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Autore: Wildheart    07/06/2007    6 recensioni
Al obbedì, si avvicinò alla finestra e affiancò la sua maestra, volgendo lo sguardo a quel viso perso nelle scure nubi veleggianti nelle tenebre. «Fa sempre così» disse Izumi. «Sembra sempre in procinto di piovere, ma la brezza cavalca le nuvole e le porta via. Domattina splenderà di nuovo il sole.» «Maestra?» La donna non rispose, sapeva che prima o poi avrebbe dovuto affrontare l’argomento, Al era sempre stato più sensibile nel leggere il cuore delle persone. «Oggi non è un giorno come tutti gli altri, vero?»
Genere: Generale, Commedia | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato | Personaggi: Alphonse Elric, Edward Elric, Izumi
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Cuore di ferro, cuore di donna

Cuore di ferro, cuore di donna.

Quando il sole tramonta nella città più calda in cui tu sia mai stato, anche le ombre che si allungano all’infinto senza lasciare possibilità di fuga acquisiscono una freschezza tutta loro, un refrigerio che è difficile provare, quando per tutte e dieci le ore precedenti, i raggi pesanti si aggrappano alle tue spalle come un naufrago che non sa nuotare. E forse, era per questo motivo che quella sera Al era assorto con lo sguardo lontano e la mente persa nell’osservare quell’ardente nova infuocata, che affondava con velocità quasi statica dietro i tetti della città di Dublith. Il gioco di nascondino più lungo della storia: presto sarebbe stato il turno della Luna per iniziare a contare.

Era così strano riuscire a vedere ogni cosa che lo circondava, senza poterne sentire l’effetto che aveva sulla sua pelle. Il caldo spossante di quella giornata non aveva minimamente intaccato il suo benessere, ma benché la sua condizione non gli permettesse di versare nemmeno una goccia di sudore, poteva “sentire” l’arsura del giorno dal respiro affannato di Ed e dalle chiazze bagnate sulla sua maglietta.

«Accidenti a te, Al.» nonostante il caldo gli azzerasse le forze, il suo fratellone aveva ancora la forza di sbraitare e lamentarsi come un moccioso. «È in questi momenti che invidio la tua dannata armatura!»

«Smettila di lamentarti, mezza cartuccia e vieni qui ad aiutarci.»

Fu una delle poche, rare, inconsuete volte che Edward Elric non rispose “all’offesa” con l’irruenza di un pit-bull pronto a scagliarsi ad azzannare un pezzo di carne.

Quella voce era arrivata alle loro orecchie con un tono seccato, imperativo, ma al tempo stesso sensuale e pieno di femminile potenza.

Ed e Al sussultarono, perfino Alphonse iniziò a sudare freddo.

«Certo, maestra…» rispose Edward con voce tremante.

Al vide il fratello avviarsi verso la stanza in cui Izumi affilava i suoi coltelli con l’accuratezza di un serial killer.

«Perché devo essere io a farlo?» chiese Ed con aria irritata per la seccatura che gli era stata imposta. La domanda era ovviamente rivolta al signor Mason, l’aiutante di Izumi e suo marito.

«Perché sei l’unico abbastanza piccolo per entrare là sotto.»

«A chi hai detto PICCOLO, razza di mini-moscerino che non si vede neanche con il satellite della Nasa?? EH?!? EH?!? Rispondi, bast--»

Un pugno scagliato dritto in faccia a Ed, lo fece zittire di colpo e lo rovesciò contro la parete, lasciando come prova del suo percorso, una fontana di sangue vermiglio.

Alphonse si precipitò a soccorrere il fratello. Prese tra le braccia il suo corpo semi-svenuto, mentre il sangue continuava a sgorgare copiosamente dal naso di un Edward Elric completamente rimbecillito e ondeggiante: «Fr-fratellone? Tutto a posto?!?»

Izumi guardò con occhi di ghiaccio prima Al e poi Ed: «Smettila di perdere tempo e prendi quell’anello.»

Alphonse tremò con aria atterrita: la loro maestra non era mai stata un agnellino, ma in quella particolare occasione era più suscettibile del solito. La sua fede le era scivolata dal dito ed era finita sotto uno dei bassi mobili che arredavano la macelleria. Edward era l’unico in grado d’infilarsi là sotto.

Perché non aveva usato l’alchimia? Izumi era fermamente convinta che quello che si poteva creare e ottenere con le proprie forze non doveva scomodare quell’arte. Al sapeva che era un insegnamento più che nobile, nato dagli stessi errori che la donna aveva commesso. E sommessamente ammirò quella letale e dolce presenza, radice di ogni loro più complessa trasmutazione alchemica.

La donna si avvicinò a Edward e lo sollevò da terra afferrandolo per la maglietta e pugnalandolo con lo sguardo.

