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Autore: Garth Herzog    19/11/2012    2 recensioni
Immersa nella sua quotidiana routine, in cui l'evento più emozionante è cantare nel coro della sua parrocchia - l'unico modo che riesce a far venir meno la sua timidezza cronica, Diana si sente perfettamente a suo agio.
Frequenta il liceo classico con le sue due più care amiche, è innamorata del bel figo della scuola e ha un'insana passione per la musica.
Banale, nevvero?
Ma un incontro voluto da un destino solo parzialmente desiderato cambierà (forse?) per sempre la sua vita.
In una cornice dove la musica domina sovrana, i sentimenti e le emozioni fluiscono da sé, coinvolgendo e stravolgendo la sua esistenza e quella delle persone che le sono vicine.
Perché non potrà (e non vorrà) mai più sfuggire allo sguardo del Demone dagli occhi verdi.
Dal capitolo uno:
Aspetta un attimo. Quel... tizio che sembrava uscito da una discarica le chiedeva se aveva un accendino per... fumarsi una canna?[...]
«Ehi! Ehi, aspetta!»
Col cavolo! Non voleva diventare la protagonista di un nuovo caso da esporre in squallide trasmissioni pomeridiane per casalinghe, con il suo nome sulla bocca di inutili opinionisti strapagati!
Genere: Commedia, Romantico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het, Slash
Note: Lemon | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Contesto generale/vago, Scolastico
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Greeneyes Demon - capitolo uno

