Note dell'autrice: La storia
è ambientata nel periodo che
segue l’esame per diventare Alchimista di Stato di Edward e
si sviluppa da
un’ipotetica guerra civile scatenata dagli Ishvaliani dopo
l’avvento di Scar.
C’era
da
sentirsi morti come quelli che ammazzavano.
C’era
da ridere per non uccidersi.
C’era
da stritolare la pistola tra le mani fino a farsi male
come Hawkeye; da conficcarsi le unghie nella pelle sotto i guanti come
Mustang;
da guardare il proprio automail e non riuscire a combinare niente.
Come
Ed. Lui voleva raschiare via il sangue degli altri
dalle mani sudice, ma non aveva il coraggio di strapparsi la carne
viva, anche
se quel braccio di metallo ci sarebbe riuscito davvero facilmente. Con
il
sapone non si lavava, il sangue, con le lacrime nemmeno. Doveva
squarciarsi i
palmi e spremerlo fuori, lo sapeva, ma non ne era in grado. Doveva
guardarsi
ogni dito, ogni articolazione, ogni centimetro di pelle – o
di metallo – con
cui estorceva la vita. Di notte, malgrado il buio, doveva sopportare le
braccia
rosse e quel colore si rifletteva nei suoi occhi e sporcava anche
quelli.
Avvolti dalle anime che lui stesso aveva rubato, i suoi arti rilucevano
fino ad
accecarlo e gli impedivano di dormire.
Quando
la guerra finirà,
si diceva. Allora potrò pulirmi.
Ma
la guerra non finiva.
Combattiamo
per la pace, Acciaio.
Forse
Mustang ci credeva davvero, o forse faceva finta, però
vomitava quella bugia solo per lui. Ci riusciva così bene;
la menzogna gli si
formava nello stomaco e risaliva per l’esofago fino a
esplodere fuori dalla sua
bocca. I residui dei succhi gastrici, però, la rendevano
sempre più acida.
Quindici
anni erano davvero troppo pochi. Strappargli i
sogni equivaleva a bruciargli i polmoni, lasciargliene un brandello
poteva
significare donargli ossigeno per un giorno in più. Roy
glielo dava, ma era un
alchimista anche lui e sapeva che non era solo O2 quello
che gli
inculcava a forza nel petto.
Azoto,
argon, anidride carbonica. Da solo l’ossigeno è
tossico.
Rabbia,
forza d’animo, orgoglio. Da sola la speranza uccide.
L’avrebbe
tenuto in vita a calci, quel maledetto ragazzino.
A
mia immagine e somiglianza
Carne
che affonda nella carne. Un respiro mozzato, un livido
in procinto di fiorire. Uno schizzo di sangue che sfugge dalle labbra
dischiuse
in un gemito, figlio di un paio di costole rotte.
È
incredibile pensare che tutte queste
cose accadano nell’unico secondo che serve a Roy per sferrare
un pugno, ed è
ancora più strano sapere che Acciaio rifletta su tali
inutili elucubrazioni
umane mentre il colpo lo manda a gambe all’aria. Cogliere la
miriade di
emozioni contrastanti che si combattono a vicenda negli occhi del
colonnello
Mustang è altrettanto intrigante.
«Sei
solo d’impaccio!» urla così forte che il
cuore di Ed
smette di strillare per starlo a sentire. «Se non sei in
grado di uccidere,
allora deciditi a morire!»
Lo
dice, può dirlo, è lui che lo ha salvato per
l’ennesima
volta. L’uomo che poco prima puntava una pistola contro la
sua nuca bionda è
scomparso; Ed non guarda a terra perché ha paura di vedere
il cadavere
falcidiato da uno dei tanti cecchini dell’esercito appostati
tra le rovine di
Ishval. Ormai deve camminare stando bene attento a evitare le mani e le
teste
che si accumulano ai suoi piedi, e il ricordo di un se stesso di cinque
anni che
gioca col fratello a non calpestare le righe delle piastrelle
è talmente fuori
luogo da straziarlo.