«Ehm, maestra?» si fece avanti Al.

«Che diavolo vuoi?»

«Quando rientrerà suo marito?»

La donna sospirò di frustrazione: «tra un paio d’ore sarà qui.» Abbassò lo sguardo con aria colpevole: ad Al era sempre piaciuto come riusciva ad essere fragile anche mostrandosi un vero e proprio diavolo. «Non voglio che mi veda senza.»

«Beh, non la vedrà.» Ed si era ripreso e seppur non toccando terra con i piedi, riusciva ugualmente a trasmettere col suo sguardo una sensazione di determinazione e sicurezza.

Izumi accennò un mezzo sorriso, cercando di nascondere il suo sguardo d’orgoglio: «Beh, allora datti una mossa» replicò con voce dura, rimettendolo a terra.

Edward mostrò un sorriso che prendeva tutta la faccia, batté le mani e fece per appoggiarle a terra, quando un coltello gli sfiorò la guancia sinistra e si andò a infilzare a due millimetri dalle sue dita.

Alphonse sgranò gli occhi e osservò suo fratello voltarsi con il terrore che gli attraversava anche la punta della treccia. Sudando freddo in quel caldo soffocante di prima serata, alzò lentamente la testa per guardare la sua insegnante.

Izumi troneggiava sopra di lui con gli occhi che lanciavano fiamme e un’espressione da messaggero di morte dipinta sulla faccia: «così ci sarei riuscita anch’io, cretino…» sibilò con una calma agghiacciante. Edward deglutì, pronto a salutare a sua breve e giovane vita.

«Izumi? Tesoro? Ho finito prima con Bob, avremo rifornimenti di migliore qualità, e allo stesso prezzo: sono stato molto convincente…» una voce possente quanto il proprietario li raggiunse dall’ingresso della casa.

La donna sussultò e la sua aria assassina fu rimpiazzata da una maschera d’angoscia: «dannazione! È già tornato!» sussurrò tra sé. «Mason! Muoviti! Vai a trattenerlo!!»

L’uomo fece un passo indietro: «Eh? Perché io?» ma il ringhio della principale lo fermò dal fare altre domande. Scattò verso la stanza antistante e si affrettò a dire con voce tesa: «Capo! Già di ritorno? Izumi ha detto che la cena è quasi pronta, dobbiamo apparecchiare…»

«Sì, certo, ma prima voglio raccontarle--»

«NO!» Mason si era aggrappato al braccio dell’omone con le lacrime agli occhi. Sapeva quello che l’aspettava nell’altra stanza se non fosse riuscito nel suo compito.

Shigu lo guardò con aria interrogativa, mentre uno strano sospetto si fece largo nella sua mente.

«Io… io… ho scoperto che ci hanno fregato sul peso dell’ultimo rifornimento!»

Un attimo di silenzio.

Panico.

«COOOSAA??» sbraitò Shigu. La sua enorme e possente stazza, unita a una faccia da sadico assassino, non servì certo a migliorare la situazione del povero Mason.

Intanto, in cucina, Izumi stava spingendo Ed sul fondo del mobile a suon di pedate.

«Maestra… ce la faccio anche da solo…» disse il poveretto con le lacrime agli occhi.

«Allora vedi di farcela in fretta! Altrimenti ti assicuro che l’unica cosa che farai sarà nei pantaloni! Non hai mai visto di cosa sono capace… che succede di là?» chiese poi ad Alphonse.

«Ehm… Shigu sta alzando di peso Mason. È normale che gli esca il fumo dalle orecchie?» chiese il palo, nascosto con poca grazia dietro la porta.

Edward intanto, prese molto sul serio la minaccia di Izumi fatta poco prima, e pensò che quello era una delle giuste cause che gli permettevano di usare l’alchimia: se non per salvarsi la vita, allora quando?

Si rigirò con fatica sotto il mobile, e silenziosamente batté insieme le mani per poter allungare il suo auto-mail.

«Fatto.» sentenziò poco dopo, ricomparendo da sotto il mobile con un mezzo sorriso soddisfatto e la fede ben in vista.

Izumi gliela strappò di mano: «alla buon’ora.»

_

***

_

«Tranquillo, Shigu. Ho sistemato tutto io con l’ultimo rifornimento.»

Izumi era apparsa nella sala da pranzo con la sua solita aria fiera, appena in tempo per salvare Mason dallo strangolamento.

«Gli ho fatto capire chi comanda: gli ho detto che ci sputavo sopra ad un accordo violato.»

Fu tutto all’improvviso: un fiotto di sangue uscì violento dalla bocca di Izumi, mentre lei si piegava su sé stessa per il colpo di tosse.

«Immagino che non intendesse “ci sputo sopra” in senso letterale…» bisbigliò Ed al fratello.

