Hot Ice
Dedicato alla mia cicci,
Dedicato alla mia cicci,
senza
la quale probabilmente ora non sarei qui.
Grazie di tutto,
e non dimenticare mai che, prima o poi, ti farò
conoscere l'irlandese più dolce del mondo :D
Grazie di tutto,
e non dimenticare mai che, prima o poi, ti farò
conoscere l'irlandese più dolce del mondo :D
“Okay, sta calma, è solo uno stupido saggio. Ne hai già fatti tanti, non è mica la prima volta”.
Questo
è quello che continuava a ripetersi la ragazza che stava
entrando nel teatro del piccolo paese di provincia nel quale abitava.
Il
luogo lo conosceva bene, ci era venuta spesso nonostante fosse alquanto
vecchio e non del tutto sicuro. La tipa cominciò a fissare
la gente già seduta sulle sedie di legno e ci rimase un
po’ male quando non trovò le sue amiche.
“Stanno
arrivando, tranquilla, respira e non fare figuracce”.
Il
suo sguardo però non cercava due teste bionde e una mora,
bensì un ragazzo.
No, quel ragazzo.
Ispezionò
la sala parecchie volte prima di trovarlo. Eccolo, era lì,
con sua madre e quelli che dovevano essere suo padre e suo fratello
maggiore.
C’era
anche altra gente attorno a lui, familiari ed amici forse.
Il
cuore della ragazza batteva all’impazzata e le sue guance
erano diventate di fuoco appena lo aveva notato; lui non era come gli
altri, oh no.
Lui
era diverso, e dannatamente perfetto.
I
suoi occhi erano rimasti incatenati alla sua schiena per parecchi
minuti; non gli importava se qualcuno poteva vederla, se qualcuno
poteva capire.
Lei
voleva solamente continuare a fissarlo.
Per
l’ultima volta.
Sì,
perché dopo quella serata non lo avrebbe più
rivisto.
O
almeno, non per i prossimi quattro mesi.
L’estate
era alle porte, e sebbene fosse solamente fine maggio il caldo era
già insopportabile. Odiava dover andare a scuola, odiava
prendere il bus e fare lunghi tragitti con stupidi ragazzi che si
credevano i padroni del mondo quando erano alti solamente mezzo metro.
Solo
sbruffoni, ecco cos’erano veramente.
Ma
ogni nodo viene al pettine, giusto?
Quindi
anche loro avrebbero avuto quel che si meritavano, o sì.
E
lei non aspettava altro che vederli star male.
Lo
sapeva, non era una cosa buona da dire o pensare, ma loro se lo
meritavano, eccome.
Per
colpa di uno di loro aveva perso un’amica.
Ecco
un altro motivo per cui non lo sopportava.
Ed
ecco perché ha giurato a se stessa di non cambiare mai per
un ragazzo.
Almeno,
non in negativo.
Improvvisamente
una scarica elettrica le attraversò il corpo: lui si era
voltato e ora le stava sorridendo e la stava salutando con il braccio.
Quel
meraviglioso sorriso…
Si
scioglieva ogni volta che lo trovava.
E
inconsapevolmente sorrideva anche lei.
Una
cosa positiva, per fortuna.
Adorava
vederlo felice, e lui lo era sempre. Trasmetteva allegria e rideva due
volte sì e la terza pure. Era un ragazzo in gamba,
simpatico, intelligente, tenero e…
“Okay,
basta, smettila”, si era ordinata.
In
un certo senso odiava che l’effetto che lui aveva di lei, ma
solamente per il fatto che anche solo con la sua presenza lei si
sentiva vulnerabile.
Si
sentiva le guance in fiamme, ora non era solo lui che la stava
fissando, bensì tutta la sua famiglia e i suoi amici - i
quali avevano un sorriso furbo stampato sulle labbra, ma tralasciamo.
Quel
piccolo pizzico di lucidità che - non si sa come - le era
rimasto la fece rinvenire e dopo averlo salutato con la mano che
tremava - ed aver sperato che da lì lui non la vedesse - si
voltò e fece finta di unirsi alla conversazione che stavano
avendo i suoi genitori con un tizio che non aveva mai visto.
