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Autore: Theredcrest    18/11/2012    1 recensioni
Europa, 1920. Dopo la Grande Guerra il mondo è inconsapevole e pieno di caos. Il rinvenimento di un potente manufatto porta allo scompiglio le nazioni ancora deboli per gli sforzi bellici, mentre quella che sembra essere una setta di occultisti tenta a tutti i costi di recuperarlo. I mostri, creature invocate o da sempre nascoste negli angoli più remoti della terra, sono con loro..
1922. Morti strane attirano l'attenzione degli stati. Uno squadrone della morte composto da sei persone speciali viene inviato ad indagare.
1923. "La Squadra" è nei guai. Guai grossi.
Genere: Dark, Mistero, Sovrannaturale | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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L'inaspettato è dietro l'angolo, sempre. Corre dietro agli uomini aspettando di raggiungerli per tutta la durata della loro esistenza. Qualche volta, l'uomo muore prima che arrivi a destinazione e raggiunga la sua meta. Qualche volta, invece è l'inaspettato a giungere in anticipo.
E loro, più che d'anticipo, l'avevano preso di testa: due uomini, un italiano e un russo, lanciati a correre insieme in un manicomio. Praticamente una barzelletta.
Stavano procedendo con circospezione nei corridoi stretti e male illuminati del posto quando c'era stato un suono, un familiare grattare di metallo sul vetro. Avevano affrettato il passo, cauti come lo si poteva essere solo quando inseguiti da un mostro. Raggiunta la fine del corridoio, sicuri d'avercela fatta, se l'erano data a gambe. Era stata una cattiva scelta.
In quel preciso momento, una bestia metallica aveva sfondato le finestre dietro di loro, rincorrendoli a quattro zampe con un orrendo stridore di lamiere contorte. L'italiano ricordava bene l'enorme figura simile ad un lupo, il bruciare dei polmoni e il compagno davanti a lui intento a voltarsi per sparare, ma poi più nulla. E adesso, rinvenuto, c'era solo il buio.
«Kostantin?»
Ettore trattenne un conato e tossì. Aveva la voce ruvida come una grattugia, la gola irritata e molta sete. Il risveglio dei sensi gli suggerì che aveva la barba di un giorno, e che gli pizzicava le guance.
«Kostantin?»
Attese, con il mento poggiato contro l'unica cosa che potesse riconoscere della stanza, un freddo, polveroso pavimento di pietra. Avrebbe volentieri dato un'occhiata ai dintorni, ma l'intontimento gli impedì di farlo, altrimenti, era sicuro, gli si sarebbe rivoltato lo stomaco. Il mondo gli danzava attorno e non c'era ragione per spingerlo ad accanirsi su di lui.
«Kostantin!»
Alzò la voce e subito si pentì di averlo fatto: i timpani presero a fischiargli, la nausea risalì a galla. Doveva aver battuto la testa molto forte, o preso schiaffi da un armadio a due ante: gli era già capitato nel manicomio, ecco perché conosceva bene la sensazione. Le aveva prese anche da qualche mostro prima d'ora, ma da un grosso lupo arrabbiato fatto di ferro, quello mai. Gli mancava ancora alla collezione nonostante avesse visto schifezze tali in grado di far impazzire anche il più sano degli uomini. E per fortuna che ci lavorava come copertura, nell'istituto di cura! Se qualcuno avesse sentito anche un decimo delle storie che aveva da raccontare e che aveva vissuto in prima persona, l'avrebbero internato vita natural durante.
Stentava ancora a crederci a dire il vero: si era sempre ritenuto una persona logica, un sostenitore della scienza. La magia? Favolette per bambini. Mostri? Superstizioni, illusioni ottiche. Zombie? Persone perfettamente normali ma ubriache marce. Non avrebbe mollato la presa fino all'anno prima, specialmente riguardo agli zombie... il 1920, la fine della Grande Guerra e le ricostruzioni avrebbero costretto anche il più retto degli uomini a dare un sorso alla bottiglia. E lui ne avrebbe dati volentieri anche due, al momento.
Sapere che la scienza attuale era la vera superstizione l'aveva lasciato spiazzato. Lo spiazzava ancora, ogni volta dopo aver visto una nuova creatura degna delle più tremende allucinazioni di una mente malata. E sapere che certe cose esistevano... aveva temuto di perdere il senno, tra persone in grado di manipolare forze che non avrebbe saputo spiegare e orrori rispuntati dalla guerra, sepolti una manciata di secoli prima, o sempre esistiti a sua insaputa. L'unica fortuna che aveva avuto, da questo punto di vista, era stata d'aver avuto buona compagnia durante quegli incontri.