«Izumi! Tutto a posto? Ecco, prendi le medicine!» Shigu aveva dimenticato tutta la sua ira e si era precipitato dalla moglie.

«Tutto bene, tranquillo.» disse gentilmente lei, asciugandosi il sangue con un fazzoletto. «Scusa se ti faccio sempre preoccupare… »

«Ma no, tesoro…»

Ed e Al si guardarono lievemente imbarazzati, mentre la coppia si abbracciava con una tenerezza che sprizzava tutto intorno fiorellini e cuoricini fluttuanti tra frecce d’oro di Cupidi alati.

«Che dici se apparecchiamo, fratellone?» chiese Al con una nota isterica nella voce.

«Buona idea.» rispose l’altro, con lo stesso tono.

Entrambi andarono in cucina, seguiti da Mason, che pareva voler approfittare del momento per darsela a gambe.

«Fratellone?» domandò Al poco dopo.

«Mmh?»

«Non ti pare che la maestra Izumi sia più nervosa del solito, oggi?» chiese, prendendo i piatti dalla credenza più alta e passandoli a Ed.

«Non saprei… a me sembra uguale a sempre. Avrà il suo periodo.» tagliò corto il maggiore.

«Forse…» mormorò l’altro con poca convinzione. Non era per niente sicuro che quella potesse essere la ragione, ma non fece altre domande, finì di apparecchiare e si sedette attorno al tavolo insieme a tutti gli altri come una delle tante serate passate lì a Dublith.

Quella sera Izumi si era particolarmente impegnata a cucinare, tanto che Al si domandò se non fosse l’anniversario del suo matrimonio.

Mentre osservava gli altri cenare, non poté fare a meno di lasciar scappare quella domanda che gli perforava il cervello: «è da quando vi conosciamo che siete insieme… è da tanto che siete sposati?»

Ed alzò gli occhi dal piatto e lo fissò con aria interrogativa, dimenticandosi di inghiottire, Mason si fermò un attimo nel suo momento sacro di abbuffamento e poi riprese subito a masticare come se niente fosse.

Izumi fece un mezzo sorriso e guardò Al con aria curiosa: «sì, beh, ormai sono quasi dieci anni. Quattro mesi fa abbiamo festeggiato il nostro nono anniversario.»

«Ah…» fece Al con un po’ di delusione.

Allora non c’era proprio niente di speciale in quella serata: eppure lui sentiva che non era così… forse il suo istinto si era inceppato.

«Beh, allora per il loro decimo anniversario dobbiamo ricordarci di comprare un bel regalo, eh, fratellone?» disse per cancellare il suo strano atteggiamento precedente.

«Certo!» rispose Edward con un sorriso. Ma Izumi sembrò non abboccare all’amo, conosceva troppo bene i suoi allievi: nonostante tutto, non fece niente per darlo a vedere, solo il suo sguardo rannuvolato la tradì per un secondo.

_

***

_

«Uff!» Edward si lasciò cadere all’indietro sul letto, facendo fluttuare i capelli dorati legati in una bassa coda. «Questo caldo è più spossante di una maratona da Resenbool a Central City!»

Il ragazzo-armatura non udì le parole del fratello: era troppo intento a guardare fuori dalla finestra e a rimuginare su qualcosa. All’improvviso sentì un colpo alla testa e notò una delle scarpe di Edward cadere miseramente al suolo.

«Ehi, Al! Ma si può sapere che stai facendo? Sei strano stasera.»

«Niente» rispose l’altro. «Stavo guardando la luna.»

Ed sbuffò e alzò gli occhi al cielo: «lo dicevo che sei strano, non ti facevo così romantico… forse Winry ha ragione.»

Alphonse si girò di scatto: «Eh? Che c’entra Winry? »

«Nulla» disse Ed con indifferenza. «Dice soltanto che dovrei imparare da te, che sei molto più gentile, premuroso, bla, bla, bla… e tutta quella roba da donne.»

«Dice così, ma non credo le dispiaccia la tua impulsività, altrimenti non saprebbe a chi tirare le chiavi inglesi.» rimarcò l’altro con prontezza.

Ed arrossì di colpo e volse lo sguardo verso il soffitto per nascondere la sua involontaria reazione, blaterando qualcosa che assomigliava molto ad un “come ti pare”.

«Sai? Sono convinto che quella di oggi sia una data importante per la maestra Izumi.» cambiò discorso Al.

L’Alchimista d’Acciaio si voltò con aria seccata e si mise seduto sul letto: «Ancora?? Ma sei proprio fissato!»

Alphonse scrollò le spalle e si avviò verso il letto con aria mesta.

Meeeoow!

La stanza si congelò. Al si bloccò di colpo, mentre Ed fulminò il fratello con lo sguardo.

Il minore sorrise imbarazzato e si grattò la nuca con falsa indifferenza.

