Anime & Manga > Full Metal Alchemist
Ricorda la storia  |      
Autore: Shirangel    18/11/2012    2 recensioni
La guerra è nei suoi occhi, nelle sue mani e nella sua testa. Lo acceca, lo mutila e lo fa impazzire. L’unica cosa che gli resta da tentare è plasmarsi una speranza ed immetterla in qualcuno che può reggerne il peso.
Non funzionerà nemmeno questo.
[Roy x Ed]
Genere: Angst, Drammatico, Guerra | Stato: completa
Tipo di coppia: Shonen-ai | Personaggi: Edward Elric, Roy Mustang | Coppie: Roy/Ed
Note: What if? | Avvertimenti: Contenuti forti, Violenza
Per recensire esegui il login o registrati.
Dimensione del testo A A A

Note dell'autrice: La storia è ambientata nel periodo che segue l’esame per diventare Alchimista di Stato di Edward e si sviluppa da un’ipotetica guerra civile scatenata dagli Ishvaliani dopo l’avvento di Scar.





C’era da sentirsi morti come quelli che ammazzavano.

C’era da ridere per non uccidersi.

C’era da stritolare la pistola tra le mani fino a farsi male come Hawkeye; da conficcarsi le unghie nella pelle sotto i guanti come Mustang; da guardare il proprio automail e non riuscire a combinare niente.

Come Ed. Lui voleva raschiare via il sangue degli altri dalle mani sudice, ma non aveva il coraggio di strapparsi la carne viva, anche se quel braccio di metallo ci sarebbe riuscito davvero facilmente. Con il sapone non si lavava, il sangue, con le lacrime nemmeno. Doveva squarciarsi i palmi e spremerlo fuori, lo sapeva, ma non ne era in grado. Doveva guardarsi ogni dito, ogni articolazione, ogni centimetro di pelle – o di metallo – con cui estorceva la vita. Di notte, malgrado il buio, doveva sopportare le braccia rosse e quel colore si rifletteva nei suoi occhi e sporcava anche quelli. Avvolti dalle anime che lui stesso aveva rubato, i suoi arti rilucevano fino ad accecarlo e gli impedivano di dormire.

Quando la guerra finirà, si diceva. Allora potrò pulirmi.

Ma la guerra non finiva.

Combattiamo per la pace, Acciaio.

Forse Mustang ci credeva davvero, o forse faceva finta, però vomitava quella bugia solo per lui. Ci riusciva così bene; la menzogna gli si formava nello stomaco e risaliva per l’esofago fino a esplodere fuori dalla sua bocca. I residui dei succhi gastrici, però, la rendevano sempre più acida.

Quindici anni erano davvero troppo pochi. Strappargli i sogni equivaleva a bruciargli i polmoni, lasciargliene un brandello poteva significare donargli ossigeno per un giorno in più. Roy glielo dava, ma era un alchimista anche lui e sapeva che non era solo O2 quello che gli inculcava a forza nel petto.

Azoto, argon, anidride carbonica. Da solo l’ossigeno è tossico.

Rabbia, forza d’animo, orgoglio. Da sola la speranza uccide.

L’avrebbe tenuto in vita a calci, quel maledetto ragazzino.

 

A mia immagine e somiglianza

 

Carne che affonda nella carne. Un respiro mozzato, un livido in procinto di fiorire. Uno schizzo di sangue che sfugge dalle labbra dischiuse in un gemito, figlio di un paio di costole rotte.

È incredibile pensare che tutte queste cose accadano nell’unico secondo che serve a Roy per sferrare un pugno, ed è ancora più strano sapere che Acciaio rifletta su tali inutili elucubrazioni umane mentre il colpo lo manda a gambe all’aria. Cogliere la miriade di emozioni contrastanti che si combattono a vicenda negli occhi del colonnello Mustang è altrettanto intrigante.

«Sei solo d’impaccio!» urla così forte che il cuore di Ed smette di strillare per starlo a sentire. «Se non sei in grado di uccidere, allora deciditi a morire!»