Il silenzio durava da troppo tempo, e la mancanza di risposte da parte del compagno apriva tutta una lunga lista di terribili ipotesi la cui più normale era quella insieme più plausibile e preferibile, ovvero che l'altro era morto. Preferibile perché, paragonando gli ultimi sviluppi della situazione ad una particolare frase di Platone che ricordava dagli studi di letteratura in madrepatria, c'era sicuramente qualcosa di peggio della morte in vista, per loro.
E l'immaginazione, per quanto vasta fosse quella di Ettore, non l'avrebbe aiutato a determinare esattamente cosa. Poteva essere un cadavere in decomposizione fermo alle sue spalle, vivo quanto bastava per rantolare in cerca di carne fresca. Oppure insetti – odiava gli insetti. Potevano averlo portato in un altro luogo, una qualche dimensione o un piano d'esistenza parallelo, come aveva già visto fare, e... era meglio non andare oltre. Doveva muoversi.
Ci provò. E fece solo quello poiché, come temeva, venne preventivamente fermato dal fatto d'essere legato ad una sedia, con le mani ancorate allo schienale e i piedi alle gambe della stessa. Aveva sperato fino all'ultimo che non fosse corda quella che sentiva attorno ai polsi e alle caviglie, tutto preso dai timori e dallo stordimento di un momento prima. Com'era prevedibile si era illuso. E la cosa iniziava, come dire... a diventare ridondante, se non proprio irritante.
Iniziò a strattonare le corde per vedere se cedevano, ma niente. Allora prese a dimenarsi furiosamente, tentando di rotolarsi malgrado la sedia di legno pesante sul groppone: finì sul fianco invece che sulla pancia, ma sempre legato e per terra, per di più col fiato grosso. I legacci non si erano nemmeno allentati.
Ci rinunciò, sputando la polvere che gli era entrata in bocca e i residui di chissà cos'altro. Nel giro di un'ora o due in quelle condizioni di abbandono, se non avesse trovato un modo di liberarsi, sapeva si sarebbe lasciato andare al panico. Avrebbe iniziato con le grida, poi con le urla isteriche. Avrebbe pregato, non sapeva se per la madre e la sorella o addirittura per la vita. Infine, piegata ogni volontà, l'avrebbero anche potuto prendere e sbattere a peso morto nella Setta degli Unicorni e non gliene sarebbe fregato niente: avrebbe giurato fedeltà ballando nudo nei campi sotto il quarto di luna, nitrendo e scuotendo i capelli al vento, osannando il Grande Unicorno e cavalcando felice alla deriva della sanità mentale.
I suoi pensieri si fermarono davanti al tossire convulso di un'altra voce, l'unica di cui desiderava riconoscere l'esistenza. Si sentì improvvisamente la testa più leggera, sollevato dal primo lieto evento del giorno.
«Ettore?»
Kostantin! Finalmente quello scricciolo esile, tanto alto quanto magro, si faceva sentire. Aveva temuto il peggio per lui, facile da spezzare come un ramoscello, anche se l'aveva visto cavarsi d'impiccio da situazioni peggiori. Di tutte le persone della squadra con cui era in viaggio, era felice di avere al fianco proprio lui.
«Ettore? Sei tu?»
Si sentì i lacrimoni agli occhi, una vera novità considerando che l'unica persona per cui avesse mai pianto in vita sua era stata la fidanzata, e che nemmeno alla morte di suo padre aveva versato una lacrima. Non perché Ettore l'avesse voluto, ovvio, voleva bene ai suoi genitori. Semplicemente non era il tipo da piagnistei. Accantonò addirittura la cacofonia di dolori che sentiva giungere da gola e ossa pur di scrollarsi di dosso l'intontimento, cercando di spicciarsi a rispondere. Non avrebbe tenuto sulle spine l'unica anima viva presente assieme a lui che, proprio come lui, poteva pensare che un silenzio potesse significare il peggio.
«Sì. Sono qui, Kost» riuscì a dire infine, tra un grattare di gola e un colpo di tosse. «Sono qui.»
 
«Dove siamo?» sentì chiedere dopo poco dal russo.
«Non lo so. Forse nel manicomio.»
«C'è troppo silenzio per il manicomio.»
Ettore ci rimuginò sopra per qualche secondo e rispose.
«L'odore dei pavimenti è lo stesso.»
«E tu come lo sai?»
«È la seconda volta che ci sbatto il muso contro» ammise. Il commento sarcastico di Kostantin lo seguì a breve.
«Ah sì?» gli chiese. «E qual è stata la prima?»
«Mordecai» rispose asciutto. Il nome del gigantesco caposala dell'istituto e la sua tendenza ad atterrare la gente che gli stava poco simpatica bastavano a spiegare tutto.
«Proprio un bel tipo simpatico» rispose Kostantin. «L'hai più visto, poi?»
«No» fece Ettore scuotendo la testa. «Dopo aver trovato i primi morti, è scomparso.»
