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Autore: _Ella_    16/11/2012    6 recensioni
Roxas non odia la sua vita, né le persone che ne fanno parte, non odia la sua città, non odia neppure ciò che non può avere.
Non odia, ma non ricorda neppure l'ultima volta che ha amato, e allora è tutto grigio.
Genere: Angst, Drammatico, Malinconico | Stato: completa
Tipo di coppia: Shonen-ai, Yaoi | Personaggi: Axel, Riku, Roxas
Note: AU | Avvertimenti: Tematiche delicate, Triangolo | Contesto: Nessun gioco
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Once upon a death.

 

C’era una volta, ormai tempi orsono, una principessa tenuta prigioniera da un feroce drago sputa fuoco.
Ahimè solo un valoroso principe, armato della forza del vero amore, avrebbe potuto un giorno liberarla dalla prigionia cui era costretta.

 

Roxas non aveva mai creduto alle favole.

 
Quel mattino piove, e storcendo il naso il ragazzo sospira, afferrando l’ombrello un po’ rotto poggiato ai piedi della porta, sul pavimento pulito: il ferro puntuto esce fuori da un angolo, la stoffa si ripiega all’indentro, e probabilmente qualche goccia lo bagnerà sicuramente, visto che ha qualche buchino nel tessuto.
Esce fuori e il vento lo investe. È caldo, anche se piove forte, e la cappa grigia del cielo è opaca come un batuffolo di polvere. Apre l’ombrello e si stringe nella felpa perché non vuole bagnarsi, e sistema meglio la cartella sulla spalla, che con dentro la bottiglietta d'acqua mezza piena, due quaderni ed un libro che parla della concezione delle streghe dall'Impero Romano ad oggi è pressoché vuota. Ah, sì: ci sono anche una penna nera ed un evidenziatore verde, che se gli serviranno dovrà cercare tra tutte le cartacce e i pacchetti di fazzoletti vuoti.
Roxas non odia la sua vita, né le persone che ne fanno parte, non odia la sua città, non odia neppure ciò che non può avere.
Non odia, ma non ricorda neppure l'ultima volta che ha amato, e allora è tutto grigio. Ma infondo il grigio è un colore che gli sta bene, perché non implica alcun tipo di sforzo, non implica nessuna sfumatura più intensa.
Un giorno si è messo a pensare, in quelle rare occasioni in cui lo fa sul serio e non tanto per estraniarsi dal mondo, o perché non ha niente di meglio da fare per occupare il tempo libero della sua giornata monotona. Ha pensato che in fondo quel che cerca ognuno è l’equilibrio dei sensi, e lui è riuscito ad averlo, e dovrebbe esserne felice. Dovrebbero invidiarlo. Poi però gli è purtroppo capitato di continuare a pensare. Ha immaginato un catodo, un anodo, ed ha riflettuto che senza quella differenza di potenziale non ci sarebbe alcun movimento, gli elettroni non correrebbero, non ci sarebbe niente, nessuna scintilla, o un minimo di energia.
Se Roxas avesse avuto qualcosa, forse si sarebbe messo a piangere.
Ma Roxas non piange, ogni tanto si chiede se l’ha mai fatto, magari da bambino, quando ancora sapeva sorridere, quando ancora c’era qualcosa che smuoveva la sua curiosità e lo faceva sbagliare e conoscere. Si chiede qualsiasi cosa, ogni giorno, ma sono anche le risposte che gli mancano nella sua vita grigia come quel cielo.
È per questo che, a quindici anni, non può fare a meno di Axel.
Axel è il suo opposto, praticamente è tutto, perché in fondo Roxas sa di non essere niente. Axel è instabile, senza forma e senza logica, è una di quelle persone imprevedibili e consce di esserlo, una di quelle persone che ti affascinano se sorridono, se fumano, se pensano (ma in movimento continuo e costante com’è, riesce mai a fermarsi e pensare davvero?).
Roxas però non è affascinato da lui, in fondo non prova niente per nessun altro. Gli è semplicemente grato, forse, ma del resto potrebbe avere quel che gli dà da chiunque altri.
È che quando fanno sesso lui dimentica per un attimo di essere il nulla più totale, e allora riesce a godere, riesce ad urlare, riesce a piangere e sentire, e gli sembra quasi di essere instabile, gli sembra di essere una persona come tante altre.
Axel lo prende in giro per questo, ma non gli importa. Gli rinfaccia che sta con lui solo per scopare, e gli risponde che è vero, perché non gli importa nient’altro di lui – non gli interessa che veda altri ragazzi, non gli frega un accidente che si buchi e si faccia le canne, che sparisca per giorni senza motivo, che suo padre sia morto e sua madre faccia la puttana. Quando glielo dice con quella calma perenne che incornicia il suo volto da bambola, Axel di solito se lo fotte a secco, e anche se piange per il dolore sta bene, perché finalmente si è ricordato come ci si sente a soffrire, per un breve attimo prima che goda da impazzire.
Roxas non riesce ad amarlo, non sa come fare. Probabilmente se provasse qualcosa lo odierebbe da morire.
 

