Videogiochi > Final Fantasy VII
Ricorda la storia  |       
Autore: DarkPenn    07/06/2007    5 recensioni
Raccolta di spin off dedicate alla bellissima "Dark Beautiful Life" di Keylovy, realizzata previo consenso dell'autrice. La prima spin off è incentrata su Vincent ed i suoi ricordi della sua vita trascorsa con Tifa. Oltre a questa ne abbiamo aggiunte altre, speriamo che vi piacciano^_^
Genere: Triste, Malinconico, Introspettivo | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato | Personaggi: Altro Personaggio, Tifa Lockheart, Vincent Valentine
Note: Alternate Universe (AU), Raccolta | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
   >>
Per recensire esegui il login o registrati.
Dimensione del testo A A A
Entrato in casa richiuse dietro di sé la porta d’ingresso senza nemmeno premurarsi di accendere la luce

Premessa alla lettura di DarkLord: questa Spin off è stata realizzata come omaggio alla stupenda “Dark Beautiful Life”di Keylovy su autorizzazione della stessa.

Per chi non conoscesse la fic di Keylovy, sia io che Jellypenn  vi invitiamo di andarla a leggere perché è una fic che merita davvero di essere seguita fino alla fine.

Detto ciò speriamo che questo omaggio piaccia a voi lettori così come a Keylovy. ^^

 

In modo che possiate orientarvi, questo spin off, va collocato al capitolo 8 di “Dark Beautiful Life” dopo che Vincent ha riaccompagnato a casa Tifa e Rei.

 

 

 

 

“Ricordati di noi”

 

 

 

Entrato in casa richiuse dietro di sé la porta d’ingresso senza nemmeno premurarsi di accendere la luce.

Tutto quello che voleva ora era starsene in pace.

In silenzio.

Da solo.

Passando per il salotto sciolse con gesti eleganti e misurati il suo mantello rosso appoggiandolo su una poltrona, muovendosi con il suo caratteristico passo silenzioso tra i raggi lunari che illuminavano l’ambiente, maggiormente attutiti dalle leggere tende in seta.

Rivolse uno sguardo alla finestra. Nonostante i tendaggi oltre la cima di un piccolo gruppo di alberi poteva vedere una luna piena brillare, tra nubi grigie e cariche di pioggia.

Indugiò ad osservare in quella direzione per qualche  istante.

Solo pochi secondi.

Poi si diresse alle scale.

Primo piano.

Secondo piano.

Soffitta.

La porta che dava nel sottotetto dove la soffitta era situata si aprì scricchiolando leggermente.

Vincent si arrestò sulla soglia.

La luce azzurrina della notte filtrava dalla finestra priva di tendaggi rischiarando in maniera più nitida quello spazio, occupato da diversi mobili coperti da teli bianchi.

Inspirando piano avanzò verso un piccolo comodino il cui telo era leggermente scostato, ad indice che veniva tolto spesso in modo da poter visionare cosa c’era nei cassetti.

I passi dell’uomo sull’impiantito di legno erano appena udibili.

Ma in fondo lui era un Turk.

E non uno qualsiasi.

Lui era il migliore.

Ma questo non gli importava minimamente.

L’artiglio che indossava alla mano sinistra scintillò non appena entrò nel cono di luce prodotto da un raggio lunare, rilucendo di un lieve baluginio.

Con un movimento abituale, l’uomo strinse la mano sul telo e lo scostò all’indietro, arricciando il naso quando sentì l’odore pungente delle polvere sollevata, accumulatasi lì nonostante il frequente scoprire quel mobile.

Quante volte aveva compiuto quel gesto da quando aveva divorziato?

Non lo sapeva nemmeno lui.

Ma ciò che era certo è che non erano mai abbastanza.

Aprì il primo cassetto e ne estrasse quello che sembrava essere un grosso libro.

Dopo averlo preso si avvicinò all’interno finestra lì vicino e vi prese posto, sollevandovi sopra la gamba sinistra, che andò a piegare in modo da stare abbastanza comodo in quello spazio non troppo grande, mentre l’altra rimase al suolo.

Tenendo quel volume con la sinistra, poggiò il palmo aperto della destra sulla copertina bianca.

