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Autore: ShioriKitsune    16/11/2012    3 recensioni
One Shot straziante (ç_ç) Kathefan. Un confronto con Klaus metterà a dura prova l'amore dei due..
Genere: Drammatico, Introspettivo, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Katherine Pierce, Klaus, Stefan Salvatore | Coppie: Katherine/Stefan
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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La neve iniziò a cadere in piccoli fiocchi, freddi e umidi. Si posava sul terreno per qualche attimo, prima di sciogliersi e sparire come se non ci fosse mai stata. Sapevo però che era solo questione di tempo prima che tutto ciò che mi circondasse venisse ricoperto da quella sottile patina bianca, diventando una massa uniforme e indistinta alla mia vista. Gli alberi, i cespugli, i cadaveri.
Tutto sarebbe stato coperto, seppellito. Come se anche il cielo volesse tenere segreto ciò che era appena successo in quella radura. Nessuno avrebbe saputo, nessuno avrebbe sofferto.
E io avrei potuto lasciarmi morire tranquillamente, senza dover spiegare ad altri il motivo del mio dolore.
Sempre se quella sofferenza acuta e lancinante rientrasse nella categoria del ‘dolore’. Quella, per me, era peggio della morte stessa. 
Cercai di muovere le dita della mano, ma mi risultò impossibile: il mio corpo non voleva saperne di muoversi da lì. E mi andava bene, tutto sommato. Mi andava più che bene. In ogni caso, non sarei sopravvissuta. Era come se ogni parte di me si fosse pietrificata. Ero diventata una statua di sale, incapace di reagire agli stimoli esterni. Mi stavo lentamente lasciando andare all’oblio.
Poteva un vampiro morire di disperazione? A breve avrei trovato risposta a quella domanda.
Il vuoto che avevo dentro mi stava pian piano divorando, sentivo che la fine era vicina anche per me. Perché, se non fossi morta come speravo, sarei semplicemente diventata inerme, congelata sotto uno strato di neve. E se e quando mi fossi risvegliata non mi sarei più nascosta, non sarei più scappata da Klaus.
Avrei lasciato che mi annientasse, mettendo fine a quella caccia che andava avanti ormai da troppo tempo.
Alzai gli occhi sul cadavere più vicino, aiutandomi con le braccia e strisciando fino a raggiungerlo.
La sua pelle era grigia, le vene erano in rilievo. Non c’era più nulla da fare.
Un moto di disperazione mi pervase ed il mio corpo iniziò a tremare, scosso da spasmi. E gli spasmi furono seguiti ben presto dalle urla, urla strazianti che fino a quel momento avevo cercato di reprimere.
Le mie mani trovarono il suo viso, cingendolo dolcemente. Lacrime amare, dai miei occhi finivano sulle sue labbra dischiuse.
«Come hai potuto permettere che ti facessero questo?», sussurrai al cadavere, sfiorando ogni parte del suo volto. Le labbra, le palpebre, le sopracciglia. «Come io ho potuto permettere che ti facessero questo?».
La voce mi si ruppe ed una serie di singhiozzi ebbe la meglio, ma durò poco.
La neve aveva iniziato a scendere e posarsi, corposa. Tra qualche minuto, anche io sarei stata seppellita.
«Ti amo, Stefan. Ti amerò sempre».
Dire il suo nome ad alta voce era ancora più doloroso, ormai. Così decisi di non dire più niente, di aspettare la morte in silenzio. Appoggiai la  testa al suo petto, accoccolandomi al suo fianco come una bambina e chiudendo gli occhi.
Quello era il degno addio che avrei dato alla vita, al fianco dell’uomo che amavo. Perché senza di lui, sopravvivere non sarebbe servito a nulla.
Ma qualcosa cambiò. Avvertii un movimento nelle vicinanze, e i miei sensi si misero in allerta. Non sapevo neanche perché continuassi a reagire, ma era come se qualcosa mi dicesse che dovevo voltarmi.
E poi, la sua figura alta e slanciata mi apparve dinanzi agli occhi.
Sorrideva, lui sorrideva sempre.
Mi alzai di scatto, coprendo il corpo di Stefan con il mio e preparandomi a fronteggiarlo. «Tu».