Lo dice, può dirlo, è lui che lo ha salvato per l’ennesima volta. L’uomo che poco prima puntava una pistola contro la sua nuca bionda è scomparso; Ed non guarda a terra perché ha paura di vedere il cadavere falcidiato da uno dei tanti cecchini dell’esercito appostati tra le rovine di Ishval. Ormai deve camminare stando bene attento a evitare le mani e le teste che si accumulano ai suoi piedi, e il ricordo di un se stesso di cinque anni che gioca col fratello a non calpestare le righe delle piastrelle è talmente fuori luogo da straziarlo.

Roy lo salva sempre così. Poco prima che un proiettile gli faccia saltare le interiora lo colpisce con così tanta forza da sbalzarlo a terra, lontano dalla traiettoria della pallottola. Fino a che non sarà in grado di reggersi sulle sue gambe, lo farà cadere in ginocchio. Non gli piace, ma è l’unico modo che ha per tenerlo in vita, e non sa che Ed spesso si chiede se non sia meglio morire una sola volta che sopportare tutto questo ogni giorno.

Il colonnello gli preme una pistola contro il petto, con violenza, come se volesse impiantargliela nel corpo alla stregua di un automail. «Non vuoi sporcare la tua alchimia? Benissimo, usa questa. Ma spara, accidenti a te, o ti ammazzo prima che riesca a farlo uno dei ribelli.» Il cane dell’arma spinta contro di lui è così affilato che pare volergli incidere il torace e cavargli il cuore. La sfiora per accoglierla tra le mani tremanti e una scarica elettrica gli atrofizza il battito cardiaco.

Quel metallo non ha niente di diverso dal suo braccio destro o dalla sua gamba sinistra, ma Ed ne ha abbastanza della guerra. Si sente preso dalla vita e perso nella morte.

Non guarda nemmeno quell’ammasso di ferraglia che gli insozza ancora di più le dita già sporche di sangue. La getta a terra, ai piedi del colonnello, e la calcia via con tutta la forza che ha. La sabbia intercetta il suo automail, i granelli si alzano in una fontana del deserto, ma il suo gesto è come un guanto di sfida. Quello sguardo adesso ha perso la vacuità della disperazione e Roy può tirare un sospiro di sollievo.

Il ragazzo è ancora vivo, un altro giorno.

«Sei un cane dell’esercito come tutti noi.» il calore del suo fuoco sembra bruciare anche quelle parole. «Niente di più, niente di meno.» Non sa se preferirebbe afferrarlo per la gola o abbracciarlo. Propende per la prima, anela la seconda, si rassegna a stringere i pugni nelle tasche.

Edward ha visto così tanti cadaveri che ormai si sovrappongono davanti al suo sguardo ubriaco di stanchezza. Quel bambino col collo spezzato in fondo al vicolo è minuto come Al, la ragazza squarciata a metà da una bomba ha i capelli di Winry, gli abitanti che aspettano di venire uccisi da lui potrebbero essere quelli di Resembool. Se riuscisse a spiegarlo al colonnello, quel testone capirebbe perché non può uccidere.

E invece Mustang continua a farlo infuriare. Edward non è come tutti gli altri, non è solo un cane dell’esercito. Per dimostrarlo deve sopravvivere e giura a se stesso che lo farà. Mentre sputa questa promessa in faccia al suo superiore, è così accecato dall’orgoglio da non vedere gli occhi soddisfatti dell’alchimista di Fuoco sepolti sotto il cipiglio austero.

È solo questo quello che Mustang vuole: vederlo vivo dentro, non solo fuori. Non gli importa quante volte dovrà sbatterlo a terra. Quel ragazzino non lo sa, ma può cambiare il mondo: dopo che i reduci di Ishval, accecati dall’esempio di Scar, hanno presidiato il loro vecchio villaggio e ostentato una resistenza armata, finanziati dai paesi confinanti che non vedevano l’ora di far tremare Amestris, quello stato è caduto nel caos. Roy sa che l’alchimista d’Acciaio ha qualcosa – non sa cosa, ma lo vede dentro di lui – che gli fa presagire un futuro migliore. Forse è solo una proiezione mentale che si è creato per non spararsi un colpo in testa, chi lo sa.

