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Autore: RizafromKeron    04/06/2007    6 recensioni
"E vissero per sempre felici e contenti..."
Genere: Romantico, Malinconico, Introspettivo | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato | Personaggi: Kairi, Riku
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Premettiamo una cosa a mio avviso basilare. Io ODIO la fine di Kingdom Hearts 2. Proprio non la sopporto, la detesto, la schifo. Credo che nella mia classifica di odio venga immediatamente dopo la fine del film di FMA (no, ma in generale odio per vari motivi che chi ha visto il film e conosce un po’ la sottoscritta capirà TUTTO il film di FMA, per cui quello non credo che faccia testo). Non mi va giù. Penso che il concetto sia chiaro. XD

Questo per dire cosa?

Niente di troppo complesso.

Solo che almeno nella mia fantasia mi sono presa la briga di far finire le cose in una maniera a me congeniale, secondo la mia sensibilità. Spero che questo lavoro risulti comunque gradevole. Anche perchè già mi odio tanto tanto per aver sforato le 1000 parole e aver resto questa storia non una flashfic ma una one-shot! T_T

Come sempre vostra aficionada

RizafromKeron

 

 

 

COME IN UNA FAVOLA

  

When you walk away
You don't hear me say: “Please, oh, baby, don't go”.
Simple and clean is the way that you're making me feel tonight
It's hard to let it go

 

Simple and Clean - Hikaru Utada

 

“Noi ci siamo lasciati.”

Kairi si stringe le gambe con le braccia sottili in una stretta dolce. Piega appena la testa di lato e poggia la guancia su un ginocchio. Sulle labbra tagliate da ciocche sottili di capelli rossi arsi dal sole morente un riso dolce, di una tenerezza disarmante, da lasciare il suo interlocutore come inebetito.

L’altro, amico di sempre, non trova le parole.

Con lei ha sempre faticato a trovarne.

C’era Sora a riempire i silenzi.

E adesso…

Adesso cosa dovrebbe dirle?

Niente. Riku tace Seduto all’indietro, coi gomiti puntellati nella sabbia e le dita intrecciate all’altezza dello stomaco, guarda lontano.

Oltre la sabbia bianca, oltre le onde che solleticano loro i piedi nudi come carezze. Tra le onde leggere vede brillare le squame d’argento di piccoli pesci, nel cielo la luna baruffa col sole nell’ora bella in cui si tinge d’oro e vermiglio. Un gabbiano si tuffa nell’acqua poco profonda in cerca di cibo, mancando la preda.

Kairi immerge la mano nella sabbia umida, volgendo gli occhi chiari ai complessi e torti ghirigori che vi traccia con le dita.

“Da piccola la nonna mi leggeva le favole.”, racconta. “Mi ha cresciuta con la convinzione che anche per me sarebbe stato così, perché io sono una Principessa…” Lo dice quasi con disgusto. “Mi era destinato un principe. Ho sognato, sempre, e immaginato tutto del prode guerriero che mi avrebbe condotta al suo castello: dagli occhi ai capelli, dalle movenze al suono della sua voce. Sentivo il tocco caldo, sicuro, di labbra morbide e gentili, la consistenza della sua mano stretta nella mia. Ho sognato l’amore, Riku.” Cancella con una rapida manata il disegno tracciato nella sabbia, simile a un sole ridente. Adesso lo fissa dal basso in alto, le guance arrossate di sole, scotendo appena la testa. “L’ho sognato tanto.”

Si blocca, Kairi, sotto il peso di quelle parole.

Parla d’amore e di sogni al passato, come se appartenessero a un mondo lontano, con l’amarezza nostalgica degli adulti. Ma Kairi è ancora una bambina, anche se la luce nei suoi occhi è amara, dura la piega delle labbra.

Riku vorrebbe dirle che non è solo fantasticheria.

Ma la verità è che a quelle cose non c’ha proprio mai creduto.

Perché non è un principe, un paladino o un protagonista.