Klaus alzò le mani, come se volesse proclamarsi innocente. Non sapeva che l’innocenza non era tra le sue scarse – se non inesistenti – qualità?  
S’inumidì le labbra con la punta della lingua, poi parlò. «Non temere, Katerina. Voglio solo proporti un accordo».
 
24 ore prima.

La luce filtrante dalla finestra aperta mi illuminò il viso, svegliandomi.
Era una specie di controsenso, in  effetti. Venivo illuminata dai raggi del sole proprio quando la mia intera vita stava crollando, cedendo il posto all’oscurità. Voltai la testa dall’altro lato, affondando il viso sotto le coperte. Odoravano di Stefan. O forse, ero io che sentivo il suo odore ovunque. Ne ero assuefatta, e più tempo passava senza che io lo vedessi, più il suo odore diventava forte. E più la ferita che portavo nel cuore bruciava, rendendomi impossibile andare avanti e dimenticare.
Ma come potevo dimenticare la mia unica ragione di vita? Stefan era l’unico motivo che mi dava la forza di aprire gli occhi ogni mattina. E saperlo al sicuro, lontano da me, era l’unica cosa che importava.
Lo avevo lasciato, lo avevo allontanato da me, avevo finto di non amarlo e di non averlo mai fatto. Era stata la cosa più difficile di tutta la mia esistenza, e lui non sapeva che lo avevo fatto soltanto per proteggerlo.
Perché Klaus, dopo la mia fuga, aveva minacciato di uccidere tutti coloro a cui tenevo come già in precedenza aveva fatto. Non potevo permettere che Stefan morisse, non per  colpa mia.
Mi sarei frantumata lentamente, ma almeno lui sarebbe stato salvo. E questo era il massimo a cui potevo aspirare in quel momento. Sarei morta cento volte, se avessi avuto la certezza che a Stefan non sarebbe stato torto un capello. Lui sarebbe andato avanti, aiutato dall’odio che in quel momento provava verso di me. Lui sarebbe riuscito a vivere anche senza me al suo fianco, ma io no.
Mi alzai pigramente dal letto, stanca anche dopo aver dormito – o almeno, dopo averci provato. Gli incubi si susseguivano e m’impedivano di riposare, ma ormai avevo capito che era quello il prezzo da pagare e andava bene così.
Avvicinandomi allo specchio, notai le occhiaie scure che mi circondavano gli occhi, la piega all’ingiù delle labbra, le iridi ormai spente, inanimate. La rabbia, rabbia ceca, mi pervase e, senza ragionarci troppo, lanciai una spazzola contro la superficie di vetro, facendola rompere in tanti piccoli pezzi. Al diavolo tutto!
Il mio desiderio più grande era quello di vedere Klaus morto. E se fossi stata proprio io ad ucciderlo, sarebbe stato ancora meglio.
Improvvisamente, un barlume d’idea mi colpì. Le mie speranze di felicità non erano del tutto perse, c’era ancora qualche spiraglio. Dovevo semplicemente.. beh, dovevo semplicemente uccidere l’ibrido.
Sul mio viso si dipinse un’espressione di crudele determinazione: gli avrei ficcato il paletto di frassino bianco nel petto con le mie  stesse mani. O almeno, sarei morta provandoci. Sempre meglio di stare lì, a piangersi addosso senza far nulla di concreto.
Trovarlo non sarebbe stato difficile: bastava che io uscissi allo scoperto. Klaus non si sarebbe lasciato scappare l’occasione, non di nuovo.
Armata di un rinnovato spirito di combattimento, uscii di casa il prima possibile. Ma la mia marcia s’interruppe subito, perché una rosa rossa dallo stelo lungo posata sui gradini della veranda catturò irrimediabilmente la mia attenzione. Mi fermai di colpo, studiandola per qualche attimo da lontano.
Era una delle rose più belle che avessi mai visto. Mi chinai per raccoglierla, affondando il naso tra i suoi petali. E l’odore, Dio, l’odore era così dannatamente meraviglioso da farmi scendere una lacrima. Sentivo il suo odore anche in un fiore, ormai.
«Sapevo che ti sarebbe piaciuta».
Alzai la testa di scatto, sobbalzando. E se il mio cuore non si fosse già fermato secoli orsono, probabilmente lo avrebbe fatto il quel momento. «Stefan».