Sapeva che cosa lo aspettava se lo avesse aperto ancora.

Avrebbe versato una lacrima per ogni immagine che avrebbe visto.

Nessuno, nessuno mai, aveva mai visto Vincent Valentine piangere.

Nemmeno lei.

Agli occhi degli altri appariva come nobile, gentile, protettivo, indistruttibile, capace di sopportare qualunque dardo che la sorte gli avesse scoccato contro.[1]

Nulla di più vero.

I dardi che lo avevano bersagliato erano sempre puntualmente stati abbattuti e spezzati come ramoscelli secchi, senza che riuscissero a farlo mai crollare.

Mai.

Ma uno, uno soltanto, non era riuscito ad abbatterlo. tantomeno a schivarlo.

Ed ora era lì, conficcato nel suo cuore.

E faceva male.

Leviathan, quanto faceva male.

Sapeva che se avesse aperto ancora quel volume, ad ogni pagina, avrebbe sentito quel dardo colpirlo ancora, ancora e ancora, ferendolo con inaudita ferocia per poi lasciargli in bocca solo il sapore salato delle lacrime ed il calore di ricordi lontani.

Ma quei ricordi erano per lui preziosi più di ogni altra cosa. Ogni altra cosa che non fossero loro due.

Tifa e Rei.

La donna che continuava tutt’ora ad amare in silenzio ed il loro bambino.

Erano quanto più di prezioso aveva.

Con un sospiro sollevò la copertina.

Invisibile e inconsistente un dardo sibilò nell’aria e si conficcò nel suo cuore.

Vincent accusò il colpo e qui particolari occhi cremisi  si inumidirono.

Prima fotografia di quell’album.

Loro due il giorno del matrimonio.

Lei, bella come una dea, in quel vestito candido che metteva in risalto lo splendore e la gioia della sua figura mentre rideva e si faceva schermo con la mano sulla fronte dai lanci di riso e confetti.

Lui, in quel completo scuro, con la cravatta ed i capelli legati, altrettanto felice che la teneva per la vita con un braccio, imitandola nel gesto di ripararsi gli occhi dai lanci tradizionali di riso e confetti degli invitati.

Un sorriso di una malinconia abissale si dipinse sul suo volto.

 

Ci avevo creduto.

Ci avevo creduto davvero.

Avevo voluto crederci.

Ma lo sapevo fin dall’inizio.

Io non sono lui. Non posso prendere il suo posto.

Ma soprattutto…non sono riuscito a difenderti dalla sofferenza che quell’uomo ti ha arrecato.

Perdonami.

Non dubito che tu mi abbia amato.

Ma non come ami lui.

Anche se sono il padre di tuo figlio…sarà sempre a lui che apparterrà il tuo cuore.

Il tuo amore non è mai stato interamente mio, ma io ero felice lo stesso.

Il solo starti accanto mi rendeva felice.

Il solo riuscire a farti dimenticare di lui cosicché tu non soffrissi più a causa sua, mi rendeva felice.

E quando hai accettato di diventare mia moglie, mi sono illuso di essere riuscito a fartelo dimenticare completamente.

Sono uno stupido…uno stupido illuso.

 

Le pagine di quell’album continuavano ad essere sfogliate.

Le foto del pranzo di nozze.

Una fotografia in particolare gli strappò un sorriso divertito e triste.

Il dardo che aveva nel cuore, lo trapassò da parte a parte, come animato di vita propria, tornò di fronte a lui, sfrecciò nell’aria e vi si conficcò di nuovo con più forza.

Secondo colpo.

E le lacrime ruppero gli argini.

Quella era forse una delle foto più buffe in cui era mai stato ritratto.

Lei che ridava e per gioco gli sporcava la punta del naso di panna dopo il taglio della torta e lui che cercava di tirarsi indietro con un a finta protesta.

Pagine si susseguivano a pagine.

Foto si susseguivano a foto.

E alle foto si mescolavano i ricordi.

I ricordi di ogni loro singolo bacio, i ricordi di tutte le volte che si erano detti che si amavano, il ricordo di ogni volta che avevano fatto l’amore.

E quel dardo colpiva sempre con più ferocia, sempre, sempre di più si accaniva contro il suo cuore già straziato mentre le sue guance venivano rigate da due cristallini fiumi di lacrime che rilucevano tenuemente alla luce della luna.