«Al?» chiese il ragazzo con calma assassina.

«Sì?» rispose l’altro in falsetto.

«Hai di nuovo preso un gatto??»

Alphonse iniziò a sudare freddo: «no…» Un colpo di tosse lanciato da Edward, lo fece ridere istericamente. «A dire il vero sono due. Due fratellini come noi!»

Per una strana e inspiegabile ragione, l’armatura di Al rivolse verso l’Alchimista di Stato un paio di occhi brillanti e imploranti, mancavano soltanto le note di un film strappalacrime a completare il quadretto.

«No.» rispose secco Ed.

«Ma hanno perso la mamma!»

«Se la sapranno cavare.»

«Ma non posso lasciarli fuori alla pioggia, al freddo e al vento!»

«Al? Siamo a Dublith.»

«Ma…»

«Riportali dove li hai trovati!!!!»

Al corse fuori dalla stanza con le lacrime agli occhi: «Sei crudele fratelloneeee!»

«Al! Accidenti a te! Vai piano, così fai polpette di gatto!!» gli urlò dietro il fratello.

Il ragazzo corse fuori dalla casa e si chinò, lasciando scivolare dalle sue possenti mani quei due piccoli batuffoli di pelo, e soffermandosi a scrutare entrambi i gattini, che rimasero immobili a fissarlo con occhioni imploranti e un debole miagolio.

«Mi dispiace piccoli… » sussurrò Al accarezzandoli con delicatezza. Si alzò e prese a camminare senza meta per le vie afose di Dublith ma ben presto si rese conto che i due cuccioli non accennavano a smettere di seguirlo. Girò per mezz’ora, e per tutto il tempo fu inseguito dai due gattini. Non ne volevano proprio sapere di allontanarsi da lui: ormai lo avevano preso come riferimento, un po’ come lui faceva con suo fratello. Era sempre stato il suo punto saldo, colui che, sebbene in maniera totalmente folle e sconsiderata, riusciva a trovare sempre una soluzione a tutto. L’armatura poteva pur donargli un aspetto imponente e maturo, ma la realtà dei fatti rimaneva che Alphonse era solo un ragazzino di quattordici anni e aveva bisogno di un modello, una guida: entrambi avevano bisogno della loro madre. Ma lei non c’era e loro avevano imparato a proteggersi a vicenda e a far conto solo sulle proprie forze.

Forse era per quel motivo che s’inteneriva tanto, quando vedeva cuccioli o persone nella loro stessa situazione: se gli era possibile, Al voleva evitare che altri provassero la stessa solitudine e lo stesso stato di abbandono che aveva sofferto insieme a suo fratello. Ma Ed era sempre stato più pratico e deciso per queste cose, due cuccioli sarebbero stati d’intralcio al loro vagabondare, perciò, niente da fare.

Al sorrise: il suo fratellone faceva di tutto per sembrare un duro e un egoista, ma in realtà quando si trattava di proteggere le persone care avrebbe dato volentieri la sua stessa vita.

«Al! Accidenti a te! Vai piano, così fai polpette di gatto!!». Il ragazzo rise alla luna: sempre il solito Ed.

Ormai era vicino a casa e decise di rientrare, dato che era già abbastanza tardi. Non potendo resistere alla curiosità si voltò indietro e vide i due gattini seduti ai suoi piedi che lo guardavano con occhi speranzosi.

«Per favore, andate via…» disse Al, ma l’unica cosa che ebbe in cambio fu soltanto un tenero miagolio.

L’alchimista grugnì esasperato e iniziò a prendersi a pugni la testa in preda alla frustrazione, tanto che i due cuccioli si allontanarono di qualche metro, spaventati dal frastuono. Quando Al si rese conto che prendersi a cazzotti sarebbe soltanto servito a svegliare tutto il vicinato, lasciò cadere le mani lungo i fianchi e osservò i cuccioli tornare a sedersi ai suoi piedi. Un sospiro di frustrazione gli sfuggì senza che se ne rendesse conto: «Oh, al diavolo! Venite qui!» si chinò allungando le mani e lasciò che i gattini si avvicinassero. Li prese in braccio e rientrò nella casa scura.

Tutte le luci erano spente, la sala da pranzo era in ordine e non c’era nessun rumore a intaccare il morbido calore di quella notte. Anche Ed doveva già essersi addormentato.