Era la creatura più bella su cui avessi mai posato lo sguardo. Era alto, perfetto. Il suo viso sembrava un ritratto di un pittore dalla mano magica. I suoi occhi erano il mio cielo, il mio universo. Avrei potuto immergermi in quelle iridi e non uscirne più. Gli angoli delle sue labbra erano piatti, come se stesse cercando di captare qualche reazione.
E stavo proprio per lanciarmi verso di lui, quando ricordai che non potevo. Dovevo proteggerlo, almeno fin quando Klaus non fosse morto.
Ma lui era lì, davanti a me, e non lo vedevo da così tanto tempo che..
Mi morsi un labbro, reprimendo tutte le cose belle che in quel momento avrei voluto dirgli. «Non dovresti essere qui», mormorai, abbassando lo sguardo.
Stefan sembrò non curarsi minimamente delle mie parole, perché mi si avvicinò senza pensarci oltre. Ed era così dannatamente vicino che potevo sentire il suo respiro caldo sulla pelle. Se avesse continuato in quel modo, avrei retto davvero poco. «Cosa mi nascondi, Katherine?».
La domanda mi spiazzò. «N-nulla», balbettai, facendo per voltarmi e rientrare in casa. Ogni fiamma che la vendetta era riuscita ad appiccare dentro di me, si era spenta come se colpita da una secchiata d’acqua gelata. Ma un altro tipo di fuoco rischiava di prendere il possesso del mio corpo da un momento all’altro.
Mi afferrò il braccio con forza, facendo in modo che tornassi a guardarlo in faccia. «Non mentirmi più».
Le sue parole erano innocue, ma furono il tono di voce che usò e l’espressione con cui accompagnò la frase a distruggere ogni mia barriera. Era ferito, sofferente.
E in quel momento mi resi conto che nemmeno lui era riuscito ad andare avanti: eravamo le due parti di un intero, come avevo potuto dimenticarlo?
«Stefan, non sei al sicuro con me! Klaus mi vuole morta, e farà del male a tutti quelli a cui tengo. Non posso permettermi che ti accada qualcosa».
Ecco, avevo finalmente sputato il rospo. E i suoi occhi si riempirono di rabbia, ma anche di gioia e sollievo. «Non permetterò a nessuno di portarmi via da te. Non m’importa delle conseguenze».
Mi guardò negli occhi così intensamente che per un momento pensai di essere vicina allo svenimento. Come potevo dissentire? Come potevo dirgli che si sbagliava? Mi mancava la forza di allontanarlo di nuovo. Così, dissi semplicemente: «Sei tutto ciò che c’è di buono in me».
Lui mi afferrò all’improvviso, stringendomi a sé con tanta forza da farmi male, quasi. Ed essere stretta tra le sue braccia era come il paradiso, in quel momento. Un paradiso al centro esatto dell’inferno. «Ti proteggerò», sussurrò tra i miei capelli. «Ti proteggerò sempre. Anche a costo della mia stessa vita».
Il mio cuore si riempì di gioia. Ero un’egoista, lo sapevo, ma allontanarlo adesso sarebbe stato come piantarmi un paletto nel petto da sola. Anzi, forse uccidermi avrebbe fatto meno male.
Allentai la presa delle braccia solo per poterlo guardare in viso. «Ti amo come mai ho amato qualcuno prima, Stefan. Senza di te non potrei andare avanti».
Lui non rispose alla mia frase, ma i suoi occhi traboccavano d’amore. E, senza perdersi in parole ormai scontate, sfiorò delicatamente le labbra con le mie.
E fui costretta a correggermi, perché era quello il vero paradiso. Le labbra quasi mi bruciavano, il contatto con le sue mi mandava letteralmente in fiamme.
E quello che era nato come un casto e dolce bacio, si trasformò in tutt’altro.
Le nostre lingue si incontrarono con rapidità, ritrovandosi e prendendo confidenza l’una con l’altra come se non si fossero mai separate. Le mie mani affondarono tra i suoi capelli e lui mi afferrò dalla vita, stringendomi a sé con foga e desiderio.