Roy
lo salva sempre così. Poco prima che un proiettile gli
faccia saltare le interiora lo colpisce con così tanta forza
da sbalzarlo a
terra, lontano dalla traiettoria della pallottola. Fino a che non
sarà in grado
di reggersi sulle sue gambe, lo farà cadere in ginocchio.
Non gli piace, ma è
l’unico modo che ha per tenerlo in vita, e non sa che Ed
spesso si chiede se
non sia meglio morire una sola volta che sopportare tutto questo ogni
giorno.
Il
colonnello gli preme una pistola contro il petto, con
violenza, come se volesse impiantargliela nel corpo alla stregua di un
automail. «Non vuoi sporcare la tua alchimia? Benissimo, usa
questa. Ma spara, accidenti a te, o
ti ammazzo prima
che riesca a farlo uno dei ribelli.» Il cane
dell’arma spinta contro di lui è
così affilato che pare volergli incidere il torace e
cavargli il cuore. La
sfiora per accoglierla tra le mani tremanti e una scarica elettrica gli
atrofizza
il battito cardiaco.
Quel
metallo non ha niente di diverso dal suo braccio destro
o dalla sua gamba sinistra, ma Ed ne ha abbastanza della guerra. Si
sente preso
dalla vita e perso nella morte.
Non
guarda nemmeno quell’ammasso di ferraglia che gli insozza
ancora di più le dita già sporche di sangue. La
getta a terra, ai piedi del
colonnello, e la calcia via con tutta la forza che ha. La sabbia
intercetta il
suo automail, i granelli si alzano in una fontana del deserto, ma il
suo gesto
è come un guanto di sfida. Quello sguardo adesso ha perso la
vacuità della
disperazione e Roy può tirare un sospiro di sollievo.
Il
ragazzo è ancora vivo, un altro giorno.
«Sei
un cane dell’esercito come tutti noi.» il calore
del
suo fuoco sembra bruciare anche quelle parole. «Niente di
più, niente di meno.»
Non sa se preferirebbe afferrarlo per la gola o abbracciarlo. Propende
per la
prima, anela la seconda, si rassegna a stringere i pugni nelle tasche.
Edward
ha visto così tanti cadaveri che ormai si
sovrappongono davanti al suo sguardo ubriaco di stanchezza. Quel
bambino col
collo spezzato in fondo al vicolo è minuto come Al, la
ragazza squarciata a
metà da una bomba ha i capelli di Winry, gli abitanti che
aspettano di venire
uccisi da lui potrebbero essere quelli di Resembool. Se riuscisse a
spiegarlo
al colonnello, quel testone capirebbe perché non
può uccidere.
E
invece Mustang continua a farlo infuriare. Edward non è
come tutti gli altri, non è solo un cane
dell’esercito. Per dimostrarlo deve
sopravvivere e giura a se stesso che lo farà. Mentre sputa
questa promessa in
faccia al suo superiore, è così accecato
dall’orgoglio da non vedere gli occhi
soddisfatti dell’alchimista di Fuoco sepolti sotto il
cipiglio austero.
È
solo questo quello che Mustang vuole: vederlo vivo dentro,
non solo fuori. Non gli importa quante volte dovrà sbatterlo
a terra. Quel
ragazzino non lo sa, ma può cambiare il mondo: dopo che i
reduci di Ishval,
accecati dall’esempio di Scar, hanno presidiato il loro
vecchio villaggio e
ostentato una resistenza armata, finanziati dai paesi confinanti che
non
vedevano l’ora di far tremare Amestris, quello stato
è caduto nel caos. Roy sa
che l’alchimista d’Acciaio ha qualcosa
–
non sa cosa, ma lo vede dentro di lui – che gli fa presagire
un futuro
migliore. Forse è solo una proiezione mentale che si
è creato per non spararsi
un colpo in testa, chi lo sa.