Cercò di avvicinarsi alla propria stanza senza fare rumore, anche se non era facile nascondere lo sferragliare di un’armatura come la sua. Le ombre proiettate per tutta la lunghezza del corridoio gli lasciarono intravedere la porta della sua stanza lasciata leggermente socchiusa. Al fece per entrare, ma qualcosa lo trattenne e si avvicinò pacato, sebbene fosse consapevole che il sonno di Ed non si poteva spezzare nemmeno prendendolo a padellate in testa. Chissà… Al non poteva affermare di aver sentito il suo profumo, dal momento che la sua condizione non gli permetteva di usufruire dell’olfatto, ma forse la sua anima era diventata così empatica da poter sostituire quasi tutti e cinque i suoi sensi. Si affacciò silenzioso allo spiraglio e vide Edward in preda ad un incubo, rigirarsi agitato e accaldato nel suo letto, forse stava sognando il brutto incontro con Scar avvenuto qualche tempo prima, forse ripensava alle due furie chiamate Lust ed Envy, o forse, i suoi sogni erano tormentati dall’immagine dei suoi genitori. Al ne era sicuro: l’odio verso il loro padre, la disperazione per la perdita della madre e il rimorso per aver infranto con conseguenze disastrose il più grande dei tabù, era sempre celato nelle profondità più nascoste dell’anima di Ed, non importava quanto cercasse di occultarlo, Al lo sentiva, a volte l’angoscia che il suo fratellone camuffava era così pressante da dargli la nausea e lui non capiva proprio come diavolo fosse possibile, dal momento che non aveva nemmeno lo stomaco.

Ed si era girato supino e aveva lasciato che il suo braccio in auto-mail scivolasse involontariamente dalla sponda del letto. Fu allora che Al la vide e capì che la sua anima non si era sbagliata: una figura alta, offuscata dal buio della stanza, si avvicinò a Ed chinandosi davanti a lui silenziosa come una pantera. Afferrò il braccio del ragazzo con delicatezza e lo adagiò sul letto, lasciando che i raggi di luna lo colpissero e lo facessero brillare come un giocattolo bello e letale.

Il pallido chiarore notturno cesellava quella figura sinuosa e la faceva apparire come una ninfa delle tenebre, una sirena dal canto melodioso e fatale: lei diceva di essere una semplice casalinga, ma era prima di tutto una donna e una guerriera, una a cui era molto difficile dire di no.

Una delle ciocche rasta di Izumi le scivolò davanti agli occhi, mentre si avvicinava al suo ex-allievo per controllare la situazione. Edward respirava affannosamente e blaterava parole molto simili a “ti odio”, fu chiaro anche per lei che il sogno del giovane alchimista lo stava mettendo faccia a faccia con suo padre. Al strinse forte i pugni: lui non si ricordava del padre che li aveva abbandonati, ma forse preferiva questo a tutto il rancore che si portava dentro suo fratello maggiore. Avrebbe voluto svegliare Ed, come era solito fare ogni volta che aveva brutti ricordi o spiacevoli presenze che facevano visita nel suo mondo onirico, ma stavolta non poteva proteggerlo, Izumi si sarebbe molto infuriata se qualcuno l’avesse sorpresa vicino al letto di Edward.

Alphonse la guardò, non gli era ancora ben chiaro il motivo per il quale lei si trovasse lì, ma di sicuro non sarebbe vissuto abbastanza per chiederselo, se mai la sua maestra lo avesse scoperto.

La conferma che quella sera c’era qualcosa di strano in lei, era più che evidente, ma Al non si sarebbe mai aspettato quello che avvenne in seguito: la sua mano, quella delicata e fragile mano che poco prima aveva quasi rotto il naso di Ed, adesso si stava avvicinando alla sua fronte e gli stava scostando i capelli dagli occhi con un gesto dolce e materno. A quel contatto, il ragazzo si fermò come d’istinto e quando dalle labbra della donna uscì una dolce e melodiosa nenia, il giovane alchimista si fermò di colpo e assaporò inconsciamente la calda sensazione di una mano femminile che gli accarezzava i capelli.

Izumi rimase al fianco di Ed fino a quando il ragazzo fu completamente rilassato e calmo, poi si alzò lentamente, mentre la luna si rifletteva sui suoi lucenti capelli corvini, e si voltò verso la porta.

Al cercò di svignarsela il più in fretta possibile, ma iniziò a sudare freddo quando si accorse di non potersi muovere velocemente senza far chiasso. Decise di appiattirsi nel buio del corridoio, sperando che i due gattini avessero pietà della sua vita e se ne stessero in silenzio.

Izumi uscì con passo felpato e rimase ferma sulla porta lanciando uno sguardo alla luna che faceva capolino dalla finestra del corridoio.

«Al… vieni fuori.»

Il ragazzo sussultò, sicuro di essere stato appena colpito da un infarto. Non capiva se era perché aveva dimenticato di respirare o se perché ormai aveva vissuto tutta la sua vita in un colpo solo.

«Puoi anche respirare adesso…»

Al apparve timidamente sotto i flebili raggi lunari: «Maestra mi dispiace, io non volevo--»

«Al?»

«S-sì maestra?»

«Stà zitto.»

