L’ALTRA
FACCIA DELLO SPECCHIO.
Devo fare presto, non ho molto tempo.
Il
respiro si fa sempre più affannoso e l’aria sembra bruciare i polmoni ad ogni
passo in più. Il sangue scorre veloce nelle vene ed il cuore sta pompando
follemente; ho la vivida impressione, che da un momento all’altro potrebbe
squarciare il mio petto per uscirne fuori.
Lo ha fatto un’altra volta. Mi aveva promesso di smettere, ero stato categorico
due settimane prima quando finalmente avevo scoperto il suo segreto.
Gli avevo detto chiaramente, che se solo ci avesse riprovato, avrei rinnegato
il mio stesso sangue, ma lui placido, come sempre, mi aveva giurato che non
sarebbe più successo, che quella era una storia conclusa ed io mi ero fatto
impietosire. Ci avevo creduto, avevo creduto alle sue parole vane. Oh…… è sempre stato così bravo a convincermi. La sua dote oratoria è
eccezionale, sicuramente migliore della mia. E’ bravissimo a raggirarmi.
Se volesse potrebbe diventare un magnifico avvocato, un principe del foro.
Regnerebbe incontrastato tra le aule del tribunale e pure io, considerato uno
dei migliori, verrei messo in ombra dalle sue doti.
Ma no, lui ha scelto un’altra strada.
In fondo non siamo uguali in tutto? Nel viso, nei pensieri, nell’anima……..
Non poteva anche lui scegliere di continuare a vivere? Di affrontare il mondo
come ho fatto io? Non siamo forse cresciuti insieme, nella stessa squallida
casa, alla mercé di quella strega di mia madre?
Già insieme, sempre insieme. Insieme ogni volta che prima di ricevere un nuovo
cliente ci chiudeva in quel buio e tetro sottoscala.
Cosa crede, che non abbia anche io avuto paura come lui?
Ricordo ancora i gemiti ed i sospiri al di là di quella porta chiusa a chiave.
Ricordo la fatica che si faceva a respirare in quel buco. Ricordo il caldo,
talmente afoso da rendere la pelle viscida ed appiccicosa, e soprattutto
ricordo i fruscii, incessanti, persistenti.
Ora lo so, erano solo insetti. Ragni, scarafaggi, ma all’epoca erano qualcosa
di più nella mia mente, nella nostra mente. Piccole impalpabili zampette che ci
sfioravano, ci camminavano addosso, ci entravano nei vestiti. Ricordo ancora
chiaramente il terrore, la paura folle che quegli esseri potessero entrare
anche dentro di me, dalle narici, dalle orecchie, dentro fino al cervello per
poi cominciare a rosicchiarlo piano, piano, con dei piccoli morsi.
Oddio quanto ho odiato quel bugigattolo. Ancora adesso se chiudo gli occhi
rabbrividisco.
Io sono riuscito a reagire e a rifarmi una vita, ma lui no. Se ne sta lì, ogni
santo giorno, chiuso nella mia casa e seduto davanti a quello specchio. Questo
almeno credevo fino a due settimane fa.
Già, il mio gemello mi ha ingannato.
Questa mattina ero uscito di casa tranquillo, lasciandolo seduto al suo solito
posto.
Ipocrita, mi aveva salutato con un caloroso sorriso come se niente fosse.
Cosa pensava? Che non scoprissi la verità?
Io credevo fosse tutto finito e invece….non appena arrivato in tribunale per
depositare la pratica MacFarlan, le voci mi avevano raggiunto immediatamente.
La notizia di un altro brutale omicidio era sulla bocca di tutti. La falsa
tranquillità di New York era stata nuovamente scossa.
Non è che la Grande Mela sia il paradiso dell’onestà. Chi meglio di me, può
saperlo. Io che difendo assassini e ladri, so bene come questi sguazzano in
questa città come ranocchi in uno stagno.
Ma effettivamente, devo ammettere che i delitti che da più di due mesi si
susseguono con una frequente periodicità, non possono certo passare
inosservati.