Riesce
sempre a salvarlo mentre si trova sul ciglio del
burrone. Non perché qualcuno sta per ucciderlo, ma
perché Ed sta per smettere
di vivere. Lo afferra per la collottola giusto in tempo e lo sbatte
contro il
muro più vicino per urlargli contro quanto sia inutile,
codardo, infantile. Il
ragazzino lo detesta, si fa coraggio, si inorgoglisce. Mano a mano che
i suoi
occhi si colorano di queste emozioni, Roy si rilassa e capisce di
avercela
fatta un’altra volta.
Lo
ha visto annichilirsi del tutto dopo aver ucciso il suo
primo uomo. Ha visto la sua anima staccarsi da lui nello stesso modo in
cui la
vita vola via da un corpo, ma è riuscito a riacciuffarla con
la punta delle
dita e a ficcargliela dentro di nuovo.
Roy
ha imparato dalla sua esperienza militare che c’è
sempre
qualcosa che può essere lasciata indietro, che sia un
compagno o un’arma, ma a
quello non è in grado di rinunciare. Non
permetterà che Ed si scordi del suo
sogno.
Qualcuno
avrebbe potuto accusarlo di eroismo, tuttavia il
colonnello non si sarebbe mai accollato quella definizione. Era un uomo
normale, annientato come tutti gli altri ma incapace di mollare la
presa: le
parole con cui Acciaio gli aveva raccontato il suo intento lo avevano
sradicato
troppo profondamente dalla realtà per lasciare che
rimanessero solo ideali
vuoti.
Quel
ragazzino e suo fratello avrebbero ripreso i loro corpi
perché ci credevano e perché dovevano continuare
a farlo. Ne andava della vita
di Roy.
La
morte sembra l’insulto che un dio malevolo scaglia contro
gli uomini. Non c’è alcun decoro in un corpo
putrefatto, o nel sangue versato
che scintilla fino a che non si asciuga e perde la sua ultima scaglia
di vita.
Non c’è niente di insondabile dentro due occhi
vuoti o tra le urla mute di una
gola tagliata. Un cadavere dopo un paio d’ore sotto il sole
di Ishval puzza, i
tessuti marciscono e il rigor mortis infierisce su un povero mucchio
d’ossa.
Il
maresciallo Falman era amico di Ed, ma ciò non gli dona
una morte migliore delle altre. È solo un altro corpo che
inzuppa la terra di
sangue e impregna l’aria di un odore insopportabile, non
è eroica la sua bocca
spalancata, o la polvere sui suoi capelli, o il foro in pieno petto che
ancora
vomita fuori la vita andatasene da un pezzo. Edward rabbrividisce ma
non può
fare a meno di guardarli, lui e le mosche che già gli girano
attorno. Le
scaccia con un gesto distratto, la mente attraversata da una
riflessione
sfuggente sul minimo di rispetto che si deve tributare a un cadavere
già fin
troppo privato della sua dignità.
Spunta
fuori solo un braccio sporco di melma da dietro i
bidoni di spazzatura che l’uomo aveva usato come nascondiglio
nel suo ultimo
tentativo di beffare la fine. Morto dissanguato in un vicolo. La mano
tesa
sembra inviare a Ed una richiesta d’aiuto così
inutile da apparire demenziale.
Il
maresciallo è quasi ipnotico. Acciaio non lo ha mai
degnato di uno sguardo mentre era in vita e ora
quell’involucro di carne e ossa
lo attira come il portale dell’inferno. Non sente di
rabbrividire malgrado la
temperatura quasi desertica.
La
granata che gli rotola vicino al piede sinistro non è
più
interessante di una qualunque balla di fieno, in quel momento. Lui non
si trova
lì, è a metà tra Ishval e Falman.
Il
tempo si cristallizza in un attimo che dura lo spazio di
una vita spezzata, «Stai
giù, idiota!»,
e poi ricomincia a scorrere, dopo una brusca accelerazione che compensa
la
stasi di poco prima.