La
ragazza continuò a maledirsi per i successivi cinque minuti:
era totalmente in collera con se stessa per la figuraccia che si era
appena fatta e come se non bastasse l’ansia la stava
divorando. Prima di distogliere - anche se contro voglia - lo sguardo
dal ragazzo aveva notato che uno dei suoi amici aveva cominciato a
dargli gomitate ridendo in un modo alquanto irritante.
“Altro
che la sua risata”, aveva pensato lei storcendo il naso.
Dopo
aver controllato l’ora una decina di volte negli ultimi
minuti stava perdendo la pazienza.
“Dove
cavolo erano finite?!”, si stava chiedendo leggermente
incazzata.
“Per
fortuna che le amiche si sostengono sempre, per fortuna che mi avevano
promesso che sarebbero venute”, continuava a pensare.
Improvvisamente,
mentre stava entrando nella casella dei messaggi delle urla la fecero
sussultare e due braccia si avventarono su di lei stringendola in un
abbraccio abbastanza strano.
«Sara!»,
esclamò la tipa con un tono tutt’altro che
delicato e gentile.
«Che
succede?», le chiese questa preoccupata lasciando la presa.
La
ragazza raccolse immediatamente il suo Samsung nuovo di zecca da terra
e lo fissò attentamente per constatare che non avesse
ammaccature. Rialzò poi lo sguardo e squadrò la
bionda con uno sguardo omicida.
«Ops,
scusami», sussurrò questa facendo gli occhioni
dolci.
«Allora
Miri, pronta?», le chiese l’altra coi capelli
dorati cercando di alleggerire la tensione.
D’un
tratto la ragazza alzò lo sguardo.
Errore
madornale.
Le
guance le andarono a fuoco e il cuore cominciò a battere
come un forsennato appena incrociò il suo sguardo.
Lui la
stava guardando.
No,
non le importava se i suoi amici stavano osservando lei e le altre con
un sorrisino furbo.
Non
le importava di cosa potevano pensare i suoi genitori, o tutte le
persone nella sala.
Non
le importava se il suo insegnante l’avrebbe richiamata.
Non
le importava se così si stava facendo una grande figuraccia.
L’unica
cosa che veramente la interessava era lui. I suoi occhi, il suo
sorriso, la sua espressione rassicurante. Il fatto che adesso la stesse
osservando ma non per riderle in faccia.
La
stava osservando e basta.
Non
capiva nemmeno lei il perché.
Non
sapeva perché nel suo viso non c’era traccia di
ironia o di disprezzo.
Lui
era sincero, e sembrava che le stesse dicendo “Non fare caso
agli altri, sono degli idioti”.
Lei
ascoltò il consiglio del tipo e gli sorrise con un
po’ di imbarazzo prima di tornare a fissare le sue amiche.
«T-tutto.
B-bene», mugugnò tenendo la testa.
«Dio
Santissimo, Miri, chi sono quegli dèi?», le aveva
chiesto la mora in preda ad una crisi isterica.
Quando
vedeva dei bei ragazzi andava nel pallone, e fortunatamente non
accadeva spesso. Era quella del gruppo che aveva i gusti più
difficili e complicati nel fattore “maschi”.
«Non
lo so, non li ho mai visti prima», balbettò la
ragazza ancora rosso in viso.
«Allora?
Qual è il tipo di qui ci hai parlato?», le chiede
la bionda-assassina-di-cellulari con
un tono decisamente troppo alto.
«Sara!
Sta zitta!», esclamò la ragazza per farla tacere.
«E’
quello biondo», bisbigliò l’altra
nonché una delle sue confidenti.
Sapeva
tutto di lui, Miriana le aveva raccontato tutto per filo e per segno;
ogni suo gesto, ogni sua battuta, ogni suo cambio
d’espressione. Tutto.
«Mmh,
mica male», commentò Sara sorridendole in modo
furbo.
«Perché
i suoi amici ci stanno fissando?», chiese la mora
all’improvviso.
Le
quattro ragazze si voltarono di scatto e incrociarono lo sguardo dei
cinque ragazzi, che sorrisero gentilmente e uno di loro le
salutò con la mano.
Le
due bionde e la mora alzarono il mento e sorrisero di rimando mentre
l’altra non scrostò lo sguardo dal biondo, che si
era allontanato dal gruppo e stava parlando con il loro insegnante.
La
voce del presentatore invitò tutti a prendere posto mentre
gli allievi dovevano seguirlo nel fondo della sala. Miriana
salutò le sue amiche e queste le augurarono un grosso in
bocca al lupo prima di lasciarla andare assieme al ragazzo biondo e a
tutti i suoi compagni.