La Luna, unica testimone del dolore di quell’uomo.

Ancora una foto.

Lei che sorrideva in camera e lui che la stringeva dolcemente da dietro, le mani poggiate sul ventre della donna, felice e innamorato.

Al contrario di Tifa, Vincent in quella fotografia non guardava l’obiettivo.

Guardava la gioia sul volto di sua moglie.

Un autoscatto.

Di quell’autoscatto ricordava il giorno, l’ora ed il minuto esatto in cui era stato fatto.

Come poteva non ricordarlo, d’altronde?

Aveva appena saputo di stare per diventare padre.

 

Quel giorno ho creduto davvero di morire per la troppa gioia.

Non avrei mai immaginato di poter provare una felicità più grande.

Svegliarmi la mattina, scendere in cucina e trovarti con il tuo sorriso, luminoso e bello come e più del sole. Venire travolto dal tuo abbraccio e sentirti gridare, ridendo e piangendo le due parole più belle che si possano dire ad un marito oltre unTi amo’.

Quelle parole erano: “Aspettiamo un bambino”.

Lo ricordo come se fosse accaduto solo pochi minuti fa e sento il mio cuore battere più forte, come successe allora.

Ricordo che  la vista mi si era annebbiata e il mondo intero aveva cominciato a girare sotto i miei piedi, minacciando di farmi cadere.

Ripetei mentalmente ogni sillaba e ogni lettera di quelle due parole come ad essere sicuro di averne appreso appieno il significato.

Ma in realtà, lo avevo capito fin dall’inizio, perché quando lo avevi detto avevo sentito il rumore sordo del mio cuore  che batteva furiosamente nel petto.

Sono certo  che lo abbia sentito anche tu.

Ti stringevi forte a me, tanto da togliermi quasi il respiro, ed eri così vicina che sono certo abbia sentito anche tu quanto batteva.

Un bambino.

Stavamo per avere un bambino.

Stavo per diventare padre.

Insieme avevamo creato qualcosa di unico.

Qualcosa che solo noi due, solo noi, avremmo mai potuto creare.

Avevamo creato una nuova vita.

Qualcosa di esclusivo.

Solo mio, solo tuo.

Solo nostro.

Nostro e di nessun altro.

Mi riscossi quasi subito, ti abbracciai e ti baciai come se fosse la prima volta che lo facevo in vita mia.

Continuo a sfogliare le pagine di questo album e vedo man mano le fotografie che ti ritraggono…che CI ritraggono… mentre il nostro piccolo cresceva dentro di te.

Ricordo le tue lamentele scherzose sulla paura di ingrassare, ricordo che ti dicevo che eri bella come la stella più luminosa del cielo, ricordo i pomeriggi interi passati a chiederci se fosse stato un maschio o una femmina, giocando, fantasticando, ipotizzando a chi dovesse somigliare di più tra noi due.

Ricordo il mio stupore davanti a quel pancione che cresceva, ricordo le ore passate ad accarezzarlo sussurrando a quella piccola vita quanto bene già gli volevamo, che quando sarebbe stato un pochino più grande lo avremmo portato al mare che gli avremmo insegnato a parlare, camminare, che lo avremmo protetto, che saremmo stati sempre con lui.

Ricordo la tua corsa un po’ goffa verso di me che prima che uscissi di casa per andare al lavoro.

Ricordo la tua espressione come se ti fosse appena capitata la cosa più bella del mondo.

Ricordo il tuo abbraccio, il tuo bacio, ricordo i tuoi occhi ed il tremito d’emozione nella tua voce nel dirmi “ha scalciato”.

Ricordo che quel giorno rimasi a casa,  passando il tempo nell’attesa di un movimento di mio figlio, pronto a poggiare la mano sul tuo ventre, o ad accostarvi l’orecchio.

Fu proprio in quel giorno che scegliemmo il suo nome.

Dopo mesi passati a sfogliare riviste, alla fine non ne avemmo bisogno.

Fosti tu a proporre quel nome, come un’illuminazione.

Rei.

Mi piacque subito quel nome.

Il nostro piccolo Rei.

