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Autore: Lisbeth17    17/11/2012    2 recensioni
Nella notte un incontro, inaspettato e imprevisto, assolutamente non cercato.
Perdersi per poi ritrovarsi...
Spoiler della Terza Stagione
Come si reagisce quando ci si sente traditi? Come reagirebbe un innamorato tradito? Come reagisce Orlando?
Dopo essermi fatta queste semplici domande è nata questa OS.
Genere: Romantico, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: Het
Note: Lime, OOC, What if? | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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III Atto NDA

Eccomi, speravo davvero di riuscire a concludere prima la scrittura di questo capitolo, ma come dire, meglio tardi che mai!
Spero possa essere anche questo di vostro gradimento.

Buona Lettura
A

A FantasiaSerena (Autrici originali e dolcissime che consiglio a tutti!)

Nella Notte


[Simone]

La faccia di Orlando non mi ha assolutamente convinto, può dire quello che vuole ma è un pessimo bugiardo, direi che è quasi un Pinocchio imbarazzante per quanto poco sia capace di mentire, ci manca solo che gli cresca anche il naso.

Daniele fortunatamente è un adulto atipico, quindi annuisce e mi segue verso la direzione, dove ho visto sparire mio padre.

Accelerando il passo lo vedo davanti a me, sembra frenetico, preoccupato, bussa al camerino e apre immediatamente la porta.

Tutto è veloce, il rumore, secco e deciso, il colore, rosso rosso ovunque rosso in aumento sul pavimento, mio padre a terra.

- Papààààààààààààààààààààà!

Urlo senza sapermi trattenere, quando Ghiro mi spinge di lato ed estrae la pistola.

Non capisco nulla di quello che succede, ma appena sono libero corro verso mio padre che ho visto cadere a terra sanguinante, il sangue sta aumentando, mia madre è china sul suo corpo e tiene le mani nel punto in cui credo sia stato colpito.

La guardo spaventato e gli occhi mi si riempono di lacrime.

- Andrà tutto bene, stai tranquillo. Chiama un’ambulanza.

 

Quando l’ambulanza porta via mio padre senza darci la possibilità di accompagnarlo comincio a capire cos’è successo. Dopo che hannno sparato a mio padre, e Ghiro mi ha messo al sicuro, è riuscito a fermare l’aggressore; gli ha sparato, lo ha disarmato e poi ammanettato. La mamma ha ancora le mani sporche di sangue, sta cercando qualcosa di più coprente dei suoi pantaloncini e di quel misero top, per andare in ospedale; non sta versando una lacrima, sono sempre più stupito della donna che è, ma in questo momento, il terrore di perdere mio padre, proprio ora che l’ho ritrovato, mi terrorizza più di qualsiasi altra cosa.

- Andiamo in ospedale, – dice Daniele avvicinandosi a noi – mi sono fatto dire, dove lo stanno portando.

Il viaggio in macchina mi sembra eterno, mia madre cerca di tranquillizzarmi, Daniele dice che mio padre è forte più di quanto sembra, che è un carabiniere, che è già stato ferito in servizio, che nemmeno uno schiacciasassi potrebbe abbatterlo. Io, però, non sento niente e nessuno, sono troppo spaventato. Una cosa è non conoscere tuo padre, viverlo come un’essenza distante e molto irreale, è stato qualcuno che partecipato al mio concepimento, ma in fondo per me non era nessuno. Adesso so chi è, mio padre non è più un’essenza astratta, ha un nome, un viso, un odore, un calore; ha cominciato a far parte della mia vita ed io non voglio assolutamente che lui ne esca più, per nessun motivo, non ora che l’ho conosciuto, non ora che ci siamo trovati. Ho bisogno di lui, mai come adesso ho bisogno di MIO padre accanto.

- …non sottovalutare la tenacia di Orlando Serra, adesso ha un motivo enorme per non mollare, adesso ha te, e non vorrà lasciarti andare.

Dice Daniele quando io torno a prestargli attenzione.

 

Quando arriviamo in ospedale, non ci dicono nulla di nulla, sostenendo che non siamo dei parenti, mi sono fatto venire una mezza crisi isterica e ho urlato loro che era mio padre, che non avevamo lo stesso cognome, comunque quell’uomo lì dentro è mio padre ed io dovevo assolutamente sapere come diavolo stava.

Inutile, ha vinto l’infermiera, mi ha sedato, credo dopo che mia madre (stronza) le ha concesso il permesso.

 

[Virginia]

Conosco mio figlio fin troppo bene, il suo dolore in questo momento non è quantificabile, e si stava distruggendo, avrebbe urlato contro tutti, finchè non gli avessero comunicato notizie e di notizie non ce ne avrebbero date.

Ho acconsentito perché lo sedassero, e adesso è addormentato sulle sedie della sala d’aspetto, Daniele mi guarda mortificato, io devo mantenere assolutamente la calma.