La principessa passava le sue giornate a fissare il grande fossato e gli sterminati boschi dalla piccola finestra nella torre, ed aspettava.
Non sapeva neppur ella cosa, ma aspettare e sperare erano le uniche cose concessale, ed era questo che quindi faceva.

 
Quando entra in classe è ormai fradicio, perché l’ombrello si è ripiegato sotto la forza del vento, ed ha passato gli ultimi cinque minuti di strada sotto l’acqua sporca della pioggia.
Sbuffa e prende posto, nel suo banco a due posti che usa solo lui, perché in classe sono dispari, e si rintana contro il muro, lanciando la cartella sull’altra parte del banco, ed osserva le goccioline che lasciano il tessuto per scivolare sulla superficie lucida. Sta tremando di freddo e gli gocciolano il viso ed i capelli, ma non gli interessa.
«Ben ti sta».
Roxas alza gli occhi, lentamente, e lo sguardo scivola lungo il petto di Riku, carezzano il mento, si soffermano sulle labbra ed infine si impiantano nei suoi occhi imperturbabili – non sono come i suoi, non sono morti o spenti, sono semplicemente freddi. «Cosa?» chiede.
«Quando ti ho detto di cambiare l’ombrello, una settimana fa» comincia, e si siede al proprio posto, quello avanti al suo, la schiena contro il muro, «mi hai detto che non te ne fregava niente».
«Ho preso solo un po’ d’acqua».
Riku ride, quella risata ironica e saccente che fa sentire tutti fuori posto – ma Roxas non ci riesce a provare disagio. «Se non fosse che sei costantemente strafottente, ti darei del bugiardo».
«Non ho mai detto bugie».
«Lo so» ammette, ed allungando il braccio alle sue spalle apre la finestra, lasciandola scorrere sull’asse – il vento gli sta scompigliando i capelli, e la frangia vola via dagli occhi (Roxas lo guarda, lo guarda e non sa perché). «Ieri sei stato con Axel?».
«No» posa la testa sul pugno, e chiude gli occhi, leggermente stanco. «Non lo sento da cinque giorni, forse».
Riku ride ancora, Roxas trema – sono i brividi di freddo, pensa. «Come puoi non fregartene nulla, state assieme da… più di un anno?».
«Non stiamo assieme» sposta lo sguardo dai suoi occhi, e fissa gli altri compagni, in giro per l’aula o seduti sui banchi, a chiacchierare come loro due. «Scopiamo solo. E non mi piace neppure – potrebbe essere lui o chiunque altri».
L’altro annuisce, e si sposta i capelli dalle labbra, perché il vento ce li ha portati sopra, e sono rimasti incastrati tra i due cuscinetti. «Comunque oggi la ricerca la dobbiamo fare a casa tua, mia sorella ha rotto il computer».
«Ok» dice. Avrebbe dovuto trovare un motivo per dire a sua mamma di andarsene, perché altrimenti sarebbe stata tra i piedi tutta la giornata. «Alle quattro?».
«Le quattro» conferma Riku, poi si gira avanti perché è entrato il prof, e Roxas si prepara alla ramanzina perché “non ha studiato neppure per quella volta”.
Guarda il cielo fuori. Ha smesso di piovere, ma è sempre grigio.