Ricordo la gioia di quei giorni, quel vivere sospesi in un limbo di felicità perfetta nell’attesa di vedere per la prima volta il volto di nostro figlio, di sentire il suo primo vagito, di tenerlo per la prima volta tra le braccia.

Ricordo il nostro amore.

Ricordo tutto questo ed ogni volta che incrocio i tuoi occhi ti guardo a lungo sperando, desiderando, che lo ricordi anche tu.

Ricorda Tifa…

Ti prego, ricorda

 

Un possente singulto scosse la figura del Turk, portandolo a reggersi la fronte con la mano destra.

Con l’artiglio sinistro girò ancora una pagina del volume che aveva poggiato tra l’addome e la coscia della gamba alzata sul davanzale.

Mordendosi il labbro inferiore tra le lacrime, mentre la mano destra reggeva i capelli corvini, osservò quella che era forse la foto più bella di tutte.

Tifa… la sua Tifa… nel loro letto con un piccolo fagottino dalla già folta capigliatura nera tra le braccia e accanto a quella, una foto di Vincent stesso che reggeva timoroso il suo piccolo che gli si accoccolava contro il petto, le mani e gli occhi chiusi. 

Guardò quelle immagini e il dardo tornò ad infierire.

 

Il mio piccolo Rei

Il dono più bello che potessi ricevere da te, Tifa…

Tifa…Tifa…Tifa…

Più ricordo e più mi accorgo di non poter fare a meno di te…di te e di Rei…di noi…

Il ricordo di noi, della nascita di nostro figlio, del tuo primo sorriso dopo il lungo travaglio quando il dottore ti depose tra le braccia Rei appena nato, del mio sorriso al di sotto della mascherina da sala operatoria dove avevo assistito alla nascita di mio figlio, il ricordo delle nottate trascorse a cullarlo ogni volta che piangeva, il ricordo delle sue prime parole, il ricordo dei suoi primi passi, il ricordo delle sue piccole mani tese a cercare le nostre nel suo percorrere da solo un breve tratto di strada.

I nostri sorrisi tutti per lui, il nostro vegliarlo insieme  per ore mentre dormiva quieto e sereno nella culla della sua stanzetta, oppure con noi, tra noi due, quando piangeva troppo e, quando cresciuto, aveva gli incubi.

E tu, Amore mio?

Hai dimenticato tutto questo?

Quel demone dagli occhi di ghiaccio ti ha ottenebrato la mente fino a questo punto?

Oltre che portarti via da me?

Via da me quando nonostante tutto questo non eri mai stata davvero mia?

Continuo a sfogliare questo album, ripercorrendo le tappe della nostra vita…

Piangendo tutte le mie lacrime come se mi avessero appena condannato, senza che io possa far nulla per impedirlo, a non rivedere mai più né te né Rei quando tutto si chiude con la foto del quarto compleanno del nostro bambino.

L’ultimo che abbiamo trascorso insieme come una famiglia.

Me ne ero accorto sai?

Il tuo sguardo sempre più pensieroso e lontano…

Il tuo viso sempre più malinconico…

I tuoi baci e i tuoi abbracci sempre più rari…

Avevo perso.

Avevo perso contro colui che ti aveva arrecato tanta sofferenza.

Quella sofferenza da cui non ero riuscito a proteggerti.

Non c’era più nulla che potessi fare.

Solo lasciarti andare…

Per questo motivo non ho opposto la minima obiezione quando mi ha chiesto il divorzio.

E così da quel giorno accanto a te hai trovato Vincent l’amico solido e affidabile, calmo e gentile, riflessivo e ponderato,  pronto a sollevarti nei momenti difficili. Vincent, il padre di tuo figlio che ogni volta che ne ha l’occasione vi viene a trovare, notando quanto quel piccolo ometto sia affezionato a te.

E’ normale.

I maschietti sono sempre più legati alle madri che ai padri.

E sono felice, Tifa.

Sono felice che ti stia così vicino e si preoccupi per te.

Proteggila, figlio mio.

Proteggila anche per me. Proteggila laddove io ho fallito.

Tu ce la farai.

Perché tu sei parte di me.

E migliore di me.

Perché sei anche parte di lei.

Ma tu Tifa?