Eravamo destinati a stare insieme, io e Stefan. Potevamo cercare di dividerci, di allontanarci per il bene dell’altro, ma ciò che ci legava era semplicemente.. troppo forte perché uno stupido incidente di percorso lo recidesse. Ci appartenevamo in ogni modo in cui qualcuno può appartenere a qualcun altro. Spiritualmente, fisicamente, mentalmente. E non avrei potuto desiderare di meglio.
Lasciai che la rosa mi cadesse di mano, mentre Stefan mi conduceva verso la camera da letto. E quelle lenzuola, quelle lenzuola su cui per mesi avevo sentito il suo odore, adesso erano felici di accoglierlo di nuovo, come se non fosse mai andato via.
Sentivo la pelle prendere fuoco nei punti in cui le sue labbra si posavano, e i vestiti che ci coprivano finirono sul pavimento in men che non si dica.
Io ero sua, lui era mio. Ogni altra cosa era impensabile.
Gli offrii il collo, come da nostra vecchia tradizione, e il piacere che mi provocò l’affondare dei suoi canini nella vena era indescrivibile. Lo strinsi a me con tutta la forza che avevo.
Erano tante le cose che avrei voluto dirgli, ma bastava guardarlo negli occhi per capire che lui le sapeva già. Lo amavo così tanto che faceva male. Avrei dato la vita per lui senza pensarci due volte. E, se ci fossimo separati un’altra volta, sarei morta.
L’istante dopo lo sentii dentro di me, e quel nostro collegamento fu finalmente completo. Era come se le nostre menti e i nostri corpi si fondessero, come se stessero diventando una e una cosa sola. Lui poteva guardare nella mia testa e io nella sua, perché era come se tra di noi non ci fossero più barriere.
E l’unica cosa che risultava era il nostro reciproco amore ed il desiderio ardente di uccidere Klaus.
Mi abbandonai totalmente a lui, lasciando che la passione ci divorasse fino a consumarci.
 
Ero appoggiata sul suo petto, guardandolo in viso con un sorriso felice. Lui giocava con i miei capelli, ed ogni tanto mi sfiorava la guancia con un dito. Come se non potesse farne a meno, come se volesse avere la certezza che tutto quello fosse reale. «Mi sei mancata», mormorò.
Mi allungai per baciarlo, indugiando sulle sue labbra. Mi era mancato anche lui, ma era inutile dirlo. Lo sapeva.
«Dobbiamo trovare una soluzione», disse continuando, il suo sguardo che improvvisamente diventava serio e distante. «Non posso permettere che tu continui a vivere con questo terrore. Voglio trovare Klaus e farlo fuori una volta per tutte».
Ebbi un fremito. «Ed io non posso permettere che tu corra qualche pericolo. Se ti accadesse qualcosa, io..».
La voce mi si ruppe e gli occhi mi divennero lucidi al solo pensiero. Stefan se ne accorse, e il suo sguardo si sciolse nuovamente. «Ehi», mi chiamò, afferrandomi il mento tra il pollice e l’indice. «Sta’ tranquilla, nessuno ci farà del male. Possiamo andarcene, insieme. Andare lontano e non tornare mai più, in modo tale che nessuno possa trovarci».
La sua idea mi piacque probabilmente più del lecito, e dimostrai il mio entusiasmo aprendomi in un sorriso. Accidenti, quello sì che era un ottimo piano. Se fossimo andati lontano, magari dall’altra parte del mondo, in un posto sperduto tra le campagne Europee, Klaus non ci avrebbe mai trovato. «Andiamo via allora. Adesso».
Lo sguardo di Stefan mi comunicò che era d’accordo. Mi sarei aspettata che rimandasse la partenza almeno di un giorno, per salutare suo fratello Damon, ma non era così. Voleva andare via con me quasi quanto lo volevo io.
Afferrammo le poche cose che avrebbero potuto servirci, un cappotto e dei documenti falsi, e uscimmo di casa.
Stefan mi afferrò la mano, guidandomi verso una strada isolata. «Sarà meglio non farci vedere, ti pare?», si giustificò, e io acconsentii con un sorriso. Non m’importava nulla, se non partire il prima possibile.
Ma non sapevo che avrei pagato quella noncuranza a caro, carissimo prezzo. Perché nessuno dei due si sarebbe mai aspettato un agguato di ibridi a nostro discapito.