- Che diavolo è successo? – è arrivata sua moglie – Cristo Daniele, è mio marito, siamo stati sposati per quindici anni, una cazzo di telefonata non me la meritavo?! Mi hai fatto chiamare dall’ospedale.

Vedo Daniele abbassare la testa.

- Mi dispiace Lucia, non ci ho pensato.

Lei scuote la testa, capisco la sua rabbia e la sua preoccupazione, per quanto abbiano deciso di separarsi, hanno condiviso buona parte della loro vite, e non meritava un simile trattamento. Sinceramente ero troppo preoccupata per Orlando e Simone, per pensare a lei, ma la comprendo e mi dispiace; sto per aprire bocca per scusarmi quando il medico si avvicina di nuovo a noi.

- Lei è la moglie? – le chiede mentre lei si limita ad annuire.

- Purtroppo la situazione non è delle migliori, stiamo facendo il possibile, il proiettile ha perforato un polmone e c’è stata una forte emorragia.

Ci ritroviamo tutti ad annuire, quando l’uomo si allontana di nuovo.

Simone dorme, il sedativo lo ha calmato e fortunatamente non ha sentito nulla di quanto detto dal medico, mi siedo accanto a lui e comincio ad accarezzargli i capelli; non ho mai capito se questo gesto sia un calmante per lui o per me.

Lei e Daniele si avvicinano.

- Posso sapere che cosa è successo? – nella sua voce non c’è astio o rabbia, solo tanta paura.

Guardo Daniele facendogli capire di parlare, d’altronde io l’inizio della questione non lo conoscevo.

- Dopo la tua telefonata, Orlando ha detto di voler parlare con Virginia, sembrava spaventato, ha detto a me e Simone che sarebbe tornato presto ed è andato verso i camerini; Simone, però si è preoccupato al tono del padre, e gli siamo andati dietro, il resto è stato velocissimo. Orlando sembrava preoccupato, ha bussato al camerino e ha aperto la porta di scatto…

- Quell’uomo si è spaventato e senza nemmeno capire chi fosse ha sparato. Ho visto Orlando cadere a terra, ho sentito mio figlio urlare, non so come Daniele abbia fermato quell’uomo, io mi sono gettata ai piedi del corpo di Orlando che perdeva troppo sangue, tentando di fermare l’emorragia. – mi fermo un momento per riprendere fiato - Quell’uomo è entrato nel mio camerino poco dopo la mia prova, mi stava minacciando con la pistola, voleva il corpetto, glielo avrei dato, ma non era nemmeno nel mio camerino in quel momento.

- Dopo aver messo Simone al sicuro dietro un pannello, ho sparato all’uomo, l’ho disarmato e ammanettato. – termina Daniele.

In quel momento la vedo notare mio figlio addormentato, lo guarda senza capire.

- L’ho fatto sedare, stava perdendo la calma perché non ci davano informazioni e stava avendo una crisi isterica. – le dico per rispondere a quella sua muta domanda.

 

Ci sediamo tutti in attesa, non so nemmeno quante ore passano ma nessuno dice una parola.

Sento che Simone si sta per svegliare quando il medico esce di nuovo dalla sala operatoria. Simone apre gli occhi, alzandosi di scatto per andare verso di lui, ha un capogiro, effetto probabilmente di quel sonno indotto, lo abbraccio e vado con lui verso il medico, con Daniele e Lucia.

- L’intervento è tecnicamente riuscito, ha perso una parte di polmone, ma potrebbe rimettersi senza problemi. Ha però perso moltissimo sangue e ha subito diverse trasfusioni, purtroppo la prognosi non può essere sciolta, quando è arrivato, era già in coma, non possiamo prevedere quando si sveglierà, certo non prima delle prossime quarantotto ore.

- Possiamo vederlo? – gli chiede Lucia, e il fatto che usi il plurale mi fa sentire particolarmente tranquilla.

- Per stasera sarebbe meglio di no, è in terapia intensiva. Se volete seguirmi, vi mostro il reparto e la sua stanza.

Stringo forte la mano di mio figlio, trema, tutti insieme poi seguiamo il medico.

 

Riusciamo ad affacciarci alla porta a vetri della stanza, è sdraiato in un letto, completamente svestito, con un’ampia fasciatura sul petto e il sacco del drenaggio in bella vista; diversi aghi nel braccio ed è intubato. La cosa non mi piace, significa che da solo non riesce a respirare, Simo vede suo padre ed è troppo intelligente per non capire che in questo momento è tenuto in vita da quei macchinari che ha intorno. Gli cedono le gambe, aiutata da Daniele l’accompagno a sedersi. Quando mi guarda, i suoi occhi sono due pozzi piene di lacrime.

- Mamma, voglio dormire.

