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Autore: Helektra    17/11/2012    0 recensioni
...Perché quella era la vendetta che si era concessa: la tortura psicologica, quella portata dal terrore, quella che leva il sonno e che uccide molto più lentamente di un ferro rovente, quella che si infila nei più piccoli spazi tra un pensiero e l’altro e alla fine condiziona tutto l’essere. Una vendetta atroce, senza possibilità di vie di uscita...
Genere: Azione | Stato: in corso
Tipo di coppia: non specificato
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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La bimba è felice e per dimostrarlo saltella lungo la strada del ritorno da scuola. Anche se è piccola e va ancora alle elementari ha avuto l’autorizzazione a tornare a casa da sola perché la mamma non può muoversi e deve badare al piccolo Josh e il papà deve lavorare e spesso viaggiare lontano. Di parenti che abitano da quelle parti non ne hanno e la mamma e il papà non possono permettersi una babysitter che la possa controllare. Ma va bene così, lei è grande e sa trovare la strada di casa.
La bimba stringe al petto un pacchetto regalo comprato per il papà con i pochi risparmi. Ha lavorato nelle case dei vicini per tre mesi per permettersi quella piccola sorpresa che ora stringe orgogliosa tra le piccole manine paffute. Oggi è il compleanno del papà e la mamma le ha promesso che loro due gli avrebbero preparato una torta e poi avrebbero festeggiato tutti insieme.
È felice la bimba mentre sale le scalette che conducono alla sua porta e prende le chiavi da dentro una tasca laterale del suo zainetto.
Apre l’uscio pesante e comincia a chiamare i propri familiari, ma capisce subito che c’è qualcosa che non va.
C’è silenzio. Troppo silenzio. Nella sua casa non c’è mai stato silenzio. La mamma canta sempre e ride e scherza.
<< Ma’? Pa’? Dove siete? >>
La bimba sente che sta succedendo qualcosa di brutto e percepisce qualcosa di freddo scivolargli lungo la schiena e farla rabbrividire. Paura. La bimba ha paura, ma deve essere forte, andrà tutto bene. Chiude la porta ed entra.
Va in salotto, mentre nessuno la viene a salutare. Dove sono tutti? Dove sono gli urli di Josh e le risate della mamma e del papà che scherzano e si prendono in giro?
Seduta sul divano c’è un’ombra che si alza e si volta. Freddi occhi azzurri come il ghiaccio si fissano nei suoi e lei si sente gelare.
<< Ciao bimba, lo sai che hai degli occhi davvero interessanti? >>
La bimba lo guarda e si sente atterrita da quel signore sconosciuto che in quel momento si sposta e lascia intravedere una figura dietro di se.
Ha lunghi capelli castani e quando alza il volto un rivolo di sangue le scende lungo il bordo delle labbra. La mamma sussurra una parola sola, mentre una macchia rossa si ingrandisce sotto di lei.
<< Sca…pa… >> Poggia la testa a terra e non si muove più. Solo in quel momento la bimba lascia cadere a terra il regalo per il papà e urla, mentre degli omoni in nero la prendono in braccio e la portano via.
 
Methin si alzò a sedere e si ritrovò seduta sul divano, lontana anni e anni da quel giorno che le aveva cambiato completamente la vita. La gola le doleva molto quindi doveva aver gridato mentre sognava, così si alzò e andò a bere un sorso d’acqua in cucina.
<< Non avrei mai pensato che i suoi occhi mi avrebbero tormentato ancora. Io ti ucciderò, Lucan Mc Tavish, fosse l’ultima cosa che faccio. >>
La giovane si avvicinò alla porta chiusa dello studio di Raphael, sentì il rumore di dita sulla tastiera e sbuffò: erano tre giorni che si era rinchiuso nel suo studio per decriptare i documenti che lei aveva rubato con successo alla villa dei Mc Tavish.
Sapeva che sarebbero stati protetti, ma non avrebbe mai immaginato che neanche un genio come Raphael con un super computer come quello che aveva un po’ comprato e un po’ fabbricato da solo, avrebbe trovato difficoltà a decifrare dei documenti. La ragazza sospirò, cosa che aveva fatto spesso negli ultimi tempi poi guardò l’orologio e quando si accorse che era l’ora di pranzo perciò cominciò a preparare qualcosa da mangiare sia per lei che per il giovane fratello.