Il
corpo del colonnello Mustang lo schiaccia a terra e lo fa
bruciare ancor più del sole di Ishval. È
irrazionale, stupido e privo di senso,
ma Roy ha bisogno di infilargli a forza una mano sotto la divisa e
piantargliela sul petto.
Un
secondo in cui l’intero mondo si zittisce, e poi il battito
della vita pulsa forte e prepotente, assolutamente inarrestabile,
contro le sue
dita. Adesso quella contrazione ritmica, alla base di ogni esistenza,
gli pare
più fragile di una rosa bagnata.
Gli
occhi di Ed, che prima sputavano così tanto orrore da
accecarlo,
tornano ad arrancare nel mondo. Mustang chiude i suoi, talmente
sollevato da
non poter guardare la devastazione attorno a loro. Sente quel ragazzino
così al
sicuro sotto di lui da volerlo tenere lì fino alla fine
della guerra, insieme a
tutte le speranze che il suo corpo minuto cova al suo interno.
Bentornato
tra i vivi, Acciaio.
Edward
nota lo sguardo di Roy forse per la prima volta e
tutto sembra andare oltre il confine di demarcazione del tangibile.
Quegli
occhi si immergono con prepotenza dentro di lui e gli sconquassano lo
stomaco,
sono quelli di Hohenheim che se ne andava da casa.
Non
sa cosa farsene di tutto quel calore e allora sceglie di
comportarsi come gli viene meglio. Da stronzo.
Con
uno scatto gli pianta uno stivale negli addominali e lo
calcia via, alzandosi sulle gambe ancora tremanti. Il contatto fisico
si
interrompe con uno strappo quasi doloroso, ma ormai le loro anime si
sono
toccate e non ci si può far nulla.
Ed
guarda meglio. Gli occhi del colonnello non assomigliano
per nulla a quelli di suo padre: hanno lo stesso sapore di quelli di
Winry
quando gli lancia una chiave inglese in testa e poi lo abbraccia. Ecco
perché
gli hanno fatto tanto male.
Roy
ruota su se stesso poco prima di toccare terra e fa
perno sui piedi per evitare di essere sbalzato contro la superficie
dura del
suolo. Non appena recupera l’equilibrio scatta in avanti e
inchioda Edward al
muro senza alcuna difficoltà, giocando
sull’effetto sorpresa e con il suo corpo
minuto. Il colpo di fucile destinato ad Acciaio va a vuoto.
Il
ragazzino pianta le mani sulle spalle di Mustang e vi
esercita pressione, costringendolo a picchiare la schiena contro la
parete, e
inverte la posizione precedente. Il proiettile del cecchino si conficca
in un
mattone invece che tra le scapole del colonnello e lo scoppio li fa
sussultare
entrambi.
Edward
gli infila una mano nella fondina, prende la pistola,
si volta di trecentosessanta gradi e la testa dell’ishvaliano
esplode in un
tripudio di materia cerebrale e liquido ematico. La canna della calibro
9 fuma
ancora mentre Roy lo afferra per il colletto e lo spinge nel vicolo
più vicino,
evitando la granata che li avrebbe fatti saltare in aria.
Il
calore di Mustang ormai è una seconda pelle.
Le
mani di Edward si sono fuse con il suo corpo.
Non
ci sono parole né pensieri per esprimerlo, solo un
turbine di sensazioni che non riesce a manifestarsi coerentemente;
rimane
appena un accumulo di immagini confuse che nessuno dei due è
in grado di
interpretare. Solo il vicolo cieco che si staglia davanti a loro mette
fine al
battito martellante dei due cuori, che esplode di nuovo appena il
tenente
Hawkeye piomba tra loro due, lanciandosi da una tettoia, e apre il
fuoco contro
gli inseguitori. I corpi crivellati ballano sotto i proiettili come
scossi da una
risata sguaiata, prima di crollare a terra.
Il
silenzio dura una vita.
«Ottimo
lavoro, tenente.» Il colonnello si spazzola la
polvere dalla spalla senza guardare Riza negli occhi. La donna unisce i
piedi e
si porta la mano destra alla fronte senza rispondere.