So quello che vuole, mi alzo per andare a cercare un’infermiera, quando ritorna, gli fa un inezione, e dopo poco si addormenta. È sdraiato su due sedie, ed ha la testa appoggiata sulle mie gambe.

- Può andare a casa se vuole, la informo non appena ci saranno delle novità.

- Non riuscirò mai a portarlo lontano da qui.

Dico mesta guardandola negli occhi.

- Serra in tutto e per tutto.

Mi risponde lei, continuando a stupirmi.

 

Quando il mio telefono squilla, mi allontano, dopo aver preparato una specie di cuscino per Simone.

Roberto è di sotto, non so come mi abbia trovato, ma lo raggiungo, avvisando Daniele del mio spostamento, Lucia non so dove sia.

- Stai uno straccio.

- Lo so.

- Mi dispiace per quello che è successo. Come sta?

- È presto per dirlo.

- Simone?

- Dorme, un sonno indotto.

- Non doveva andare così, sarebbe stato meglio che non vi foste mai rincontrati.

Scatto come un felino e gli punto un dito sul petto.

- Non dire mai più una cosa del genere. Non ti azzardare a dire questo tuo pensiero a mio figlio. Ancora non l’hai capito?! Due giorni con quell’uomo valgono più di una vita con chiunque altro.

- Tu lo ami ancora?

- Io non ho mai smesso di amarlo, ora se vuoi essere l’amico che sei stato in questi anni grazie, altrimenti sparisci, non ho bisogno di niente.

- Che cosa posso fare per te?

- Gestisci la produzione, non lasceremo quest’ospedale per un po’. Cambia la scaletta, annulla il mio assolo. Fa che entro il prossimo fine settimana si possa andare in scena. Ti prego, io non voglio andarmene e non posso lasciare troppo Simone da solo.

- Vi porto anche dei cambi, la tua maglia è sporca di sangue.

Guardo il sangue dell’uomo che amo, perdendomi in uno spazio in cui tutto questo non è reale.

- Te li faccio avere al più presto.

Dice riferendosi ai cambi, mi da un bacio sulla guancia e se ne va.

Guardo ancora il sangue sulla maglietta, scuoto la testa, la infilo malamente nei pantaloni e chiudo la zip. Ricordo che le mani di mio figlio sono ancora sporche di sangue, decido di andare a comprare delle salviette.

Davanti alle porte dell’ospedale trovo sua moglie.

- Quello che non capisco è perché non l’ha cercato?

- Cercare qualcuno che non voleva essere trovato?

- Aspettava un figlio da lui, lui non l’avrebbe mai cacciata.

- Mi diede molte cose in quei pochi giorni, prima di sapere che mi aveva dato anche un figlio, mi ha dato il coraggio di mettermi in gioco, di non sottovalutare il mio talento. La voglia di spiccare il volo.

- Non provava un così forte sentimento per lui.

- Non era il momento adatto per noi.

- L’ha mai cercato poi?

- Ci ho pensato milioni di volte, lo dovevo a mio figlio, ma non sapevo niente che potesse aiutarmi a trovarlo. Sapevo tutto di lui, ricordavo il suo corpo, il suo odore, la sua voce, i suoi occhi, la sua passione, nulla che potesse però in qualche modo aiutarmi a trovarlo.

- Posso chiederle una cosa?

- Mi sembra uan domanda superflua a questo punto.

- Come la chiamava? Mi ha detto che ha saputo il suo nome solo al momento di rientrare a Roma.

Ci pensai sopra, volevo rispondere? Volevo darle una parte così intima di noi? Non trovai un motivo valido per non darle la verità.

- Tersicore.

- La musa della danza.

- Esattamente.

- Orlando si ammala pochissimo, è molto resistente ai vari mali stagionali, in quindici anni che sono sua moglie l’avrò curato tre o quattro volte, massimo cinque.

- Non credo di seguirla, mi scusi. – Faccio per rientrare in ospedale ma lei me lo impedisce.

- In quelle rare occasioni in cui ha avuto la febbre molto alta, straparlava. Cercava Tersicore, la sua Tersicore, la sua musa.

Sgranai gli occhi stupita.

- Non… non.

- Io l’ho sposato perché gli volevo bene, perché mi faceva stare bene, perché sapeva curare le mie ferite, e portare i miei pesi. Non è mai stato mio completamente, nonostante il riavvicinamento, il matrimonio, non mi voleva e basta, mi voleva bene.

- Mi dispiace, io non so cosa dirle, mi dispiace, devo tornare da mio figlio adesso.

- Si sveglierà. Ha un ottimo motivo farlo.

Annuisco quando lei mi passa una mano sulla spalla, mi passa delle salviettine umidificate e mi segue dentro. Non conosco questa donna, non so nulla del loro rapporto, della loro separazione di quindici anni fa; la mia impressione adesso è di una donna per bene, forse consapevole che il suo matrimonio è finito per motivi che non mi riguardano.