GREENEYES DEMON




I - Fear of the Dark


La sua era una vita come tutte le altre.
Presente, no? Quelle classiche esistenze che vivono seguendo obbiettivi già organizzati e preformati, banalissimi nella propria quotidianità e, pertanto, capaci di infondere tranquillità e sicurezza.
Si sentiva appagata da quella routine. Ad un occhio esterno poteva sembrare la classica ragazza scuola e casa, casa e scuola. Nel suo caso, però, lei era scuola, casa e chiesa.
Sì, sì, classico discorso che poteva essere validissimo cinquant'anni fa. Per sua fortuna o a che dir si voglia, si era lasciata consumare dalla fiamma della devozione religiosa (che poi tanta devozione non era) fin da piccola, trascinata dai suoi genitori. Per intenderci, non che i suoi fossero dei fanatici: ad ogni modo si era affezionata molto a quell'ambiente, e soprattutto al suo cosiddetto padre spirituale, tale Don Antonio. Bravissima persona, che l'aveva seguita per moltissimi anni, spronandola a seguire se stessa e i propri sogni.
Fu lui, qualche anno prima, a scoprire la sua naturale predisposizione alla musica. Quando consigliò ai suoi genitori di farle seguire un corso di canto e pianoforte lei fu ben più che felice.
Così passò, manco a dirlo, dal ruolo di chierichetta a quello di cantante nel coro della sua parrocchia.
Tralasciando ciò, il resto della sua vita scorreva molto più che tranquilla: frequentava con un certo profitto il liceo classico, aveva due care amiche della sua stessa età che frequentavano la sua stessa classe e aveva ben più di un motivo per essere orgogliosa del ruolo che ricopriva nel suo angolo di mondo.
Insomma, cosa poteva desiderare di più?
Rifletté per qualche istante prima di riporre il libro di Chimica nello zaino. Ok, forse era la sua vita sentimentale a non essere proprio il massimo: di questo doveva dare un po' la colpa a se stessa.
Tutta la timidezza che sembrava non esistesse quando cantava sul palco del coro si ripresentava istantaneamente nel momento in cui ricominciava a pensarci.
Morale della favola: nei suoi diciassette (quasi diciotto) anni di vita aveva avuto contatti con individui dell'altro sesso quasi pari a zero.
Non negava che ci fossero ragazzi che le piacessero, uno in particolare, ma si sentiva imbarazzata anche alla sola idea di pensarci.
Arrossì, cercando di scacciare quel pensiero dalla testa.
Troppo tardi perché la sua carissima amica non se ne accorgesse.
«Come mai stai arrossendo?»
Ahia. Doveva trovare una scusa plausibile, altrimenti non l'avrebbe mollata finché non fosse tornata a casa - ed oltre, quella pazza era capacissima di tartassarla di messaggi su ogni tipo di piattaforma di scambio esistente, dal cellulare alla semplice cassetta della posta.
«È che con il cappotto addosso e il riscaldamento sparato al massimo ho avuto un colpo di caldo.» cercò di giustificarsi lei, tentando di essere convincente.
L'amica sbuffò. «Sarà, ma non è che per caso stavi pensando ad Andrea della III F?»
Tentò di negare con la testa, ma il suo corpo l'aveva già tradita. Maledetti ormoni!
«Inutile che tenti di negare, sta per uscirti il sangue dal naso.» ammiccò, continuando a infierire.
«Non è vero!»
«Avanti Nunzietta, sputa il rospo.»
No! Tutto, ma non essere chiamata per il suo secondo nome!
Suo padre, da uomo religioso e devoto alla sua cara mamma, morta qualche anno prima che lei nascesse, non aveva voluto sentire ragioni: sua figlia si sarebbe chiamata come lei, niente ripensamenti. Se non fosse stato per quella santissima donna di sua madre, che - in qualche modo - era riuscito a convincerlo a tenerlo almeno come secondo nome - intransigente!, sarebbe stata marchiata a vita. Quale ragazza nel ventunesimo secolo ha come primo nome Annunziata? Roba di altri tempi, diamine!
«Chiara, preferirei che mi chiamassi per il mio primo nome. Sai quanto mi dia fastidio.» Inarcò un sopracciglio, sperando di aver infuso la giusta dose di minaccia nelle sue parole.
«Suvvia, Diana. Sai quanto invece sia irritante per me vederti negare le tue naturali pulsioni sessuali.»
Oddio, ricominciava a parlarne a voce alta! Ma ce l'aveva un pudore o lo lasciava come soprammobile sul comodino della sua stanza?
«Stai esagerando! Solo perché Andrea è un bel ragazzo non vuol dire che...»
«Certo,» la interruppe bruscamente Chiara «è proprio solo perché è un bel ragazzo che mezza scuola gli sbava dietro, nevvero? Quello lì è figo e basta, altroché.»
Dio santissimo di tutti i Cieli, ma per quale strano scherzo del destino i genitori di Chiara avevano deciso di metterle un nome che non le si addiceva proprio?
«Finiscila di fare l'allupata parlando di lui! Cosa penserebbero se ti sentissero?» Mormorò Diana a bassa voce, sperando che nessuno, passando dal corridoio, le sentisse. Per fortuna erano rimaste da sole in classe, tutti gli altri erano già usciti.
Chiara fece spallucce. «E che cazzo me ne frega? Non sono mica interessata a lui.»
E vai, Chiara linguaggio forbito mode on.
I casi erano due: o i suoi genitori avevano un senso dell'umorismo discutibile, oppure si era ritrovata pure lei a subire la cosiddetta sventura parentale, come la chiamava Diana. Non che Chiara fosse un brutto nome: quanto le sarebbe piaciuto che sua nonna avesse avuto un nome normale come il suo!
Meno male che le sue abilità di attrice trasformista la facessero passare dalla scaricatrice di porto (qual era praticamente di natura) alla signorina dell'alta società in poco meno di tre nanosecondi. Se i suoi genitori l'avessero sentita esprimersi nel suo linguaggio abituale come minimo avrebbero chiamato un esorcista, tentando di comprendere se il demone che la possedeva poteva aver contagiato anche lei.
Vabbe', era un'esagerazione, però i suoi genitori erano sempre così... iperprotettivi. Forse perché era la loro figlia preferita, nonché l'unica.
Decise di cambiare argomento, prima che la discussione degenerasse. «Hai sentito Silvia, stamattina? Mi ero ripromessa di chiamarla per sapere come stava, ma purtroppo non sono riuscita a fare in tempo.»
«Stamattina sono passata davanti a casa sua e mi ha salutata dalla finestra della sua camera.» Sospirò, portandosi lo zaino su una spalla. «Purtroppo quest'influenza stagionale non ha risparmiato neanche lei.»
Già, quell'anno era stata una vera e propria ecatombe: Diana, che raramente si ammalava, aveva preso una batosta così forte da impedirle di cantare nel coro della chiesa per la messa di Natale. Quell'anno era stato invitato anche un famoso pianista e lei si era allenata tantissimo per fare colpo su di lui con le sue doti canore. Sfiga maledetta!
«Magari nel pomeriggio andiamo a trovarla, che ne dici?» Propose Chiara, iniziando ad avviarsi verso la porta dell'aula.
«Mi piacerebbe ma... oggi ci sono le prove del coro. Devo andare assolutamente, per via delle interrogazioni post-vacanze natalizie ho dovuto saltare due pomeriggi.» La fine del quadrimestre si stava avvicinando e, come al solito, i professori attendevano giusto quel periodo per infarcire di numeri le caselle dei loro registri, manco fosse la schedina del SuperEnalotto.
«Magari possiamo passare più tardi? A che ora hai le prove?»
«Alle cinque. Dovrei finire verso le sei e un quarto.»
Chiara sfoggiò un sorriso radioso. «Bene, vado da lei verso le sei e poi mi raggiungi. Che ne dici?» 
«Per me va bene. Non abbiamo avuto molte occasioni di andare a trovarla, ultimamente.» Le dispiaceva: Silvia, al pari di Chiara, era una persona molto importante per lei.
Uscite dal portone della scuola furono investite da una folata di vento gelido. Sorprese dal repentino cambio di temperatura si ritrovarono a tremare, nonostante fossero molto più che coperte. Quel Gennaio sembrava voler riversare tutta la forza del Generale Inverno che le aveva risparmiate durante il bellissimo e caldissimo mese di Dicembre.
Nessuna sorpresa che Napoleone ne fosse stato sconfitto. Quei dannati venti di Grande Madre Russia avrebbero congelato perfino un tricheco!
«E pensare che devo farmela in scooter, la strada verso casa! Quando arriverò mi ci vorrà una caldaia del Titanic per sciogliere l'espressione che avrò in faccia!» Chiara si ritrovò ad imprecare, muovendosi velocemente verso il suo mezzo di locomozione.
«Almeno tu arriverai a casa in cinque minuti, io dovrò passeggiare per il quadruplo del tempo, rischiando di tornare rigida come un ghiacciolo alla menta.» Disse, indicandosi il giubbino verde smeraldo - o verde basilico, come soleva chiamarlo Chiara.
«Vuoi un passaggio?»
«No, grazie.» Si irrigidì. «Sai che ho paura di ogni cosa abbia due ruote.» O tre, perfino il triciclo che aveva da piccola le sembrava abominevolmente rischioso per la sua incolumità.
«Recepito. Speravo che il freddo ti convincesse a prendere un po' di coraggio.»
Coraggio era un concetto del tutto relativo, per Chiara. Incoscienza, secondo lei, sarebbe stato il termine più adatto.
Tolse la catena al motorino prima di voltarsi verso Diana, mostrando un sorriso di quelli che a lei non piacevano affatto.
Quando Chiara la fissava in quel modo, doveva aspettarsi guai.
«Magari non sarai costretta a farti tutta la strada a piedi.»
Diana non ebbe nemmeno il tempo di metabolizzare la frase pronunciata dall'amica che lei era già diretta a grandi passi verso il cancello, con un sorriso stampato sul volto. Che diavolo voleva fare, quella pazza?
Avvicinatasi ad un gruppo di ragazzi, li salutò dicendo loro qualcosa. Subito dopo, un tizio alto più o meno quanto lei le indicò qualcosa - o qualcuno. Chiara fece qualche passo per poi prendere a saltellare sul posto, con un braccio alzato.