Riku è arrivato puntuale, e in un’ora hanno anche finito di cercare notizie in rete per approfondire la lezione sulle cellule con qualche notizia non detta dal professore, o che magari non è scritta sul libro. Ogni volta che si trovano a studiare assieme l’albino lo guarda quasi sorpreso, perché si rende conto che conosce il programma a memoria, eppure quando lo interrogano non dice una parola.
È che a Roxas non va di parlare, di essere messo sotto interrogatorio, allora semplicemente finge di non aver studiato finché sa che non si giocherà l’anno scolastico. Non gli interessa molto di essere bocciato o meno, ma sua madre ci tiene, allora fa uno sforzo. Roxas non ha neanche paura di non avere un futuro, in fin dei conti.
Quindi ora giocano a Silent Hill, e sbottano insulti e sobbalzano – lo fa anche lui, ma perché in fondo non sta vivendo la sua vita in quel momento, ma quella anonima del personaggio sullo schermo.
«Morto di nuovo» Riku sbuffa, e lascia scivolare il controller per terra, stiracchiando la schiena – gli punta addosso i suoi occhi verdi, curiosi, intensi, poi fissa il cellulare che vibra per terra, illuminandosi a tratti. «È la… decima chiamata in due minuti? Perché non rispondi?».
«È Axel» sbotta, scrollando le spalle. «Avrà cose da dirmi, non mi va di stare ad ascoltarlo».
«Bello stronzo» ride l’altro, alzandosi in piedi per poi stendersi sul suo letto. «Magari vuole farlo, boh».
Roxas si allunga, spegne la play e non trovando il telecomando ignora il televisore, lo schermo tutto blu, e lo raggiunge sul lettino, accomodandosi ai suoi piedi. «No. Axel di solito mi fa prima la ramanzina per non essermi fatto sentire, si comporta da ragazzina innamorata ed urla, poi mi tira uno schiaffo, mi scopa e mi spegne addosso la sigaretta dopo il sesso».
«Che romantici» Riku ride ancora. Roxas non sa perché. «Se ti fa incazzare come si comporta trovane un altro, no?» ma lui scuote la testa e scrolla le spalle, scivolando sul letto, tra il suo corpo ed il muro.
«In realtà non gli frega niente che non mi interessi, vuole solo il mio culo, è che forse così si sente meno in colpa, visto che sono minorenne».
«Magari gli interessi davvero».
«Se fosse così non sparirebbe a caso, pensando di farmi un dispetto, credo» sussurra, e poggia la guancia sulle braccia incrociate. «Ma se se ne andasse non mi importerebbe. Quello che cerco da lui è il sesso, sarebbe uguale con chiunque – solo che non mi va di cercarne un altro».
«Uguale, dici?» chiede, piegando le labbra in un sorriso obliquo, non molto convinto. «Forse perché in effetti provi la stessa apatia per chiunque…» aggiunge poi, pensando a voce alta, ma comunque è un sussurro. «Quindi pensi che… che se tu lo facessi con me, sarebbe come farlo con Axel?».
Roxas annuisce. «Non saresti lui, ma io proverei le stesse cose. Il sesso è fine a se stesso, dopotutto».
Si aspetta che dica qualcosa, in realtà. E quando Riku rimane in silenzio si sente infastidito, e ne rimane turbato. Non si infastidisce neppure in estate, quando fa troppo caldo ed ha sonno e le zanzare gli ronzano nell’orecchio.
«Quindi se ti violentassero godresti anche, Roxas?» gli occhi acquamarina scivolano nei suoi – li stanno distruggendo, li stanno penetrando come lame acuminate. «O proveresti paura?».
«Penso che starei buono ad aspettare che finisca».
Riku ride, gelido, senza allegria o divertimento o fastidio. È semplicemente una risata che non sta dicendo nulla, nulla di quello che probabilmente vorrebbe dirgli. Forse lo ha fatto perché altrimenti il silenzio sarebbe ancora più distruttivo – ma lui che non è, può essere distrutto?
«Vado» sbotta, alzandosi in piedi e infilando velocemente le scarpe da ginnastica che ha lasciato lì di fianco al letto. «E la ricerca me la prendo io perché tu la dimentichi sicuro» dice, afferrando i due fogli stampati dalla scrivania.
Roxas gli punta addosso gli occhi, osservando la sua schiena, poi il suo viso quando si volta a guardarlo. «Ok» sbotta, e lo fissa finché non va via, lo segue con la mente finché non sente la porta sbattere.
Non sa perché, ma per un attimo ha sperato restasse lì con lui.
 