Riesce sempre a salvarlo mentre si trova sul ciglio del burrone. Non perché qualcuno sta per ucciderlo, ma perché Ed sta per smettere di vivere. Lo afferra per la collottola giusto in tempo e lo sbatte contro il muro più vicino per urlargli contro quanto sia inutile, codardo, infantile. Il ragazzino lo detesta, si fa coraggio, si inorgoglisce. Mano a mano che i suoi occhi si colorano di queste emozioni, Roy si rilassa e capisce di avercela fatta un’altra volta.

Lo ha visto annichilirsi del tutto dopo aver ucciso il suo primo uomo. Ha visto la sua anima staccarsi da lui nello stesso modo in cui la vita vola via da un corpo, ma è riuscito a riacciuffarla con la punta delle dita e a ficcargliela dentro di nuovo.

Roy ha imparato dalla sua esperienza militare che c’è sempre qualcosa che può essere lasciata indietro, che sia un compagno o un’arma, ma a quello non è in grado di rinunciare. Non permetterà che Ed si scordi del suo sogno.

Qualcuno avrebbe potuto accusarlo di eroismo, tuttavia il colonnello non si sarebbe mai accollato quella definizione. Era un uomo normale, annientato come tutti gli altri ma incapace di mollare la presa: le parole con cui Acciaio gli aveva raccontato il suo intento lo avevano sradicato troppo profondamente dalla realtà per lasciare che rimanessero solo ideali vuoti.

Quel ragazzino e suo fratello avrebbero ripreso i loro corpi perché ci credevano e perché dovevano continuare a farlo. Ne andava della vita di Roy.

 

 

La morte sembra l’insulto che un dio malevolo scaglia contro gli uomini. Non c’è alcun decoro in un corpo putrefatto, o nel sangue versato che scintilla fino a che non si asciuga e perde la sua ultima scaglia di vita. Non c’è niente di insondabile dentro due occhi vuoti o tra le urla mute di una gola tagliata. Un cadavere dopo un paio d’ore sotto il sole di Ishval puzza, i tessuti marciscono e il rigor mortis infierisce su un povero mucchio d’ossa.

Il maresciallo Falman era amico di Ed, ma ciò non gli dona una morte migliore delle altre. È solo un altro corpo che inzuppa la terra di sangue e impregna l’aria di un odore insopportabile, non è eroica la sua bocca spalancata, o la polvere sui suoi capelli, o il foro in pieno petto che ancora vomita fuori la vita andatasene da un pezzo. Edward rabbrividisce ma non può fare a meno di guardarli, lui e le mosche che già gli girano attorno. Le scaccia con un gesto distratto, la mente attraversata da una riflessione sfuggente sul minimo di rispetto che si deve tributare a un cadavere già fin troppo privato della sua dignità.

Spunta fuori solo un braccio sporco di melma da dietro i bidoni di spazzatura che l’uomo aveva usato come nascondiglio nel suo ultimo tentativo di beffare la fine. Morto dissanguato in un vicolo. La mano tesa sembra inviare a Ed una richiesta d’aiuto così inutile da apparire demenziale.

Il maresciallo è quasi ipnotico. Acciaio non lo ha mai degnato di uno sguardo mentre era in vita e ora quell’involucro di carne e ossa lo attira come il portale dell’inferno. Non sente di rabbrividire malgrado la temperatura quasi desertica.

La granata che gli rotola vicino al piede sinistro non è più interessante di una qualunque balla di fieno, in quel momento. Lui non si trova lì, è a metà tra Ishval e Falman.

