Una compagnia d'attori errante sosta sui campi di Hyrule, intenta a far
le prove per una festa primaverile. Ma Sheik, giovane cantore dalle
origini sconosciute, sembra non approvare la scelta del dramma.
Genere: Malinconico | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato | Personaggi: Altro Personaggio, Sheik
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
De li numi lo voler manifesto, i’
Che son uomo mortale; ivi canto
De li cieli secreta delibera,
De lo tristo mondo
[fò vanto.
“Hai
una pessima intonazione,” asserì l’uomo
vestito di verde, facendo
scorrere distrattamente le dita sulle ginocchia. “Il che, in
termini
concreti, si traduce in vergate. A te”.
Mentre un giovane in celeste
annuiva col capo, l’uomo, con un moto di disappunto,
s’alzò in piedi.
Non amava lo spettacolo delle percosse, come in gioventù non
aveva mai
amato riceverle.
“Migliorati. ‘Il messo’ è
un’opera che richiede
dedizione. Ti sei mai chiesto cosa contraddistingue la nostra
compagnia? Costanza, serietà e dedizione. Non vieni nutrito
per nulla”.
Un altro giovane, ansante, s’appressò al carro.
“Etzeld, scusa l’interruzione; ci siamo persi
l’ultimo arrivato”.
Etzeld – l’uomo in verde –
levò pensierosamente lo sguardo al cielo.
“Ancora,” sospirò.
“Uno
strano ragazzo,” s’intromise una fanciulla.
“Dove l’hai raccattato,
Etzeld? In molti, sai, si chiedono da dove venga, o cosa faccia
qui…”
“E’ un esule,” rispose calmo Etzeld.
I visi dei suoi compagni si fecero d’improvviso sgomenti.
“Inaudito!” un uomo scattò in piedi.
“Io… mi rifiuto di recitare con gentaglia
simile!”
“Hai
poco da far lo sdegnoso, Fyodor. Sei un attore. E ciò
implica che tu
sia anche un orfano, un diseredato, un avanzo di galera o un figlio
di…”
Un uomo alle sue spalle diede un lieve colpo di tosse.
“…In
ogni caso, se reciti, appartieni comunque a una categoria peggiore di
quella dell’esule. Non sappiamo chi sia, né
c’importa. Sa cantare, sa
recitare e sa comporre”.
“Eccolo, eccolo!”
“Oh”. Etzeld fece qualche passo.
“Bentornato, Sheik”.
‘L’esule’
- tale l’appellativo che s’era guadagnato - era
certo un fanciullo
insolito, d’aspetto vagamente, cupamente esotico.
“Mi perdoni
l’affanno,” disse, in voce ben modulata.
“Percorrevo un campo e ho
avvertito spirar la brezza; mi è parso lo scenario
più adatto per
‘Notte a Hylia’…”
“…e la tua cetra ha suonato da sé,
capisco. Ben
altri gli scenari di cui dobbiam contentarci, caro il mio attore fuor
di palcoscenico! Ma volevo dirti altro: ne abbiamo appena discusso, e
alla festa della fioritura intendiamo portare ‘Il
messo’… sempre,
naturalmente, che quel ragazzaccio sia in grado di esordire in
tempo”.
Guardò di traverso il più giovane della
compagnia, che stava ancora
asciugandosi gli occhi.
Un ragazzo in celeste sospirò. “Ah, i bei
tempi in cui impersonavo Sidus!” Fece ondeggiare le mani con
ben
calcolata grazia, per poi simulare un gesto di disperazione: “Se
il labile fato e le nubi / piegar non mi possono, si curvi / su me la
lama…”
“Dovresti vergognarti d’invidiare un ragazzino
mentre sei ancora nel fior dei tuoi anni, Nir”.
“Non ho alcuna nostalgia della mia schiena a strisce di
allora, se può consolarti”.
“Non
sono d’accordo”. Tutti si volsero a guardar Sheik,
il bardo venuto dal
nulla. “’Il messo’ mi par più
adatto a un solstizio. Per la fioritura,
ritengo che sarebbe preferibile…”
Un bisbiglio ostile si mosse sul piccolo accampamento, sollevandosi
appena sopra il carro vivacemente colorato.
“…un’opera della levatura di
‘All’apparir del sole’”.
“Davvero!”
sbottò l’uomo prima fattosi arcigno. “A
chi vuoi insegnar di teatro,
ragazzino? Molti di noi hanno visto questo lurido carro subito dopo
esser nati; altri l’hanno raggiunto piangendo, con le mani
bagnate di
sangue. E tu…!”