* * *
Era
passata un’ora ed ora lei era sul palco.
Doveva
suonare. Doveva cominciare a suonare la canzone che provava da mesi.
Poco
lontano da lei c’era lui, bello come non mai sebbene la sala
fosse oscurata.
La
ragazza alzò gli occhi verso gli spettatori e vide le sue
amiche che facevano il tifo, sedute accanto ai ragazzi di poco prima.
Incredibile come riuscivano a fare amicizia così velocemente.
Le
due bionde stavano chiacchierando allegramente con due ragazzi castani
mentre la mora non distoglieva gli occhi da un ragazzo con il ciuffo
rialzato.
Miriana
sorrise a quella scena: “non sarebbero mai
cambiare”, pensò.
Spostò
lo sguardo su di lui e il suo cuore perse un battito quando vide che la
stava osservando; subito le labbra si alzarono verso l’altro
distruggendo ogni barriere della ragazza.
Ora
sì che si sentiva vulnerabile.
Ripensò
alla scena di poco prima, quando quel biondino l’aveva
salvata da una crisi isterica.
Aveva
perso il suo plettro - l’unico che si era portata, il suo
portafortuna - ed era andata nel pallone. Stava perlustrando tutto il
pavimento quando era arrivato lui che in un momento l’aveva
calmata e poi aveva trovato l’oggetto, poco lontano da loro,
nell’unico punto in cui lei non aveva ancora guardato.
Quando
le lo aveva dato e le loro dita si erano sfiorate una scarica elettrica
le aveva attraversato il corpo, facendola rabbrividire.
Il
braccio destro le cominciò a tremare e in un attimo perse
tutta la concentrazione.
Rialzò
lo sguardo verso quel ragazzo che le stava sorridendo e subito si
sentì meglio. Una strana sensazione si impossessò
di lei, una cosa simile al coraggio.
Le
note era cominciate ed anche arrivato il suo momento: tornò
a fissare la sua chitarra e cominciò a suonare meglio di
quanto aveva mai fatto.
Ogni
tanto sentiva quelle sfere di ghiaccio che la scrutavano ma lei non ci
credeva; sarebbe stato troppo bello, troppo fantastico. Eppure era la
verità.
*
* *
Doveva
farlo, era l’unico modo.
Doveva
parlargli, doveva.
Non
lo avrebbe visto per tutta l’estate, non poteva permetterlo.
Lui
doveva sapere.
Doveva
sapere che le piaceva, che era innamorata di lui da ormai otto mesi.
Doveva
sapere che dalla prima volta che è entrato nella piccola
stanza dove lei prende le lezioni di chitarra con altri ragazzi non
è riuscita a smettere di pensare a lui.
Ricordava
bene quel giorno: era ancora abbastanza caldo per essere ottobre e lei
stava provando a fare qualche accordo, quando sentì la porta
aprirsi. Non ci fece caso, ma quando l’uomo disse che quello
era il nuovo allievo lei trattenne un sorriso al pensiero di un altro
principiante. Aveva ancora gli angoli delle labbra rivolti verso
l’alto quando alzò la testa e incontrò
quegli occhi azzurri.
“Mai
visto niente di più bello”, aveva sussurrato a se
stessa continuando a guardarlo imbambolata.
E
da lì era iniziato tutto: si erano parlati poche volte ma
lui ci teneva a salutarla sempre. Era un bravo ragazzo, lo aveva capito
subito, e si dovette ricredere: con la chitarra era un vero
professionista, la suonava in una maniera che era unica.
E
poi sapeva anche cantare, molto bene, anche se lo aveva sentito solo un
paio di volte. La sua voce era calda e tenera, proprio come lui, di una
bontà infinita.
Durante
le prove, quando l’insegnante se ne andava per pochi minuti,
lo udiva mentre strimpellava alcuni accordi e sussurrava le parole di
qualche canzone d’amore; se l’era perfino
immaginato mentre stava dritto su un palco godendosi gli applausi di
tutti.
Sarebbe
accaduto, lei ne era certa; quel ragazzo era troppo bravo per rimanere
oscuro al mondo.