Calò un breve silenzio, che entrambi si affrettarono ad interrompere.
«Tu stai bene?» chiese Ettore, prendendo l'iniziativa.
«Credo, mi fa male praticamente tutto» si sentì rispondere. «E tu?»
«Sto congelando, sono legato e pieno di botte, ma non è niente» fece ironico. «Dove ti fa male?»
Ora che i suoi occhi si erano abituati al buio, riusciva a vedere qualcosa. Tentò di trovare il compagno dando un'occhiata da sopra la spalla, voltando la testa il più possibile, ma senza successo: Kostantin era stato piazzato dietro di lui, in un punto cieco al di fuori della sua visuale. In compenso poteva sentire lo sguardo del russo su di sé, alle sue spalle. Nonostante non fosse granché come soluzione, era tutto ciò che possedevano al momento.
«Stai scherzando, vero? Sto bene!»
«Kost-»
«No, sul serio, credo di non morire ancora per un po'...»
Lo sentì ridere, ma Ettore non era ancora sicuro delle condizioni dell'amico. E dal momento la preoccupazione lo rendeva iperprotettivo, insistette, cercando di ottenere una risposta concreta.
«Lo sai che se ti fa male da qualche parte...»
«Dai Ettore, non iniziare. Mi fai venire l'ansia.»
«Guarda che non c'è niente di male nell'esporsi» replicò l'italiano in tutta risposta. «Non ti rido dietro, sai?»
«Di solito lo fai.»
«E tu di solito sei meno indisposto.»
«Forse perché di solito se ci ritroviamo in situazioni simili, non siamo completamente soli?»
Ettore ammutolì davanti alle parole stizzite di Kostantin. Gli fosse stato davanti, non avrebbe saputo cosa guardare se non i propri piedi. Poco dopo, il russo prese ancora parola.
«Scusa» gli fece in tono colpevole. «Non volevo...»
«No, è vero» sospirò Ettore. «Hai ragione. Prima c'erano gli altri. Adesso siamo solo noi due. In una stanza. Legati.»
L'altro rimase zitto, mentre l'italiano prendeva tempo. Si mosse per quanto possibile, accomodandosi meglio sulla sedia.
«Vorrei che fossero qui, adesso» dichiarò tristemente, poggiandosi il mento al petto. Poi venne scosso da quella che sembrava una speciale rivelazione ed iniziò a guardarsi spasmodicamente attorno. «E se questo fosse l'inceneritore? Una pressa?»
La risposta del russo gli arrivò meno tagliente di prima, ma con una vaga aria di sarcasmo.
«Hai passato di nuovo troppo tempo tra i tuoi libri? Ti avevo detto di smetterla con la letteratura italiana. Ti fa venire queste idee stupide.»
«Ah, davvero?» rispose Ettore, offeso. L'italiano sentiva crescere la paranoia ogni volta che realizzava quello che era successo, di solito una volta o due al giorno. I loro compagni non ce l'avevano fatta, per un motivo o per l'altro erano tutti morti e quasi tutti in modi che trascendevano l'impossibile. Cos'erano un proiettile, un annegamento o una caduta mortale in confronto? «E scusami, cosa ci sarebbe nei miei libri che non va dopo aver visto mutilazioni orrende, incantesimi e Dio solo sa cosa? Appena quattro mesi fa uno stregone ha tentato di mummificarmi il braccio a mente serena!»
Kostantin si produsse in un silenzio infastidito davanti alle parole di Ettore, che sembrava stare per perdere le staffe. Fece bene, perché non avendo da controbattere l'italiano fu costretto a calmarsi. Non per niente, Kostantin gli aveva evitato più d'una volta di correre per la strada gridando coi pantaloni infilati in testa e la maglia alle gambe, cosa che sicuramente i cittadini londinesi non avrebbero gradito, e ancor meno la polizia.
«Ascolta» gli fece poi l'altro, cercando di farlo ragionare «non c'è motivo di farsi prendere dal panico. Nel manicomio non ci sono inceneritori, e anche se fosse, adesso avresti la bocca piena di cenere dato sei sul pavimento. Non c'è?»
«C'è polvere» rispose Ettore, disgustato. «E qualcosa come... cacca di topo.»
«Fa niente, meglio quella che la cenere. »
«Ma non è igienico.»
«Allora non andare mai in un ospedale inglese» lo zittì Kostantin. Attese un attimo e, appurato che c'era silenzio, continuò. «Secondo, non tengono presse perché i pazzi ci si ammazzerebbero. Nemmeno a casa tua le hanno.»
«Non sono sicuro che qui sia come in Italia...»
«Sì, ma nonostante questo posto sia uno schifo, nessuno vuole che si ammazzino, no?»
Ettore non seppe come controbattere, quindi Kostantin andò avanti.