Il tempo si cristallizza in un attimo che dura lo spazio di una vita spezzata, «Stai giù, idiota!», e poi ricomincia a scorrere, dopo una brusca accelerazione che compensa la stasi di poco prima.

Il corpo del colonnello Mustang lo schiaccia a terra e lo fa bruciare ancor più del sole di Ishval. È irrazionale, stupido e privo di senso, ma Roy ha bisogno di infilargli a forza una mano sotto la divisa e piantargliela sul petto.

Un secondo in cui l’intero mondo si zittisce, e poi il battito della vita pulsa forte e prepotente, assolutamente inarrestabile, contro le sue dita. Adesso quella contrazione ritmica, alla base di ogni esistenza, gli pare più fragile di una rosa bagnata.

Gli occhi di Ed, che prima sputavano così tanto orrore da accecarlo, tornano ad arrancare nel mondo. Mustang chiude i suoi, talmente sollevato da non poter guardare la devastazione attorno a loro. Sente quel ragazzino così al sicuro sotto di lui da volerlo tenere lì fino alla fine della guerra, insieme a tutte le speranze che il suo corpo minuto cova al suo interno.

Bentornato tra i vivi, Acciaio.

Edward nota lo sguardo di Roy forse per la prima volta e tutto sembra andare oltre il confine di demarcazione del tangibile. Quegli occhi si immergono con prepotenza dentro di lui e gli sconquassano lo stomaco, sono quelli di Hohenheim che se ne andava da casa.

Non sa cosa farsene di tutto quel calore e allora sceglie di comportarsi come gli viene meglio. Da stronzo.

Con uno scatto gli pianta uno stivale negli addominali e lo calcia via, alzandosi sulle gambe ancora tremanti. Il contatto fisico si interrompe con uno strappo quasi doloroso, ma ormai le loro anime si sono toccate e non ci si può far nulla.

Ed guarda meglio. Gli occhi del colonnello non assomigliano per nulla a quelli di suo padre: hanno lo stesso sapore di quelli di Winry quando gli lancia una chiave inglese in testa e poi lo abbraccia. Ecco perché gli hanno fatto tanto male.

Roy ruota su se stesso poco prima di toccare terra e fa perno sui piedi per evitare di essere sbalzato contro la superficie dura del suolo. Non appena recupera l’equilibrio scatta in avanti e inchioda Edward al muro senza alcuna difficoltà, giocando sull’effetto sorpresa e con il suo corpo minuto. Il colpo di fucile destinato ad Acciaio va a vuoto.

Il ragazzino pianta le mani sulle spalle di Mustang e vi esercita pressione, costringendolo a picchiare la schiena contro la parete, e inverte la posizione precedente. Il proiettile del cecchino si conficca in un mattone invece che tra le scapole del colonnello e lo scoppio li fa sussultare entrambi.

Edward gli infila una mano nella fondina, prende la pistola, si volta di trecentosessanta gradi e la testa dell’ishvaliano esplode in un tripudio di materia cerebrale e liquido ematico. La canna della calibro 9 fuma ancora mentre Roy lo afferra per il colletto e lo spinge nel vicolo più vicino, evitando la granata che li avrebbe fatti saltare in aria.

Il calore di Mustang ormai è una seconda pelle.

Le mani di Edward si sono fuse con il suo corpo.

Non ci sono parole né pensieri per esprimerlo, solo un turbine di sensazioni che non riesce a manifestarsi coerentemente; rimane appena un accumulo di immagini confuse che nessuno dei due è in grado di interpretare. Solo il vicolo cieco che si staglia davanti a loro mette fine al battito martellante dei due cuori, che esplode di nuovo appena il tenente Hawkeye piomba tra loro due, lanciandosi da una tettoia, e apre il fuoco contro gli inseguitori. I corpi crivellati ballano sotto i proiettili come scossi da una risata sguaiata, prima di crollare a terra.

Il silenzio dura una vita.