Per lei preparò della semplice pasta con il tonno mentre per Raphael cucinò delle piccole polpette di carne e verdure abbastanza dure all’esterno da non sbriciolarsi e morbide all’interno, le infilzò con degli stuzzicadenti in modo tale che lui avrebbe dovuto solo masticare e mise tutto dentro un piatto. Prese anche una bottiglia di acqua dal frigo e aprì la porta che conduceva nel mondo del fratello.
La sala era quadrata, grande ed incredibilmente illuminata in modo tale che la vista di Raphael non venisse danneggiata. Tre pareti erano occupate da processori larghi quanto armadi a tre ante, intervallati da finestra rettangolari che andavano dal pavimento al soffitto per garantire la luce adeguata. Al centro del soffitto, altrimenti vuoto, c’erano numerose lampade che si accendevano automaticamente quando un sensore all’interno della stanza avvisava che la luce solare era diventata insufficiente. La scrivania era al centro della camera ed immensamente larga e con una figura concentrata sullo schermo mentre le sue dita tamburellavano sui tasti senza che lui di preoccupasse di guardare dove andavano a pigiare i suoi polpastrelli. Come per lei la pistola era il prolungamento del suo arto, per il ragazzo i computer erano parte di lui.
Raphael era concentrato sul suo compito e non si accorse neanche dell’ingresso nella stanza della sorella.
Methin era sicura che non si sarebbe accorto di niente fino a che non avesse terminato il suo compito perciò gli si avvicinò e gli picchiettò due volte sulla spalla per avvisarlo che avrebbe poggiato il pranzo accanto a lui, aspettò che il giovane mangiasse tutto per passargli una bottiglietta d’acqua che lui si scolò in un paio di sorsi. Terminato tutto Methin se ne andò tranquillamente senza neanche salutare sapendo che Raphael non avrebbe risposto.
Si sdraiò nuovamente sul divano stupita del fatto che nonostante il sogno che aveva fatto, o meglio il ricordo che aveva sognato, non era uno sguardo di ghiaccio che l’aveva riempita di paura quello che incontrava quando chiudeva gli occhi ma erano di un azzurro più caldo, come il cielo estivo. Era ancora più meravigliata del fatto che quello che provava in quel momento era un fuoco dentro di lei: non il fuoco della rabbia o della voglia di vendetta ma una passione ardente e sfrenata che la portava a desiderare quei baci impetuosi dell’unico ragazzo che era in grado di infiammarla così. 
Methin sbuffò di nuovo e scossa la testa prima di alzarsi dal divano con un movimento agile e leggero e correre verso la cucina per scrivere un post-it al ragazzo chiuso nella stanza vicina.
 Era il loro modo di comunicare visto che entrambi, appena tornavano a casa o si liberavano da qualche impegno, si ritrovavano davanti al frigo per mangiare o bere qualcosa.
Appena Raphael avrebbe finito il suo lavoro avrebbe sicuramente festeggiato con una birra.
“   Raphael, sono uscita.
Chiamami se hai novità e non sono tornata.
                                      M.  “
Attaccato il post-it sul frigo si diresse nella sua camera da letto dove si mise qualcosa di adeguato per la situazione: una semplice canottiera bianca con lo scollo a v , un giacchetto di pelle nera senza dimenticare la fondina ascellare con dentro la sua amata pistola con colpo in canna e la sicura. Un paio di pantaloni di pelle lunghi e degli stivali dello stesso materiale e neri, alti fino alla caviglia e con un leggero tacco di pochi centimetri con cui avrebbe potuto correre e muoversi bene in caso di necessità. Lasciò i capelli completamente sciolti, poi corse verso la porta prendendo le chiavi di casa e quelle della Lamborghini che aveva noleggiato per rubare i documenti di Lucan e che ancora non aveva restituito. Scese in garage dove accarezzò leggermente la sua amatissima moto da corsa e sorrise alla vista del pickup di Raphael completamente sporco di polvere, poi aprì il garage e partì sgommando verso la città.