“Calma! Sheik,” Etzeld pose delicatamente una mano
sulla spalla del giovane, “Vuoi esporci meglio le tue
ragioni?”
“La
vita della genti è intristita da crucci; oramai non
v’è più luogo su
cui non si sia posa la mano del tiranno. Serve un dramma che sappia
parlare al cuore dei popoli, e infondere loro
speranza…”
“Ridicolo! Tutto ciò è
ridicolo!”
“Ravi!”
Etzeld scrutò l’uomo con aria grave. Questi,
paonazzo, agitò
febbrilmente un dito in direzione di Sheik, e prese nuovamente la
parola.
“Questo ragazzino – lo vedete? – puzza
ancora di latte.
Conosce il mondo quanto io conosco i gioielli che la principessa porta
in fronte, eppure vagheggia nel tono di un uomo! Cosa ha appreso della
vita? Nulla, e si comporta sempre come se si trovasse su un palco, come
se recitasse! Guardatelo: lo sguardo vacuo, lo strumento tra le mani,
le membra che si muovono come se le accarezzasse il vento…
ma io non
vedo un pubblico plaudente, o assi di legno su cui possa camminare.
Compagni! Ciascuno di noi ha ben presente la differenza tra vivere e
recitare, giacché paga col sudore quel poco che gli riesce
di metter
sotto ai denti; finge solo se lo richiedono le circostanze. Ma costui
è
al di sopra della realtà, vive in un sogno senza
fine!”
Il suo dito rimase sospeso a tracciar circoli per aria, come se
disegnasse.
“Ravi”.
Il tono di Etzeld era più cupo del normale. “Hai
parlato abbastanza.
Ragazzo,” si rivolse a Sheik, che era per l’intera
durata del fluire
delle sue parole aveva tenuto bassi gli occhi. “Prosegui. Ti
ascoltiamo”.
Sheik fece qualche passo.
“Nude le spoglie, trepidi li venti
Su li campi di Hylia; lo sangue li
Arrossa, li annera la polvere.
Eppur v’è fermento; e par sì breve
[L’attesa.”
Il suo tono ben modulato a tratti indulgeva al canto. Il silenzio
catturò gli astanti.
“A
noi, che non viviamo del denaro dei signori, è permesso di
vedere
quanta verità vi sia in questi versi. Porteremmo, a emblema
della
fioritura, un’alba…”
“Ma ‘Il messo’ è la storia di
un rinnovamento. Ed è la rappresentazione tipica delle feste
primaverili,” obiettò pacato Etzeld.
“Ma racconta la collera divina, un sacrificio,
l’espiazione. Non è la nostra storia”.
“Inaudito. Sono drammi entrambi. E’ tutta
finzione…”
“Certamente”.
Etzeld diede un breve respiro, prima di continuare. “Ma noi
ci cibiamo
di finzione. Viviamo e respiriamo finzione. Siamo attori”.
L’ora volgeva al tramonto; il cielo s’era
già imbevuto di tinte rosate.
“Terrò in considerazione la tua proposta,
Sheik,” disse. “Nel frattempo, che qualcuno accenda
il fuoco”.
Una falce di luna versava la sua tenue luce sul carro. Gli attori
addormentati, avvolti in pelli d’animale, rassomigliavano a
lupi
raggomitolati. Dal bivacco esalava ancora, lieve, l’odore del
legno
bruciato.
“Sheik”.
Fu un sussurro, che piuttosto che infrangere
il silenzio lo fece vibrare garbatamente. Il ragazzo di nome Nir diede
d’improvviso un pesante e angoscioso sospiro.
“Sei sveglio. Non è vero?”
La palpebra si sollevò pressoché
all’istante sull’iride rossa.
“Signore…?”
“Lo eri; del resto, lo immaginavo. Non ti ho mai sentito
dormire, da quando fai parte della compagnia”.
“Siete in errore. Può darsi che vi tragga in
inganno il mio respiro leggero…”
“Oh,
ci vorrebbe ben altro per trarmi in inganno”. Etzeld
sbuffò, o forse
strascicò una manica sul terreno; era difficile stabilirlo,
con
l’oscurità che ne celava i movimenti.
“Ragazzo… è ormai da tempo che ho
accettato di tenerti presso di me. Chi sei e da dove provieni, tu che
non riposi nemmeno al calar della notte…?”
“Della terra, delle genti che mi respinsero, non voglio
parlare. Desidero solo obliarne i ricordi”.