- La ringrazio, perché ci permette di restare qui.

Le dico mentre siamo appena arrivate al piano della terapia intensiva.

- Non mi ringrazi, davvero.

 Mi siedo vicino a mio figlio, e lentamente comincio a pulirgli le mani.

 

[Daniele]

Quando mi sveglio, vedo Lucia che ancora dorme sulla sedia, io non ce l’ho con lei, non ce l’ho mai avuta con lei, semplicemente non era la persona più adatta al mio amico. Non ho mai saputo mettere la testa sotto la sabbia, quindi non mi sono piegato alla farsa di quel matrimonio. Lucia ha scelto di prendere la mia posizione nei confronti della loro coppia, come una presa di posizione personale contro di lei, si è allontanata di sua volontà, Orlando invece ha sempre capito la mia posizione, soprattutto perché era perfettamente consapevole di aver vissuto momenti bellissimi con una sconusciuta e stava convolando a nozze con una donna che non lo aveva mai emozionato così. Mi dispiace per Lucia, mi dispiace che lo abbia capito così tardi.

Virginia è sveglia e accarezza i capelli a Simone che ancora dorme.

Quella donna da quando è entrata in ospedale non ha versato una lacrima, non ha mostrato alcuna esitazione, è sempre pronta perché Simone si svegli, e la vedo controllare costantemene i monitor nella stanza di Orlando.

È innamorata, lo vedo, non so perché lo penso, ma lo percepisco perfettamente, ma sa che non può cedere adesso.

Per questo motivo, mi alzo e vado vicino a lei.

- Vieni fuori con me.

Lei mi guarda come se avessi detto una pazzia.

- Alza il culo da quella sedia e vieni fuori con me. – guarda Simone cercando una scusa, ed io noto con la coda dell’occhio che Lucia si è svegliata. – Se Simone si sveglia, Lucia ci chiama, ora alza il culo e vieni con me.

Scuote la testa con un mesto sorriso e mi segue fuori dall’ospedale.

- Daniele, davvero, non sto tranquilla qui fuori, preferisco rientrare.

- Hey lady di ferro, ora tu resti qui con me finchè non ti sei sfogata, perché sennò lì dentro tu non duri nemmeno un’altra ora.

La vedo sussultare, probabilmente si sente sgamata, abbassa la testa e la scuote mestamente.

- Non posso, non sono abituata.

- Perfetto, io non sono un consolatore, ma possiamo provarci insieme.

- Ti prego lasciami entrare… - dice cercando le porte dell’ospedale mentre la blocco per le spalle.

- Tu non capisci, non posso mollare, non posso pensare, non posso fermarmi. – non dico niente la tengo solo ferma per le spalle.

- Perché se penso che, l’unico uomo, che io abbia mai amato, non so se si risveglierà, mi manca il fiato. – Vedo che i suoi occhi stanno diventando lucidi.

- È il padre di mio figlio, lo abbiamo appena ritrovato. – comincia a piangere finalmente e la stringo in un abbraccio.

- Come faccio a tornare lì dentro adesso? – dice staccandosi dal mio abbraccio e indicando il suo viso, evidentemente segnato dalle lacrime.

- Adesso ci torni e fai quello che devi fare, in altre parole fai la mamma, preghi speri o fai quello che vuoi. Una cosa però te la posso assicurare, non sei sola, non lo sarai mai più. – lei si fa strigere un altro po’ e poi è pronta per rientrare.

 

Quando Simone si sveglia, lui e Virginia si allontanano per andarsi a cambiare.

- Sei molto gentile a farci rimanere qui.

- Daniele sono stanca e arrabbiata, non voglio discutere.

- Lucia io ti sto ringraziando.

- L’ha fatto anche lei, ma non serve, è giusto che voi stiate qui.

- Beh grazie lo stesso.

- Mi togli una curiosità? - annuisco, quando intuisco dove vuole andare a parare. – Tu sapevi della loro breve relazione?

- Sì.

- Per questo non hai voluto fargli da testimone?

- In parte, ero e sono fermamente convinto che tu non l’avresti fatto pienamente felice, vi stavate accontentando.

- Parlarmi chiaramente allora?

- Per dirti cosa? Che Orlando era stato con una donna che aveva scelto di non rivedere commettendo uno sbaglio enorme? Non stava a me parlarti, e lui considerava chiusa la storia con Virginia.

- Questa cosa non la capisco.

Sospirai, quello che stavo per dire era una mia personalissima idea sul perché Orlando ben quindici anni fa si fosse fatto scappare Virginia.

- Temeva di non bastarle, la sentiva pronta per spiccare il volo, e temeva che sarebbe potuto diventare zavorra per lei. L’ha lasciata andare quando quello che avevano condiviso era troppo bello, senza sporcarlo con una relazione trascinata e distruttiva.

- Si è arreso?

