Salve a tutti, ebbene sì…dopo un lungo periodo di stress è
tornata la voglia di scrivere. Ovviamente una storiellina
drammatica, tipicamente nel mio stile…forse un po’ semplice ma nella quale ho
messo l’anima!! Spero possa piacervi…la dedico ad Alexys, semplicemente perché esiste!!!
J’ai
besoin de
toi
Il cielo si è oscurato nello stesso momento in
cui abbiamo svoltato l’angolo in quel viale grigio e polveroso, ho gettato una
fugace occhiata alle foglie ingiallite che rotolano sui sassolini sporchi e poi
l’ho riportata su di lei. Cammina la mio fianco, silenziosa e malinconica, i lunghi capelli
corvini sono raccolti in una treccia e gli occhi azzurro-grigi scrutano sottili
un punto indefinito. Sembra ieri che si trasferì nella
nostra città, quel giorno in cui la vidi seduta sul muretto ad aspettare che la
scuola aprisse, era il suo primo giorno in collegio e scoprì di essere nella
mia stessa classe. Mi colpì subito il suo sguardo, triste e freddo, così
insolito per una ragazza di quasi diciotto anni, col quale pareva minacciare
chiunque avesse osato avvicinarla…e il sorriso che mi
porse, dolce e malinconico, ma non forzato. Più di un anno è passato e, sebbene
siamo diventate molto amiche, mai l’ho vista piangere, mai chiedere aiuto, mai
cedere nella sua posizione di ragazza forte. Ha sempre basato la sua vita su se
stessa, sulle sue forze, senza tentennamenti né
fiducia negli altri, persa solo ogni tanto nei suoi pensieri, quando ingoia il
mondo con le sue iridi.
Una goccia di pioggia cade tra i miei capelli,
guardo il cielo, che si sta oscurando velocemente, mentre la professoressa
incita la classe a sbrigarsi per raggiungere l’albergo; le afferro una mano ed
iniziamo a correre assieme agli altri nostri compagni, col temporale che
aumenta e scrosci d’acqua che ci incollano i vestiti
al corpo rallentando i movimenti. Dopo qualche minuto la sagoma dell’edificio
si staglia scura nella nebbia, entriamo esausti, trenta ragazzi che come
un’onda del mare si riversano nella hall per ricevere
le chiavi della propria stanza; prendo la nostra e faccio cenno a Sharon di seguirmi. Mi segue silenziosa, col suo sguardo
duro e freddo al quale ormai sono abituata fino a che
non arriviamo nella nostra camera, la guardo sorridendo
“Un temporale così in gita proprio non ci voleva
eh?!”.
Lei non risponde e si limita ad annuire
distrattamente entrando nel bagno e chiudendo la porta. Mi guardo attorno, i
letti sono rifatti e le lenzuola candide emanano odore di vaniglia, fuori la
pioggia batte sulle finestre creando un sottofondo ritmico e costante al quale
si aggiunge lo scrosciare della doccia…mi passo una mano tra i capelli e una
lacrima stilla timida dai miei occhi percorrendo tutto il mio
volto per poi cadere sulla mia maglia. Quasi meccanicamente entro nell’altro
bagno, ringraziando questo albergo che ne ha due per
camera, mi spoglio e m’infilo sotto la doccia. Mi fa male vederla
così, saperla triste e non poter far niente per aiutarla perché lei,
inesorabilmente, mi chiude fuori dalla sua vita, dal suo guscio solido; i suoi
occhi sono come lame che pungono e accrescono il dolore. Sospiro chiudendo gli
occhi al contatto dell’acqua calda sul mio volto…vorrei
che lavasse via tutto il malumore, vorrei che trascinasse via con se tutte le
lacrime, per non averne più, le portasse giù nello scarico roteandole nel piccolo
vortice e, magari, facesse lo stesso anche con lei dipingendo, per la prima
volta, la sua vita di vera felicità. Chiudo la cannella e mi friziono un po’ i
capelli con l’asciugamano per poi avvolgermelo attorno al corpo ed uscire, la
stanza è semibuia, cammino in punta di piedi pensando che si sia
addormentata invece la vedo: è seduta sul letto, di fronte alla finestra
con gli occhi persi a contemplare le gocce di pioggia sul vetro, indossa un
accappatoio e i capelli umidi sono sciolti sulle spalle. Mi avvicino piano e mi
siedo al suo fianco poggiandole una mano sulla gamba, come a richiamare la sua
attenzione, ma lei non si muove neppure quando un
tuono mi fa sussultare….mi sporgo leggermente sopra la
sua spalla inclinando la testa per osservarla meglio.