“Tu non sei un esule. Non mentirmi”.
Sheik dischiuse le labbra; tuttavia, non emise alcun suono.
“Dell’esule
non hai l’aspetto, né il pensiero. Non
v’è ombra di rancore rimasta nei
tuoi occhi, o sulle tue mani. Non ci hai raggiunti con le vesti lacere,
o le ferite delle contese addosso. Non hai i modi alteri del cadetto
scacciato. Non fai che parlare di rinnovamento, di una rinascita... Sei
forse profeta di un qualche popolo del deserto?”
La risposta si fece attendere qualche istante. “No. Non lo
sono”.
“Sono
ancora lunge dal crepuscolo dei miei anni, ma fin
dall’infanzia sono
stato uso a veder gente di ogni provenienza, segnata da ogni sorta di
sofferenza e privazione. Col tempo ho imparato anche a non far domande,
per evitare il peso – per alcuni insostenibile –
delle reminescenze. In
questo momento tradisco i miei principi, è vero; ma se lo
faccio, è
perché in me persiste l’inquietudine”.
“Che cosa vi inquieta, signore?”
“Ravi
dice il vero, quando afferma che parli in un tono superiore ai tuoi
anni. Tu non hai l’innocenza né la spensieratezza
dei fanciulli; sei
invece grave, in un modo che lascerebbe supporre dei trascorsi tragici.
Ma quando io ti osservo, mentre parli, cammini con la tua consueta
grazia, canti, componi, e cerco di capire, di vedere oltre le tue
spalle, io…”
Sheik raccolse una manciata di sassolini e prese piano a disporli
sull’erba.
“…Non vedo niente”.
I sassolini picchiettarono sul terreno.
“Osservate l’orizzonte,” disse Sheik, con
insolita lentezza.
“Senza luce, non vedo molto oltre il…”
“Con la luce del giorno, se lo osservaste, sareste capace di
scorgere cosa ve n’è al di
là?”
“No”.
“Se
io vi dicessi che il mio pensiero è capace di valicarlo, ma
volgendosi
indietro non vede più distante di voi quando siete costretto
a
trattenere lo sguardo presso l’orizzonte?”
Il silenzio che seguì alle sue parole si protrasse per
diversi minuti; ore, forse.
“Porteremo ‘All’apparir del
sole’, alla festa della fioritura,” disse infine
Etzeld. Contemporaneamente, si girò su un fianco.
Pochi istanti dopo, il suo respiro si fece pesante.
“Sire, comandi!”
“Stolto, non odi? Clangori di lame,
Grida di donne, d’uomini gemiti!
Velenosi m’affliggon lo sonno,
Sottile mi fan la ragione; loro,
[miei demoni”.
“Nir, hai fatto due passi di troppo. Quell’inchino
è troppo breve. Ravi, troppo enfatico; cerca
d’essere meno truce”.
Ravi si tolse la corona lignea e la scaraventò al suolo.
“Non mi fai dir due parole, per la miseria!”
“Dov’è
la dignità del sovrano? Ricomponiti. Dove
s’è cacciato quel ragazzino?
Sarebbe capace di sbagliare senza dover pronunciare una
battuta…”
“Tutto questo è ridicolo”.
“Conosciamo la tua opinione in proposito, Ravi. Non
è la prima volta che ce ne rendi partecipi”.
“Io apprezzo molto l’opera,” disse
pacatamente Nir. “Non vedo come possa danneggiarci”.
“E’ un’autentica fesseria, ecco
cos’è”.
“Oh, Ravi. Denigri il fior fiore dei nostri
drammi”. Sorrise.
“Vuoi tacere?”
“Come desiderate, Vostra Maestà”. Nir si
esibì in un breve inchino.
“Invece
di battibeccare, cambiatevi d’abito”. Etzeld porse
loro un baule.
“Proviamo l’ultima scena. Non riesco a sentire la
cetra. Sheik…?”
“Signore…?”
“Alzati. Tocca suonare”.
Nir si chinò sul baule e lo spalancò, rivelandone
il contenuto: un mucchio di costumi variopinti.
“Dov’è Iseult? Chiamala, ragazzo,
svelto! Ecco: immaginate che il palco si trovi
qui…”
Era una mattina assolata, arsa; i piani erbosi di Hyrule erano ondulati
dal vento. "Ah luce, sordido inganno! L’ora
Vola; con essa ti fuggi, vile ti
[spegni”.
Ravi crollò al suolo. La corona lignea caduta dal suo capo
descrisse diversi circoli sul terreno, prima di fermarsi.