«Andrea!»
Al richiamo lui - che stava per entrare nella sua macchina - sollevò una mano a ricambiare il saluto.
Diana si sentì risucchiare tutta l'aria dai polmoni.
No, no, no. Quella pazza non poteva averlo fatto sul serio!
Voleva morire, lì, subito.
«Andrea,» continuò Chiara, avvicinandosi a lui «come stai? Ti ricordi di me?»
Sembrò pensarci un po' su. «Chiara, giusto? Ci siamo conosciuti alla festa di Luca, la settimana scorsa, o sbaglio?»
Lei unì le mani davanti a sé. «Non c'è che dire, hai una memoria fotografica invidiabile.»
Frena, frena, frena. Chiara aveva conosciuto Andrea ad una festa? Quando diavolo aveva intenzione di dirglielo??
«Solo con la gente che mi è simpatica.» Le sorrise.
Oddio, Diana avrebbe ucciso per ricevere un sorriso come quello che stava riservando alla sua amica!
«Ne sono felice.» Aveva capito benissimo perché Andrea trovava simpatica Chiara: a differenza della maggior parte degli individui di sesso femminile della sua scuola, lei non lo guardava in quel senso. Cioè, considerando l'allupatezza cronica della sua amica, non lo guardava con il chiaro scopo di volerselo accaparrare, ma solo come... un po' brutto a dirsi, un appetitoso quarto di manzo.
«Posso presentarti un'amica?» Disse, saltellando verso di lei e trascinandola verso Andrea.
Diana appuntò mentalmente di depennare quanto prima la parola amica dal nome di Chiara. Se prima era rossa solo per aver pensato a lui, ora che se lo trovava a meno di un metro di distanza stava seriamente rischiando di essere ricoverata per ipertermia.
«Lei è Diana.»
«Molto piacere, Diana.» Andrea tese una mano verso di lei.
Vedendola ancora lì impalata, con lo sguardo fisso su di lui, Chiara le diede una gomitata al fianco. Quel colpetto la fece ridestare, spronandola ad afferrare la sua mano. «Ah-ah. P-piacere mio.»
Il contatto con le sue dita cominciò a farle perdere ogni briciola di coraggio. La sfilò abbastanza velocemente dalla sua, abbassando lo sguardo. Già se li immaginava gli ormoni, a fare trenino attorno ai suoi neuroni. Zarzueeeeelaaaaa... zarzueeeeelaaaaa...
«Andrea, volevo chiederti un favore, posso?» Chiara tentò di dare un tono quanto più possibile implorante e mellifluo.
«Certo, dimmi pure.»
Perché aveva un bruttissimo presentimento?
«Diana vive a una ventina di minuti a piedi da qui. Visto che fa molto freddo vorrei chiederti di accompagnarla fino a casa, se per te non è troppo disturbo.»
Diana si sentì lo stomaco sprofondare nei piedi. Chissà quanti anni davano per amicacidio.
Andrea sollevò una mano, continuando a sorriderle. «Nessun problema.»
No, no! Non poteva accadere, non doveva accadere!
«C-Chiara, forse non dovremmo approfittare così di lui. Non vorrei fargli consumare troppa benzina.» Sperava che all'accenno dei prezzi degli ultimi tempi rinsavisse e ritornasse sui suoi passi.
Andrea la fissò sorpreso, forse anche un po' divertito. «Maddai, quanto vuoi che incidano un paio di chilometri nel contenuto del serbatoio? Te l'ho detto, per me non è assolutamente un problema.»
Galantuomo, si ritrovò a pensare Diana. Avrebbero dovuto inserire la categoria nella lista delle specie in via d'estinzione.
Così andava anche peggio. Non riusciva a pensare ad altro che ai suoi occhi fissi su di lei, quei bellissimi occhi castani...
Una seconda gomitata la ridestò dai suoi viaggi mentali. «Ah, g-grazie allora.» Oddio, per quanto tempo era rimasta imbambolata a fissarlo?
Sorrideva ancora, dannazione. Quel ragazzo doveva avere i muscoli della faccia congelati dal freddo, nessun essere umano poteva essere capace di mantenere quell'espressione per così tanto tempo senza sentirseli indolenziti!
«Ti dispiace se prima accompagno la mia amica al suo scooter per salutarla?» Disse, prendendo a braccetto Chiara.
«Ma certo che no! Ti aspetto in auto.»
«Ciao Andrea!» Riuscì a salutarlo Chiara, prima che venisse trascinata con forza da Diana lontano da lì.
«Tu sei una pazza. Una pazza senza pudore e senza ritegno.» Borbottò sottovoce, quando fu certa che si fosse allontanata abbastanza da Andrea.
Chiara alzò gli occhi al cielo. «Che esagerata. Volevo darti un'occasione d'oro per conoscerlo un po' meglio, ecco tutto.»
Conoscere?? «Sarà già tanto se riuscirò a spiccicare qualche parola con lui. Non sono mica come te, io.»
«Guarda che devi seriamente fare qualcosa per superare questa cosa della timidezza.»
«E tu hai pensato bene di aiutarmi buttandomi tra le braccia del ragazzo che mi piace??» Sperò di non aver urlato, con l'ultima uscita.
«Buttarti! Diciamo che ho pensato di darti una spintarella.» Chiara ridacchiò, aumentando il suo nervosismo.
«E cosa ti aspetti che faccia? Non crederai che gli confessi di avere una cotta per lui!» Calcò sulle ultime parole, tentando di imprimere una certa dose di disgusto. Chiara sarebbe riuscita a farlo tranquillamente: ad una festa, l'anno prima, aveva trascinato in mezzo alla pista da ballo un ragazzo che le piaceva e lo aveva baciato lì, in mezzo a tutti, con tanto di lingua. Fortuna che lui fosse tanto ubriaco da non ricordarselo nemmeno.
Alzò gli occhi al cielo. «Dio, Diana! Ho detto solo "prova a conoscerlo", non "buttati e strappagli i vestiti".»
«A proposito, com'è che conosci Andrea?» Era curiosa di sapere come aveva fatto ad avvicinarlo.
«Ero andata alla festa di mio cugino Luca. Non sapevo che conoscesse Andrea, così sono rimasta alquanto sorpresa di trovarlo lì. E... niente, abbiamo parlato un po'. Ho fatto finta di non conoscerlo, cosicché non pensasse che l'avevo circuito.» Le diede una leggera pacca sulla spalla. «Guarda, posso dirti che è un tipo davvero intelligente e divertente. Non ti avrei mai fatta accompagnare da lui se non fossi stata certa che è un bravo ragazzo.»
«Hai... sondato il territorio o cosa?» Non poteva sopportare che anche la sua amica diventasse iperprotettiva nei suoi confronti: i suoi genitori le bastavano e avanzavano!
«Ma no, tranquilla. L'ho voluto conoscere davvero per curiosità, non per altro. E ora vai, che quel poverino ti sta aspettando al gelo.» Montò sul motorino. «Volevo solo dirti di approfittare di questa opportunità per ottenere almeno il suo numero di cellulare, visto che sei inorridita al pensiero di strappargli altro
«Chiara!» Urlò, scandalizzata.
Lei ridacchiò, prima di dare gas. «Ci vediamo stasera, fanciulla!»
Ma quanto poteva essere pazza quella ragazza, da uno a dieci? Sicuramente cento.