«Visto? Puoi abbandonare le tue teorie complottiste, non hanno ancora trasformato questo posto in un inferno. E almeno per ora» aggiunse «sembra non ci vogliano ammazzare. Dovresti esserne contento.»
Ettore si limitò a sbuffare, disapprovando.
«Non c'è nulla da essere contenti.»
«Però possiamo ancora cavarcela» fece l'altro in tutta risposta. L'italiano ponderò la frase e attese. Poi se ne venne fuori con un:
«Nient'altro? Finito la tua scorta annuale di cortesia?»
Kostantin sapeva che l'esasperazione poteva avere un nome, ed essere un terribile cecchino italiano, ma non sembrava volersi arrendere all'evidenza. Ettore lo sentì borbottare qualcosa prima riprendesse a parlare.
«Piuttosto, hai qualcosa per tagliare la corda?» gli domandò il compare.
Ettore ripiegò su un mugugno che poteva voler dire sì, no od entrambe le cose.
«Potrei avere qualcosa nei pantaloni, forse, ma non ci arrivo» ammise infine. «Tu puoi farci niente?»
«No. Sono ancorato a questa stupida sedia, e mi si stanno intorpidendo le dita.»
«E il coltello di Eric?» gli ricordò Ettore «Non te lo sei portato dietro?»
«Sì... ma non c'è.»
L'italiano si produsse in una sonora bestemmia in madrelingua. Se avevano frugato loro addosso come la frase di Kostantin lasciava intendere, erano messi peggio che male.
«Altre soluzioni?» chiese.
«Non ne vedo. Ci tocca attendere.»
Era ovvio cosa, pensò Ettore: una morte dolorosa e tragica quanto quella dei loro compagni. Con questo non voleva dire che le morti non fossero tutte dolorose e tragiche a modo loro, ma quella che li aspettava, ci scommetteva, lo era in particolare: sperava solo che un infarto potesse colpirlo prima del suo arrivo ma, ahilui, il dottore del gruppo gli aveva sempre fatto i complimenti per l'ottima salute. Con questo presupposto già sapeva che qualsiasi fosse il loro destino - un lupo mannaro, un fantasma, una bambola demoniaca, un ragno gigante - vi avrebbe assistito fino in fondo. E non era affatto una bella prospettiva con cui convivere.
Il suo senso del dovere, per di più, accusava il colpo anche per Kostantin: il ragazzo, a malapena diciottenne, era duro come la roccia, ma che potesse sopportare una cosa simile... non avrebbe saputo dirlo. L'unica certezza che Ettore aveva era che proprio lui, in tutto il gruppo, non aveva risentito mentalmente degli orrori che avevano incontrato durante il viaggio: l'italiano, quello laico e coi piedi piantati per terra, si era lanciato in una filippica isterica la prima volta che aveva visto un fantasma, e anche peggio alle stranezze successive. Agli altri non era andata meglio dopo l'uomo-pianta. Il russo invece, che teoricamente avrebbe dovuto essere il più superstizioso considerata la sua provenienza da una terra di leggende e misteri, si era limitato a sbuffare e sparare.
Beato lui che restava con la testa sulle spalle, pensò Ettore. Si chiedeva come diavolo facesse: forse si era talmente abituato agli imprevisti da farsene una ragione, al contrario di lui? Oppure nemmeno se ne preoccupava, perché perfino in quel momento e col fiato del Tristo Mietitore sul collo Kostantin non sembrava scosso, o provato dagli eventi. Nemmeno l'aveva mai sentito, era sicuro, tentare di piegare la realtà dei fatti attraverso spiegazioni logiche assurde.
Perso nei propri pensieri, si accorse che era calato di nuovo il silenzio.
«Ci sei?»
L''altro rispose con un mugugno affermativo.
«Ascolta, mi chiedevo» iniziò, tanto per conversare «se invece di ucciderci ci dovessero dare la possibilità di andare con loro... lo faresti?»
«Credo di sì» gli rispose pratico il russo.
«Ah...»
«Perché, ti aspettavi altro?» Kostantin non sembrava capire.
«Forse.»
«Tu cosa faresti?»
«Bella domanda.» Cos'avrebbe fatto, se gli avessero promesso di uscire indenne da tutta quella situazione? «Io... non lo so. Non sarebbe facile.»
«Potresti rivedere tua mamma e tua sorella.»
«Non credo» rispose Ettore, amaro. «L'Italia non sta passando dei bei momenti, non credo ritornerei nel paese.»
«Potresti sempre fare altro. Trovarti una nuova ragazza, magari.»
«E ammettere di essere negato con le donne? Mai!» rispose Ettore, ridendo. «E comunque non avrei la certezza di poterlo fare.»
«In che senso?» chiese Kostantin.