Miriana
aveva da poco salutato le sue amiche che non avevano smesso un secondo
di farle complimenti; aveva osservato più da vicino il tipo
a cui la mora non toglieva gli occhi di dosso e dovette ammettere che
non era così male, sebbene non fosse il suo genere. Gli
altri sembravano tutti simpatici e disponibili ma lei era concentrata
sul biondino che sembrava essersi volatilizzato.
Eppure
lo aveva tenuto sott’occhio fino a qualche secondo prima, non
poteva essersene andato proprio adesso; fissò ad una ad una
tutte le persone che erano nella sala e riuscì a scorgere la
madre e i vari familiari del tizio.
Okay,
quindi era ancora lì.
A
quel pensiero fece un sospiro di sollievo e sorrise involontariamente.
Aveva
bisogno di vederlo, doveva rivedere quello splendido sorriso e quegli
occhi così luminosi.
Ma
doveva anche parlargli, e questa era la sua ultima occasione.
«Miriana?»,
la chiamò una voce.
Quella voce.
La sua voce.
L’avrebbe
riconosciuta tra mille nonostante le poche volte che l’aveva
udita.
Il
cuore cominciò a tamburellarle nel petto e sentì
qualcosa muoversi nello stomaco.
Fame?
No,
al solo pensiero la morsa che aveva nella pancia si faceva ancora
più salda.
E
allora cos’era?
Non
le importava, sta di fatto che era stranamente piacevole…
La
ragazza si voltò e incontrò mister-occhi-azzurri-come-il-mare proprio
davanti a lei.
«C-ciao»,
provò a dire cercando di non mostrarsi troppo imbarazzata.
«Ciao»,
la salutò lui sorridendole in modo genuino.
Peccato
che lui non sapesse che facendo così mandava
all’altro mondo quella povera ragazza di appena quindici anni
che non smetteva di fissarlo.
Voleva
imprimere tutto di lui nella sua mente, come se questa non fosse
già piena di cose alquanto più importanti di un
paio di normali jeans.
No,
erano i suoi jeans,
quindi erano molto importanti,
di sicuro di più di quelle cavolo di regole di francese che
si ricordava a stento e dei teoremi di matematica.
Lei
lo squadrò bene, osservando bene una delle solite polo che
indossava e quei pantaloni che gli calzavano a pennello; poi
arrivò alle scarpe, rigorosamente alte e bianche, e con un
po’ di timore ritornò a quell’azzurro
che aveva al posto degli occhi.
Poteva
il ghiaccio essere così caldo e protettivo?
Poteva
questo - che di solito ti trasmetteva freddo e tristezza - comunicare
calore ed entusiasmo?
Non
riusciva a spiegarsi il perché di tutte queste sensazioni
ogni volta che gli era vicina.
Era
strano, e per niente normale.
«Sei
stata molto brava prima», commentò lui per rompere
il silenzio che si era creato tra i due.
Entrambi
non avevano occhi che per l’altro ed entrambi avevano paura
di fare un passo falso e di rovinare tutto. Entrambi erano troppo
timidi per dire qualunque cosa.
«Grazie.
Anche se tu sei stato migliore. Hai… Hai fatto molti
progressi da quando sei arrivato», gli rispose lei cercando
di combattere contro se stesse per non far trasparire alcuna emozione.
«Grazie,
anche tu non te la cavi per niente male», fece lui
sorridendole di nuovo.
Quel
piccolo gesto la mandava in totale estasi, le faceva toccare il cielo
con un dito, la rendeva felice senza accorgersene.
Lei
continuò a tuffarsi in quel mare che si era fatto
più brillante e lui non smetteva di curvare gli angoli della
bocca verso l’alto mostrando una fila di denti bianchi
perfetti.
Lei
era ammaliata da lui, era proprio come se lui fosse la luce dopo che
questa avesse vissuto per tutta la vita al buio. Era un ragazzo che era
arrivato all’improvviso nella sua vita e senza volerlo le
l’aveva sconvolta totalmente.
«Ehm,
ecco, io volevo chiederti una cosa», disse lui portandosi una
mano dietro il collo e cercando di nascondere il rossore che si era
formato sulle sue guance.
«Spara»,
rispose lei cercando di trattenere l’euforia che la stava
invadendo.
«Ecco,
io… Ti andrebbe di andare a mangiare un gelato assieme uno
di questi giorni?», le domandò in un soffio.
Lei
non ci poteva credere.
Si
ripeté quella frase mentalmente più volte,
dimenticandosi di dover rispondere.