Con i piedi di piombo e una voglia matta di scappare da lì, riuscì finalmente a portarsi davanti allo sportello passeggero dell'auto di Andrea. Aprì di scatto, pregando che lui non si rendesse conto del suo nervosismo.
Lo vide sobbalzare appena. L'aveva spaventato o cosa?
«Scusa.» Si affrettò a sedersi e a chiudere lo sportello.
«Scusami tu, ero sovrappensiero e quindi...» scosse la testa. «Dove abiti?»
Tentò di mostrare un po' di coraggio. «Viale della Resistenza, vicino a Parco Due Giugno.»
«Conosco la zona. Certo che è davvero un po' lontana.» Fece retromarcia, uscendo dal parcheggio. «Con questo freddo saresti arrivata a casa mezza assiderata.»
«Ehm, sì.» Stava cercando di fare il premuroso?
«Chiara è stata una vera amica a cogliere l'occasione per aiutarti.» Oh, perché giustamente lui pensava a quel tipo di occasione. Per Chiara, l'occasione era tutt'altra cosa, altroché. Se avesse saputo, povero ragazzo.
«Sì, è vero.» Bugia, in quel momento l'avrebbe perfino strozzata.
Calò un'imbarazzante silenzio.
Come poteva aprire bocca? Era seduta accanto ad Andrea Rubino della III F! Quel ragazzo scintillava già dal cognome! Ogni cosa poteva apparire stupida e senza senso alle sue orecchie.
Fu lui a riprendere parola. «Sei abbastanza silenziosa per essere amica di Chiara.»
Eh? La stava offendendo o le stava facendo un complimento? O stava offendendo la sua amica?
«L'ho conosciuta, è un vero vulcano. Non so come tu faccia a starle dietro, forse è proprio perché sei così tranquilla e pacata.»
No, anonima sarebbe stata la parola corretta. Diana faceva di tutto per non apparire in alcun modo: raccoglieva i capelli castano chiaro in una treccia a lato, nascondeva i suoi banalissimi occhi marroni dietro un paio di occhiali, indossava maglioni comodissimi e ai piedi portava sempre scarpe da ginnastica.
Meno mi notano, meglio è. Filosofia di vita dettata dalla timidezza.
In quel momento, però, avrebbe voluto qualcosa di più appariscente, addosso.
Chissà come si conciavano le ochette che starnazzavano attorno ad Andrea.
Arrossì d'imbarazzo, abbassando lo sguardo. I suoi occhi si posarono sul vano portaoggetto della sua auto, che conteneva un quantitativo abbastanza consistente di CD.
Parlò prima di pensare, tentando di imbastire un discorso minimamente sensato e che la mettesse quanto meno possibile a disagio. «Quanti dischi, scommetto che ti piace la musica.» Ecco, quello era un terreno sul quale riusciva a muoversi senza troppi problemi.
Erano fermi ad un semaforo, così lui si girò verso di lei. «In realtà più della metà di quei dischi sono di un mio carissimo amico.» Ridacchiò, tornando a guardare la carreggiata. «Dice che non può aspettarsi che io metta a palla David Guettà, afferma che è deleterio per i suoi neuroni.»
Non che il fantomatico amico avesse così tanto torto. «Posso vederli?» Naturale, doveva sembrare quanto più naturale possibile.
«Certo, ma non aspettarti di capirci qualcosa. Io sono riuscito ad apprezzare giusto quattro o cinque canzoni di quelle che mi propina abitualmente.»
Oh? Stava diventando davvero curiosa. Prese dal mucchio una decina di CD, cominciando a scorrerli.
Che titoli... strani. E che nomi strani, per degli artisti.
Fu piacevolmente colpita quando scorse, tra tutti quei dischi piratati, uno originale, di un artista che lei conosceva benissimo e che le piaceva moltissimo.
«Debussy? Anche questo è del tuo amico?»
Lui fissò confuso il CD. «Ah, ora ricordo. Questo è di un amico del mio amico, gliel'aveva prestato per farglielo ascoltare.» Glielo sfilò dalle mani e lo rigirò nella sua. «Deve averlo dimenticato qui. La prossima volta devo ricordargli di restituirglielo.»
«L'amico del tuo amico ha senz'altro gusto in fatto di musica.» L'osservazione le uscì del tutto spontanea. Amava troppo Debussy.
«Pensa che io invece non l'avevo mai sentito nominare se non adesso. Mi sa che in quanto a gusti musicali sono troppo banale e commerciale.» Inarcò un sopracciglio, sorridendo. «Non so nemmeno che genere faccia, questo Debussy.»
Veramente non l'aveva mai sentito nominare? «Guarda che è morto da parecchio tempo. Era un compositore francese vissuto tra la fine dell'Ottocento e gli inizi del Novecento.»
Lui sembrò capire. «Musica classica?»
«Non credo che "musica classica" sia il termine adatto per descrivere la musica di Debussy. C'è chi ti ammazzerebbe per aver banalizzato così il concetto.» Oddio, dove l'aveva tirata fuori tutta quella spavalderia?
Si morse un labbro. Era proprio vero che tutto quello che aveva a che fare con la musica le faceva perdere ogni genere di freno inibitorio.
Andrea sbuffò. «Accidenti, tu e il mio amico andreste davvero d'accordissimo. Anche lui si lamenta che io banalizzi la sua adorata musica paragonandola ad un'accozzaglia di... qualsiasi cosa.»
Diana rise, sentendosi stranamente e improvvisamente a proprio agio nel conversare con il ragazzo che le faceva battere il cuore.
No! Era tornata a ripensarci! Ripose rapidamente i CD al proprio posto, cercando di nascondere il rossore che si stava facendo strada sulle sue guance.
«Siamo arrivati a Viale della Resistenza. A che altezza ti lascio?»
«Ah... v-vicino al supermercato.» Fece uno sforzo non indifferente per non balbettare.
Accostò, tentando di portarsi quanto più possibile a destra. Una volta fermatosi, Diana aprì per metà lo sportello dell'auto, per poi voltarsi verso di lui. «Grazie per il passaggio, Andrea.» Tentò di imprimere quanta più gentilezza possibile nel tono della voce. Doveva sembrare naturale e quanto più possibile distaccata: non voleva di certo che si accorgesse che la sua vicinanza la metteva in imbarazzo.
«Di nulla. È stato un vero piacere fare quattro chiacchere con te.»
Oh no, di nuovo quel sorriso! Doveva scappare al più presto, prima che si sciogliesse sul sedile!
«A-anche per me è stato un p-piacere. Ci vediamo, ciao!» Uscì dall'auto - un po' troppo velocemente - e chiuse - forse un po' troppo vigorosamente - lo sportello.
Andrea ripartì subito dopo, accennando un saluto.
Solo allora Diana si rese conto di aver trattenuto il fiato per un buon mezzo minuto.
Ricapitolando.
Punto primo: era appena stata accompagnata a casa da Andrea.
Punto secondo: era rimasta per dieci minuti nell'auto con lui.
Punto terzo: era riuscita a imbastire una conversazione decente senza balbettare.
Punto quarto: prima di lasciarla, le ha detto che era... stato un piacere averla conosciuta.
Punto quinto: ...in quale tasca aveva lasciato il cellulare?
C'era qualcuno che doveva assolutamente chiamare, seduta stante.
Cercò in rubrica il numero e premette il tasto verde.