 
In dieci minuti arrivò nel luogo in cui si trovava lo studio di Erik, un posto tranquillo eppure di alta classe e di sicuro costoso. La ragazza parcheggiò l’auto nel posteggio riservato ai clienti dell’investigatore che sarebbe stato vuoto se non ci fossero stata la macchina vecchia che aveva parcheggiato vicino a lei alla villa dei Mc Tavish.
Lei ghignò poi scese dall’auto ed entrò nell’ingresso fermandosi qualche secondo lì per provare a sentire se ci fosse qualche novità. Un angolo delle sue labbra non poté fare a meno di piegarsi verso l’altro quando sentì Erik che da una qualche stanza gridava a quella che doveva essere chiaramente la sua assistente e segretaria:
<< Jasmin! Fammi una ricerca su tutti i bambini scomparsi tra gli ultimi ventisei e sedici anni e mettili in relazione con gli spostamenti degli amici di mio padre! Soprattutto quelli assassinati dalla Morte! >>
 ‘ Allora non sei solo un bel faccino e un bel corpo, Erik Mc Tavish. ‘ Si ritrovò a pensare tra se e se la giovane ladra assassina.
Entrò nello studio e trovò una giovane ragazza bionda che stava digitando qualcosa ad un piccolo computer portatile posto al centro di una scrivania rovinata e graffiata ai bordi, come se avesse subito diversi traslochi. Di fronte la scrivania della segretaria c’era un’unica poltrona di pelle con l’imbottitura pienamente in vista mentre il muro delle pareti aveva bisogno di una nuova verniciata.
‘ Mmmm il posto non sembra essere molto curato. L’ arredamento è scarso e di poco valore e probabilmente molte sono le persone entrate dalla stessa porta che hanno supposto che se l’investigatore se la passava così male forse non era bravo come si pensava’.
Storse la bocca pensando che forse avrebbe potuto fare il Babbo Natale della situazione senza che Erik se ne accorgesse. Era praticamente milionaria e qualche spicciolo in meno non le avrebbe cambiato la sua situazione economica mentre evidentemente l’avrebbe cambiata ad Erik e alla sua assistente.
Forse alla sua assistente no. La guardò attentamente quando si avvicinò a lei senza farsi notare: belle forme, dall’aspetto intelligente ma dalla camicia troppo aperta per i suoi gusti. Un pizzico di gelosia le inondò le vene e Methin si ritrovò a pensare di torturare lentamente la donna che aveva di fronte se avesse osato toccare con un dito Erik.
‘ Ma che pensieri faccio? ‘ Si costrinse ad assumere un tono di voce gentile e dolce e a rilassare il volto atteggiandolo a quella di una normale borghese.
<< Tu devi essere Jasmin. >> L’assistente si interruppe e alzò lo sguardo sgranando poi gli occhi per la sorpresa e rimanendo a fissarla per due secondi con la bocca aperta prima di annuire senza parole.
<< Sto cercando l’investigatore privato Erik Mc Tavish. >> La ragazza si limitò ad indicare la porta alla sua sinistra che in quel momento era chiusa poi tornò a fissarla.
L’assassina annuì e sorrise lasciando ancora più di stucco la ragazza. << Credo che faresti meglio a tornare a lavoro prima che le urla del tuo capo si sentano anche da fuori. Sai, spaventa i clienti. >>  
Si costrinse a sorridere gentilmente anche se dentro di lei ribolliva una strana rabbia che non riusciva a capire bene da dove provenisse. Forse dal fatto che aveva scoperto che alla segretaria si vedeva perfettamente tutto dall’altezza a cui si trovava lei e sapeva che anche Erik sarebbe stato in grado di vedere ogni centimetro della scollatura della donna di fronte a lei. Jasmin riportò l’attenzione sullo schermo del suo computer cercando di non degnare di un ulteriore sguardo quella strana ragazza che si era presentata all’improvviso davanti a lei e che le aveva fatto gelare il sangue nelle vene.
