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Autore: ehytherejay    17/11/2012    1 recensioni
Storia che ho scritto per un concorso, principalmente basata su "Alice in Wonderland". Non ha apparente senso.
Genere: Angst, Drammatico, Malinconico | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna
Note: Cross-over | Avvertimenti: nessuno
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-Alice! Alice, fai presto!-
La bambina si mise a sedere sul letto e tentò di aprire gli occhi assonnati. Chi l’aveva chiamata?
-Non c’è più tempo! Non c’è tempo per niente!- disse di nuovo quella voce.
Alice aprì gli occhi e si guardò intorno, aspettando di riconoscere la sagoma di una persona. Quella che, però, vide sulla soglia della porta non era di certo una persona. Quando i suoi grandi occhi verdi si abituarono al buio, riuscì a riconoscere nella bianca figura sulla soglia un coniglio. Ci fu uno scambio di sguardi incuriositi, poi il misterioso coniglio zampettò nel corridoio, scomparendo dalla vista.
Immediatamente Alice scese dal letto, rischiando di inciampare nelle coperte, e seguì il coniglio bianco. Seguì lo zampettare giù dalle scale e poi fuori dalla porta.
Pioveva. Alice si fermò sulla soglia. Sentiva le goccioline di pioggia sferzarle il volto come lame affilatissime. Non riusciva a distinguere nulla del paesaggio che ben conosceva: non c’erano più gli alberi, gli alberi che solo quella mattina aveva visto privi di quelle belle foglioline verdi che tanto le piacevano; non si distinguevano più le case, le strade, le persone. Solo tanto, tanto grigio. Mosse un passo verso tutto quel grigio e subito se ne pentì: il freddo gli penetrò fin nelle ossa e la pioggia la inzuppò immediatamente.
Pensò di voltarsi e ritornare nel suo caldo lettino, ma, nuovamente, la sua attenzione fu catturata dal misterioso coniglio bianco.
-Alice! Dove vai? È di qua, di qua!- disse, senza smettere di saltare, indicando un punto imprecisato del grigio.
-Ma è tutto grigio! E fa freddo.- protestò la bambina mettendo su un infreddolito broncio.
-Non importa, non importa!-
Questa cosa non le era nuova. Alice camminava nella pioggia, seguendo a stento il coniglio iperattivo. Si riusciva solo a intravedere la luce di alcuni lampioni ma Alice non ricordava che la strada di fronte la sua casa fosse così lunga.
La mamma gliele raccontava sempre, quelle belle storie che tanto le piacevano, a Novembre. Soprattutto, una che ricordava a memoria era “Alice nel paese delle Meraviglie”. Non voleva sembrare ipocrita, ma le piaceva soprattutto perché la protagonista aveva il suo stesso nome. E proprio lì, in quella storia di matti, ricordava esserci un coniglio. Solo che il coniglio di quell’Alice aveva un panciotto colorato, il suo non aveva un bel niente.
Però parlavano entrambi. Quando mai le sarebbe capitato nuovamente di incontrare un coniglio che parlava? Le spuntò un sorriso tirato al pensiero dell’espressione che avrebbe fatto la mamma quando le avrebbe detto che aveva incontrato un coniglio che parlava.
Camminarono ancora e ancora, e ancora, e ancora, fino a quando Alice non riuscì a percepire un po’ di colore in tutta quella neutralità. Tanto, tanto rosso.
Le sembrò di essere passata davanti ad un enorme stufa, perché dopo tanti passi, erano arrivati in un’enorme valle e lì era così caldo, rispetto a prima. Si fermò sull’erba verde e leggermente bagnata dalla rugiada brillante, osservando ciò che aveva intorno come fosse un sogno.
Il rosso delle foglie degli aceri tutt’attorno riempiva i suoi occhi e andava a contrasto con l’erbetta fresca per tutta la valle. Il cielo era limpido, con qualche nuvoletta qua e  là.
-Alice! Te la ricordi la Valle di Lacrime, sì?- chiese il coniglio bianco facendole gesto di seguirlo. Alice fece cenno di no con la testa. Se l’avesse mai vista prima, se ne sarebbe certamente ricordata. Raggiunse il coniglio e finalmente riuscì a vederlo chiaramente.
Di certo non poteva essere il Bianconiglio. Per quanto egli potesse essere bianco, non era certo grigio. Il panciotto, notò, lo aveva, ma era tutto grigio, le decorazioni erano grigie e la catenina dell’orologio era argentea.
-Chi sei tu?- chiese allora la piccola Alice, piegandosi sulle ginocchia per stare all’altezza del misterioso coniglio e spostando un ciuffo di capelli corvini dietro l’orecchio.
-Io non lo so chi sono. Tu chi sei?- le rispose il coniglio velocemente e balbettando un po’.
-Io sono Alice.- rispose Alice. L’aveva chiamata per nome fino a poco prima e ora le chiedeva come si chiamava?
-Perché mi hai portato qui?- chiese nuovamente.
-Il paese delle Meraviglie è in rovina!- rispose solo il coniglio. Alice si rialzò e si guardò intorno. Cosa c’era di rovinato in quello stupendo paesaggio? Si voltò verso la via da cui era arrivata e vide il grigio che si diramava verso gli aceri rossi. La pioggia rendeva tutto quanto di pietra.
-Ma non c’è davvero nulla che non v…- cominciò voltandosi verso dove doveva esserci il coniglio, ma non c’era nulla. Fece spallucce e s’incamminò.