Il ragazzo si bloccò, lasciando che uno dei due gattini saltasse giù dalle sue mani. Izumi lo guardò trotterellare verso la finestra e slanciarsi fin sul davanzale. La donna si avvicinò al vetro e accostò una mano al cucciolo, lasciano che il piccolo studiasse il suo odore. Quando il gattino le si strofinò facendo le fusa, lei lo accarezzò con dolcezza e alzò lo sguardo verso le nubi nere che correvano selvagge, portate dal vento caldo della notte.

«Avete spesso questi incubi?» chiese improvvisamente.

Al fissò le sue spalle fragili e forti allo stesso tempo.

«Beh, non è raro che Ed si agiti così, ma lo sa anche lei che è la sua natura…»

«E tu?»

Due parole sinuose e forti, come la lama scintillante di una spada alleata arrivata in soccorso.

«Io…non ricordo più da quanto è che non dormo.»

Izumi non rispose subito. Sospirò impercettibilmente e piegò la testa di lato: «Vieni qui.»

Al obbedì, si avvicinò alla finestra e affiancò la sua maestra, volgendo lo sguardo a quel viso perso nelle scure nubi veleggianti nelle tenebre.

«Fa sempre così» disse Izumi. «Sembra sempre in procinto di piovere, ma la brezza cavalca le nuvole e le porta via. Domattina splenderà di nuovo il sole.»

«Maestra?»

La donna non rispose, sapeva che prima o poi avrebbe dovuto affrontare l’argomento, Al era sempre stato più sensibile nel leggere il cuore delle persone.

«Oggi non è un giorno come tutti gli altri, vero?»

Il suo tono, la sua domanda secca e diretta… Izumi lo guardò negli occhi e per un attimo rivide il suo vecchio volto, il viso del piccolo Alphonse Elric determinato a diventare il suo apprendista in alchimia. Sorrise e abbassò lo sguardo, mordendosi lievemente il labbro inferiore. Erano due fratelli così simili, eppure così diversi… in ogni caso, sarebbero stati l’orgoglio di ogni madre.

«Vedi Al,» iniziò la donna con la sua solita fierezza nella voce «oggi è il giorno in cui ho perduto il mio bambino.»

Alphonse sussultò e si voltò verso la sua maestra con aria mortificata: «mi dispiace, non avrei mai creduto… scusi maestra, non dovevo chiedere.»

«No, va tutto bene» rispose Izumi con decisione. «È stato tanto tempo fa, Al e ormai sono ben consapevole delle leggi che regolano il nostro mondo: seppur incomprensibili, esse governano l’equilibrio del tutto... senza la morte non esisterebbe la vita.»

«Ma a lei è stata completamente tolta la possibilità di dare la vita» mormorò Al. Non capiva come potesse accettare la cosa così semplicemente e in maniera così rassegnata… lei era molto diversa dalla Izumi Curtis che conosceva.

«Smettila di comportarti da moccioso.» replicò lei con durezza. «È il prezzo che ho pagato per voler giocare con la vita, dovresti averlo capito anche tu. La tua situazione non è molto diversa.»

Il ragazzo abbassò la testa come se fosse stato appena colpito in pieno petto da una freccia: «Ha perfettamente ragione, mi dispiace…»

«Stupido, smettila di dire ce ti dispiace!» tuonò l’altra.

«Scusi, maestra…»

«Cretino!»

«Sì, maestra… »

«Idiota!»

«È vero maestra…»

Izumi sospirò e Al sussultò quando vide la mano della donna appoggiarsi sulla sua testa: «Beh, infondo avervi qui oggi mi ha un po’ distratto da questa strana giornata. Avere un paio i mocciosi che distruggono la casa può essere un bel diversivo.»

Al notò che Izumi sorrideva genuinamente: era un sorriso dolce e malinconico allo stesso tempo. Gli ricordò tanto l’ultimo sorriso di sua madre… Dannata armatura, sentiva il bisogno di piangere, ma non aveva nessuna lacrima da versare. Le armature non piangono, ma l’anima sa piangere in maniera silenziosa e soffocante.

«Io…lei… lei è la persona più vicina ad una madre che abbiamo mai avuto. Grazie, maestra. Grazie per tutto quello che ha fatto per noi.»

Izumi lasciò attraversare il suo volto da un mezzo sorriso e lo guardò, tornando a sfoggiare la sua solita espressione fiera e letale. Si avvicinò lentamente ad Al, avanzando di un passo, e lo attirò a sé circondandogli le spalle con la sua tipica forza delicata.

Alphonse non poteva assaporare quel contatto, ma circondò la vita della sua maestra, sperando che lei non decidesse mai di sciogliere quell’abbraccio e sentendosi per la prima volta il bambino che era da quando aveva tentato la fatidica trasmutazione umana. Izumi riusciva a infondergli tutta la dolcezza di cui aveva bisogno solo con la sua vicinanza, anche senza avere la possibilità di provare la sensazione del calore sulla pelle.