Non
poteva essere vero, non stava succedendo davvero.
Questo
era tutto quello che continuava a frullarle per la testa, scordandosi
perfino della presenza del biondo che la stava osservando cercando di
leggere la sua espressione senza risultati.
Pensando
ad un rifiuto questo si rabbuiò subito.
«Altrimenti
tranquilla, non è un problema»,
cominciò a deviare lui.
Come
aveva potuto pensare di interessargli?
Come
aveva anche solo potuto immaginare di piacergli?
Lui
non era come i suoi amici, quei quattro tipi così diversi
caratterialmente ma con la fortuna di saperci fare con le ragazze; loro
erano schietti e sicuri di loro stessi, il contrario di lui.
Era
stato con qualcuna, sì, ma con lei era tutto diverso.
Con
lei non sapeva come comportarsi, non sapeva come attaccare bottone.
Sembrava
sempre così presa dalla sua chitarra e così
concentrata a dare il meglio di sé che non voleva
disturbarla, non voleva che lei lo vedesse come un rompi palle.
Ritornò
a fissare quella ragazza tanto strana con la delusione scritta in volto
e solo allora si accorse del suo sorriso.
«No,
no, scusami ma mi ero, ecco, ero soprappensiero. Per il gelato va
benissimo, comunque», riuscì a balbettare la tipa
con una voce che credeva sparita.
Appena
il biondo sentì quelle parole ritornò con il
solito sorriso fresco e gioioso stampato su quelle labbra
così rosee.
Lei
aveva accettato, non ci poteva credere, sembrava così
surreale.
«Okay;
so che così potrò sembrare scortese e maleducato,
ma che ne dici di darmi il tuo numero così magari ti mando
un messaggio per il giorno e l’ora?», le chiese lui
gentilmente.
Il
tatto che aveva quel ragazzo era indescrivibile. Se fosse stato un
altro tizio a chiederglielo la ragazza avrebbe girato i tacchi e se ne
sarebbe andata, ma non poteva.
Non
con lui.
«Tranquillo»,
gli rispose lei prendendo il cellulare che lui le stava porgendo e
digitando la serie di numeri mentre le dita le tremavano.
Quando
glielo restituì le loro pelli si sfiorarono e lei
poté sentire quanto calda fosse la sua mano, a differenza
della sua che era peggio del ghiaccio.
Sentì
un flebile “grazie” provenire dalla bocca del
biondino e si sorrisero un’ultima volta prima che il padre
della ragazza la chiamasse per tornare a casa.
«Okay,
allora ci vediamo», sussurrò lei senza smettere di
staccare i suoi occhi da quelli suoi color ghiaccio luminoso.
Poteva
il ghiaccio essere luminoso?!
Sì,
bastava vedere le sfere di quel ragazzo.
«Okay,
ciao Miri», le rispose lui più allegro che mai.
«Ciao
Niall», bisbigliò lei prima di voltarsi e tornare
dai suoi genitori.
Il
cuore batteva forte ad entrambi e entrambi avevano le guance rosse.
Entrambi
non riuscivano a credere quello che era appena successo.
Entrambi
erano euforici e sprizzavano gioia da tutti i pori.
Entrambi
provavo qualcosa per l’altro, soltanto che non avevano avuto
il coraggio di ammetterlo.
O
almeno, non ancora.
Prima
di lasciare definitivamente il teatro Miriana si voltò
un’ultima volta: sorrise vedendo il ragazzo circondato dai
suoi amici che lo spintonavano e gli facevano i complimenti per il
saggio.
Incrociò
un’ultima volta il suo sguardo e, sebbene questo non
durò più di due secondi, sentì un
brivido attraversarle il corpo ma non ci fece caso.
Ormai
ci era abituata.
«Perché
sei arrossita Miri?», le chiese suo padre distraendola dai
suoi pensieri, che riguardavano un paio di occhi color cielo e un viso
incorniciato da capelli biondi.
Lei
scosse il capo e non rispose.
È
vero: sentiva caldo, molto caldo, e per questo le sue guance erano
ormai bordeaux.
Ma
dentro sentiva freddo, un freddo strano, un freddo che era addirittura
piacevole.
E
questo non era vero freddo, triste e gelido.
Era
proprio come i suoi occhi.
Un freddo caldo, che la fece
sorridere di nuovo.