‘ Pericolo! ‘ le aveva urlato il suo sesto senso. Come se non bastasse tutte le donne che si rivolgevano ad Erik e che quindi avevano soldi da spendere di solito facevano sentire la loro presenza e il loro arrivo perché desideravano essere sempre al centro dell’attenzione, invece questa era stata completamente silenziosa nonostante i tacchi che portava. Qualcosa dentro di lei le diceva che quella donna che stava aprendo in quel momento la porta dello studio di Erik non era una persona normale.  
Erik era seduto al centro di una grande scrivania ingombra di documenti su documenti mentre a terra c’erano tantissimi fascicoli di casi risolti da tempo. Aveva la testa china e i suoi capelli biondi ricadevano su un foglio che stava leggendo così attentamente che non si era nemmeno accorto che la Morte era entrato nella sua stanza.
Methin si sedette su una delle due poltrone di pelle finta e rovinate come quella che si trovava nell’altra stanza, di fronte a lui, accavallando le gambe e osservandolo mentre leggeva accuratamente il suo fascicolo.
<< Avrei potuto ucciderti e non te ne saresti neanche accorto. La Morte sussurra al tuo orecchio Mc Tavish e dovresti stare più attento se non vuoi esalare il tuo ultimo respiro. >>
Erik sobbalzò alla voce di Methin e alzò la testa di scatto incontrando un paio di occhi dorati. Quel giorno, però, la sfumatura di quegli occhi aveva un qualcosa di spaventoso come se la stessa assassina che sedeva davanti a lui avesse la morte negli occhi. Sentì un brivido freddo corrergli lungo la schiena mentre osservava sguardo dorato gelido e freddo. Ogni volta che aveva visto la ragazza aveva pensato solo ad una bella bambolina senza ricordare che era lei quella che aveva spaventato suo padre a tal punto da ingaggiare suo figlio per scovarla. In quel momento, con quegli occhi fissi su di lui, seppe cosa avevano provato le persone quando si erano accorti che quella sarebbe stata l’ultima persona che avrebbero visto. Cercò di stamparsi bene in testa che la persona che aveva di fronte non era una semplice ragazza ma una spietata assassina con dietro di se anni di addestramento e di orrori. 
<< Avresti potuto uccidermi talmente tante volte che anche se fossi stato un gatto ci sarebbe già stato il mio funerale. >>
A quelle parole l’assassina scoppiò a ridere e i suoi occhi tornarono normali: liquidi e dorati e stupendamente affascinanti, come Erik li aveva sempre visti.
Il ragazzo la osservò attentamente e notò un piccolo particolare che non aveva notato le volte precedenti: al collo della ragazza pendeva una catenina d’argento con un ciondolo che brillava scarlatto in contrasto con la canottiera bianca: il ciondolo era legato alla catenina tramite una base sempre d’argento che si avvolgeva in spirali attorno ad una pietra rossa cremisi a forma di sfera. Era troppo brillante per essere un rubino e rifletteva la luce in modo particolare.
Methin si accorse dove lui stava guardando e sorrise, prendendo in mano il ciondolo e girandoselo tra le dita. Ricordava perfettamente quando sua madre le aveva regalato quel ciondolo e anche le parole che le aveva detto. Non avrebbe mai potuto dimenticarle.
<< Tu sei come questo ciondolo, piccola mia. Alcuni potranno dire che sei imperfetta, che vali di meno degli altri, proprio come questo diamante vale di meno rispetto a quello ‘puro’. Ma ricorda, piccola mia, che solo perché per gli altri un oggetto vale di meno perché ‘imperfetto’ non vuol dire che sia davvero così. Tu sei come questo diamante. Imperfetta e macchiata dal sangue, ma sei resistente come nessun altro: sia nel fisico che nello spirito. Ma ricorda, piccola mia, che non devi mai far si che l’omicidio ti macchi l’anima. Quando con un omicidio cominci a provare piacere per il dolore che causi tutto diventa nero. Non far mai diventare la tua anima nera. >>
Methin si riscosse da quel ricordo e osservò il ragazzo che aveva di fronte e i suoi occhi così simili ad un uomo che aveva giurato di uccidere ma che nel frattempo erano così diversi. Non provava gusto in quello che faceva. Non le piaceva mettere a tacere una vita ma sapeva anche che se avesse semplicemente fatto arrestare i colpevoli di quello che era successo a lei e a tante altre persone questi sarebbero semplicemente usciti di prigione prima della fine del processo, facendo scomparire tutte le prove che li avrebbero incastrati. Erano troppo potenti perché la legge riuscisse a sradicare un’erba così malvagia e l’unica soluzione che aveva trovato era quella di ucciderli tutti.