«Ottimo lavoro, tenente.» Il colonnello si spazzola la polvere dalla spalla senza guardare Riza negli occhi. La donna unisce i piedi e si porta la mano destra alla fronte senza rispondere.

Edward guarda gli uomini ai suoi piedi, poi le mani vibranti che ancora stringono la pistola presa da Roy.

«Vattene nella tua tenda, Acciaio. In queste condizioni non sei utile a nessuno.»

Il ragazzo segue la traiettoria del suo sguardo e vede la propria spalla sinistra zuppa di sangue. Torcendo il collo per scrutarsi la schiena nota il pezzo di vetro conficcato accanto alla scapola e all’improvviso sente dolore. Ricorda la fitta che ha avvertito quando Roy lo ha sbattuto contro il muro, ma tutto il resto era più importante di un coccio di bottiglia incastrato prima tra due mattoni e poi nella sua pelle.

«Posso ancora combattere.»

Mente. Non c’è mai riuscito.

Roy non ha voglia di fargli capire che i danni fisici sono di gran lunga meno rilevanti del suo stato psicologico. Gli strappa la calibro 9 dalle mani, che ancora stritolavano quel pezzo di metallo come a volerlo uccidere, e gli pianta una mano nel petto. Lo spinge via e non fa altro che avvicinarsi ancora di più a lui.

«Vai a farti medicare.» ripete. «È un ordine.»

Lui punta i piedi e si prepara a ribattere, ma Mustang alza lo sguardo e incrocia quello di Riza. Annuisce impercettibilmente e gli occhi di Edward si sgranano un po' mentre il tenente lo colpisce di piatto alla base della nuca.

Sviene senza un lamento.

«Ha solo quindici anni.» Roy mastica le parole una ad una, alla stregua di un cane che dilania un osso. «Tutto questo fa schifo.»

Riza gli posa una mano sulle spalle, acconsentendo ad ignorare il fatto che sono loro due e tutti gli altri a fare schifo, e poi si abbassa per raccogliere il corpo esanime di Edward. Turbando entrambi, il colonnello la ferma.

«Lo porto io.» dice, e il suo tono non ammette repliche. «Torna alla tua postazione. Ci saranno sicuramente altri due poveri idioti come noi che aspettano che li salvi.»

La donna sorride dell’unico sorriso che si riesce a fare mentre si è in guerra, incompleto e un po’ amaro, e si arrampica di nuovo sul balcone da cui protegge il suo esercito. Durante quella piccola interruzione sono morti alcuni soldati. Probabilmente suoi conoscenti, sicuramente esseri umani.

Roy si carica l’alchimista d’Acciaio sulle spalle e arranca verso l’accampamento, senza potersi impedire di pensare che l’unica differenza tra quel corpo e un cadavere qualsiasi sia minima. Il cuore che, nonostante la stoffa dei vestiti, gli attraversa la schiena e batte insieme al suo. Il respiro calmo che gli soffia via i capelli dal collo, solleticandogli l’orecchio. Il sangue che dalla spalla di Acciaio cola sui suoi polsi e gli inumidisce le mani, compromettendo la presa sulle cosce del ragazzino.

Potrebbe morirgli sulla schiena ed essere solo uno dei tanti caduti. Se lo toglie dalle spalle per riuscire a prenderlo tra le braccia; se proprio devono ammazzarglielo, che lo facciano mentre può guardarlo in faccia. Deve vedere la vita che gli scivola via dagli occhi e dal viso e imprimersela nella testa per poter nutrire il suo senso di colpa fino a morirne. Deve poterlo proteggere rannicchiandosi come un riccio attorno a lui e salvarlo un’altra volta, l’ultima.

A Roy piace che le altre persone gli debbano un favore. Il ragazzino ha un debito verso di lui perché gli ha salvato la vita innumerevoli volte, e può estinguerlo solo realizzando il suo sogno, dando un senso a quel mondo che Mustang ha bisogno di veder cambiare. Edward ha il compito di essere il futuro di Amestris e l’ultima speranza di uno stupido colonnello.