«Nel senso, chi ti assicura che ci lascerebbero tornare alle nostre case? Magari quegli stregoni, quei... fattucchieri ci vogliono usare come esperimenti, o come servi. Non voglio passare la mia vita a servire qualcuno del genere» spiegò al compare.
«Quindi preferisci il governo?»
«In un certo senso» rispose Ettore, sorridendo. In qualità di agente sotto copertura, era il governo a pagarlo, a fornirgli le armi e a dare da mangiare alla sua famiglia in cambio del suo lavoro. Per quanto lo sfruttassero e lo mettessero davanti a compiti moralmente difficili come uccidere un dignitario o frugare nell'appartamento di un segretario, gli sembrava uno scambio equo. Perfino averlo mandato in missione con la squadra, all'inseguimento di un'organizzazione di maghi pazzi al lavoro per sconvolgere l'ordine mondiale, dopo tutto non gli sembrava più così male. E dire che ad un certo punto, spuntata la questione dei mostri lanciati al loro inseguimento, aveva quasi l'intenzione di andare a dare le dimissioni... e poi non l'aveva più fatto. Un po' perché non ne aveva avuto il tempo, un po' perché, guarda caso, era stato messo al tappeto da un enorme bestione di lamiera. C'era un ché di ironico che gli sfuggiva in tutto questo. Rimase sulle sue per qualche tempo, prima Kostantin intervenisse di nuovo cambiando discorso.
«Ricordi quella volta dello scarafaggio?»
«Quando?»
«Quella volta, con Inara.»
«Come dimenticarlo.» Se lo ricordava eccome. L'aveva già detto, che odiava gli insetti? «Gliel'hai preso dai capelli e gliel'hai tirato dritto addosso. Bei tempi quelli.»
«Ti manca?»
Ettore fece spallucce. «Ti schiaffeggiava spesso. E aveva dei bei... occhi.»
Sentì Kostantin ridere, dietro di lui.
«E gli altri?» si sentì chiedere di nuovo.
«È ovvio che mi mancano» disse tristemente. «Vivevamo assieme da un anno. Pensavo saremmo arrivati tutti in fondo a questa storia, conci male ma vivi. Ormai è andata così.»
«Credi ci sia una possibilità che qualcuno di loro sia... ancora vivo?»
Ettore scosse il capo.
«Se anche Inara ed Eric lo fossero, sono intrappolati. Inara era l'unica che poteva venirne fuori, lo sai, con i suoi rituali serbi e tutto il resto. Ma se non ce l'ha fatta lei...»
«Henry? Il Capo?»
«Tu non li hai visti, vero?»
«Ero nell'ala infermieri. Mi hai solo detto che non c'era più niente da fare.» precisò Kostantin.
L'italiano scosse la testa prendendo un lungo respiro. Aveva accusato troppo la sparizione improvvisa dei compagni di viaggio e non avrebbe voluto parlarne affatto, figurarsi entrare nei particolari.
«Il Capo l'abbiamo trovato sul fondo delle scale col collo rotto e le ossa fracassate, probabilmente è stato spinto giù da un tizio molto grosso, ha detto Henry. Lui... era con me prima di dirigersi verso il magazzino dell'infermeria. Io sono andato a controllare l'ufficio del Direttore, sai che stava lì sopra. Quando sono tornato l'ho trovato steso a terra con la faccia...» gli risalì un conato, che rimandò giù con la forza «con la faccia strappata. Mangiata via. C'erano ancora i segni della lotta e dei morsi. Forse ha provato a dare qualche pugno, ma non è servito. E dopo ti ho raggiunto.»
«Sì, ricordo.»
«Io non credo davvero che...» si lasciò andare ad un verso esasperato. «Senti, possiamo parlare di qualcos'altro?»
Dire che gli mancavano sarebbe stato minimizzare. Non avrebbe più sentito le loro risate o il lamentarsi per le alzatacce a notte fonda, le loro grida quando dovevano ritrovarsi da una parte o dall'altra e i battibecchi su a chi sarebbe toccato il posto letto sopra al loro medico un po' pazzo, che Kostantin lasciava sempre libero. Non avrebbe più assistito alla lettura di carte di Inara e alle sue facce via via più gravi man mano queste gli suggerivano del suo futuro. Eric avrebbe smesso di chiedergli le ricette di sua madre, ed Henry di guardarli male perché l'amico non si comportava da medico propriamente professionale. Il Capo invece avrebbe continuato a fregarsene come sempre, in vita e anche dopo: a riprova della sua fortuna era morto in maniera dannatamente banale, quasi non poteva credere che se ne fosse andato davvero.
Gli mancavano. Gli mancavano le serate, le ubriacature, il correre da una parte all'altra dell'Europa. Perfino le ricerche sull'oggetto dei desideri degli stregoni gli erano sembrate una passeggiata in loro compagnia.