Oh no, pensai. Non eravamo stati abbastanza veloci. Il mio primo impulso fu di fare scudo a Stefan con il mio corpo, ma lui mi precedette. Mi si piazzò davanti, e la mia unica possibilità era di coprirgli le spalle.
Eravamo circondati.
Otto paia di occhi ci fissavano, avvicinandosi minacciosamente. E Stefan era rigido quanto me, lo sentivo.
Chi avrebbe sferrato il primo attacco?
Loro, scoprimmo presto.
Ci divisero in pochi attimi, quattro per ognuno. Era un combattimento sleale, proprio degno di Klaus. Stefan riuscì ad abbatterne due strappando loro il cuore dal petto, io feci lo stesso con un altro.
Non provavo compassione per loro, erano peggio di robot. Non avevano un cervello proprio, non più almeno. L’unica cosa di cui si curavano era assecondare Klaus.
Riuscii a strappare un altro paio di cuori, così come il mio compagno. In poco tempo, tutti gli ibridi furono sterminati. Ma quel combattimento era sembrato troppo, troppo facile. Quegli ibridi sembravano una specie di distrazione da quello che sarebbe stato il vero colpo a sorpresa. E sentivo di dover stare attenta, molto attenta.  
E poi successe.
Lo vidi chiaramente, l’ibrido che, nascosto tra gli alberi, arrivava alla schiena di Stefan.
E sapevo cosa stava per accadere, il mio sesto senso lo aveva capito prima di me.
Proprio nell’istante in cui io gridavo a Stefan di spostarsi, l’ibrido gli piantò un paletto nel cuore.
 
Adesso.

«Che diavolo vuoi ancora?». Strinsi i pugni, minacciosa. So che non avrei potuto nulla contro di lui, ma almeno sarei morta con onore, difendendo l’amore della mia vita.
Klaus fece spallucce, avvicinandosi a me. «Che ne dici di uno scambio? Una vita per una vita».
Mi paralizzai di nuovo, fissando lo sguardo nel vuoto. Non poteva dire sul serio. O forse ero io ad aver capito male? «Spiegati».
Sorrise, sedendosi su un tronco sporco di neve. «Sai, ho amiche streghe potentissime. E guarda caso, una è proprio qui con me. Coraggio tesoro, vieni avanti. Non mordo mica».
Un’esile donna si fece avanti, tremava. L’ironia di Klaus mi sembrò, come sempre, del tutto fuori luogo.
Non capivo cosa stesse succedendo. O meglio, il mio cervello cercava disperatamente di elaborare quelle informazioni che l’ibrido mi stava fornendo. Ma proprio non riuscivo a credere che fosse possibile una cosa del genere. «Stai dicendo che potresti.. far tornare Stefan in vita?».
Allargò le braccia. «Certo che potrei, ma sai cosa voglio in cambio».
«La mia vita». Lo dissi come se fosse una certezza. Non avevo bisogno di sentirlo dire ad alta voce, lo sapevo. Lui si limitò ad annuire.
«Accetti?».
Non avevo bisogno di pensarci nemmeno per un istante, perché sapevo che era esattamente ciò che volevo. «Come faccio a sapere che non menti?».
Klaus roteò gli occhi, facendo un cenno alla strega alla sue spalle.
E dopo qualche minuto e una serie di parole in una lingua sconosciuta, Stefan si mosse.
Sgranai gli occhi, avvicinandomi a lui. «Stefan!».
«Ora sai che non mento», disse l’ibrido.
Scoppiai in lacrime, gettandomi accanto al corpo del vampiro. La sua pelle stava tornando di un colore normale quasi, iniziava a muoversi. E io stavo tremando per la gioia. «Stefan, sei vivo!».
Lui sbatté le  palpebre, poi mi guardò negli occhi. «Katherine, cosa..». Cosa è successo, avrebbe voluto chiedermi. Ma non gli diedi il tempo di esprimersi. Premetti le labbra sulle sue, stringendolo con tutta la forza che possedevo. «Non importa, non importa. Non parlare, tranquillo», sussurrai .
Klaus sbuffò. «Per quanto questa scenetta sia commovente,non possiamo stare qui tutta la vita».