- Chissà da chi avrà imparato? – le rispondo sarcastico.

- Non può essere solo colpa mia, però.

- Io non ti ho mai colpevolizzato, ho scelto di non partecipare al matrimonio perché non ci credevo, doveva fare il testimone di un amore alle cui base c’erano troppi ruderi.

- Avrei voluto saperlo.

- Avrebbe dovuto dirtelo.

- Tu eri anche mio amico.

- Allontanandomi dal vostro matrimonio ho fatto l’unica cosa che poteva fare, senza tradire le confidenze di un amico, tu l’hai interpretata come una ragazzina egoista.

- Non capivo, dicevi che non andava bene, dicevi…

- Ecco brava ricordati quello che ti dicevo…

- Dicevi, che io non ero quella giusta.

- Esatto. Esattamente, tutto quello che ti potevo dire. Una settimana prima del matrimonio lui è tornato a Tarquinia, nel locale, dove si sono conosciuti, ma di lei non c’era traccia, le persone del locale non la conoscevano, andava lì spesso ma non parlava mai con nessuno e sapevano poco di lei, era di zona questo sì, ma nulla di più.

Vedo Lucia abbassare la testa, sconfitta una seconda volta, forse non avrei dovuto dirle queste cose. Si avvicina e mi abbraccia di getto.

- Mi sei mancato.

- Anche tu, capocciona. – dico stringendola a me.

 

Il medico dopo aver visitato Orlando ci comunica che può entrare una alla volta, con uno specifico abbigliamento, ci sono diverse teorie che sostengone che parlare alle persone in coma le possa aiutare, ma sono solo teorie, di certo non c’è niente.

- Parlatene un momento, poi andate dall’infermiera per farvi dare il camicie.

 Ci guardiamo senza parlare, ho un’idea precisa su chi dovrebbe entrare in quella stanza.

- Perché non entra lei signora Del Gado? – lei chiede Lucia.

- Mi chiami pure Virginia, la ringrazio ma non so se è il caso.

- Mamma va, per favore, se alla signora non da fastidio. – le dice Simone con lo sguardo implorante.

Lo sguardo di Simone sembra chiederle molte più cose in realtà, sembra implorarla di risolvere quel problema, sembra un bambino che le chiede di scacciare i mostri che hanno invaso il suo sonno.

Virginia annuisce e si dirige verso la stanza dell’infermiera, accompagnata dal figlio.

 

[Virginia]

Non ho potuto dire di no a mio figlio, il modo in cui Simone mi ha implorato di entrare era al limite della supplica. Mi sta chiedendo di essere il supereroe della sua infanzia e di salvarlo da quello sta succedendo, peccato che io non possa far nulla.

- Simo io entro, ma lo sai che non posso fare niente, vero? – mi fermo nel corridoio per fargli questa domanda, lui però non accenna a una risposta e tiene la testa bassa – So che lo detesti, ma l’unica cosa che possiamo fare adesso è aspettare e far sentire a tuo padre quanto tienimo a lui, e quanto abbiamo bisogno di lui, ma questa è una sua lotta, che noi non possiamo combattere per lui.

Mio figlio annuisce mestamente senza dirmi niente. Dopo che mi sono cambiata entro nella stanza, ed è tutto talmente asettico e freddo che non mi sembra nemmeno lui l’uomo disteso sul letto.

Mi siedo accanto a lui e accarezzo la sua mano, la sua pelle è tiepida e questo mi rincuora. È vivo, è ancora vivo e non posso sopportare l’idea di perderlo di nuovo. Sì, perché ho già creduto di averlo perso, l’ho temuto per quindici anni e questa volta le cose andranno diversamente.

- Non sono capace di dire cose carine, l’unica persona con la quale so essere dolce è nostro figlio, quindi non credo che ti riempirò di frasi smielate.

Tu mi hai acceso, mi hai fatto sentire viva e desiderata, tu hai fatto emergere una passionalità che ho sempre tenuto nascosta a chiunque, per mostrarla solo nel mio lavoro, quindi adesso tu mi fai la cortesia di svegliarti e di non farmi uno scherzo del genere. - Mi fermo un attimo e comincio ad accarezzargli il viso.

- Ci sono delle cose che non ti ho mai detto, certo, oltre fatto che avevi un figlio, ma quello ancora non lo sapevo. – sorrido come una scema, sto parlando da sola. - Io mi sono innamorata di te, come una cretina alla prima cotta.

Io ti avevo notato in quel locale, il tuo sguardo era diverso da quello che gli uomini mi riservavano di solito. Nel tuo sguardo c’erano rispetto e venerazione. Non mi sono avvicinata al bancone solo per allontanarmi da quei rompiscatole, volevo avvicinarmi a te, anche se non avrei mai preso l’iniziativa e non ti avrei mai chiesto nulla. Quando mi hai teso la mano, non ci ho pensato un attimo!