“Mmh….ti sei per caso addormentata con gli occhi aperti?!”
Le dico col sorriso sulle labbra stringendo
leggermente la mia mano sulla sua gamba, lei si volta a guardarmi e mi getta
un’occhiata gelida, colma di sentimenti contrastanti, quasi come se mi volesse
rimproverare di aver interrotto qualcosa di importante.
Tolgo la mano di scatto, impaurita da quelle iridi di ghiaccio che mi hanno
trapassato le pupille da parte a parte…lei aggrotta le
sopracciglia seccata.
“No…”
Breve e diretta, come suo solito, risponde e
torna a contemplare le piccole goccioline che creano sul vetro disegni
curvilinei e righe sfalsate, lacrime di quelli che non ne versano mai. Eppure a volte fa così bene piangere, dopotutto se Dio, o
chi per lui, ci ha creato capaci di stillare i sentimenti un motivo ci sarà….è
un po’ come una macchina da caffè: si surriscalda e
rischia di esplodere se non apriamo la valvola del vapore in tempo. Mi chiedo solo quando lei si deciderà ad aprire la sua e porre fine
alla sua vita rinchiusa in un mondo a se stante. Sospiro giocherellando con
l’asciugamano.
“Senti…va tutto bene?”
“Mmh…”
Almeno ci ho provato…..tanto
va sempre a finire così, ogni volta che tento di offrirle il mio aiuto vengo
prontamente respinta via. Ma questa sera è diversa
dalle altre, il suo sguardo è diverso e decido di tornare alla carica.
“Sei sicura? Se ti va di
parlare…”
Sbuffa sonoramente, altro buco nell’acqua….ma prima o poi centrerò l’obbiettivo.
“Perché dovrei parlare?
Senti, devi stare qua a rompere?”
Ignoro l’ultima parte della frase, allo stesso
modo in cui lei sta ignorando me, parlandomi come fossi
una mosca noiosa, lo sguardo rivolto da tutt’altra
parte. Indurisco il tono della mia voce, ho deciso di non cedere e non lo farò,
stavolta no…
“Perché non lo fai mai e credo
tu ne abbia bisogno…”
Frase un po’ azzardata, me ne
rendo conto nell’istante in cui la finisco di pronunciare. Si gira di scatto,
come percorsa da una scarica elettrica, i capelli nerissimi spettinati e umidi
sulle spalle, le labbra sottili strette e tirate…pare una gatta a cui hanno
tentato di toccare i cuccioli, ogni senso all’erta,
ogni fibra nervosa gocciolante rabbia e frustrazione. Sento un brivido intenso
di freddo scendere lungo la schiena quando i suoi
occhi si posano nei miei e attendo la risposta, Sharon
risponde sempre alle provocazioni.
“Ma che cazzo ne sai
tu di quello di cui ho bisogno?! Tu, col tuo faccino
d’angelo, tu, dolce e pura che hai sempre avuto affetto nella vita…che ne sai
cosa vuol dire essere abbandonata, tradita e umiliata dagli amici?! Niente! Non sai niente del dolore, della solitudine…tu
vivi nel tuo mondo dove piovono margherite e sei felice!!
Ma il mondo è un altro e tu non ne sai nulla…sei solo
un’egoista di merda!!!”
Sento la rabbia e l’umiliazione crescere ad ogni
sua parola, non mi era mai successo prima d’ora di
sentirmi così. È un attimo, un fruscio di foglie, un soffio di vento, un
battito di ciglia…lei si ferma a guardarmi spalancando gli occhi, stupita e
confusa, mentre fuori continua a piovere a dirotto. Scosto il braccio
lentamente, incapace di realizzare quello che è
successo, mentre le mie iridi scrutano con timore il segno rosso che la mia
mano ha lasciato sulla sua guancia candida. Mi sento improvvisamente calma,
come se, con un solo gesto, abbia scaricato su di lei i fiumi di parole che non
le ho mai detto; non ho mai picchiato nessuno prima di
adesso, è una cosa che va contro i miei principi. Ho sempre pensato che nessuno
si meritasse la mia rabbia, il mio dolore, eppure lei, offendendomi, ha fatto
scattare in me un qualcosa di nuovo, una molla arrugginita che è saltata fuori
con un’irruenza inaspettata…quello schiaffo, è corretto dire
che mi ha stancata e svuotata.