«Ettore?» si sentì chiedere all'improvviso dal russo.
«Sì?»
«Le pagine, le hai ancora addosso?»
«Quelle del Ricettacolo?» Quel libro maledetto, l'obbiettivo di quei pagliacci occultisti. L'arma definitiva per chi sapeva usarlo, letteralmente il Ricettacolo di tutti gli orrori esistenti sulla terra con in più, aveva detto Inara studiandolo, una pratica scheda aggiuntiva su come ottenere il potere assoluto su ogni cosa, dimensioni parallele comprese. «Le avevo. Ma se ci hanno perquisito le avranno trovate di sicuro.»
«Controlla lo stesso. Le mie sono qui.»
Ettore ci provò, muovendosi per tornare disteso pancia a terra e con la sedia che iniziava a pesare un quintale sopra la schiena. Solitamente, teneva il plico di fogli all'interno della giacca, chiuso in una busta piegata in modo non ne rovinasse la linea. Quando sentì la resistenza della carta contro la camicia a contatto col terreno, ringraziò il cielo che fossero ancora lì: l'intero gruppo si era diviso il Ricettacolo in parti dopo averlo trovato, e avevano deciso di portarlo addosso in modo che, fosse andato perso un componente della squadra, non ci fosse modo per un esterno di riunire tutte le parti del libretto e di portare a termine un'ipotetica opera di distruzione del mondo. Libretto che, tra l'altro, presentava da solo una notevole autodifesa alla lettura occasionale: era scritto in turco antico. Una lama a doppio taglio, dato non fosse stato per quello Ettore l'avrebbe utilizzato per andare a riprendersi sia Inara che Eric.
«Hai ragione, ci sono» rispose al russo lasciato in attesa. «Possiamo avere ancora un vantaggio, nel caso qualcuno dovesse arrivare a interrogarci. Sempre che voglia le pagine e non massacrarci.»
Per la seconda o terza volta, prese di nuovo coscienza di quello che poteva essere fatto loro. In quello stesso istante, improvvisamente, il suono di una sirena lontana ruppe la quiete. Era fastidioso già all'inizio, ma dopo un po' divenne veramente insopportabile. Ettore ricordava di averlo sentito solo durante la Grande Guerra, quando quel segnale veniva usato per avvertire la popolazione di un attacco aereo imminente. Quando il rumore cessò dopo svariati minuti, le sue orecchie ringraziarono.
«È l'ora» sentì mormorare l'altro. Poi, una luce si accese sul soffitto.
«Davvero, ci prendono in giro?» commentò Ettore, momentaneamente accecato dalla potenza della lampadina. Aveva la netta impressione di sentire il vestito del Tristo Mietitore strisciargli alle spalle e, pensò, probabilmente stava prendendo la mira mentre lui si affaccendava per riabituarsi all'illuminazione. Il momento in cui avrebbe spiccato la sua testa dal corpo però non sembrava arrivare, dato nessuno entrava ancora dalla porta. Che avessero regolato male l'orologio dei colpi di scena? In compenso, venne distratto da un suono alle proprie spalle che rassomigliava molto al rumore di una sedia ribaltata per terra.
«Kostantin?» chiamò di nuovo. «Sei riuscito a liberarti?» Cercò di nuovo di trovarlo con lo sguardo, voltandosi più che poteva senza risultati, finché non lo vide passargli accanto.
«Dai, liberami» gli intimò, schiacciato a terra. Il russo si avvicinò come chiesto e lo tirò su da terra, spolverandogli le spalle. Però, invece di togliergli le corde, rimase semplicemente davanti a lui a guardarlo.
«Come faccio?» gli chiese.
«Sciogli i nodi, non dovrebbe essere difficile» suggerì. «Non stare a cercare altro, potrebbero arrivare.»
Kostantin lo ricambiò con un sorriso di intesa, ma non si mosse.
«Cosa fai?» esclamò Ettore, sorpreso. «Muoviti!»
Ma con sua grande meraviglia, non ottenne più di uno scuotere del capo.
«No. Volevo dire, come faccio a ucciderti, ora che non mi servi più?» Lo sentì ridere, atterrito davanti a quelle parole. Talmente atterrito che le sentiva molto lontane.
Fosse stato pienamente in sé, avrebbe morso le mani a chiunque pur di non farsi prendere la busta contenente le pagine. Chiunque. Ma quello era Kostantin. Avevano passato un anno insieme, giusto? Erano stati legati alle sedie entrambi, poco prima, giusto? Erano tutti e due vittime... giusto? Rimase impietrito, riformulandosi le domande mentre l'altro gli apriva la giacca, infilando le mani nella tasca interna per recuperare una parte del Ricettacolo. E si accorse che non erano i quesiti a non essere giusti, ma le risposte che si poteva dare. Era stato tradito, non serviva un genio per capirlo.