La sua voce lo riportò alla realtà.

«Quando riavrai il tuo vero corpo, torna qui da me: devo abbracciarti come si deve.»

Al rise e strinse ancora più forte la sottile vita della donna, quando un colpo di tosse la costrinse a staccarsi e a prendere le distanze.

«Tutto bene?» chiese Al.

«Ti sembro il tipo da farmi mettere K.O. da queste sciocchezze?» domandò lei, con la sua solita espressione dura disegnata sul volto.

«No, certo che no» sorrise Alphonse.

Izumi si ricacciò una ciocca di capelli dietro l’orecchio e poi sentenziò: «È tardi, a quest’ora i mocciosi dormono.»

Al ricevette il messaggio: fine delle confidenze, fine delle scene mielose, “se racconti di questo episodio a qualcuno, ti taglio a fettine col coltello che tengo in macelleria”.

«Si, credo che sia meglio mettere a dormire questi due gattini.»

Al fece per entrare in camera, quando la voce della maestra lo raggiunse dalla sua figura voltata di spalle: «Anche voi due siete le persone più vicine a dei figli che io abbia mai avuto.»

Al rimase immobile ad assaporare il suono di quelle poche ma intense parole. In cuor suo sperava con tutte le sue forze che Ed fosse sveglio e avesse udito ogni cosa, ma in realtà il suo fratellone se la dormiva alla grande, con una bolla che si gonfiava ritmicamente dal suo naso ad ogni respiro.

«Beh, adesso vai, è tardi.» e detto questo la donna si allontanò nel buio del corridoio.

Il ragazzo non poté fare a meno di sorridere all’oscurità, soffermandosi sulla soglia: «Buonanotte maestra…»

Un colpo scagliato con violenza distruttiva lo fece barcollare in avanti, chinandosi a recuperare la testa che gli era saltata via. Al la raccolse e la mise al suo posto, lanciando una fugace occhiata a Ed che continuava a dormire beato.

«Ti avevo detto di andare a dormire, non di sorridere come un’idiota di fronte alla porta.»

«Scusi maestra!» rispose il poveretto, continuando a tenersi ben salda la tesa sulle spalle.

Izumi lo guardò glaciale, poi si voltò e se ne andò.

Al non riuscì a trattenersi dal sorridere di nuovo: nonostante la loro vita corresse sul filo del rasoio ogni volta che entravano nel suo raggio d’azione, i fratelli Elric non potevano desiderare un’insegnante migliore.

_

***

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L’indomani Al era in cucina cercando una ciotola dove poter far bere il latte ai due micini. Le parole di Izumi pronunciate quella notte erano state veritiere: il sole splendeva con tutta la sua potenza e il cielo era di un azzurro accecante, sgombro dalle nubi e da ogni sentore di pioggia.

Appoggiò la ciotola a terra e si voltò per cercare un’altra bottiglia di latte. I due gattini intanto si erano lanciati sul poco liquido rimasto e avevano iniziato a berlo di gusto.

«NON CI CREDO! Sei proprio n fratello degenerato! Che cavolo ci fanno quei gatti qui??»

Al sussultò, udendo la voce di Ed trapanargli il cervello. «Beh, ecco…loro erano--»

«Erano UN CORNO!! Li devi riportare dove li hai trovati, siamo intesi?»

«Dai, fratellone… almeno lasciali finire di fare colazione!»

Edward guardò Al con espressione corrucciata e finalmente grugnì: «Ok, ma appena hanno finito se ne vanno.»

«E sentiamo: dove vorresti portare i miei gatti?»

Ed saltò indietro, non appena fu raggiunto alle spalle dalla voce di Izumi. Si voltò e la guardò con aria interrogativa, mentre lei non si curò nemmeno di abbassare lo sguardo su di lui, superandolo e avanzando verso il tavolo della cucina.

«La mattina mi avanza sempre un po’ di latte» disse la donna, lasciando che Al le rovesciasse un po’ del liquido nel bicchiere che gli porgeva. «Sarebbe un peccato sprecarlo… o forse vuoi berlo tu?» chiese, avvicinandosi a Ed e porgendogli minacciosamente il bicchiere di latte.

Il ragazzo spalancò gli occhi, mentre tutti i capelli gli drizzavano in testa, in preda al terrore.

«Ecco, io… io devo andare in bagno!» disse correndo fuori dalla stanza

Al rise, mentre Izumi tornò al suo fianco e poggiò il bicchiere sul tavolo con aria composta. Entrambi si fermarono per un momento a guardare i due gattini che bevevano con aria soddisfatta.

«Saranno una seccatura» disse Izumi «li lascerò crescere come randagi.»

Gli occhi di Al sorrisero: «Come ha pensato di chiamarli?»