Oramai la stampa di mezzo mondo ne parla descrivendo quegli agghiaccianti
particolari. Giovani prostitute strozzate e mutilate in modo orribile.
Avevo acquistato con frenesia il New York Times per assicurarmi di non avere
sentito male. Eccolo lì in prima pagina. L’articolo citava il nome della nuova
vittima. Una prostituta portoricana, di appena vent’anni, era stata trovata
squartata in una stanza ad ore nel quartiere di Harlem.
La polizia non aveva divulgato molti particolari ma da fonti certe si era
appreso che più di una persona entrata in quella stanza dopo l’omicidio, era
stata colta da malore per l’orrore. Una scena raccapricciante, descriveva il
giornale, una porta per l’inferno.
Le gambe avevano cominciato a cedermi. Mi ero dovuto appoggiare pesantemente al
muro per non cadere a terra sconvolto. Come poteva mio fratello, sangue del mio
sangue, fare quelle cose, come poteva.
Continuai a leggere avido di sapere. Alla notizia principale seguiva il
riepilogo delle vittime del “Serial Killer” come già era chiamato. Poi ad un
tratto un paio di righe alla fine dell’articolo stesso richiamarono
immediatamente la mia attenzione.
“Nonostante la polizia continui ad affermare di brancolare nel buio,
indiscrezioni confermerebbero che questa volta il Serial Killer non è passato
completamente inosservato. Un testimone, non meglio identificato, avrebbe visto
uscire dal motel un uomo sospetto proprio all’ora in cui si presume sia
avvenuta la morte della ragazza ed in questo momento, il presunto testimone,
starebbe aiutando gli investigatori a procedere con l’identificazione”
Lo avevano visto. Lo sapevo questa volta non l’avrebbe fatta franca.
Gettato il giornale per terra mi ero avviato di corsa verso la mia abitazione.
Ora sono qui, davanti al mio ingresso. Rimango un attimo impalato a fissare la
serratura poi apro la porta del mio lussuoso appartamento mandandola a sbattere
contro il muro.
“Mi avevi promesso di non farlo più” urlo al suo indirizzo.
Il suo sguardo placido mi percorre dai piedi fino alla punta dei capelli, poi
con il solito sorriso sornione risponde “Perché sei tanto agitato Colin?”
“Lo sai bene perché, stanotte hai ucciso di nuovo. Ti avevo avvertito Freddy
questa volta non te la farò passare liscia, andrò alla polizia e ti denuncerò”
esclamo esasperato dalla sua calma.
Lui si limita a guardarmi scuotendo la testa “Ah Colin, Colin, lo sai che non
farai niente del genere, io e te siamo un’unica cosa, una sola anima”.
Mi avvicino al bar e mi verso una forte dose di scotch. La mia mano trema, ma
so che lui ha ragione, non l’abbandonerei, mai, non ne avrei il coraggio.
“Questa volta non è così semplice Freddy sul giornale c’è scritto che un
testimone ha dato importanti indizi sull’assassino. La polizia potrebbe aver
già scoperto la tua identità. Se ti scoprono io non potrò fare niente per te”.
“Tu sei il migliore Colin. Quante volte sul giornale hanno esaltato le tue
capacità. Colin Talbot il migliore avvocato di New York. Colin Talbot un
brillante giovane che splende già, tra i nomi dei grandi. Mi aiuterai non è
vero? Dopo quello che abbiamo passato da piccoli resterai al mio fianco, come
sempre. Quell’esperienza ci ha uniti, Colin, per sempre”.
