuse, del morto; quando lo intravede, è come se un’altra ondata di gelo lo invadesse.
- Scherzetto.
La voce è debole, vagamente roca, piacevole.
Stephen artiglia i suoi vestiti e in pochi attimi la distanza tra le loro labbra cessa di esistere.
Il sollievo per il dramma scampato è tale che per qualche manciata di lunghi, lunghissimi secondi il portinaio si abbandona completamente a quelle labbra così morbide, a quella lingua, più umida e calda di qualsiasi altra, che abile ha preso ad intrecciarsi con la sua. È un bacio torrido: le mani di Stephen frugano tra i suoi vestiti per spogliarlo e arrivare alla sua pelle, le gambe si strusciano le une con le altre, la ragione rischia di perdersi in meandri che nei prossimi giorni il portinaio ricorderà come quella di una passione illogica e sfrenata; ma un barlume di ragione permane, e lui all’improvviso si stacca da quello che rimane e sempre rimarrà uno sconosciuto, arrogante e maleducato oltretutto. Come si è permesso di fargli un tiro del genere, e soprattutto di baciarlo in quel modo?
- Cosa c’è? - ha anche la sfacciataggine di chiedere, gli occhi semi-chiusi, le labbra umide di saliva.
- C-come si permette? - balbetta il portinaio, ritraendosi, il volto tanto rosso che ormai è difficile distinguere la fronte dai capelli.
- Voglio fare l’amore.
Una persona fredda e controllata in questo momento troverebbe molte risposte adeguate: frasi sdegnate, ordini perentori di lasciare quel luogo e non presentarsi mai più, o magari una battuta ironica e raggelante detta con il tono più sarcastico in proprio possesso. Ma il portinaio è impacciato, inesperto, timido: non riesce ad articolare nemmeno una parola sensata e, in pochi attimi, eccolo disteso sul pavimento sovrastato dal ragazzo sensuale che calmo e sicuro gli slaccia i pantaloni. Sotto di essi, malgrado tutto, si nasconde un rigonfiamento ormai impossibile da nascondere.
- Io… no, sono vergine… - è tutto ciò che finalmente riesce a dire il portinaio, terrorizzato e anche furioso con se stesso per essersi lasciato coinvolgere a tal punto dalla situazione.
- Ti cavalcherò - sussurra Stephen a pochi centimetri dal suo viso - Non dovrai fare nulla, non ti farà male. Ti cavalcherò. Non ti farà male. No.
Per qualche folle, stupendo attimo, il portinaio contempla quella possibilità: “Lascialo fare”, gli dice quella parte di lui che lo ritiene troppo timido per arrivare ad avere una seconda occasione per liberarsi da quell’imbarazzante verginità che ormai è diventata uno dei suoi fardelli; “Lascialo fare, non lo saprà mai nessuno”. Ma sono solo brevi secondi di pazzia, prima che l’assurdità della situazione gli ripiombi addosso come un macigno, prima che ideali più romantici prendano il sopravvento, prima che capisca che cose del genere non sono da fare con una persona incontrata per caso fuori da un ambulatorio.
Finalmente, il portinaio grida.
- No! Vattene!
È teatrale il modo in cui ha estratto la pistola giocattolo che di solito tiene per bellezza infilata nella cintura; talmente teatrale che Stephen impallidisce e si ritrae terrorizzato. Indietreggia, gli occhi sbarrati; si rialza barcollante e pochi istanti dopo fugge oltrepassando il portone aperto, lasciando sul pavimento della portineria un ragazzo madido di sudore e spaventato quanto lui.
 
È sconvolto al punto tale che afferra per un braccio un uomo in giacca e cravatta che per caso sta passando di fronte all’edificio.
- Lei mi ama?
Solo un’occhiata stupefatta e disgustata in risposta, prima che Stephen rimanga solo.
 
 
 

Spazio autrice:
Questa è la mia prima long-fic originale; sì, sono un po’ emozionata e sì, mi domando come andrò a finire, perché in effetti la trama non è del tutto definita nella mia testa. Il contest a cui partecipa prevede dei “bivi”, come potrete vedere sbirciando nel bando, quindi dovrò adattarmi alle immagini che mi capiteranno per cercare di far andare la storia più o meno sui binari che ho in testa. Le immagini che hanno ispirato questo primo capitolo sono questa e questa; i personaggi del dottore e del portinaio non hanno nome per mia precisa volontà, per sottolineare la scarsa importanza che ha la loro specifica identità per Stephen, ma credo che questo si chiarirà meglio più avanti. Spero che vi sia piaciuto, se vi va, lasciatemi un commentino ^^
Un bacio, visbs88.
   
 
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