Erik sorrise leggermente anche se un brivido di paura gli era sceso lungo la schiena una seconda volta quel giorno: da quel bel sorriso d’amore il suo sguardo era diventato di ghiaccio. Probabilmente aveva ripensato agli uomini che l’avevano resa ciò che era.  Il giovane si nascose come meglio poté dietro la sua scrivania cercando di non far notare alla persona che aveva di fronte che gli tremavano le gambe e che era mortalmente spaventato. Methin aveva ragione, lei avrebbe potuto ucciderlo in qualsiasi momento e lui non se ne sarebbe neanche accorto e questa era la prima volta che il giovane si sentiva così indifeso davanti ad una persona. Anche quando litigava con il padre era sicuro che lui non avrebbe mai esagerato invece con la ragazza che aveva di fronte era tutta un’incognita. Prese in mano il fascicolo che aveva davanti e si ritrovò un sorriso sbarazzino e due occhi castani che lo guardavano sorridendo e gli si gelò il sangue nelle vene.
La bambina nella foto, quella scomparsa da poco, aveva all’incirca otto anni. Osservò la ragazza di fronte a lui e cominciò a fare qualche calcolo. Nonostante sembrasse un’adolescente l’assassina doveva avere circa venti anni, forse ventidue e per diventare così agili e bravi a sparare e a combattere servivano anni di addestramento.
Ammettendo che avesse ventidue anni e che si fosse allenata per dieci o quindici anni il risultato veniva all’incirca sette anni e all’improvviso sbiancò in volto e si sentì mancare: possibile che quella bambina scomparsa senza lasciare traccia fosse stata rapita dalle stesse persone che avevano trasformato la persona che aveva di fronte in una spietata assassina?
Erik poggiò il fascicolo sul tavolo e lo fece strusciare sulla scrivania in direzione di Methin che lo prese e lo osservò attentamente leggendo il documento.
Mano a mano che leggeva le mani cominciarono a tremarle e una rabbia cieca si impadronì di lei.
<< Ancora una volta? Tutto quello che sto facendo non basta ancora per fermarli? >>
Se Erik aveva provato compassione per quegli uomini che erano stati uccisi in quel momento tutta la sua pietà se ne era andata: nessuno doveva permettersi di rovinare la vita di un bambino. Tantomeno quella di più bambini innocenti.
Si sentì improvvisamente male: le persone uccise erano tutte a stretto contatto con suo padre che gli aveva chiesto di indagare sul caso e di scovare l’assassino. Ebbe un conato di nausea quando realizzò che probabilmente suo padre era uno di quelli che avevano partecipato in qualche modo al rapimento di quella bambina e si ritrovò a pensare che forse l’uomo che l’aveva cresciuto si era trovato di fronte ad una spietata assassina quando era ancora una bambina spaventata dal mondo.
La guardò notando che era pallida, stravolta e pensò che le servisse un po’ di aria perciò prese il pacchetto di sigarette dal suo cassetto e si alzò dicendo che aveva un bisogno incredibile di fumare. Methin annuì mentre con le labbra strette tra i denti saliva delle strette scalinate che conducevano ad un terrazzo sopra il palazzo.
Il terrazzo in se era un semplice quadrato di mattonato con la struttura quadrata da cui erano usciti i due che si trovava perfettamente al centro della costruzione e con una piccola tettoia che serviva a schermare dal sole chiunque avesse deciso di avventurarsi in quel posto dimenticato in qualsiasi periodo dell’anno o del giorno. Poco distanti da loro si trovavano altri palazzi più alti mentre a pochi metri da loro, sul terrazzo, c’era quello che sembrava un’enorme ventola di un condizionatore che lasciava uscire aria calda in continuazione e che era ricoperta da un materiale di plastica dura. Erik si riparò dal sole e si appoggiò al muro in modo tale da avere l’astro alle spalle. Con un piede sul muro insieme alla schiena prese una sigaretta dal pacchetto e la accese per aspirare profondamente una boccata di fumo. Methin nel frattempo si era messa accanto a lui e in modo tale che il fumo non le andasse nei polmoni.