“Non posso aiutarti Freddy, non questa volta. E’ troppo grave quello che hai
fatto. Hai ucciso Freddy, tutte quelle povere ragazze, perché?” esclamo confuso
“Perché? Non dovresti chiedermelo Colin. Tu sai bene il perché? Loro tutte loro
erano esattamente come lei. Ricordi il suo viso quando apriva quella maledetta
porta per farci uscire? Ricordi il trucco sfatto che le colava giù sulle guance
e quel sorriso sprezzante? Quanto l'ho odiata allora. Se gli dicevamo che
avevamo paura del buio ricordi cosa faceva Colin? Ricordi lo schiocco della
fibbia che ci lambiva la schiena fino a lasciarci inerti lì per terra? Ricordi
Colin?”
“Certo che lo ricordo, ma……….tutte quelle povere ragazze” sussurro cercando di
coprirmi le orecchie per non sentire le sue giustificazioni.
“No, quelle non erano povere ragazze, Colin, erano esattamente come lei, e tu
non puoi sapere come è stato bello fare quello che ho fatto. Vederle soffrire,
implorare pietà…..ah Colin e così appagante, mi sento così vivo così felice in
quei momenti”.
“Tu sei pazzo Freddy, completamente pazzo”
“Perché Colin, perché non faccio finta che vada tutto bene? Perché non vivo la
tua vita sorridendo amabilmente e frequentando il bel mondo come fai tu? Perché
rimango chiuso qui aspettando di trasformarmi in un predatore? Sei sicuro
Colin? Sei sicuro di non essere uguale a me in fondo in fondo? Il tuo lavoro e
quello di difendere i criminali no? Quelli come me. Di la verità Colin tu godi
attraverso di loro. I loro crimini ti appagano. Sei uguale a me, solo che io ho
il coraggio di crearmi da solo la mia felicità e non uso la perversione degli
altri”.
Non so che dire. Resto a guardarlo muto. E se fosse vero? Se fosse veramente
come dice lui? Se sfogassi veramente il mio istinto perverso attraverso le
azioni degli altri.
Sta sogghignando, lo sa che mi ha messo in crisi. Lui percepisce la mia
confusione. E’ sempre stato bravo con le parole, molto migliore di me.
Stanno suonando alla porta, uno, due, tre squilli si susseguono frenetici.
“Ecco Freddy” dico “sono venuti a prenderti, e, mi dispiace Freddy, ma questa
volta non ti aiuterò.
Ti stai sbagliando di grosso, io e te non siamo uguali” affermo sicuro.
Lo lascio lì e mi dirigo alla porta. La apro. Due poliziotti in borghese e due
in divisa mi guardano con la pistola puntata. Il più anziano tira fuori il
distintivo in modo che io possa vederlo.
Annuisco e dico “E’ stato lui! Le ha uccise tutte lui”.
Per un attimo quelli mi guardano stralunati, poi con uno strattone mi bloccano
le mani dietro la schiena e mettendomi le manette il più giovane dei due inizia
a recitare “Colin Talbot la dichiaro in arresto con l’accusa d’omicidio. Ha il
diritto di non parlare, ha il diritto di ……”
Non capisco, quello mi sta recitando i miei diritti come se fossi il colpevole.
Provo ad interromperlo “Vi sbagliate non sono io l’assassino, è il mio
gemello….”, dico “ è lui che ha ucciso tutte quelle ragazze”.
Quelli non mi ascoltano. I due poliziotti in divisa hanno cominciato a
perquisire la mia casa. Freddy è ancora lì seduto su una sedia che mi guarda
con un sorriso cinico sulle labbra, ma loro non sembrano fare caso a lui, gli
girano intorno facendo finta che non esista.
“Ma che fate?” cerco di ribellarmi “Non vedete? Non sono io l’assassino è lui,
state sbagliando”.
Uno dei due mi distorce di più il braccio dietro la schiena facendomi urlare
dal dolore poi secco dice “Ma di che diavolo parli? Qui dentro ci sei solo tu!”
Quelle parole mi sconvolgono. Solo io? Guardo verso la sedia su cui Freddy è
appollaiato. Mi sta ancora guardando con quel sorriso sarcastico.
“Te l’avevo detto Colin, ma tu non mi dai mai retta. Io e te siamo un’unica
cosa, una sola anima”.