«Allora, come è andata?»
Le aveva risposto neanche dopo il primo squillo. 
«Chiara, in questo momento non so se ucciderti o mandare una richiesta di beatificazione al Vaticano. O forse prima ti ammazzo e poi la mando. Non credo santifichino i vivi. Beata Chiara martire. Come ti suona?»
«Oh, smettila di fare la rompipalle! Come è stato?»
Strabuzzò gli occhi, incredula. «Come è stato cosa? Dio mio, Chiara! Mi ha solo riaccompagnata a casa!»
«Guarda che sei tu quella che pensa a male. Io intendevo come è stato il viaggio
Sospirò. «Sei tu che mi corrompi, visto che pensi sempre a quello.»
«Dai, dai!» Stava diventando davvero impaziente di conoscere tutti i risvolti del fantomatico viaggio.
Iniziò ad avviarsi verso casa. «Cosa vuoi che sia accaduto? Abbiamo parlato un po' del più e del meno, anche se per la maggior parte del tempo restavo in silenzio cercando di non fargli capire che in realtà ho una cotta per lui.»
«Ma almeno, quando vi siete salutati, vi siete scambiati i numeri di telefono?»
Che? «Chiara, a malapena riuscivo a parlare! Non potevo uscirmene con "a proposito, puoi darmi il tuo numero di telefono?". Avrebbe capito che c'era qualcosa che non andava!»
Sentì la sua interlocutrice sbuffare pesantemente. «Mamma mia, come la fai difficile. Dannazione, se ti piace non puoi stare sempre ad attendere che si accorga di te senza che tu faccia alcunché per farglielo capire, no?»
Discorso troppo ingarbugliato! Dopo tre ore di italiano, una di greco e una di chimica e dieci minuti nella macchina del ragazzo più figo dell'istituto non aveva più il cervello nemmeno per formulare una frase di senso compiuto!
Era già sul pianerottolo davanti al portone di casa sua quando decise di rimandare quella chiaccherata - giusto perché la sua carissima amica non avrebbe fatto mai cadere il discorso. «Chiara, ci vediamo stasera da Silvia e ne riparliamo. Ora ho bisogno di mettere un po' d'ordine nella mia testa.»
«Va bene, ti lascio alle tue adorate seghe mentali. Ci vediamo stasera, un bacio!»
«A stasera.» Biascicò, chiudendo la chiamata.
Una volta entrata in casa si fiondò in camera sua e si buttò sul letto. Erano ancora l'una e mezza, quindi sapeva che sua madre non sarebbe tornata prima di un'ora. Il giusto tempo per cercare di rielaborare quello che le era accaduto nell'ultima mezz'ora.
Andrea le piaceva, e lui non sembrava aver disdegnato la sua compagnia. E se avesse detto che era stato un piacere conoscerla per pura abitudine? Magari lo diceva a tutte le ragazze.
Fu sincera con se stessa: che possibilità aveva che Andrea la notasse sul serio, con quel suo aspetto da santarellina nerd?
Non aveva bisogno di fare un calcolo matematico, la percentuale era già stata calcolata empiricamente.
Zero assoluto.
Lui era un ragazzo stupendo, poteva avere le ragazze più belle e avvenenti dell'istituto (e non) ai suoi piedi al solo schiocco delle sue dita.
E lei?
...Meglio lasciar perdere.
Si rigirò nel letto, affondando il viso nel cuscino.
Di mettersi in ghingheri appositamente per far colpo su di lui, nemmeno a pensarci. Sarebbe morta dall'imbarazzo. E poi sarebbe stata fin troppo ridicola: si vergognava di mostrare il suo corpo, era incapace perfino di mettersi il mascara, dannazione.
Charme pari a molto più che zero. Forse avrebbero dovuto inventare un numero negativo tanto alto da poter esprimere a pieno quanto fosse scialba e priva della capacità di far colpo su individui dell'altro sesso.
Maledetta timidezza! Nel suo periodo post-adolescenziale stava seriamente cominciando ad odiarla!
Stava ancora crogiolandosi nella sua sventura quando sentì il portone di casa aprirsi.
«Tesoro, sono tornata! Dove sei?»
Si alzò rapidamente, non voleva farsi vedere depressa da sua madre. Se si fosse accorta che qualcosa non andava le avrebbe fatto il terzo grado, cercando di comprendere che cosa le fosse accaduto realmente, per poi finire a deprimersi lei stessa e a mettere in discussione il suo ruolo di genitrice. Cosa c'entrasse, Diana non l'aveva mai capito.
Quindi, meglio non svegliare il cane che dorme.
«Sono in camera, mamma. Ora arrivo!» Si diede un paio di schiaffetti sulle guance, per darsi un po' di colore. Sua madre era ancora una fermissima sostenitrice del "se sei in salute, sei tutto sangue e latte".
Entrata in cucina, la vide come al solito armeggiare con il forno a microonde. Non si era nemmeno tolta il cappotto! «Mamma, ci penso io a riscaldare la pasta. Vai pure a metterti più comoda.»
Lei si voltò, con lo sguardo apprensivo, tutto diretto a lei. «Ma tesoro, ho fatto un po' tardi, magari hai molta fame...»
«Mamma, non preoccuparti. Se avessi avuto davvero fame non ti avrei aspettata. Dai, vai a cambiarti.» Aprì il frigorifero e tirò fuori due contenitori per microonde. Da qualche anno a questa parte quell'aggeggio si era rivelato davvero molto utile: a causa del lavoro i suoi genitori rincasavano sempre tardi e - visto che erano abituati a mangiare sempre insieme - tenere già tutto pronto comportava un bel risparmio di tempo.
Iniziò ad armeggiare con il timer del forno. «Papà sta per tornare?»
Sua madre le rispose dall'altra stanza. «No, oggi non viene per pranzo. A quanto pare in ufficio è arrivato uno dei gran capi e vuole fare bella figura.»
Inflessibile stacanovista e ligissimo al dovere, come sempre. «Spera ancora in quella promozione?» Le domandò.
«Tuo padre dice che stavolta è davvero fiducioso. Stanno per promuovere alcuni impiegati proprio nel suo settore.» Disse, tornando in cucina.
«Lo spero proprio. Se lo merita, è un lavoratore instancabile.» Aveva sacrificato buona parte del tempo per stare con la sua famiglia proprio per non far mancar loro nulla.