Edward
guarda gli uomini ai suoi piedi, poi le mani vibranti
che ancora stringono la pistola presa da Roy.
«Vattene
nella tua tenda, Acciaio. In queste condizioni non
sei utile a nessuno.»
Il
ragazzo segue la traiettoria del suo sguardo e vede la
propria spalla sinistra zuppa di sangue. Torcendo il collo per
scrutarsi la
schiena nota il pezzo di vetro conficcato accanto alla scapola e
all’improvviso
sente dolore. Ricorda la fitta che ha avvertito quando Roy lo ha
sbattuto
contro il muro, ma tutto il resto era più importante di un
coccio di bottiglia
incastrato prima tra due mattoni e poi nella sua pelle.
«Posso
ancora combattere.»
Mente.
Non c’è mai riuscito.
Roy
non ha voglia di fargli capire che i danni fisici sono
di gran lunga meno rilevanti del suo stato psicologico. Gli strappa la
calibro
9 dalle mani, che ancora stritolavano quel pezzo di metallo come a
volerlo
uccidere, e gli pianta una mano nel petto. Lo spinge via e non fa altro
che
avvicinarsi ancora di più a lui.
«Vai
a farti medicare.» ripete. «È un
ordine.»
Lui
punta i piedi e si prepara a ribattere, ma Mustang alza
lo sguardo e incrocia quello di Riza. Annuisce impercettibilmente e gli
occhi
di Edward si sgranano un po' mentre il tenente lo colpisce di piatto
alla base
della nuca.
Sviene
senza un lamento.
«Ha
solo quindici anni.» Roy mastica le parole una ad una,
alla stregua di un cane che dilania un osso. «Tutto questo fa
schifo.»
Riza
gli posa una mano sulle spalle, acconsentendo ad
ignorare il fatto che sono loro due e tutti gli altri a fare schifo, e
poi si
abbassa per raccogliere il corpo esanime di Edward. Turbando entrambi,
il
colonnello la ferma.
«Lo
porto io.» dice, e il suo tono non ammette repliche.
«Torna alla tua postazione. Ci saranno sicuramente altri due
poveri idioti come
noi che aspettano che li salvi.»
La
donna sorride dell’unico sorriso che si riesce a fare
mentre si è in guerra, incompleto e un po’ amaro,
e si arrampica di nuovo sul
balcone da cui protegge il suo esercito. Durante quella piccola
interruzione
sono morti alcuni soldati. Probabilmente suoi conoscenti, sicuramente
esseri
umani.
Roy
si carica l’alchimista d’Acciaio sulle spalle e
arranca
verso l’accampamento, senza potersi impedire di pensare che
l’unica differenza
tra quel corpo e un cadavere qualsiasi sia minima. Il cuore che,
nonostante la
stoffa dei vestiti, gli attraversa la schiena e batte insieme al suo.
Il
respiro calmo che gli soffia via i capelli dal collo, solleticandogli
l’orecchio. Il sangue che dalla spalla di Acciaio cola sui
suoi polsi e gli inumidisce
le mani, compromettendo la presa sulle cosce del ragazzino.
Potrebbe
morirgli sulla schiena ed essere solo uno dei tanti
caduti. Se lo toglie dalle spalle per riuscire a prenderlo tra le
braccia; se
proprio devono ammazzarglielo, che lo facciano mentre può
guardarlo in faccia.
Deve vedere la vita che gli scivola via dagli occhi e dal viso e
imprimersela
nella testa per poter nutrire il suo senso di colpa fino a morirne.
Deve
poterlo proteggere rannicchiandosi come un riccio attorno a lui e
salvarlo
un’altra volta, l’ultima.
A
Roy piace che le altre persone gli debbano un favore. Il
ragazzino ha un debito verso di lui perché gli ha salvato la
vita innumerevoli
volte, e può estinguerlo solo realizzando il suo sogno,
dando un senso a quel
mondo che Mustang ha bisogno di veder cambiare. Edward ha il compito di
essere
il futuro di Amestris e l’ultima speranza di uno stupido
colonnello.