Nir,
la veste color del grano, si fece avanti. Le note gentili di una cetra
gonfiarono l’aria. Una fanciulla si esibì in una
breve danza dinnanzi a
lui; poi gli prese una mano, gemendo. “Ahi, sovrano!”
esclamò, con bella voce. “Egli fu sovrano; egli è
spirato”.
“Ah, le belle mura!”
“In fiamme”.
“Ah, li guerrieri valorosi!”
“Caduti”.
Il suono della cetra si fece più rapido. Nir e la fanciulla
gemettero.
“Siete
una vergogna!” Etzeld scattò in piedi, i pugni sui
fianchi. “Due, due
battute avete dimenticato! E la festa è prossima! Sciocchi!
Folli!”
Detto questo, si allontanò a lunghi passi.
Gli
attori non replicarono. Molti di loro non alzarono nemmeno lo sguardo.
Diverso tempo passò perché qualcuno azzardasse a
muoversi.
E Sheik si mosse. Silenziosamente, com’era solito, depose la
cetra e si allontanò.
Etzeld era poco distante, rannicchiato presso un grosso masso.
Sheik si sedette al suo fianco. “Adesso sono io a non
capire,” disse.
Etzeld non rispose. Sembrava non battesse nemmeno le palpebre.
“Non capisco perché in te non vi sia
indulgenza”.
“Così è giusto che sia”.
“Giusto…?”
“Vuoi che impari ora quel che non ho imparato in tutta la
vita? Non mi è stata insegnata
l’indulgenza”.
“Potresti comunque praticarla. Solo, non lo vuoi”.
“Tu… ah, davvero non capisci. Se lo spettacolo
muore, muoio anch’io. Basta un solo
errore…”
Si alzò di nuovo in piedi; fece qualche passo, nervosamente.
“Ragazzo,
io non ho scelto la mia strada. E sinora ho sempre creduto di fare quel
che è stato prescritto”. Fece un gesto vago, come
a indicare la volta
celeste. “Se ti ho assecondato, andando apertamente contro la
volontà
altrui, l’ho fatto per qualche motivo”.
Voltò le spalle. Sembrava grande e imponente, entro quella
luce densa.
“Alla festa, mostrami l’orizzonte di cui
parlavi”.
Il pulviscolo danzava intorno al suo capo.
Addobbi
d’ogni colore adornavano la piazza. Donne e uomini di ogni
età
chiocciavano, banchettavano allegramente; giocolieri e i musici
andavano esibendosi in cerca di qualche moneta. Il palco ligneo era
stato ingentilito da una pioggia di fiori di campo.
Dietro il palco, la compagnia era più che mai simile a un
nido d’api.
“Voglio andare alla festa! Non posso uscire nemmeno un
momento?”
“No,” replicò secco Etzeld.
“Ragazzino, non posso permettermi un secondo di ritardo. Lo
vuoi capire?”
“Via, non esser grave col fanciullo. Posso accompagnarlo
io”.
Etzeld
sospirò. “Ascoltami, Sheik. Questo ragazzino deve
assolutamente
ricomparire prima della fine dello spettacolo, e tu con lui. Sono stato
chiaro?”
Sheik annuì. “Andiamo,” disse al
bambino, improvvisamente sorridente, prendendolo per la mano.
Si
pentì presto della sua generosità; la folla era
un’unica massa
brulicante, e benché il ragazzino paresse divertito dal suo
ronzare e
dai suoi colori variopinti Sheik iniziò presto a provare un
senso di
disagio.
Un uomo in armatura gridava, promettendo una somma
esagerata di denari a chi fosse riuscito a vincerlo in duello. Il
ragazzino corse in sua direzione, entusiasta.
Sheik lo seguì a
fatica. “Non ci pensare nemmeno,” lo
ammonì; nell’alzare lo sguardo, si
accorse che l’uomo di ferro, con gran clangore,
s’era avvicinato a un
ragazzo del pubblico.
“Tu, ragazzo!” strillava. “Hai una spada!
Su, vieni a sfidarmi!”
“Mi… lasci, davvero, no…
io…”
Sheik
osservò il ragazzo, che in quel momento si stava ritraendo,
imbarazzato, a nascondere l’elsa della sua arma. Vesti del
verde delle
foreste; un ampio cappuccio, uno spiritello a danzargli
intorno…
Il cuore gli si strinse; per un attimo, forse, cessò di
battere.
Richiamò
il ragazzino e lo afferrò per le spalle.