«Oggi pomeriggio vai alle prove del coro?»
Diana terminò di riporre l'ultimo piatto nella lavastoviglie e si voltò verso la madre. «Sì, manco da troppo tempo.»
«Alle cinque, come sempre?»
«Sì, fino alle sei e un quarto.» Chiuse con un colpo secco il portello.
«Vuoi che... ti accompagni con l'auto?»
Ah, sapeva che era lì che voleva andare a parare. Fino a qualche anno prima sua madre praticamente glielo imponeva e ora che era abbastanza grande da prendere certe decisioni da sola tentava la via della proposta.
«Sì, grazie. Con questo freddo un passaggio mi farebbe davvero comodo.»
Poteva giurare di aver visto il viso di sua madre illuminarsi alla risposta. «Vuoi che ti venga anche a riprendere?»
Le sarebbe piaciuto, però... «Dopo le prove passo a casa di Silvia, per vedere come sta. Viene anche Chiara, così faccio la strada del ritorno con lei.» Chiara viveva a qualche centinaio di metri da casa sua, vicino al campus. Usava lo scooter solo per andare a scuola e per muoversi su brevi distanze preferiva camminare a piedi, quindi non c'era il pericolo che la cara amichetta la costringesse a salire sul suo infernale trabiccolo.
«Oh, va bene.» Sembrava... abbattuta.
«Dai mamma, non voglio farti andare avanti e indietro. Se non facesse così freddo non avrei approfittato nemmeno del passaggio all'andata.»
Lei annuì. «Lo so che sei una ragazza responsabile... però mi raccomando, fai attenzione.»
Che esagerata! «Mamma, sto andando alle prove del coro! Cosa vuoi che succeda?»
«Ma sì, sì... è solo che...»
Diana le portò le mani sulle spalle. «Prova a rilassarti, di tanto in tanto. Apprezzo tantissimo che tu sia preoccupata per me, però...»
«Sì, lo so. Esagero.»
Ridacchiò. «Un pochino.»
«Mi fido di te, solo... non mi fido degli altri. Il mondo è così crudele, oggigiorno.»
«Mamma, dovresti smetterla di vedere robaccia come La vita in diretta. Quelle trasmissioni ti fanno credere che anche il tuo vicino di casa potrebbe essere un potenziale serial killer.» 
Lei rise alla sua battuta. «Dovrei, dovrei. Però adesso davvero ho tanta voglia di sprofondare nel divano e fare un po' di zapping per rilassarmi.»
«Sì, ma evita ogni programma parli di gente rapita, omicidi tra vicini e stupri di gruppo da parte di baby-gangs. Ti renderebbero ancor più paranoica.» La ammonì Diana, puntandole il dito contro.
«Va bene, va bene. Vorrà dire che vedrò repliche di telefilm.»
«Che non siano di Criminal Minds, però.»
«Tenterò di evitare accuratamente.» Le sorrise, prima di avviarsi in salotto.
Diana la seguì. «D'accordo, allora io vado a studiare. Mi faccio trovare pronta alle quattro e mezza.»    
«Ok, tesoro. A dopo.»