Un giorno il drago sputa fuoco notò che la principessa stava troppo tempo a guardar fuori, e vide la speranza nei suoi occhi di cielo.
Sbarrò la finestra, e l’unica possibilità che avesse di conoscere altro se non lui, perché era profondamente geloso.

 
Axel fuma, steso lì di fianco nel letto – Roxas una volta si era chiesto quanta gente fosse passata lì prima e dopo di lui, poi aveva riflettuto che non gli importava, perché non aveva senso dare importanza a qualcosa del genere.
«Perché ieri non hai risposto alle chiamate?» gli chiede, e spegne il mozzicone sul comodino pieno di cenere e occupato da alcuni preservativi sporchi, oltre che da una bustina di erba e una bottiglia di alcol puro.
«C’era Riku, a casa».
«Riku?» Axel gira il viso, per guardarlo in volto – Roxas è a pancia in giù, e con la guancia poggiata sulle braccia incrociate lo fissa a propria volta (vorrebbe un cuscino, ma l’unico Axel se l’è preso, e non gli va neppure di chiedergli di fare a metà, non importa). «E chi cazzo è Riku?».
È incazzato. Roxas avrebbe dovuto aspettarselo, perché Axel non vuole gli si dia minore importanza di quella che si attribuisce da solo, ed il fatto che sia egocentrico è tutto dire. Si stringe nelle spalle, gira la faccia dall’altra parte e chiude gli occhi, stanco, perché lo hanno fatto tre volte e si sente distrutto, gli fa male ovunque, soprattutto il culo, e i polsi che gli ha legato con le manette alla testata del letto – ci sono i segni, probabilmente non andranno via prima di tre giorni.
«Uno» dice, quando si ricorda di farlo.
Sente il letto cigolare sotto il peso di Axel, che si è alzato e adesso è sopra di lui, gambe e braccia ad intrappolargli il corpo. «E perché stavi con uno, invece di pensare a me?».
«Avevamo una ricerca» risponde atono. Sa che il suo menefreghismo lo innervosirà ancora di più, perché non sta dando importanza alla sua gelosia, non sta dando importanza a niente, neppure all’eventualità di essere picchiato come quella volta che l’ha beccato a letto con qualcun altro, e invece di incazzarsi ha detto “Oh, scusa, passo dopo”, ed ha chiuso la porta.
Axel non ha senso, pensa. Forse è lui che non ne da a nulla.
Poi sente le sue labbra sul collo, le sente scivolare sulle spalle, fino al centro della schiena. Sente la sua mano tirare giù le lenzuola con cui si copre, ed alza il bacino quando col palmo aperto inizia a carezzargli la pancia, per lasciarlo fare. Roxas sospira, ed anche se gli fa male ovunque non gli importa, non gli importa davvero nulla.
«Una ricerca» ride, e comincia a massaggiargli il pene non ancora eretto – ma davvero, ci metterà poco per eccitarsi. «E avete scopato?».
«No» risponde, in un soffio, però poi gli viene da dire ancora altro, e capisce un attimo prima di pronunciare quelle parole che è davvero la fine: «Ma avrei voluto».
Quando Axel lo prende senza neanche aspettare che sia eccitato, senza nemmeno una carezza di preparazione – nulla, nulla, gli ha dato niente anche questa volta – Roxas non può fare a meno di pensare che tuttavia con Riku potrebbe essere diverso.