Il
sole di fuoco tramonta dietro all’uomo che si stringe al
petto un quindicenne svenuto e sanguinante. Un altro giorno
è passato, un altro
giorno sono stati vivi. Il domani è l’unica
incertezza che hanno, ma quando
anche il domani finirà sarà solo un altro giorno,
niente di più. Un grande
ostacolo che si rivela una misera vittoria. Non si sorprende a scoprire
che gli
esseri umano siano talmente miseri.
Roy
è stanco e sparare agli ishvaliani che gli sbarrano la
strada è difficile. Si getta il corpo di Edward sulla spalla
destra, cercando
di reggerlo con una mano mentre con l’altra apre il fuoco, ma
il click che l’arma fa
quando anche
l’ultimo proiettile lo abbandona è troppo
assordante per poterlo ignorare.
Eppure continua a premere il grilletto a vuoto per imprimersi quel
click nella
testa, a ricordargli quanto è stupido.
Lo
squarcio sul suo guanto sinistro gli appare come una
voragine e si maledice per non essere riuscito a fare un salto nella
sua tenda
per prenderne un altro.
Sono
creature superbe, gli uomini. Mustang si è illuso di
poter tenere testa ai ribelli anche senza alchimia, ma quando si
ritrova
circondato da una ventina di ishvaliani è costretto a
ricredersi. È
un’imboscata; quella era zona neutra, altrimenti non avrebbe
sfidato la sorte a
tal punto da attraversarla con un semicadavere tra le braccia. Lo
sposta sulla
spalla sinistra, evitando appena in tempo che un proiettile gli faccia
saltare
la testa bionda, ma ne parte un altro che centra qualche organo interno
e il
ragazzino gli vomita sangue sulla giacca.
Hawkeye
è troppo lontana per essere utile. Lo stesso mondo
è
voltato dalla parte opposta.
Mustang
è un soldato addestrato e non ha paura; si convince
che quella stretta allo stomaco sia causata solo da un mix di rabbia e
delusione. E dolore per la pallottola che gli scava il fianco destro.
Edward
si sveglia appena in tempo per morire.
Mustang
muore appena prima di poter vedere gli occhi di
Acciaio vivere un’ultima volta.
Gli
ishvaliani sparano qualche altro colpo, giusto per
assicurarsi che siano schiattati davvero, e poi se ne vanno.
Solo
altri due cadaveri in una città fantasma. Chissà
quanti
altri uomini stanno morendo insieme alla loro fiducia, al mondo. E poi
Mustang
se l’era cercata; a che pro plasmare un ragazzino a immagine
e somiglianza
della propria speranza? Vivere tanto intensamente e poi morire in un
agguato
qualunque, solo per aver voluto proteggere la sua voglia di vivere
innestata
artificialmente dentro un quindicenne. Che cosa stupida.
Lo
hai imparato troppo tardi, Roy, che anche i sogni vanno
lasciati andare. Perfino quelli che non sono nostri, che abbiamo rubato
a un
bambino e difeso fino allo stremo.
Questi
sogni, adesso, muoiono con voi.
Il
mondo non si fermerà per un colonnello e un suo
sottoposto. Non siete altro che due cani dell’esercito ormai
inutili, che
qualcuno dovrà spostare e gettare in una fossa comune. Non
avete cambiato il
mondo. Non avete fatto niente.
Siete
solo… morti.
~ ° ~
Note conclusive: Questa fanfiction partecipa al contest Beating of your heart indetto da My Pride sul forum di EFP.
È la prima fanfiction che scrivo in questo fandom e sono un po' nervosa, spero di non aver scritto un'atrocità. Mi auguro che vi sia piaciuta almeno un po' e che mi lascerete un commentino, anche solo per mandarmi a quel paese 8D
Saluti,
shirangel