«Sai, tra tutti i guai che vi ho causato e quelli “accidentali” in cui vi siete imbattuti non so quali preferisco. Sicuramente, sarebbe stato meglio il Capo non si schiantasse dalle scale, avrei potuto inventarmi qualcosa di creativo sulla sua misura. Forse è anche meglio così, a pensarci bene. Sai quanto la sua fortuna fosse sfacciata, avrebbe potuto mettermi nei guai. Un vero peccato.» Kostantin fece una smorfia, nascondendosi in tasca la preziosissima busta. «Mentre Inara? I suoi tarocchi funzionavano talmente male. Non l'hanno nemmeno avvertita di quando sarebbe finita intrappolata dentro al mondo dello specchio. E sì, se già non lo stai pensando» sottolineò «quello appeso in villa Labeau era il mio specchio. Quel mondo l'avevo riempito di insetti per te, Ettore, ma è toccato a lei. Come ci si sente ad essere responsabili della morte di un'altra persona?» Kostantin gli sfiorò la guancia con le dita. «Lo spasso è stato sentirti tutto il tempo mentre deliravi sulla possibilità che fosse ancora viva, come Eric. Magari lo sarebbero entrambi, se i miei rituali non avessero funzionato bene e se non gli avessi risparmiato il dolore delle punture d'insetto e dell'inedia.»
Non c'era una vera ragione perché Ettore tornasse dal mondo lontano da cui ascoltava certi discorsi. Sicuramente era tutto un sogno, un'allucinazione uditiva. Era ancora svenuto, anche se ad occhi aperti. Dovette fare un vero e proprio sforzo di volontà per rendersi conto di quanto fosse reale la situazione, rientrando dal breve stato di catalessi a cui s'era lasciato andare.
«Chi sei?» fece, stordito. «Tu non sei Kostantin.»
«Davvero?» gli rispose l'altro, sfiorandogli una guancia con le dita. «Allora spiegami chi è stato in questa stanza con te per un'ora, ascoltando i tuoi discorsi astrusi.»
«Kostantin non avrebbe mai...» Non poté finire la frase, che il russo lo prese per il mento e gli si sedette in grembo. Ettore, che già non poteva muoversi più di tanto, provò a quel punto a rifilargli una testata. Inutile, dato il russo la evitò agilmente.
«Ehi, accettalo» gli fece, scoprendo i denti in un sorriso affabile, attorniandogli il collo con le braccia. «Ti conviene imparare a conviverci: ti sei fidato della persona sbagliata. Vi, siete fidati. Capita, di persone sbagliate ne è pieno il mondo! La vostra sola sfortuna è stata che questa persona sbagliata fosse il principale interessato al Ricettacolo, e per di più...» proseguì con un ghigno «... uno di quei pagliacci che tu chiami stregoni. Siamo occultisti, caro mio, ed io sono il peggiore con cui potevi avere a che fare. Chi credevi che fossimo? Lord e Signori? Dame annoiate in cerca di passatempi?»
«Non amici» rispose col tono freddo di una pietra. «E sicuramente non della squadra. Ma evidentemente mi sbagliavo.»
«E te ne sei accorto solo ora» concluse l'altro, quasi accusandolo. «Sei rimasto solo, impotente e legato, mentre io ho recuperato tutte le pagine del libro. E non è stato facile, credimi, portare a termine questo compito. Certe volte avrei voluto rinunciare... vi avrei lasciato condurre la vostra vita tranquilla all'inseguimento di qualche fantasma cattivo.» Con una mano, imitò il modo in cui secondo lui un fantasma si librava nell'aria. «Ma perché mollare tutto? Ormai vi avevo portato sulla strada del libro, smuovendo un esercito di mostri lungo la strada. I miei uomini vi seguivano e vi tenevano buoni in una città o nell'altra, mentre io mi facevo gli affari miei. Sprecare l'occasione, dopo avervi tenuti sotto controllo per tutto il tempo, sarebbe stato assurdo. Nemmeno ve ne siete accorti-»
«Sai di cosa mi rammarico?» gli chiese Ettore, interrompendolo. «Di averti salvato il culo quella volta che sei caduto dalla scogliera, in Irlanda.»
«È un pensiero carino, ma sarei sopravvissuto comunque.»
«Di aver scherzato con te, di aver mangiato con te, di essermi ubriacato con te. Di essermi esposto con te.»
Il fiato del russo gli arrivò caldo sul collo, dall'odore del ferro ossidato, mentre finiva di parlare. Ettore lo sentì accelerare almeno quanto il proprio cuore. Quando tornò al silenzio, Kostantin si avvicinò al suo orecchio, sussurrando.
«E di aver dormito in camera con me, nello stesso letto con me? Sopra di me?»