<< Dovresti smettere di fumare. Davvero. Fa male. >> Era un vano tentativo di distrazione perché le immagini della sua memoria da bambina le stavano tornando alla mente, sempre più vivide e vicine.
Erik sorrise e la distrasse dai suoi ricordi mentre toglieva la sigaretta dalla bocca e la guardava.
<< Ho cominciato per una stupida ribellione adolescenziale e adesso non riesco più a smettere. >>
Methin sollevò un angolo della bocca ma poi lo osservò farsi più cupo. << Mio padre ti ha cambiato la vita, vero? >>
Annuì solo perché in quel momento non aveva abbastanza forza per parlare del suo passato, di quegli incubi che la tormentavano giorno e notte e che solo la vendetta, forse, avrebbe potuto acquietare. Sapeva che prima o poi le avrebbe fatto quella domanda, ma era fin troppo stupita che il ragazzo ci stesse mettendo davvero poco a fare due più due e incastrare tutti i pezzi del puzzle che la collegava alla sua famiglia.
 ‘ La mia piccola preda è davvero intelligente. ‘
<< Mi dispiace. >>
Una risata amara le uscì dalle labbra prima ancora di riuscire a fermarla. << Non ti devi scusare per quello che ha fatto tuo padre con me. Le colpe dei padri non ricadono sui figli. Se pensassi davvero che fosse colpa tua ti avrei già ucciso la prima volta che ci siamo incontrati. >>
Erik annuì senza guardarla ma fissando invece le volute di fumo che si avvolgevano in spire per poi scomparire nell’alto, nell’aria. Anche Methin le fissò e il suo sguardo andò a finire sul palazzo di fronte a loro e con un terrazzo più alto rispetto al punto in cui si trovavano loro. Istintivamente pensò che quella era una posizione perfetta per un cecchino che avesse voluto mirare a dove si trovavano i due: buona visuale e copertura, mentre la possibile vittima non avrebbe avuto quasi nessun posto per nascondersi e non avrebbe potuto tornare all’interno del palazzo senza prima esporsi pericolosamente. Se ci si fosse messi sotto un porticato neanche il sole avrebbe dato tanti problemi per un cecchino esperto. Sentì un brivido correrle lungo la schiena quando notò il riflesso di uno specchietto proprio di fronte a lei: quello era l’unico inconveniente perché una persona addestrata al combattimento e alle armi come lei avrebbe notato il riflesso. Prima che se ne rendesse conto stava prendendo Erik per una spalla e lo stava buttando dietro l’unico nascondiglio possibile in quello spazio aperto e completamente scoperto: dietro la ventola del condizionatore. Purtroppo però non fece in tempo perché sentì uno sparo risuonare nell’aria e subito dopo Erik si accasciò contro di lei mentre gemeva per il dolore.
<< No! >> ‘ Ti prego non morire! Non morire! ‘ Depositò Erik a terra perfettamente nascosto e notò una macchia rossa che si allargava velocemente all’altezza della spalla destra.
<< Erik se ti azzardi a morire giuro che ti ammazzo! >> La ragazza tirò fuori dalla fondina la sua arma, tolse la sicura e poi cercò di spiare dal bordo del suo nascondiglio prima che un colpo le fischiasse vicino alle orecchie.
<< Maledizione! >> Doveva fare in fretta perché il sangue usciva copioso dalla ferita del ragazzo e non poteva muoversi finchè non metteva K.O. l’avversario. Respirò a fondo e immaginò dentro la testa il perimetro del terrazzo e dove aveva notato il riflesso dello specchietto. Una volta fatto questo pensò a dove si trovava lei in quel momento e come avrebbe dovuto sparare. Respirò ancora una volta profondamente mentre un altro sparo perforava l’aria e il proiettile si incastrò nel pavimento leggermente alla sua sinistra.