Mancavano cinque minuti alle cinque, quando Diana arrivò al cancello d'entrata dell'Elefante. Aveva sempre chiamato così la sua chiesa, forse per via di quella struttura post-moderna in cemento che le ricordava la forma di una testa di pachiderma, con tanto di orecchie e proboscide.
Scese dall'auto, salutando sua madre. «Grazie per il passaggio, ci vediamo stasera.»
«Mi raccomando, non fare troppo tardi.» la ammonì.
«Tranquilla, per le otto sono a casa. Ciao!» Chiuse lo sportello ed entrò nel cortile della parrocchia. Appurata la presenza di alcuni suoi compagni del coro, sua madre partì subito dopo.
Si avvicinò al gruppo. «Salve ragazzi. Gli altri?»
«Stanno per arrivare. Come al solito siamo sempre in anticipo, Diana.» A parlare fu Giuseppe, un ragazzo poco più grande di lei, che conosceva da qualche anno a questa parte. Aveva cambiato parrocchia proprio per partecipare al loro coro.
«Sarà che siamo tra quelli che il coro lo prendono sul serio...»
«...e non come una pura occasione di svago.» Terminò lui.
«Ecco, sì.»
Diana si era sempre trovata a suo agio parlando con Giuseppe: era una persona riservata, molto discreta e dall'aspetto innocuo. Condivideva con lui la passione per la musica ad un livello ben più profondo rispetto agli altri membri del coro. Lo aveva sempre considerato un ragazzo maturo e consapevole: dimostrava più anni di quelli che effettivamente aveva.
«Il coro di questa parrocchia è comunque ad un ottimo livello, ed è un buon modo per tenerci in esercizio.» Asserì lui.
Stefania, un altro membro del coro, si intromise nel discorso. «Sì, ma non c'è di che stupirsi: Don Antonio è un musicista davvero bravo e insegna in maniera davvero magistrale.» 
«Si vocifera che un tempo, quando ancora non aveva preso i voti, fosse un cantante lirico professionista.» Giuseppe si acquattò, abbassando la voce. «A quanto pare, all'apice della sua carriera decise di ritirarsi e di farsi prete. Non si è mai saputo con esattezza cosa l'abbia portato a fare una scelta simile.»
«Buon per noi, no? Non è da tutti avere come maestro uno come lui. Bravo e gratis.»
Diana e Giuseppe risero alla battuta di Stefania. Non aveva tutti i torti: chissà quanto avrebbero dovuto pagare per ricevere un insegnamento a livello professionale.
«Uff, quando apre Don Antonio? Stiamo congelando, qui fuori.» Diana si sfregò un braccio, sentendoselo intorpidito dal freddo.
Giuseppe diede una rapida occhiata all'orologio. «Effettivamente sono già le cinque e dieci, e la maggior parte del coro è già qui. Strano, non è mai stato in ritardo...»
Proprio in quel momento videro Don Antonio entrare tutto trafelato dal cancello. «Ah, scusate il ritardo, ragazzi. Avevo una commissione da sbrigare.» Armeggiò in tutta fretta con la serratura del portone dell'oratorio.
«Ci stavamo solo preoccupando, lei normalmente è un mostro di puntualità.» Che Giuseppe lo ammirasse per qualsiasi cosa, era ormai noto a tutti. Molto probabilmente aveva fatto di lui un modello da seguire, un ideale quasi da venerare.
Non che Don Antonio non fosse capace di farsi amare. I suoi modi erano paterni, pacati, gentili, severi quando necessario. Talvolta parlava con una tale saggezza - di quella sapienza dettata dall'esperienza - che sembrava che di anni ne avesse novanta, e non a malapena sessanta.
«La puntualità è sintomo di rispetto. Ecco perché arrivo quasi sempre in orario.» Don Antonio sfoderò un sorriso caldo e pacato, prima di spalancare il portone dell'oratorio.

Terminate le prove, Don Antonio si avvicinò a Diana.
«Posso parlarti un attimo, cara?»
Lei annuì, deglutendo il groppo amaro che aveva in gola. Quella sera aveva fatto a dir poco schifo: gli effetti del mancato allenamento si erano fatti sentire tutti.
«Ti ho sentita strana, oggi. Non sei nel pieno della tua forma. Non stai bene?»
«No, è solo che...» si vergognava a dirlo «...sono fuori allenamento.»
Lui annuì. «Sono certo che hai avuto impegni che ti hanno impedito di partecipare alle prove, ultimamente. Ad ogni modo, non devi mai trascurare la tua voce, Diana. È come un muscolo: per tenerla in forma è sufficiente esercitarsi anche solo per un'oretta al giorno.»
«Mi è... passato di mente.» Negli ultimi giorni interrogazioni e compiti avevano assorbito davvero tutto il suo tempo.
«Vieni, sediamoci qui.»
Don Antonio le aveva indicato una sedia della prima fila. Una volta sistematasi, lui si sedette al suo fianco.
Attese che tutti gli altri fossero già usciti per iniziare a parlare. «Sei sicura che sia davvero tutto a posto?»
«È che...» era indecisa se parlarne o meno. «Sono solo un po' amareggiata.»
«Amareggiata?» Incalzò lui. Evidentemente doveva aver intuito qualcosa.
«Sì è per via... di quella storia di Natale.» Abbassò lo sguardo mentre gli confessava la rabbia che aveva nel cuore.
«Perché non hai potuto cantare e farti vedere dal pianista?»
Sospirò. «Sì. Mi ero allenata così tanto per avere anche una minima possibilità che mi notasse... e poi...»
Don Antonio continuò a fissarla, con aria grave e concentrata.
«So che è solo una stupidaggine, che in fondo c'è ben di peggio nella vita per chiamare questa piccolezza vera e propria sfiga. Eppure... mi sento come se avessi perso un'occasione davvero importante. Di quelle che non si ripetono.»
Lui annuì impercettibilmente. «Hai solo diciassette anni.»
Un'affermazione che poteva dire tutto, o niente. «Sì, lo so che ho tutta una vita davanti, però...»
Don Antonio le posò una mano sulle sue, che teneva unite in grembo. «Non c'è un però. Hai davvero tutta la vita davanti, e non sai quando questa potrebbe riservarti nuove occasioni o piacevoli sorprese.» Sorrise. «Quando meno te lo aspetti.»
Quando lui la guardava in quel modo era come se le infondesse certezza. Come se tutto quello che usciva dalle sue labbra fosse pura verità.
«Lo... lo spero proprio.» Abbassò lo sguardo, scoprendosi incapace di reggere quello di Don Antonio.
«Sono sicuro che alle prossime prove darai il meglio di te.» Le mise una mano sulla spalla, costringendola ad alzare gli occhi.
«Sì... lo farò.» Disse, tentando di imprimere decisione nelle sue parole.
Don Antonio si alzò in piedi. «Allora ci vediamo, cara. A giovedì.»
Diana restò imbambolata per qualche secondo, prima di alzarsi anche lei. «Sì... ci vediamo giovedì.»
Uscendo, Diana si chiese se quell'uomo fosse telepatico o avesse qualche strano potere mistico. Possibile che fosse così bravo a leggere nel cuore delle persone?