Il sole di fuoco tramonta dietro all’uomo che si stringe al petto un quindicenne svenuto e sanguinante. Un altro giorno è passato, un altro giorno sono stati vivi. Il domani è l’unica incertezza che hanno, ma quando anche il domani finirà sarà solo un altro giorno, niente di più. Un grande ostacolo che si rivela una misera vittoria. Non si sorprende a scoprire che gli esseri umano siano talmente miseri.

Roy è stanco e sparare agli ishvaliani che gli sbarrano la strada è difficile. Si getta il corpo di Edward sulla spalla destra, cercando di reggerlo con una mano mentre con l’altra apre il fuoco, ma il click che l’arma fa quando anche l’ultimo proiettile lo abbandona è troppo assordante per poterlo ignorare. Eppure continua a premere il grilletto a vuoto per imprimersi quel click nella testa, a ricordargli quanto è stupido.

Lo squarcio sul suo guanto sinistro gli appare come una voragine e si maledice per non essere riuscito a fare un salto nella sua tenda per prenderne un altro.

Sono creature superbe, gli uomini. Mustang si è illuso di poter tenere testa ai ribelli anche senza alchimia, ma quando si ritrova circondato da una ventina di ishvaliani è costretto a ricredersi. È un’imboscata; quella era zona neutra, altrimenti non avrebbe sfidato la sorte a tal punto da attraversarla con un semicadavere tra le braccia. Lo sposta sulla spalla sinistra, evitando appena in tempo che un proiettile gli faccia saltare la testa bionda, ma ne parte un altro che centra qualche organo interno e il ragazzino gli vomita sangue sulla giacca.

Hawkeye è troppo lontana per essere utile. Lo stesso mondo è voltato dalla parte opposta.

Mustang è un soldato addestrato e non ha paura; si convince che quella stretta allo stomaco sia causata solo da un mix di rabbia e delusione. E dolore per la pallottola che gli scava il fianco destro.

Edward si sveglia appena in tempo per morire.

Mustang muore appena prima di poter vedere gli occhi di Acciaio vivere un’ultima volta.

Gli ishvaliani sparano qualche altro colpo, giusto per assicurarsi che siano schiattati davvero, e poi se ne vanno.

Solo altri due cadaveri in una città fantasma. Chissà quanti altri uomini stanno morendo insieme alla loro fiducia, al mondo. E poi Mustang se l’era cercata; a che pro plasmare un ragazzino a immagine e somiglianza della propria speranza? Vivere tanto intensamente e poi morire in un agguato qualunque, solo per aver voluto proteggere la sua voglia di vivere innestata artificialmente dentro un quindicenne. Che cosa stupida.

Lo hai imparato troppo tardi, Roy, che anche i sogni vanno lasciati andare. Perfino quelli che non sono nostri, che abbiamo rubato a un bambino e difeso fino allo stremo.

Questi sogni, adesso, muoiono con voi.

Il mondo non si fermerà per un colonnello e un suo sottoposto. Non siete altro che due cani dell’esercito ormai inutili, che qualcuno dovrà spostare e gettare in una fossa comune. Non avete cambiato il mondo. Non avete fatto niente.

Siete solo… morti.

~ ° ~

Note conclusive: Questa fanfiction partecipa al contest Beating of your heart indetto da My Pride sul forum di EFP. 

È la prima fanfiction che scrivo in questo fandom e sono un po' nervosa, spero di non aver scritto un'atrocità. Mi auguro che vi sia piaciuta almeno un po' e che mi lascerete un commentino, anche solo per mandarmi a quel paese 8D 

Saluti,

shirangel

                                                                

 

 

   
 
Leggi le 2 recensioni
Ricorda la storia  |       |  Torna su
Cosa pensi della storia?
Per recensire esegui il login oppure registrati.
Torna indietro / Vai alla categoria: Anime & Manga > Full Metal Alchemist / Vai alla pagina dell'autore: Shirangel