“Fanciullo,” disse, fermo, “ti
piacerebbe… esser libero? Non dover più
recitare?”
Il bambino annuì freneticamente.
Sheik depose nella sua mano una moneta. “Vai,”
disse. “Scappa. O sarai schiavo per tutta la vita”.
Il
bambino lo squadrò guardingo; un attimo dopo, prese la
moneta e corse
via, sgusciando tra la folla con tutta la rapidità di cui
era capace.
Anche Sheik prese a correre. Corse sino al retroscena, dove Nir si
stava gingillando con una spada di legno.
“Nir!” esclamò. “Il fanciullo
è fuggito!”
“Cosa…?” lo sguardo di Nir si fece
atterrito. “E adesso…?”
“C’è qua fuori un ragazzo –
non così giovane, ma con una spada autentica”.
“Autentica!”
“Sì. Osserva: sta duellando con quel giullare di
ferro”.
“Buffo tipo. Cos’è che gli svolazza
sulla spalla?”
“Lascia stare. Corri a chiamarlo. Ora!”
“Ma…”
“Va trovato un sostituto prima dell’ultima scena o
no? Vai!”
Nir
ubbidì, più che altro per via del tono
autoritario in cui era stato
pronunciato l’ordine. Sheik andò a mettersi al suo
posto; da lì la sua
musica si sarebbe librata nell’aere, con lui, dietro le
quinte,
invisibile al pubblico. Come lui stesso aveva chiesto.
Attese.
Vide,
non visto, Etzeld, che si allontanava per cambiarsi d’abito e
andare a
unirsi agli spettatori. Amava farlo al termine del suo ruolo, lo faceva
sentire ancora presente – così gli aveva
confessato tempo addietro. “Ahi, sovrano!”
“Egli fu sovrano; egli è spirato”.
“Ah, le belle mura!”
“In fiamme”.
“Ah, li guerrieri valorosi!”
“Caduti”.
“Ah, le fresche fanciulle!”
“Rapite”.
Lunghi gemiti. Tra la folla si fece silenzio. La cetra suonava. “L’alba!” la
fanciulla sul palco si guardò attorno, come spaesata. “Che venga. Non può mutar
nulla”.
“La dolce alba che le madri desta
e gli uomini; e le bestie
al quotidiano travaglio spinge!”
[Noi miseri!”
Etzeld
improvvisamente si riscosse: che accadeva? Sulla scena non era comparso
il suo stolto, piccolo allievo. Invece, sulle assi, un passo dopo
l’altro, incedeva un ragazzo in verde; Etzeld
sentì familiare la sua
aria solenne. In verità, costui di solenne aveva ben poco.
Sembrava un
bambino; del bambino aveva gli occhi e le movenze; appariva minuto,
come inghiottito dalla luce del giorno. Una luce di fiaba –
una fata,
possibile…? – gli danzava intorno.
Sheik continuava a suonare. Le
sue note erano sempre più robuste, le poneva sequenza sempre
più
rapida; gravavano implacabili sul suo petto.
Sentiva quei passi. Senza che riuscisse a spiegarselo, si
sentì come infranto; lacrime senza nome gli solcarono le
gote.
La cetra smise di suonare.
Il
ragazzo in verde estrasse la spada e la sollevò; un bagliore
ferì gli
occhi dei presenti, che s’affrettarono a schermare il viso.
Etzeld si sentì scosso. Lo spettacolo era stato sconvolto,
ma non era ciò a turbarlo: non comprendeva,
eppure… La linea sottile dove lo sguardo si ferma…
“Sheik!” esclamò, d’un tratto.
Quando
la sua attenzione tornò a focalizzarsi sul palco, vide che
quel ragazzo
era andato via; il dramma era terminato e la folla dava boati e gettava
fiori, come al solito.
Si recò rapidamente nel retroscena.
“Sheik!” gridò di nuovo,
“Sheik…”
“E’ sparito, Etzeld,” affermò
Ravi, deponendo la sua corona.
“Io ho… ho visto… come, sparito?
Quando…?”
“Or ora; e, credimi, l’abbiamo cercato.
E’ scomparso, forse l’avrà trascinato la
folla; anche quel ragazzino…”
“Se n’è andato,” disse piano
Etzeld.
“Via, non è detto che non torni; sarà
qua in giro…”
“Non tornerà mai più,”
replicò l’altro. “Se
n’è andato…”
Allargò le dita per poi stringerle a pugno, come per
afferrare aria.
“…all’apparir del sole”.