“Non sei la sola a soffrire…ma
non ti serve a niente fare così”
Un sussurro si leva tremolante dalle mie labbra,
sofferto e lieve come se contenesse le mie ultime molecole d’ossigeno…è
inutile, non capirà mai quello che voglio dirle, non capirà che anche io provo
gli stessi sentimenti e voglio soltanto aiutarla, non lo capirà ed è inutile
anche starmene qua ad insistere. Sarebbe come tentare di costruire un castello
di carte su di un prato, durante una giornata ventosa,
ogni pezzo poggiato cadrebbe inesorabilmente giù, afflosciandosi sui fili verdi,
senza mai permettere alla costruzione di essere completata.
Mi alzo lentamente dal letto e indosso in
silenzio la mia camicia da notte poi, gettandole un’ultima, intensa, occhiata, esco sul balcone. La notte è scura e fredda,
grosse nuvole grigiastre ricoprono la volta celeste e piangono fiotti di
pioggia, li sento cadere sul corpo, sul volto, sui capelli, colandomi addosso e
tracciando scie gelate che cospargono la mia pelle di brividi intensi. Un flash
e la mia mente vola a circa un anno fa, quando quella
che, allora, consideravo la mia più grande amica, mi abbandonò nel mio momento
peggiore, riferendomi di provare disgusto per la mia malattia, per il mio
tumore incurabile al seno, il mio segreto…mai più rivelato per paura di
rimanere sola, di perdere gli amici. Niente chemioterapie, niente di niente,
solo vita e me stessa, e un mare di bugie dette per salvarmi
dall’abbandono…neppure lei sa la verità, lei che forse avrebbe capito, ma
perché rischiare quando non so quanto mi resta da
vivere?! Ho bisogno della sua presenza e me ne rendo conto soltanto adesso,
sotto questa pioggia incessante di rimpianti e rimorsi che scavano sotto pelle pian piano, mirando solamente ad abbattermi.
Sospiro appoggiandomi al muro e chiudo gli occhi
concentrando i miei sensi sul freddo pungente che supera
il tessuto leggero della mia camicia da notte. Tutto è piatto questa sera,
fatta eccezione per il diluvio, ogni cosa pare immobile, lenta nei movimenti,
persino i miei polmoni
paiono provare fatica nel contrarsi per inspirare ed espirare
aria e il petto mi duole leggermente, proprio sotto al seno destro. Vi poggio
una mano, premendo con forza come a voler schiacciare il dolore che mi puntella
la carne, poi, quando si affievolisce, torno a rilassarmi seguendo coi sensi le gocce che colano sul mio volto. Passano alcuni
secondi, il tempo di pochi respiri, quando sento i suoi passi, lievi e lenti,
avvicinarsi a me. Non mi volto, la lascio avanzare seguendola con lo sguardo da
sotto la rete di capelli bagnati che ricopre il mio
volto…si avvicina alla ringhiera e si sporge leggermente, poi inspira una lunga
boccata d’aria umida e socchiude gli occhi, portandosi con una mano alcuni
ciuffi ribelli dietro le orecchie. Si volta a guardarmi e percepisco la sua
voce flebile come un respiro mozzato sotto un guanciale.
“Avevi ragione….non servo a niente”
La vedo alzare le piante dei piedi dal suolo,
facendo leva con le braccia sulla ringhiera grigio perla, e sporgersi ancora di
più…l’accappatoio sollevato dal vento scopre le lunghe gambe, la pioggia cade
nell’incavo dei seni, le ciabatte sfuggono ai piedi lasciandoli nudi al freddo.