Volevo assolutamente starti vicino.

Il resto è oblio, siamo te ed io, persi in una dimensione fatta di sensi.

Non mi sono mai pentita di quei due giorni. - Mi asciugo le lacrime che certi ricordi richiamano prepotentemente.

- Ora basta smancerie, svegliati, ho bisogno di te, e anche nostro figlio. Non puoi lasciarmi sola adesso, tu non mi hai mai visto arrabbiata, ma credimi faccio paura. - Resto nella stanza per non so quanto tempo, parlo tantissimo, fino a quando non sento la gola riarsa, credo che sia il momento che io faccia entrare quacun altro.

- Non sono l’unica che ha bisogno di te, ci sono almeno un altro paio di persone che ti vogliono un bene infinito. Abbiamo tutti bisogno, che tu apra gli occhi. – non smetto di accarezzargli il viso, glielo sto consumando. – credo proprio che anche qualcun altro vorrà parlare con te. – Mi alzo per posargli un bacio sulla fronte e lascio la stanza.

Lucia non c’è, Daniele mi dice che è dovuta tornare in ufficio per sbrigare alcune pratiche, non ultimo gestire l’arresto dell’uomo che ha ferito Orlando. Trovo mio figlio seduto su una sedia scomodissima e un libro in mano, mi avvicino a lui dopo aver fatto cenno a Daniele di entrare dal suo migliore amico.

Gli metto i capelli in disordine e lui si accorge di me.

- Sto provando a essere come te, non mi riesce molto bene. – dice posando il libro sulle gambe e guardandomi con quei suoi occhi così simili a quelli del padre.

- Tesoro, non devi essere come me, non è quello di cui tu hai bisogno. Devi vivere questa cosa per la persona che sei. – lo vedo abbassare lo sguardo, e gli metto una mano sotto il mento per invitarlo a guardarmi di nuovo. – Tu sei un ragazzo meraviglioso, una delle cose che ammiro del tuo carattere è la tua sensibilità, la tua passionalità, come esprimi sempre la tua opinione e il modo in cui combatti per le cose cui tieni. Adesso, per favore, sii te stesso, non me, solo così potrò starti accanto.

Lo vedo annuire e farmi un timido sorriso.

- Quando Daniele uscirà da lì, ti va di entrare? – so perfettamente che è combattuto, ma devo farlo parlare per aiutarlo a prendere una decisione.

- Io… - si schiarisce la voce dopo un attimo di esitazione, il mio ometto – ho paura, ma anche tanto voglia di parlare con lui, di dirgli che deve svegliarsi, perché…

- Shhh… - gli metto un dito sulle labbra per impedirgli di proseguire – vai lì dentro e dillo a tuo padre.

Lui mi sorride un po’ più sicuro, abbandona il libro del quale non ha letto nemmeno una pagina e si avvicina al vetro della stanza, per vedere Daniele parlare con il suo migliore amico.

 

[Daniele]

- Detesto gli ospedali, detesto questi camici asettici, verdi poi, il verde mi sta malissimo, mi sbatte; e poi sta mascherina e sta cuffietta che vuole domare i miei ricci ribelli… anche se sei in un letto d’ospedale, e non sono sicuro che tu riesca a sentirmi non posso fare a meno di fare il giullare. – mi fermo un attimo per riprendere fiato, perché sono un giullare in tutto e per tutto, faccio ridere scavando nel dolore della mia anima, ricaccio dentro le lacrime, che premono per uscire – Serra, ho bisogno che tu apra gli occhi, che detto fra noi, sono impressionantemente simili a quelli di tuo figlio, e che ritorni a rompermi i coglioni. Che giullare sono se non ho il mio più grande fan? – niente, non c’è niente da fare una cazzo di lacrima m’è scappata, s’infrange sulla mascherina mentre io tiro su con il naso.

- Non sono qui solo per darti ordini, come il mio grado mi permette. Cavolo, sono peggio di Lucia quando dico ste stronzate, sono qui per dirti che io sono qui. Ci sarò sempre, per te e per la tua famiglia. Stai tranquillo che tuo figlio non lo mollo. Sai che è proprio un giovane Serra? Cioè credo che tu alla sua età fossi uguale… quando ci facevano sapere, niente ha dato di matto, l’abbiamo fatto dormire per un po’, doveva spegnere la testa, e adesso mi sembra un leone in gabbia, ha bisogno di te. E poi c’è Virginia, che donna amico mio, dai che non te la puoi perdere un’altra volta!! Sai che è fottutamente innamorata di te?! Per motivi a me oscuri ovviamente, ma la tua musa è ancora tremendamente innamorata di te. Ora io te lo dico, svegliati, perché sennò ci provo. L’hai vista?! Certo, che l’hai vista, maiale, ma io te lo dico, se continui a dormire, mi sentirò in dovere di consolarla…

Ok, forse questa cosa non mi riuscirà vista la gelosia di Simone, ma uomo avvisato mezzo salvato, io ci provo! – la mia mente mi gioca strani scherzi, mi sembra di averlo visto irrigidirsi… forse conosco troppo bene la sua gelosia e mi sto autosuggestionando.