Davvero non lo vedi?

Davvero non riesci a leggere nei miei occhi?

Davvero non capisci che il Vincent amico che ti trovi accanto è in realtà ancora il Vincent che ti ama?

Davvero non capisci lo sforzo che mi è costato gettarti tra le braccia di Cloud stasera, quando vi ho riportati a casa?

 

Discostando la mano dalla fronte, il Turk chiuse l’album prima di alzarsi lentamente dalla finestra e tornare a riporlo nel cassetto che, dopo averlo chiuso, andò a ricoprire col telo.

Mentre la sua schiena continuava a venire scossa dai singulti tornò alla sua postazione.

La luce della luna lo investì in pieno, mettendone in risalto la pelle chiara e gli occhi cremisi da cui tutta la sua sofferenza continuava a sgorgare impietosamente sotto forma di lacrime.

Guardò l’astro notturno e poi l’orizzonte, stringendo i pugni, le braccia distese lungo i fianchi.

 

Oh Tifa…

Il Vincent calmo e ponderatore che vedi… è tutto ciò che rimane dopo che tu te ne sei andata.

La mia allegria, la mia gioia, il mio entusiasmo…tutto ciò che di vitale avevo in me è venuto via con te.

E’ dentro il tuo cuore.

Dentro il tuo cuore dove io li ho lasciati.

E dentro di Rei.

Tifa…

Ti prego… guarda i miei occhi quando mi incontri!

Guarda i miei occhi!

Guardali Tifa!

Guardali e leggi dentro ciò che ancora provo per te.

Ti supplico…

Ricordati di noi…

Ricordati ciò che eravamo.

Ma queste sono solo speranze.

Vane speranze.

So che non sarai mai felice con me.

Perché non sono io quello che vuoi al tuo fianco.

Però…

Pensare che l’uomo che ti ha fatto soffrire ti avrà tra le braccia…

Pensare che potrà vedere tutti i giorni mio figlio…

Pensare che potrebbe decidere di vivere con voi due…

Se ci penso… IO MI SENTO MORIRE, TIFA!

 

Vincent sentì l’aria mancargli.

Con un gesto rapido allungo la mano destra sulla maniglia della finestra e ne spalancò i battenti affacciandosi nella fresca aria notturna mentre le nubi sempre più oscure, foriere di tempesta, andavano lentamente a coprire la luna. L’uomo chiuse gli occhi ed inspirò profondamente appoggiandosi con le mani sul davanzale.

Nell’istante stesso in cui la luna scomparve oltre le nubi ed una folata di vento scompigliò i capelli di Vincent, quest’ultimo alzò il volto verso l’astro ormai offuscato ed il suo urlo sofferente e possente squassò il  silenzio della notte come il ruggito di una pantera ferita e in agonia, riecheggiando sino a disperdersi nel vento .

“TIIIIIIIFAAAAAAAAAA!!”

 

 

 

Si alzò a sedere di scatto sul letto guardandosi allarmata attorno.

“Ma cosa...?” Disse a bassa voce.

Immediatamente il suo sguardo corse a Rei addormentato al suo fianco.

Dormiva tranquillo, respirando regolarmente.

Il vento ululava con forza fuori dalla finestra subito seguito da una forte luce ed il cupo rombare

di un tuono.

Tifa spostò alla finestra chiusa lo sguardo.

“Dev’essere stato solo il vento…” disse ancora a bassa voce prima di tornare a guardare suo figlio.

Con delicatezza, per non svegliarlo, gli accarezzò piano i capelli  sorridendo dolcemente.

Il suo piccolo ometto.

Lentamente si chinò a baciargli teneramente una guancia e tornò a sdraiarsi affianco a lui circondandolo piano con un braccio, tornando così ad abbandonarsi al sonno.

 

 

 

________________________________________

 

[1] Citazione dall’”Amleto” di Shakespeare.

 

 

 

  

 

 

  
Leggi le 5 recensioni
Ricorda la storia  |        |  Torna su
Cosa pensi della storia?
Per recensire esegui il login oppure registrati.
Capitoli:
   >>
Torna indietro / Vai alla categoria: Videogiochi > Final Fantasy VII / Vai alla pagina dell'autore: DarkPenn