Il mio primo impulso fu di ringhiargli contro, ma non volevo sprecare nemmeno uno dei momenti che mi restavano da condividere con Stefan. Tra pochi minuti sarei morta, e lui non sapeva nemmeno cosa stesse succedendo.
«Ti amo, Stefan», mormorai tra le lacrime e i singhiozzi. «Ti amerò per sempre».
Stefan assunse un’espressione confusa, ma che tendeva ad andare sul tragico. Stava iniziando a mettere insieme i pezzi. «Katherine..», mormorò allarmato.
Lo zittii. «Devi promettermi che andrai avanti, che la mia morte non t’impedirà di essere felice. Devi promettermi che farai di tutto per vivere proprio come faresti se io restassi qui con te. E se la mia  mancanza si farà troppo dura da sopportare, ricorda tutti i bei momenti che abbiamo passato insieme. Ricorda quanto ti ho amato. Ricorda le risate, i baci, le cose belle. Non ricordare questo, cerca di dimenticarlo. E non pensare nemmeno per un momento che io possa abbandonarti, perché rimarrò al tuo fianco per l’eternità».
Non fiatò. I suoi occhi erano pieni di lacrime. Se avesse aperto bocca sarebbe scoppiato.
Klaus rimase a guardare, impassibile. Non avevo la forza di staccarmi da lui, ma dovevo farlo. Era per il suo bene. Così, senza dire altro, mi allontanai dall’unica persona che avessi mai realmente amato in tutta la mia vita.
Presi un respiro profondo. «Sono pronta», sussurrai abbassando il capo per un secondo. Ma non sarei morta da codarda. Rialzai lo sguardo per fissarlo in quello dell’ibrido dal cuore di pietra.
«Perfetto!», esclamò lui. «Gloria, procedi».
L’attimo dopo, il nulla.
 
 
Un anno dopo.

Non riuscivo a stare in quel posto senza non provare dolore. Lo stesso dolore che, probabilmente, aveva provato lei quando pensava di avermi perso per sempre.
Ma ora ero io ad averla, e non ci sarebbe stato nessuno a riportarla indietro, a riportarla da me.
Costrinsi i piedi a muoversi uno avanti all’altro fino alla tomba. Non c’era lapide, lei non aveva bisogno di scritte e insegne per far sapere al mondo quanto fosse magnifica. Era come una stella, brillava di luce propria.
Non andavo a trovarla da così tanto tempo che mi sentivo in colpa. Avevo cercato di mantenere la promessa, ci avevo provato davvero. Ma la vita senza di lei era insignificante. Sapere di non poterla stringere, di non poter sfiorare le sue labbra, giocare con i suoi capelli, mi faceva impazzire.
Ed era successo tutto per salvare me.
Mi lasciai cadere contro il tronco di un albero, prendendomi la testa tra le mani.
Poi piansi. Piansi come nemmeno alla sua morte avevo fatto. Urlai, sfogai la mia rabbia, rendendomi conto che mi ero tenuto tutto dentro fino a quel momento.
Katherine non c’era più, avrei dovuto abituarmi a quell’innegabile evidenza. Ma la sua mancanza bruciava come sale sulle ferite, e per quanta volontà ci mettessi, sapevo che non sarei mai stato bene.
Un alito di vento vece rotolare qualcosa ai miei piedi. Era una rosa, una rosa rossa. Molto simile a quella che le portai quel fatidico giorno.
La presi, stringendola tra le mani per un secondo e chiudendo gli occhi.
Non stavo mantenendo la mia promessa. Non stavo vivendo come lei mi aveva chiesto di fare. Ma come aveva potuto chiedermi una cosa del genere? Come aveva potuto sperare anche solo per un secondo che io tornassi ad essere felice? Era come se fossi diviso in due. O almeno, il mio cuore lo era.
M probabilmente.. beh, probabilmente lei per me lo avrebbe fatto. Ci avrebbe messo più impegno nel provarci. E glielo dovevo, tutto sommato.
Alzandomi, posai la rosa sulla sua tomba di terra, sussurrando un «Ti amo» al vento.
E, mentre stavo andando via, ricordai l’ultima delle sue promesse.
Sarebbe rimasta con me, sempre. Non mi avrebbe mai lasciato davvero.
E da quel momento decisi di crederci.
   
 
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