- Comunque a parte questo, quella donna ha bisogno di te, tu… voglio dire è una donna splendida, una grande professionista, e una mamma spettacolare, ma quando sta con te, gli occhi le brillano, mi sembra Viva! Non ti preoccupare che io sono qui, l’ho fatta sfogare, Ghiro il consolatore, ma tu svegliati, che è di te che ha bisogno davvero.

Giusto per farti fare qualche altra ora di sonno tranquilla, t’informo che ho fatto pace con quella cazzona di Lucia, non ti preoccupare pure per lei, sono qui io, per tutte le donne della tua vita.

Ghiro il grande consolatore, come la vedi come incisione sulla mia statua?! – credo di aver finito il repertorio di cazzate a mia disposizione, e poi mi sento trafitto da milioni di spilli, mi volto verso la porta a vetri, e vedo Simone con una nuova determinazione nello sguardo.

- Ok amico, tuo figlio ti deve parlare, è ora che io mi faccia da parte. – gli stringo la mano, cercando di evitare quanti più tubi possibili – visto il tipino poi, mi sa che te ne dirà quattro.

Con un mezzo sorriso sulle labbra esco dalla stanza per lasciare a Simone un po’ di tempo.

 

[Simone]

Sono quasi convinto che Daniele sia uscito da quella stanza perché si sia sentito ‘leggermente osservato’ da me.

Quando vedo che si alza, vado già nella stanza dell’infermiera per farmi dare questa sorta di divisa.

Una volta che sono diventato un buffo omino verde, regalo un timido sorriso alla mia mamma per poi entrare nella stanza. Quanti cavolo di macchinari ci sono?! Il braccio di mio padre è peggiore di quello di un tossico, pieno di buchi, di aghi, e di canule.

- Non volevo entrare, - mi metto comodo sulla poltrona e gli prendo la mano – avevo paura, o al diavolo, ho ancora paura, ma devo dirti un sacco di cose. La prima è che voglio essere coraggioso, o almeno ci provo, e sono qui perché ho bisogno di te.

Non si può fare un cavolo quando uno è in coma, lo sai? Si può pregare, non sono un credente, la mamma mi ha portato in chiesa ogni tanto, ma mi sono fatto un’idea di spiritualità tutta mia…  poi si può leggere, si può dormire… sì perché mi sono fatto sedare, insomma, mi sono fatto prendere una crisi isterica e mamma mi ha fatto sedare come un cavallo. Te lo dico, all’inizio non l’avevo presa bene, ma la mamma sa sempre cosa mi serve e quando mi serve, io ho dovuto dormire per un po’ di tempo, un po’ come te adesso.

Poi ho letto, in altre parole ho fatto finta di leggere, cercando di trovare la freddezza di mamma, ma non mi è proprio riuscito. Mi sa che ti assomiglio più di quanto immaginiamo. Io voglio sapere quanto ti assomiglio, voglio capire perché diavolo facciamo colazione mischiando gusti impossibili, voglio capire perché siamo così capoccioni, se si migliora, siamo sempre così spocchiosi quando siamo convinti di avere ragione, mi voglio cambiare cognome. Meglio, voglio essere un Serra quanto sono un Del Gado. Papà tu mi vuoi, vero? Voglio scoprire tutto quello che non so, voglio che tu fughi i miei dubbi adolescienziali… Papà ti prego, torna da me, ho bisogno di te! - Abbasso la testa per cercare di recuperare il filo dei miei pensieri, perché mi viene da piangere se penso che il mio papà, che ho appena ritrovato, potrebbe… potrebbe non svegliarsi. – Io voglio capire quanto sono uguali i nostri occhi – dico sempre a capo chino – papà… - rialzo la testa e lo vedo guardarmi.

Sorride con gli occhi, cavolo è proprio come me!

- Mamma!! Daniele!! Dottore!! – chiamo chiunque mi venga in mente, mentre gli occhi mi si riempono di lacrime, poi lo vedo diventare rosso, sembra quasi che si stia strozzando.

 

La stanza si riempe di medici e la mamma mi trascina fuori, mi stringe forte e l’orrendo camice verde si bagna con le sue lacrime mischiate alle mie, mentre Daniele fissa la stanza e tutto quello che fanno i medici, anche se di fatto non si vede niente.

- Che succede? – ci sorprende la voce di Lucia che è appena arrivata, in effetti non facciamo una bella impressione. La mamma ed io in lacrime, Ghiro che guarda la stanza di Orlando che è piena di medici.