Le principesse, vere o finte che siano, non fanno per lui: può solo amarle in silenzio, facendosi quietamente da parte all’occorrenza.

“Ma poi c’è stato Sora…”

Sora, l’eroe.

Il portatore del Keyblade.

Lei annuisce come se le fosse stata rivolta una domanda mentre guarda intenerita un granchio che le zampetta tra le gambe: ridacchia appena stringendo forte gli occhi quando con chele le sfiora i piedi facendole il solletico. Il sole caldo e rosso del tramonto le accentua le rughette sulle palpebre, conferendole per un istante un’aria sbarazzina.

E’ un viso così bello, il suo, da far male al cuore.

Più delle parole che lasciano le sue labbra.

“Sora è stato l’amore perfetto.”

Kairi si scioglie dall’abbraccio che le circonda le gambe e si stende sulla sabbia con un tonfo sordo e morbido, anche se Riku sa che non sopporta di averne i granelli tra i capelli. “E’ il principe delle fiabe, l’eroe senza macchia e senza paura che regge il destino del mondo. L’uomo che ho sognato una vita era accanto a me, a tendermi la mano.”

C’ero anch’io accanto a te, pensa disperato.

Proprio non può farne a meno, Riku.

Di vedersi al posto dell’eroe.

Di vagheggiare.

Di afferrarsi il petto e conficcarsi le dita all’altezza di quella trottola che gli gira al posto del cuore, in preda ad un dolore triste che gli invade il costato. Solleva e abbassa le spalle in respiri taciti e concitati. Lei ha chiuso gli occhi e ha aggrottato appena le ciglia in un moto di intensa concentrazione.

“Mi ha salvata e mi ha riportata a casa.”

Lo sussurra a voce cheta, come fosse un’accusa.

“Ero una Raperonzolo dai lunghi capelli, e lui il mio principe.”

Rotola su un fianco, verso di lui, e si poggia su un gomito, che affonda sulla superficie friabile, guardandolo come sul punto di dire qualcosa che aspetta di sentire da una vita. Gli occhi chiari, morbidi, sono ora induriti da un qualcosa di indefinito, una specie di orgoglio segreto.

I gabbiani si alzano in volo stridendo.

“Ma nessuno sa niente delle principesse.”

Kairi sussurra le sue poche parole in un filo di voce disperata. Il peso di quella confessione la protende in avanti finché col viso quasi non gli sfiora il fianco: le ciglia sono socchiuse come in attesa di un bacio, le guance imporporate di rosa scuro. C’è un istante in cui Riku è convinto di poterla toccare davvero.

Ma non funziona così.

“Le principesse sono esseri soli e tristi a cui il destino riserva uomini insulsi.”, continua lei. “Uomini bigotti e moralisti, compagni modesti, frigidi, amanti privi di fantasia. Sono fantocci che esprimono l’amore nel tempo di un bacio fugace che sveglia da un sonno incantato, creati per galoppare vessillo al vento in cerca di avventure. Non esiste lieto fine nelle favole. Quella è la grande menzogna. Alla fine della storia le principesse finiscono accanto ad eroi che non sanno che farsene di dame sottratte al pericolo.” E sussurra infine, senza tracce d’ira o biasimo nella voce.

“Gli eroi hanno bisogno di avventure.”

Riku vorrebbe darle torto.

Ma Sora se n’è andato di nuovo dall’isola.

Un giorno, all’improvviso, senza dire niente a nessuno.

Dove, nessuno lo sa. Riku è rimasto sorpreso quando la madre è venuta a casa sua in lacrime: le ha parlato a lungo, cercando di capire se qualcosa nel suo comportamento, col senno di poi, avrebbe potuto far presagire qualcosa del genere. Ma non ne sono venuti a capo.

Per questo l’ha detto a Kairi.

Sapeva che l’avrebbe trovata sulla spiaggia.

Da sola, sull’isola che i bambini avevano abbandonato.