 
Se quel giorno la finestra fosse stata aperta, la principessa avrebbe potuto vedere un giovane principe aggirarsi nei pressi della torre.
Avrebbe potuto chiedere aiuto.
Ma la finestra era chiusa, e la principessa non riusciva a vedere nient’altro che tegole di legno marcio.

 
Piove, e Roxas sbuffa, perché sua madre non gli ha comprato l’ombrello nuovo, e lui non ha avuto il tempo di farlo.
È aprile e fa caldo, e la pioggia probabilmente lo infastidisce, ma non ne è sicuro. Esce dal portone della scuola ed abbottona la felpa che ha indossato sulla maglia a mezze maniche, sperando non peggiori, ed infila le mani nelle tasche che si stanno sfondando, ma del resto quella felpa è vecchissima, forse ha un paio di anni.
Quella giornata a scuola non è stata delle migliori, ma sicuramente meglio di quella passata nello sgabuzzino delle scope al terzo piano, solo perché un gruppo di ragazzi del quarto anno avevano deciso di infastidirlo. Per fortuna aveva il suo cellulare, ed ha passato il resto delle due ore e passa a giocare a Fruit Ninja e Temple Run, finché uno dei bidelli non l’ha trovato. Almeno ha scampato l’interrogazione di latino, pensandoci.
«Ehi». Roxas si ferma, al centro del marciapiede, gli altri ragazzi che passano non fanno che scontrarglisi contro, ma lui sta fissando Riku che gli si avvicina, e non se ne accorge neppure; quando la pioggia smette di battergli in testa perché lo ha coperto col proprio ombrello, automaticamente gli si avvicina di più, ad un soffio dal suo viso. «Posso accompagnarti a casa, se vuoi».
«Se voglio?» lo voleva? «Non importa» .
L'altro rimane in silenzio, lo sta squadrando con calma mentre gli altri ragazzi sbuffano e li rimbeccano malamente di togliersi dai piedi, perché danno fastidio. Roxas non li ascolta, e se volesse rispondere non è davvero sicuro che avrebbe potuto farlo, perché ha la bocca secca, per qualche strano motivo. Riku poi fa un sorriso strano, e comincia a camminare - automaticamente, Roxas lo segue. «Peccato» dice, continuando a sorridere. «Fino a poco fa eri l'unica persona che conoscessi a non aver mai detto bugie» continua, soddisfatto, e Roxas si chiede se essere bugiardi significa anche provare qualcosa e non dire niente, perché anche se fa caldo e piove ed è umido, sotto quell'ombrello si sente meglio di quando è nel letto a casa propria, ed ha trovato la posizione perfetta per stare comodo e prendere sonno.
Schiude la bocca per parlare, perché se fosse stato un giorno uguale a tutti gli altri lo avrebbe detto, perché lui infondo dice quel che pensa ogni volta, che sia un commento scomodo o disinteressato o qualsiasi altra cosa. Fissa in silenzio la mano di Riku che tiene la presa sull'ombrello, e richiude le labbra, alzando il braccio per sfiorargli il dorso di pelle chiara con i propri polpastrelli, assorto.
Riku si è fermato, ma Roxas non l'ha neppure notato. Riku si è fermato e lo sta fissando, il naso a sfiorare il suo, ma Roxas è davvero troppo confuso ed agitato per poter alzare viso e sguardo ed incrociare il suo acquamarina. Potrebbe, ma non ce la fa.
«Pensavo...» sussurra, e lo fa pianissimo perché la verità è che ha paura di aprire di più la bocca, ha paura di non riuscire più a sentire il battito del proprio cuore ed il respiro di Riku che gli accarezza il viso, «che oggi potresti venire da me, se ti va».
«Certo» annuisce, e gli carezza la guancia col dorso della mano – le sue labbra sono sulle sue, ferme, dolci, morbide, e socchiudendo gli occhi Roxas le fa schioccare in un'infantile bacio da bambino.
Se ricordasse ancora come si fa a sorridere di cuore lo farebbe, in quell'istante. Perché stanno portando in due l'ombrello e le loro mani si stringono, e Roxas si sente leggero come i chicchi di pioggia che cadono dal cielo, e vorrebbe fargli capire che, in qualche modo che non capisce, è felice.
In realtà sta già sorridendo – perché per quanto passi il tempo è una delle cose che non si dimenticano – e allora Riku gli stringe più forte la mano.
 