Si alzò di scatto e sparò prima di tornare al suo posto di protezione. In risposta un altro sparo rimbombò nell’aria. L’assassina imprecò leggermente e osservò il ragazzo sdraiato accanto a lei che respirava affannosamente e che cercava di arrestare l’emorragia premendo la mano sinistra sulla ferita.
<< Bravo, così Erik. Non mollare. Vedrai che m sbarazzo di questo bastardo in poco tempo e poi ti curo. >> Osservò un secondo i suoi occhi che lentamente si stavano appannando. L’assassina digrignò i denti mentre sparava un altro colpo per poi rifugiarsi di nuovo dietro la ventola del condizionatore.
<< Voglio… il…  vestito… da infermiera… >> Erik sorrise da solo al verso di disgusto dell’assassina. All’inizio aveva sentito un forte dolore alla spalla e aveva pensato che si era fratturato qualcosa o addirittura rotto un osso. Si era poggiato la mano sulla ferita che subito aveva cominciato a sanguinare abbondantemente e aveva cercato di arrestare l’emorragia pur sapendo che non si sarebbe fermata. Lentamente però il dolore stava diminuendo come anche i rumori. Non sentiva quasi più il rombo degli spari dell’assassina e delle sue imprecazioni visto che non riusciva a mirare al cecchino. Stava forse morendo? Probabilmente si. Sentiva il sangue che inzuppava la sua camicia e il freddo della morte che gli rendeva insensibili le punte delle dita. La vista gli si offuscò lentamente e cominciò a respirare con un po’ di difficoltà anche se la mente rimaneva abbastanza vigile, tanto da ragionare lucidamente.
‘ Ma certo sto morendo dissanguato per colpa del proiettile. Le speranze di sopravvivere sono poche e ancora di meno se il proiettile è andato a fermarsi in qualche organo. Methin sarà l’ultima persona che vedrò? ‘ Cercò di fissarla bene in quel momento. I lunghi capelli erano agitati al vento creato dai suoi spostamenti veloci per evitare che il cecchino potesse colpirla. La posizione semi acquattata e la pistola puntata verso l’alto quando aspettava lo sparo del nemico. Un movimento veloce, uno sparo e poi tornava alla sua posizione acquattata e sicura. Lei si girò verso di lui e l’oro dei suoi occhi colorò tutto il suo mondo che si stava facendo sempre più scuro a partire dai bordi. ‘ Sto morendo. Tanto vale dire qualcosa di indimenticabile. ’
Erik pensò di aver sorriso ma non ne fu sicuro perché non riusciva più a percepire le sua labbra.
<< Assassina… che ne dici… di un bel bacio… della Morte? >>
‘ Questa è l’idea che ho di qualcosa di indimenticabile? Erik eri solo un cretino’.
<< Per favore… di a mia madre e alla … m- mia piccola… sorellina che le ho amate. Tanto… >> Pensò di aver sorriso ancora e poi le labbra di lei furono su di lui in un bacio dolce e leggero. Era solo la sua immaginazione? Non riusciva a dirlo perché tutto si era fatto buio. Buio in cui galleggiava e in cui non c’erano spari, non c’era dolore.
Solo pace.
 


Note dell'autrice:
Scusate se ci ho messo tanto! Avevo scritto questo capitolo prima dell'inizio della scuola, ma poi per un motivo o per un altro non l'ho mai pubblicato!
Che dire, i capitoli e la storia sono in continua evoluzione e mi accorgo che ogni capitolo che aggiungo alla fine è completamente diverso da come l'avevo immaginato. Forse la storia ha un carattere un pò troppo riflessivo, ma penso che almeno per il momento sia giusto approfondire il carattere e i sentimenti dei personaggi e spero di riuscire ad aggiungere un pò di azione per ogni capitolo che posterò! Spero che vi piaccia :)
Sto seriamente amando i miei personaggi. Più la storia va avanti e più si crea nella mia testa e più vedo ogni personaggio come una persona vera e reale. Li vedo accanto a me mentre scrivo dei loro pensieri. (si ok sono pazza lo so!) Spero che anche voi pensiate quello che penso io. Che dire? Non vi rivelo niente della storia e spero di poter aggiungere il prima possibile un altro capitolo :)

A presto!
 - Hel -



  
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