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Autore: SpecialNeedsx    19/11/2012    1 recensioni
"Ha quelle dita intrecciate alle mie che mi stringono, mi parlano, mi giurano tutto. E basta questa mano, adesso."
Genere: Romantico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Nessuna | Personaggi: Un po' tutti
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Okay, sono un po' agitata. lol Bene, questa è la prima FF che scrivo, quindi so di non essere molto esperta nel campo ma ho cercato di fare del mio meglio. Buona lettura :)







Erano le 6:00 del mattino e i raggi del sole mi accecavano gli occhi. Erano gonfi e rossi, avevo dormito massimo cinque ore. Ero ancora stordita, mi girai dall’altro lato e chiusi gli occhi, di nuovo. In men che non si dica, mia madre piombò in camera.
«Svegliati tesoro, devi partire!»
«Mh…» era il massimo che riuscii a pronunciare. Ero terribilmente assonnata.
«Alzati, forza!»
«Sì, arrivo… mi vesto.»
«Io finisco di prepararmi, la colazione è giù.» mi raccomandò lei.
«Sì.»
Stavo per partire per l’Inghilterra insieme a tre mie amiche. Avremmo cercato lavoro a Piccadilly per l’estate, e poi a metà settembre avremmo cominciato a frequentare un college a Londra. Mio fratello Alessandro viveva a Piccadilly ormai da due anni, e aveva ospitato me e le mie migliori amiche a vivere per quei tre mesi nel suo appartamento, finché non avremmo trovato un altro alloggio.
Mi alzai velocemente dal letto e per un momento mi sentii barcollare. Presi i vestiti dalla sedia, m’infilai jeans, maglia, felpa e scarpe. Pettinai in fretta i capelli e mi truccai leggermente. Presi iPod e cuffie e scesi giù portando le mie valigie.
«Buongiorno.» mio padre mi diede un bacio fra i capelli «Sei pronta?»
«Decisamente, e tu?» dissi mangiando in fretta la mia colazione.
«Sarà difficile abituarsi al fatto di non averti più sotto il tetto di casa mia, ma sono contento per te.» fece un sorriso sforzato.
«Papà…»
«Tranquilla! Non devi preoccuparti! Andrà tutto bene. Verremo a trovarvi quando ci sarà possibile, e ci sentiremo comunque quasi tutti i giorni. E poi c’è Francesca, ricordi?»
«Non vi sentirete soli con lei!» risi.
Nel frattempo avvertii Francesca scendere le scale. Il suo aspetto non era uno dei migliori.
«Dormito poco?» le dissi ridendo.
«Ah-ah. Ridi poco, tu non sei da meno.» controbatté.
«Lo so.» sorrisi.
-
Iniziai a fissare il vuoto immaginandomi come sarebbero andate le cose. Mi sarebbe mancato tutto questo, dovevo ammetterlo. Mi sarebbe mancata la mia famiglia, in primis. Mi sarebbero mancati i miei amici, e perché no? Mi sarebbero mancate pure le sgualdrine della mia città. Mi sarebbero mancate anche le cingomme per terra e tutto il sudicio delle strade. Infondo ero nata lì, mi sarebbe mancato tutto questo! Ma non riuscivo a nascondere il mio entusiasmo. Avrei accettato il primo lavoro che mi sarebbe stato offerto, qualsiasi esso fosse stato, me lo sarei fatto andare bene. Avrei rivisto mio fratello dopo tanto tempo e avrei vissuto nello stesso appartamento con le mie migliori amiche. “Sarà perfetto, lo sarà eccome” pensai.
«Wo oh? Terra chiama Chiara» la voce di Alessia mi riportò alla realtà.
«Ale!» mi alzai dal tavolo e l’abbracciai forte. Lei ricambiò l’abbraccio.
«Sono letteralmente emozionata! E’ un sogno!» disse sorridendo «Adesso andiamo, ci stanno aspettando fuori.» Annuii e la seguii mentre uscivamo. Erano tutti fuori: Francesca era già in macchina, il padre di Alessia stava aiutando mamma e papà a caricare le valigie. Dietro riconobbi la macchina della madre di Jamie: sui sedili posteriori sedevano lei e sua sorella; dietro ancora c’era il padre di Daniela al volante, sua madre accanto, e lei dietro con suo fratello. Finito di caricare le valigie, salimmo anche noi: ci dirigemmo finalmente all’aeroporto.
-
«Eccoci qua!» disse mia madre appena arrivati.
«Già…» scesi dalla macchina e mia sorella mi aiutò a prendere le valige.
«Ehi! Chiamami quando atterri! E magari ricordati di chiamarmi anche durante la giornata. Chiamami spesso.» aveva gli occhi lucidi. La strinsi forte a me «Lo farò, lo sai.»