In un secondo mi stacco dal muro scattando in avanti col cuore che minaccia di
uscire fuori dal petto, tutto accade a rallentatore
nella mia mente, come suddiviso in piccole scene, e prima che me ne possa
rendere conto l’ho afferrata con decisione per i fianchi, cingendola con
entrambe le braccia e tirandola con forza verso me. La sento opporre resistenza
e mi concentro ancor di più, tendendo ogni muscolo del mio corpo fino allo
stremo, quando, finalmente, i suoi piedi tornano a toccare terra me la trovo di
fronte, a pochi centimetri da me.
La guardo intensamente in
quegli occhi grigio-azzurri e vedo, per la prima volta, sciogliersi il
ghiaccio delle sue iridi stillando e colando sulle guance candide….le porto una mano al volto, sorreggendomi con l’altro
braccio alla sua vita, e le asciugo una lacrima nello stesso istante in cui una
scende dai miei occhi.
“Stupida…ho bisogno di te”
Butto fuori queste cinque parole tutte d’un fiato, con la voce tremolante e un nuovo, acuto, dolore
che punge il petto; viene da dentro, come se un trapano scavasse un condotto
dalla mia cassa toracica all’esterno. Lei mi guarda commossa, con una dolcezza
nuova a dipingerle il volto, e sento che ha imparato qualcosa da questa esperienza, che niente è perduto e non c’è mai una
buona ragione per farla finita; la vedo sorridermi leggermente prima di
ringraziarmi e stamparmi un caldo bacio sulla fronte, giocherellando coi miei
capelli. La pioggia continua a cadere incollandoci i vestiti al corpo e coprendo
la pelle di brividi, è assurdo, comincio a non sentire più il freddo tanto la
mia mente è presa dal dolore; in preda ad uno spasimo stringo le braccia
attorno alla sua vita ed affondo il volto sulla sua spalla, è atroce e
insopportabile, sentire i tentacoli della malattia spandersi per il corpo
debilitandolo pezzo dopo pezzo.
Sharon si accorge della mia
sofferenza e mi solleva il volto con le mani, portandolo all’altezza del suo…
“Cos’hai?”
Gli occhi velati dall’angoscia, dalla paura…tento di sorridere sebbene la mia assomigli più ad una
smorfia di dolore, adesso mi viene da chiedermi: Ho fatto davvero bene a non
dirle niente? Tutto ciò sarebbe successo ugualmente se avessi avuto il coraggio
di scoprire le mie carte? Purtroppo però, oramai non c’è più tempo, non so
perché ma lo sento, sento di essere giunta agli
sgoccioli, agli ultimi granelli della mia clessidra della vita e a questo punto
è inutile tenere ancora tesi i fili delle mie bugie. Le passo le braccia
attorno al collo, per sorreggermi meglio dato che le forze stanno scemando, e
la guardo mettendo nella mia espressione più tranquillità possibile…
“Mi dispiace non avertelo
detto…io…ho un tumore al seno Shar…”
I suoi occhi bellissimi si dilatano per lo
stupore e lacrime copiose prendono a rigarle il volto, lacrime che non tenta
neppure di fermare e lascia scorrere su di se e mescolarsi con la pioggia
grigia di questa città. Boccheggio vistosamente,
quando un’altra fitta colpisce il petto e le gambe mi cedono; sento le sue
braccia sorreggermi da dietro e cingermi con forza e dolcezza. Piange, quella
creatura chiusa e riservata, piange e mi posa dei baci
sul volto, ripetutamente, come se seguisse una ritmica tutta sua, come se
volesse trasmettermi, con le sue labbra, tutto il suo affetto.
Mi sento in colpa per non averle detto tutto
molto prima, senza indugi, adesso ci saremmo
risparmiate queste sofferenze reciproche, queste fonde e inesorabili pugnalate
al petto, ma a che servono i rimpianti adesso?! Voglio godermi questi ultimi
attimi con lei.
Stringo le dita alla base del suo collo serrando
gli occhi, il dolore è
insopportabile ma sapere che lei, d’ora in avanti, non sarà più
la ragazza fredda e chiusa di sempre, mi rende felice…ha bisogno di affetto, di
comprensione e li troverà, ne sono sicura.
Così come sono sicura ti ricorderai di me e
della nostra amicizia speciale…arrivederci Shar, hai
bisogno di vivere, forse più di me…
Spero vi sia piaciuta, se vi va lasciatemi una recensione….mi
farebbe molto, molto piacere!!! Grazie alla prossima^^
Mione14