Il suo mondo non è mai girato attorno niente e nessuno, tantomeno se stesso, ma Roxas capisce che Axel vorrebbe che volteggiasse attorno a lui, perché è egocentrico, è narcisista.
Lo capisce, ma non gli interessa neppure, perché lui non vuole dargli più importanza di quella che ha – Axel vale niente esattamente come lui, perché è niente che gli ha dato giorno dopo giorno.
Riku invece lo ha fatto sentire felice, ed era una sensazione che era troppo tempo che non riscopriva – l'apatia stava sparendo, perché la felicità richiama la tristezza, l'equilibrio si disintegra, e si smuovono mille altre cose.
Roxas sta piangendo, steso sul letto di camera sua, piange tutte le lacrime che avrebbe dovuto piangere in quindici anni di esistenza, in uno sfogo tardivo.
La verità è che ha paura, perché il grigio era una consolazione alla sua incapacità di affrontare i problemi, ha paura perché non sa come Axel potrà prenderla – non ha più bisogno di lui per ricordarsi di essere vivo, non più. Ha paura perché essere vivi significa dover morire e soffrire, soprattutto.
Preme i palmi sugli occhi gonfi ed umidi e respira tremolante, sconvolto dalla potenza di quelle emozioni che non credeva poter avere, che aveva dimenticato di possedere.
Si alza, prende fiato cercando di calmarsi, e poggia le mani sul davanzale della finestra, umido perché è continuato a piovere e si è dimenticato di chiudere, e i suoi piedi nudi poggiano infatti su un piccolo lago d'acqua piovana. Non gli importa, di nuovo.
Vivere significa dover morire.
 

Pioveva a dirotto quella notte ed il drago sputa fuoco si rintanava nell'androne della torre, senza sorvegliare la finestra.
Il principe era ormai lontano, riparato dal fitto fogliame della finestra, in attesa che il buio rischiarasse ed il cielo smettesse di piangere.
Con le mani piene di schegge la principessa ruppe anche l'ennesima tegola, e salendo sul davanzale in pietra si sporse, i piedi nudi a penzoloni nel vuoto.
Era libera, ma non c'era nessuno a spiegarle quanto la libertà vale.

Il suo corpo cadeva lungo il fianco della torre molto più veloce dei pezzi di legno distrutti.

 

Roxas non aveva mai creduto alle favole.

Se non fosse annegato nel suo stesso sangue annacquato, forse avrebbe iniziato a farlo.

 

Il drago ringhia, ma in fondo gli basterà trovare un'altra principessa.
Il principe rimane inerme, e inerme resterà per tutta la vita, finché non ci sarà un'altra principessa da salvare.

 

Roxas non aveva mai creduto alle favole.

Forse perché era a conoscenza di quale fosse la propria.
 



Tecnicamente questa storia non ha molto senso, in effetti. Doveva essere una p0rn, un tempo, poi... beh, diciamo che l'apatia sconvolgente di Roxas mi ha rapito, purtroppo Sarà che ieri sera ho visto BrokeBack Mountain - FOTTUTO FILM PERFETTO.
Allordunque, non ho molto da dire, tranne che fanculo, è la seconda volta che faccio l'html, perché la prima mi ha cancellato tutto ç_ç
Quindi adieu (?) fatemi sapere cosa ne pensate, anche perché mi rendo conto che lo stile sia decisamente... cambiato, in un certo senso D:
Alla prossima beibies <3

See ya!

   
 
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