La donna scrollò le spalle: «Pensavo a Tutto e Uno.»

Al la fissò sconcertato.

«Beh? che c’è?» chiese lei, con una vena che iniziava a pulsarle sulla tempia «forse non ti piace?»

Il ragazzo arretrò agitando le mani davanti a sé: « No, no, per carità… credo sia perfetto!»

«Bene.» ringhiò Izumi «Perché non avevo intenzione di perderci altro tempo.» detto questo, prese la bottiglia del latte e si chinò per versarne altro nella ciotola, accarezzando uno dei due cuccioli.

Al la guardò e poi fissò il cielo: era bello, era immenso, era potente.

Era come Izumi: un cure di ferro, ma nonostante tutto, un cuore di donna.

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Fine.

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Eccoci alla fine! Sì, ho messo il tutto come commedia, ma forse non lo era poi tanto… beh, scusatemi ^^’. A dire il vero non penso che sia venuto fuori un granché questa storia, però ormai l’avevo scritta e mi dispiaceva lasciarla lì a marcire. Si può dire che sia ambientata quando Ed e Al rimangono a Dublith, prima che Al conosca Greed e venga fuori il discorso degli Homunculus (io parlo del manga, dell’anime ho visto solo due puntate -.-‘).

Beh, che dire… se vi ha fatto schifo, o se per miracolo vi sia piaciuta, fatemelo sapere! Qualche recensione è sempre gradita (se sono anche più di “qualche”, anche meglio ^^). Forse tornerò a scrivere di FMA, magari con un’altra Ed-Winry oppure Riza-Roy o boh, dipende come mi prende a leggere il manga, ora come ora, sono rimasta shokkata da Havoc…poveraccio…paralizzato??? NOOO :’’’(

Comunque nel frattempo ci sono le altre storie che ho scritto: Carne, Mente, Anima (FMA Ed-Winry), Il Destino di un Saiyan (DragonBall Vegeta-Bulma), Roar (tratto dall’omonimo, sconosciuto telefilm… si dovrebbe capire lo stesso anche se non si conosce la trama del telefilm).

Beh, insomma, se le leggete lasciate un commentino, ok?

Ci risentiamo ;)

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Visto che ci sono, voglio rispondere anche a chi mi ha recensito l’altra ff di FullMetal Alchemist. In effetti è un controsenso perché non è detto che qualcuno legga questa storia, tantomeno i diretti interessati, però non sapevo proprio dove scrivere (eheh! o_O’).

Kogarashi: grazie, ho seguito il tuo consiglio e ne ho scritta un’altra, visto? (anche se non è proprio ‘sta gran cosa..)

Elyxyz: un commento deciso e diretto che mi ha fatto ballare per la stanza wohooooo! Danke!!

AngelicDiablo: non mi sto a dilungare, ne abbiamo già parlato, comunque ho sfruttato il tuo consiglio, adesso la reazione di Ed al “piccolo” va bene?? L’ho scritta pensando alla tua recensione J

Cidori: Spero di averti accontentata con questa ff!!

Hermyone: sono lusingata che tu abbia letto la mia storia anche se preferisci le Yaoi… io purtroppo le odio… leggo le ff soprattutto perché mi piacciono i personaggi, se li trovo completamente ribaltati non li sento più come gli originali… che ci vuoi fare, de gustibus… vabbé comunque mille grazie per il commento!

KeeptheFAITH: senza le tue analisi dove andrei? Ne abbiamo già parlato a voce non credo ci sia molto da dilungarsi ;P

Onda: Beh, wow! Grazie per il bel commento, mi ha ispirato per leggere qualche tua storia! ho visto che hai scritto una ff ambientata dopo il film, ma purtroppo non l’ho letta per non avere spoiler… se mai arriverò a vederlo, la tua ff sarà la prima che leggerò, sempre che nel frattempo non ne sforni altre!!

Selly: è vero, cosa sarebbero Ed e Win senza le chiavi inglesi che volteggiano pericolosamente in mezzo a loro? ;P

ValHerm: Non esageriamo! Grazie! Anche te scrivi proprio bene, ho letto la tua storia, è molto dolce!

Siyah: Mi hai lasciato così O_O cavoli, grazie! Non credevo che quelle righe potessero suscitare così tanto! Anche se penso ci siano persone molto più brave di me in questo, io accolgo il tuo commento saltellando come una folle imbecille! @_@ (mi hai fatto venir voglia di scrivere altre Ed-Win!!!)

Mao_Chan91: Accidenti che bella recensione! In questo angolo su FMA ho trovato finalmente delle persone che scrivono commenti in grado di aiutarmi per scrivere future storie, sono lusingata di aver ricevuto un tuo parere, ho letto la tua ultima storia e l’ho trovata davvero bella, per cui grazie per aver recensito la mia!!

   
 
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