Doveva impegnarsi.
Doveva essere preparata per l'occasione della quale parlava Don Antonio.
Poteva essere sempre dietro l'angolo, aveva ragione. Non doveva trascurarsi, doveva credere fermamente che, chiusa un'opportunità, se ne apre un'altra. Chissà, magari anche migliore della precedente!
Con il cuore più leggero si avviò verso il cancello, così galvanizzata dalle parole del suo parroco che non sentiva nemmeno più tanto freddo.
Scorse a malapena qualcuno, oltre l'inferriata, che imprecava debolmente. Lo oltrepassò, quasi senza accorgersi della sua presenza.
«Ehi.» Sentì appena una voce dietro di lei. «Ehi, ragazzina!»
Stava chiamando lei?
Si voltò appena, sperando di aver sentito male.
Alle sue spalle c'era un uomo, con i capelli lunghi e la barba scura sul volto. Era alto almeno venti centimetri più di lei, perciò lo osservava con un certo timore dal basso dei suoi centosessanta centimetri. Sembrava abbastanza giovane, anche se nella penombra del vicolo non riusciva a vederlo bene in volto. Abbassò appena lo sguardo per vedere ciò che reggeva in mano.
«Hai mica da accendere?»
Aspetta un attimo. Quel... tizio che sembrava uscito da una discarica le chiedeva se aveva un accendino per... fumarsi una canna?
Oddio!
Doveva allontanarsi di lì il prima possibile. Quel... drogato poteva aver trovato un pretesto per fermarla e... santo cielo, forse voleva derubarla... o peggio!
Con diecimila scenari nella mente che diventavano sempre più terribili secondo dopo secondo, si voltò e iniziò ad camminare rapidamente.
«Ehi! Ehi, aspetta!»
Col cavolo! Non voleva diventare la protagonista di un nuovo caso da esporre in squallide trasmissioni pomeridiane per casalinghe, con il suo nome sulla bocca di inutili opinionisti strapagati.   
Attraversò la strada, avviandosi verso la traversa principale, che era più illuminata e abitualmente più frequentata. Se avesse avuto intenzione di inseguirla ancora si sarebbe infilata in qualche negozio, avrebbe chiamato sua madre e non si sarebbe schiodata di lì fino al suo arrivo.
Inseguirla?
Strano, non sentiva passi dietro di sé.
Si voltò appena, continuando a camminare.
Oh? Ma... non c'era nessuno.
Perché allora aveva avuto come l'impressione che le stesse venendo dietro?
Si fermò, guardandosi intorno. Posò lo sguardo sul cancello, notando che quel tizio non era più lì.
Scomparso? Dove diavolo era finito?
E se si stesse nascondendo nell'ombra, attendendo il momento giusto per aggredirmi?
Uffa. A furia di sentire i discorsi di sua madre stava diventando paranoica anche lei. Magari quel tipo aveva capito che non era disponibile ad un contatto, e perciò aveva lasciato perdere. In fondo, cosa se ne faceva di lei se non aveva il fuoco per accendersi la canna?
Ma fidarsi è bene, non fidarsi è meglio.
Riprese a camminare, ripromettendosi di evitare stradine e vicoli bui. Avrebbe fatto il giro più largo per arrivare a casa di Silvia, mettendoci più tempo, ma almeno sapeva di essere relativamente al sicuro, in vie frequentate da gente. Era periodo di saldi, sapeva che orde di persone avrebbero affrontato il freddo pur di accaparrarsi le migliori occasioni.
La sensazione che aveva provato nel momento in cui lui aveva cercato di fermarla non era ancora andata via. Sentiva ancora i brividi dietro la schiena e il cuore che le batteva in gola.
Era come se... si sentisse ancora costantemente osservata.
Però... non c'era davvero nessuno.
Suggestione, si ripeté come un mantra.
Era la paura a farle sentire gli occhi di quell'uomo posati su di lei?
Si fermò vicino alla vetrina di un negozio, appoggiandosi al muro. Si diede qualche secondo per respirare profondamente, al fine di rallentare i battiti del suo cuore.
Dannazione! Quell'esperienza l'avrebbe segnata a vita!
Vicolo buio e occhi.
Occhi fissi su di lei.
Sempre, ovunque.

Have you ever been alone at night
Thought you heard footsteps behind
And turned around and no one's there?
And as you quicken up your pace
You find it hard to look again
Because you're sure there's
someone there...

[Fear of the Dark - Iron Maiden]



*CONTINUA*

***

Evvai! Alfine giunsi alla fine del primo capitolo di questa specie di... esperimento?
In realtà questa storia frullava nella mia testa già da parecchio tempo, forse due o tre anni. Non mi ero mai decisa a scriverla, finché, smanettando con quell'epopea assurda che è Black Rose Immortal ho pensato: e se iniziassi una nuova storia? Magari con toni più leggeri?
Insomma, ho dovuto fare i conti con tutte le mie anime: quella che ama il fantasy, quella che ama la fantascienza, quella che ama Sailor Moon e quella che ama il genere romantico. Dopo una dura lotta senza quartiere (Usagi, molla quel tirapugni! Matheus, ritrai le zanne, per l'amor di El!) ho decretato come vincitore Romantico, che ultimamente ho un po' trascurato. XD
Anche perché avevo proprio bisogno di scrivere qualcosa di leggero e divertente. Insomma, spero che lo troviate anche voi divertente. XD
Il rating che ho scelto è arancione, perciò eventuali scene di stampo erotico saranno solo vagamente descritte.
Spero che questo nuovo parto della mia mente malata vi sia piaciuto.
Un bacio, e al prossimo capitolo! :)

p.s. Per tutti i fans di Black Rose Immortal: tranquilli, la vostra pazienza verrà presto ripagata. :D

 
 
 
   
 
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