A dipingere col quaderno sulle gambe, uno vecchio e consunto coi fogli raggrinzati gonfi di salsedine e mare, paesaggi di un blu uniforme in cui cielo e mare si liquefacevano assieme con un effetto inquietante.

Lei l’ha guardato in silenzio per un po’ e lo ha invitato a sederlesi accanto posando una mano in terra. Poi ha poggiato con noncuranza il libretto nella sabbia, e la tempera azzurra s’è impastata di sabbia sospinta dal vento.

“Noi ci siamo lasciati”, ha detto.

Come se spiegasse tutto.

Come fosse un qualcosa di inevitabile.

Come succede spesso ad un animo frenato, una volta afferrato il bandolo di un pensiero non si riesce più ad abbandonarlo: lo trattiene a sé, per quanto faccia male, rigirandoselo tra le dita fino a interrompere il flusso di sangue alle falangi. Fino a lasciarselo scappare come un’accusa da labbra tremanti e traditrici.

“Se sapevi che sarebbe finita così, perché gli sei rimasta accanto?”

Poi viene invaso dalla vergogna, e da una voglia rabbiosa e folle di conficcare le dita nelle spalle dell’amica e scuoterla con forza fino a strapparle di dosso l’ultimo brandello di calma inumana di cui fa sfoggio come fosse il suo stendardo. L’immagine è così vivida da fargli serrare la mascella con forza, fino a sentire i denti scricchiolargli nel palato. Ma è la tristezza, quella che le legge negli occhi, ad avere la meglio sul resto e a pressare ogni collerico proposito.

Gli sorride, impotente.

“Lo sai perché.”, gli risponde.

E Riku si scopre a saperlo davvero.

E’ perché non poteva andare in altro modo.

Perché è il destino delle principesse delle favole, imprigionate nell’inchiostro di pagine ingiallite o su isole sperdute, lasciarsi ghermire il cuore da scintillanti eroi in armatura. Passano l’infanzia a sognare di una bocca che scongeli labbra immote, sospiri d’amore che sollevino le ciglia da un sonno millenario. Restano in ascolto di uno scalpiccio di zoccoli e di una mano che riposta l’arma le conduca in un luogo fatato dove vivere per sempre felici e contenti, trascinate da una convinzione inculcata dall’infanzia cui viene conferito il sapore di un istinto. Perché quella è la stella, la luce da seguire: il punto d’arrivo oltre il quale non contano più pensieri e sentimenti.

Perché la gente vuole un lieto fine da fiaba.

“Perché a nessuno interessa chiedere a Raperonzolo se non preferirebbe portare i capelli corti.”

Le ombre si sono allungate.

Il sole è scivolato piano oltre l’orizzonte, ingoiato dall’acqua placida come velluto, lasciando la spiaggia metà all’oscuro. La sabbia bianca ora è intinta di un grigio cenere stantio, e gli alberi levano alla luna dita nere e flessuose.

Kairi tace.

Si è tirata a sedere.

Ha ripreso in mano il suo quaderno.

Intinge il pennello e stende la tempera sul foglio.

Riku le rimane accanto. Con il buio il mare si fa più minaccioso e non vuole lasciarle prendere la barca da sola. Osserva in silenzio la terra in lontananza: le case galleggiano sul mare coi lumini tremuli e leggeri. E’ una calda sera di metà estate, e le prime lucciole cominciano a brillar loro intorno. Lui ne scaccia una dalla fronte, stizzito. Tra poco dovranno per forza tornare a casa.

Si volta verso di lei, scrutandone intensamente le forme morbide e gentili nella poca luce che gli offre la penombra.

La favola è finita.

“E adesso?”

Lei sorride a capo chino.

“Adesso voglio qualcosa di reale.”

Kairi sfiora con la punta delle dita tinte d’azzurro cupo la guancia dell’amico, lasciandogli un segno di colore sulla pelle. Poi posa piano le labbra sulle sue baciandole teneramente, a lungo.

  
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