Rimase attonito, inizialmente. Confuso, prima che i sentimenti lo sconvolgessero da capo a piedi con una spaventosa vampata di rabbia. Si voltò, tentando di colpire di nuovo il traditore, facendo tremare la sedia con forza. Ancora una volta non riuscì a fare nulla, e ben presto anche l'ira venne a mancare, svuotandolo di ogni energia.
«Avanti, non vergognartene, non c'è niente di male» lo consolò Kostantin, accogliendogli il viso tra le mani dopo aver assistito al suo sfogo. «Non me l'aspettavo, ma sei stato bravo. Ti sei guadagnato la mia approvazione e mi hai creato non pochi dubbi riguardo a cosa dovevo fare di te. Mi hai spinto perfino a proteggervi... per un po'.» Il russo gli si sistemò meglio addosso, ed Ettore provò un blando disgusto nonostante non sentisse nessun attributo maschile su di sé dove, giustamente, avrebbe dovuto esserci. «Non sei contento?»
«Però poi ci hai ripensato» rispose. «Ed hai ucciso tutti per cosa? Per un libro» sospirò affranto. Si sentì lisciare i capelli dal russo e restò così, il mento al petto e l'aria stanca, privo di ogni volontà di reagire.
«Non un semplice libro» lo corresse Kostantin, avvicinandogli il capo al proprio petto «ma il libro. L'essenza del potere. Tu non avresti ragioni di desiderarlo perché hai già avuto tutto dalla vita. Ma io? Io le ho, quelle ragioni, e lo desidero. Ci sono cose che ti spingono alla ricerca di un tale potere, Ettore. Tu sapresti immaginarle?»
«No.»
«E non lo vorresti per te?»
«No.»
Kostantin gli accarezzò la fronte.
«Questo perché non sei menomato, Ettore. Il mondo tende ad essere più gentile con te quando vieni da una buona famiglia ed hai soldi, nessuna cicatrice e tutto al posto giusto. E tu hai proprio tutto, credimi... tutto quanto.» L'italiano sentì un bacio sulla guancia, breve e garbato. «Ma non voglio parlare di questo, ora. Si sta facendo tardi ed io mi devo occupare di te.»
Ettore accolse la frase quasi come una speranza.
«Mi ucciderai?» chiese. A cosa sarebbe servito vivere, sapendo che la fine del mondo conosciuto era imminente? Tornare a casa dalla sorella, in Italia, e dirle che sarebbe andato tutto bene quando invece non era vero gli avrebbe spezzato il cuore, o almeno quello che ne rimaneva dopo che Kostantin ci aveva giocato per tutto il tempo.
«Lo vorresti?» gli rispose l'altro, ridendo. «Perché era quella l'idea fino ad un paio di ore fa. Il mio lupo avrebbe potuto farti a pezzi, ma poi mi sono accorto che eri da solo, indifeso. E che avevo già vinto.»
Lo sguardo dell'italiano era di disperazione. Se non lo uccideva, cos'altro gli avrebbe fatto? Non riuscì a muovere le labbra screpolate per chiederlo. Kostantin rispose ai suoi pensieri.
«Lo sai che mi piaci, Ettore.»
«Non voglio seguirti, Kostantin. Non più.»
«Ma lo farai.» Finalmente Kostantin si sollevò dal suo grembo e dalla sedia, facendo un passo indietro. Alzò la mano e con un gesto secco fece schioccare le dita.
Per qualche secondo non successe niente. Ettore pensò che forse la sua magia non poteva avere effetto su di lui, o che avesse semplicemente fatto cilecca. Poi, quando sentì qualcosa intrufolarsi a forza nel suo cervello, come un trapano malevolo che spingeva sui suoi pensieri, si rese conto di essere stato un ingenuo: le forze del russo non avevano nulla di plateale, nulla che un mago potesse tirare fuori dal cappello tra mille effetti speciali. Serrò gli occhi, gridando, e le sue urla riempirono la stanza; quando infine cessarono l'italiano si accasciò sulla sedia, sul punto di svenire.
«Tranquillo» Sentì Kostantin slegarlo e issarlo sulle spalle, prima di sprofondare nel buio. «Il peggio deve ancora venire.»

FINE
... o forse no?
 

Storia scritta per un concorso fantasy sul bene e sul male del sito Scrittevolmente. Lo pubblico anche qui come ha fatto Verichan, dato è stata lei a spingermi a partecipare e per farlo ha dovuto partecipare anche lei, in un apocalittico circolo vizioso che ci ha portate alla demenza pura nel tentativo di stare dentro il quantitativo di caratteri e nella traccia data xD Spero piaccia, è palesemente ispirata all'ambientazione di Cthulhu (fthang!) ed è la prima "opera" completa che metto qui su EFP (o.o).
  
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