Salutai anche mia madre e mio padre in fretta, per evitare di scoppiare a piangere. Odiavo gli addii. Sapevo che questo non era un vero e proprio addio, ma lo odiavo. Odiavo gli ultimi abbracci. Odiavo le ultime parole. Perché non potevamo salutarci sorridendo invece che piangendo? Perché non potevamo dirci “a presto!” invece di “mi mancherai”? Avevo il respiro spezzato, chiusi gli occhi per qualche secondo e cercai di respirare profondamente. Sentivo i battiti riecheggiare nella mia testa. Mi assalì un nodo in gola, battevo in continuazione le palpebre per evitare alle lacrime di scendere. Mi diressi velocemente dentro insieme ad Alessia, Daniela e Jamie, guardando per l’ultima volta i loro volti. Appena entrate, facemmo le solite cose monotone: andammo al check-in, demmo la valigia all’operatore, prendemmo la carta d’imbarco che ci dettero, passammo il metal detector, e andammo al gate del nostro volo. Dopo un’ora di corse in su e in giù, aspettammo, e poi finalmente atterrò l’aereo. Salimmo in aereo e io e Daniela decidemmo di metterci accanto. Presi il mio iPod dallo zainetto, lo accesi e mi sbattei gli auricolari nelle orecchie. Partì Incomplete dei Backstreet Boys. Arrivai ad ascoltare ventidue canzoni, e poi mi fermai a One Thing dei miei ragazzi. Sì, mi piaceva chiamarli così. I miei ragazzi. Spento l’iPod, passai tutto il tempo a parlare e a scherzare con Daniela.
«Vi preghiamo di allacciare le cinture e di prepararvi all’atterraggio.» la voce dell’hostess interruppe i nostri discorsi.
«Prefetto atterraggio. Congratulazioni. Adesso fateci scendere da quest’incubo» borbottò Jamie. Scoppiai a ridere. Eravamo già tutti in piedi, e noi stavamo proprio nei posti centrali, e quando ci ritrovammo ad uscire dovevamo passare tutta la folla, compito piuttosto arduo. Spintoni da tutte le parti. Non si respirava quasi. Quando avemmo finalmente passato la folla, scendemmo dall’aereo. E poi eccola, l’aria dell’Inghilterra. Il cielo né azzurro né grigio: indefinito. L’aria fresca, e un vento abbastanza notevole. Si stava bene, io stavo bene. Entrammo nell’aeroporto che era alquanto diverso da quello di Pisa. Era molto grande e ordinato. La gente s’incamminava con un passo svelto e a testa alta. Gli uomini vestivano quasi tutti in giacca e cravatta. Nessuno aveva un aspetto stracciato, sembravano tutti assurdamente perfetti. Sembrava quasi di vivere in un film. Prendemmo le nostre valigie e ci incamminammo fuori: dei taxi appositi sarebbero venuti a prenderci. Il viaggio dall’aeroporto di Stansted a Piccadilly durò circa un’ora e mezzo. Arrivate, scendemmo dal taxi. Eccola, la mia amata Inghilterra. Mi era mancata.
Vidi mio fratello fuori che ci aspettava. Corsi verso di lui e lo abbracciai forte.
«Finalmente! Da quanto tempo eh?» ricambiò l’abbraccio «Venite» ci accompagnò al condominio.
Entrammo nell’appartamento, stranamente ordinato e pulito. Era molto spazioso, più di quanto me lo sarei mai immaginato. Aveva un salotto piuttosto ampio, con un divano, tre poltrone, un televisore al plasma, e un tavolo. Alle pareti erano appesi quadri moderni. Accanto al salotto si trovava la cucina, mica piccola anche quella! Attraversato il corridoio si trovavano tre stanze: un bagno e due camere.
«Bene! Io dormo qui, questa a sinistra invece è la vostra stanza. Per il bagno faremo dei turni. Buona permanenza!» esclamò mio fratello. Si diresse in salotto.
«Ah! Mi ero scordato una cosa…» urlò dall’altra parte «Avete già un lavoro.»
«Cosa?!» chiesi sorpresa.
«Sì, lavorerete al bar qui infondo alla strada, ho pensato a tutto io! Sbaglio o avevi detto che ti sarebbe andato bene qualsiasi lavoro?»
«Certo! E’ fantastico Ale! Grazie mille, davvero.» lo abbracciai di nuovo.
«Figurati! Comincerete domattina alle sei. D’accordo?»
«D’accordo.» annuii e tornai in camera. La giornata passò velocemente. Io e le ragazze andammo un po’ in giro per la città e la sera decidemmo di cenare fuori. Tornate a casa, andammo a letto alle dieci in punto, il giorno dopo ci avrebbe aspettato una grande giornata.





Fiiine del primo capito, spero vi sia piaciuto. Grazie, lasciate una recensione e ditemi cosa ne pensate :3
  
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