Gli aceri sembravano tendere sulla valle in modo minaccioso, delle cascate, in lontananza, cadevano impetuose nel nulla più totale. Alice intravide un fiumicello nascosto tra i tronchi e lo raggiunse, ma quando si addentrò nel rosso bosco non trovò altro che alberi. Continuò a camminare, sicura che da quelle parti dovesse esserci un fiume. Camminò molto e arrivò in una radura. Al centro, una tavola imbandita talmente bene che non poteva sicuramente appartenere al Cappellaio, che sedeva sulla sua sedia a capotavola.
Alice, ormai, si era convinta che era tutto un sogno. Niente di tutto quello poteva essere vero, o almeno, nei limiti del sognabile.
Si avvicinò a quella tavola e prese posto accanto al Cappellaio, squadrandolo coi suoi vispi occhi azzurri. Anche lui era tutto grigio. Alice pensò che forse c’era davvero qualcosa che non andava, perché quel Cappellaio non poteva indossare un cappello così neutro e spoglio.
Si sentiva un forte odore di thè, ma non c’era nulla che potesse somigliare tale. Solo tazze vuote, piatti puliti e stoviglie lucide.
-Tu chi sei?- chiese dopo un po’ al Cappellaio, notando che egli sembrava non averla vista.
-Io ero il Cappellaio.- le rispose lui, tenendo lo sguardo fisso sul sentiero da cui era venuta Alice.
-Alice, quale pensi sia il colore della vita?- chiese subito dopo, interrompendo una domanda che stava per porre la bambina.
Alice pensò fosse da maleducati interrompere le persone, ma comunque ci pensò su.
-Direi il rosso.-
-Rosso come?-
-Rosso come il sangue, la prova che siamo vivi. Rosso come gli errori, come l’amore e come le fragole che mi piacciono tanto. Rosso come le foglie degli aceri laggiù.-
Il Cappellaio annuì.
-Rosso come le foglie d’autunno. La pioggia che ho attraversato all’entrata era l’autunno, vero?-
-Alice, secondo te, la giovinezza può essere considerata come una primavera?- chiese il Cappellaio interrompendo nuovamente Alice, che fece finta di nulla.
-Certo. E la vecchiaia, penso, possa essere l’inverno.- gli rispose. –Ma, Cappellaio, dove sono la Lepre e il Ghiro?- chiese notando solo in quel momento l’assenza dei due animali teinomani.
-Alice, allora cosa sono l’autunno e l’estate?- domandò nuovamente il Cappellaio, lo sguardo fisso nel vuoto e gli occhi più grigi che mai. Alice, indignata da cotanta maleducazione, si alzò e salutò cordialmente il Cappellaio, prendendo il sentiero opposto a quello da cui era arrivata.
Certo non sapeva cose potessero essere l’estate e l’autunno, così vicini ma anche così lontani. L’estate era il caldo, il mare e la sabbia, quella dorata con cui giocava sempre al mare, faceva i castelli di sabbia e poi li mostrava alla mamma. Autunno erano le castagne che il papà portava ogni volta quando ritornava da lavoro, era la cioccolata calda che la mamma le preparava quando la tempesta infuriava fuori da quella casa sicura.
Alice si fermò e abbassò lo sguardo. Era stata via ben poco, da casa, ma voleva assolutamente ritornarci. Voleva correre su per le scale e buttarsi nel lettone dei genitori, così caldo e sicuro. Caldo come l’estate.
-Hai compreso cos’è l’estate, Alice?- chiese una voce da dietro di lei. Alice si voltò di scatto e incontrò due enormi occhi verdi e felini che la osservavano curiosamente.
-Tu non sei lo Stregatto.- disse Alice allontanandosi spaventata. Un enorme micio fluttuante la osservava, il pelo di diverse sfumature di grigio e il muso distorto in un’espressione triste e dolorante. –Lo Stregatto sorride.-
Il gatto chiuse gli occhi e scomparve. D’istinto, Alice si voltò nuovamente e incontrò di nuovo quegli occhi verdi come la speranza che non muore mai.
-L’estate sono i sentimenti, Alice.- disse fluttuando. –E l’autunno cos’è, Alice?-
-L’autunno sono le foglie che cadono, sono le giornate di pioggia dentro casa, al caldo e all’asciutto. L’autunno sono le castagne e la scuola. L’autunno sono i raffreddori.- rispose Alice come se avesse imparato le definizioni a memoria.
-Ora fammi tornare a casa!-
Lo Stregatto non mutò d’espressione, ma si dissolse in una nube di polvere. I suoi occhi erano spariti ancor prima di lui. Alice sentì una frase aleggiare nell’aria come eco:
“Tu non sei l’Alice che cercavamo.”
Alice si sentì svenire, ma si aggrappò a un ramo che trovò lì vicino.
-Voglio tornare a casa, voglio la mia mamma…- sussurrò lasciandosi scivolare a terra.
Voleva le castagne calde che suo padre gli portava ogni volta dopo il lavoro, la cioccolata da sorseggiare davanti ad una storia narrata dalla bella voce della madre. Tutto spariva. Tutto diventava grigio e sfocato, le foglie non erano più così rosse e vive.

Morbido. Alice aprì gli occhi e si mise a sedere sul letto. Sentì uno spiffero di vento sferzargli sul collo. Si voltò verso la finestra e vide che era aperta. Faceva freddo e il sole era alto nel cielo. Non ci pensò due volte e si alzò di fretta e furia, correndo dentro la camera dei genitori, che, però, trovò vuota.
Un fiore rosso era stato posato sul cuscino della madre. Un biglietto recitava: “Condoglianze per la morte di Alice. Spero che vostra figlia non ne risenta troppo.”.
   
 
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