- Si è svegliato, - le dico tirando su con il naso, come un moccioso – Mi ha guardato negli occhi, mi ha sorriso. – aggiungo aprendomi in un timido sorriso.

La vedo tranquillizarsi e gettare uno sguardo al cielo, in un muto ringraziamento, che gli vuole bene io, non l’avevo mai messo in discussione, e con questo gesto ne ho una nuova conferma.

Quando il medico esce, si avvicina a noi per spiegarci la situazione.

Prima di tutto era molto stupito del fatto che papà si sia svegliato così presto, evidentemente non conosce la tempra degli uomini Serra (o lo spirito di convincimento dei Del Gado, e sì, sono proprio un mix micidiale io). Poi ci spiega perché sembrava che si stesse strozzando, aveva ripreso a respirare da solo, e stava rifiutando il tubo che gli avevano messo in gola per farlo respirare.

Ci dice che i valori sono nella norma, e che ormai il peggio sembra passato. Resterà nel reparto di terapia intensiva per la notte ancora, poi lo trasferiranno al reparto di pneumologia, dove lo terrano per almeno alcuni giorni per verificare la situazione polmonare.

Sì, voglio fare il medico, quindi ho letto qualche rivista medica in passato, e ho capito in sostanza tutto quello che ha detto il primario.

Ci ha detto che possiamo entrare, ma non dobbiamo restare troppo tempo, e soprattutto evitare di stancarlo, inoltre dice che non riuscirà a parlare per un po’, visto che è stato estubato da poco.

Finalmente il primario si allontana, così come tutto il personale che era nella stanza di mio padre,e gli adulti si guardano muti, cosa credono di poter decidere?! Adesso, entriamo nella stanza di papà, e se loro si fanno dei problemi, io no, ed entro lo stesso.

Probabilmente la mia mamma ha perfettamente capito le mie intenzioni, e m’indica agli altri, poi li vedo di dirigersi verso la porta della stanza.

È questo secondo me il problema degli adulti, mancano di spontaneità, perdono l’impulsività di seguire l’istinto per assecondarlo alla ragione, cosa che secondo me, a me, non succederà mai. Specialmente vedendo l’impulsività di mio padre, ci sono buone probabilità che io sarò così anche un domani.

Papà è sdraiato sul letto, gli occhi sono aperti ma evidentemente stanchi, quando ci vede, si apre in un bellissimo sorriso.

Io sono diventato il ragazzino più viziato del secolo, perché mi metto vicino a lui sul letto, evitando di sedermi sopra una di quei molteplici tubicini, mentre gli altri si sistemano attorno al letto. Con la coda dell’occhio mi sembra di notare che la mamma si sia messa un po’ in disparte rispetto agli altri.

Quando papà mi stringe la mano, torno a prestargli tutta l’attenzione.

Ghiro ci rimbambisce un po’ tutti, facendo strane battute, e una pessima imitazione di me che ho una crisi di nervi. Dopo un po’ vediamo l’infermiera passare per la quarta volta davanti alla porta della stanza Ghiro, dice che è meglio lasciarlo riposare, prima che l’infermiera ci fa occupare un posto letto, stendendoci.

Daniele e Lucia si avvicinano alla porta, lasciando a me e alla mamma ancora pochi minuti; tecnicamente Ghiro spinge la mamma fin quasi sopra Orlando sul letto.

Una volta usciti non riesco a resistere all’impulso di abbracciarlo, la verità è che voglio dirgli qualcosa che vorrei fosse solo nostra.

- Papà, grazie per essere rimasto con me.

[Orlando]

Quando lo sento chiamarmi di nuovo papà mi sciolgo completamente, capendo che non me lo sono per niente immaginato. Mi ha chiamato davvero papà, ed è stata la sua voce a farmi tornare indietro.

Anche se sento la gola infiamme, devo dirgli assolutamente quello che penso.

- Grazie a te per avermi riportato indietro.

Lo sento scostarsi leggermente dalla spalla e vedo i suoi occhi inumidirsi, ma sono più luminosi che mai. Cavolo, se abbiamo gli stessi occhi, ha uno sguardo stupendo!!

Gli accarezzo il viso dolcemente, dopo avermi posato un bacio sulla guancia, esce dalla stanza, concedendomi alcuni minuti da solo con sua madre.

- Mi sono spaventata a morte. – mi dice una volta che la porta è chiusa, annuisco e le prendo la mano.

- Non ti azzardare a farmi mai più uno scherzo del genere. – dice sedendosi sul letto dove prima c’era Simone.

- Sono innamorata di te, da quindici anni, e volevo dirtelo. – dice fissandomi negli occhi, mentre io sorrido come un ebete, raccogliendo le forze necessarie per dirle quello che penso.

- Anch’io sono innamorato di te. – le dico con una voce molto roca, per poi attirarla a me e posarle un casto bacio sulle labbra, che lei ricambia dolcemente, accarezzandomi il viso.


   
 
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