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Autore: PostItMarriage    20/11/2012    3 recensioni
[Private Practice]
Questa one shot parla di Amelia Sheperd e del bambino che nella quarta stagiona ha concepito con Ryan, che poi è morto. Amelia ha scoperto grazie a una ecografia effettuata da Addison che il bambino era anencefalico (senza volta cranica) ed vivrà la gravidanza lottando contro la depressione. Ecco cosa succede dopo la nascita del bambino. E' una one shot introspettiva e mi sentivo in dovere di far parlare lei, che in Private Practice è il personaggio che io credo più bello in assoluto.
Genere: Drammatico, Introspettivo, Malinconico | Stato: completa
Tipo di coppia: Het
Note: Missing Moments | Avvertimenti: Tematiche delicate
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Amelia sta in piedi e guarda attraverso la finestra della sua camera d’ospedale.Vede il parcheggio e in lontananza un parco. Ci sono dei bambini che giocano nel parco, vicino allo stagno delle anatre, si passano una palla colorata sotto lo sguardo dei loro genitori, che siedono in una delle panchine verdi, infreddoliti nei loro cappotti invernali ma accoccolati l’uno fra le braccia dell’altro. Gli alberi si sono già tinti d’autunno, con le foglie gialle che cadono una ad una al suolo, lentamente e inesorabilmente. Amy sta pensando che quei bambini non sappranno quale sia il significato della parola ‘anencefalico’. E chi la conosce? Solo lei, solo lei la conosce. Si sente sola perché è solo lei a conoscere il significato di quella dannata parola che assilla la sua vita da nove mesi. Anencefalico, fa paura solo a pensarlo e lei non vuole ripeterselo perché ha sentito dentro di sé quella parola così tante volte che ormai è tutto ciò a cui pensa quando mangia, quando respira o anche solo quando si alza dal letto. Ora può farlo perché ha riacquistato la possibilità di camminare dopo una settimana di quasi totale immobilità su quel letto sterile e scomodo della stanza 4513 nel reparto maternità del Saint Ambrose Hospital di Los Angeles.                                   

Quanti pazienti aveva consolato, con quanti suoi pazienti aveva parlato e scherzato, forse in quella stessa stanza d’ospedale. Le viene quasi da ridere, quant’è odioso il destino. Lei può dirlo, perché lei ha imparato a sue spese ciò che vuol dire essere vittima di quel destino beffardo, che ha scatenato tutta la cattiveria umanamente immaginabile su di lei e l’ha lasciata morire di quella morte che esiste solo nella sua mente. Il corpo è vivo e quasi perfettamente intatto, ma dentro di sé Amelia ha sentito la morte che si faceva largo tra le viscere e devastava tutto ciò che incontrava al suo incedere. Amelia Sheperd, giovane donna, neurochirurgo di fama nazionale, sorella del mitico Derek Sheperd, noto eroe e pioniere della neurochirurgia e della neuro oncologia. Quanto le mancava suo fratello Derek, lui forse sarebbe stato in grado di stringerla fra le sue braccia e di sussurrarle all’orecchio le sue solite parole di conforto. “Amy, sorellina” le avrebbe detto, “andrà tutto bene. Piangi, lascia che la tua anima si frantumi per qualche giorno e poi rimetteremo insieme i pezzi. Tu ed io, come abbiamo già fatto tanto tempo fa.” No, Derek forse non avrebbe mai potuto colmare la grande voragine che aveva sostituito il cuore di Amelia. Lei aveva trovato l’amore a 23 anni, con Ryan. Si erano conosciuti a Los Angeles, lui lavorava vicino al Pacific Wellness, lo studio medico dove lei esercitava la sua professione nella cooperativa di medici con Addison, Sam, Pete, Violet, Cooper, Sheldon e Charlotte. Ma il loro non era stato un amore come gli altri, perché erano due ex tossicodipendenti e insieme erano ricaduti nel baratro della droga. Intere giornate passate a letto a farsi, siringhe, pasticche, qualsiasi cosa. Ma sentiva di amarlo, lo aveva davvero amato nella sua incoscienza e lo aveva amato anche quella notte in cui avevano concepito Chris. Quella vita che sapeva, le stava già crescendo dentro la mattina seguente, quando si era svegliata vicino a Ryan e aveva sentito che il suo petto non era caldo e morbido come il solito, ma freddo e duro come marmo. Quell’ultima pasticca, avevano promesso che sarebbe stata l’ultima e poi si sarebbero iscritti in un centro riabilitativo, lei avrebbe lasciato il lavoro per un po’, si sarebbero disintossicati e poi, una volta usciti, si sarebbero sposati e avrebbero vissuto la loro vita felici e circondati da molti bambini con i capelli neri e gli occhi azzurri di lui, quel mare in cui anche lei spesso si era persa a contemplare in passato.
E invece  no, lui era morto quella notte. Overdose, avevano detto. Pure lui l’aveva abbandonata morendo, proprio come suo padre, a cui avevano sparato quando aveva solo 4 anni. Gli avevano sparato per il suo orologio, quello stesso orologio che lei aveva regalato a Ryan e che aveva ricevuto dopo l’autopsia. Maledetto orologio, portava sfortuna.
E quella vita che intanto divorava ogni centimetro del suo corpo, lei la sentiva perché sentiva Ryan dentro di sé e non poteva essere altro se non proprio lui, il suo amore grande che aveva voluto lasciarle qualcosa prima di andarsene.
I bambini se ne stanno andando con i genitori, hanno dimenticato la palla vicino al cespuglio e lei vorrebbe tanto correre giù per le scale e andare a riprenderla per poi riportargliela. “Avete dimenticato la palla, bambini!” vorrebbe dire loro. Ma non può, perché è intrappolata nella sua stupida vita. Si gira, fa due passi verso il letto e si siede sulle lenzuola in cui ha dormito anche stanotte. E la notte precedente. E le cinque notti che l’hanno preceduta. Ha dormito lì dopo che le hanno strappato Chris dalle braccia e lo hanno portato in sala operatoria per farlo a pezzi. Aveva guardato suo figlio, lo aveva cullato tra le sue fragili braccia per un po’, ma poi aveva dovuto lasciarlo andare e restituirlo alla sua vera madre, la morte, che lo aveva fatto scivolare nel mondo quasi impercettibilmente, sinuosamente, come un fantasma e come uno spirito. Uno spiritello maligno che le aveva distrutto l’esistenza con il suo stesso esistere. Si vergogna moltissimo per quello che sta dicendo di suo figlio ma al momento non riesce a pensare ad altro. “Anencefalico”. Basta con questa stupida parola, basta. Vorrebbe morire ora, vorrebbe morire per non lasciar passare i secondi e per dimenticare per sempre quella parola; ma non può, perché Sam ha tolto dalla stanza qualsiasi oggetto tagliente o anche minimamente lesivo per lei; è stato previdente, la conosce e sa anche lui che le basterebbe un attimo per dire addio per sempre al mondo e lasciarsi alle spalle tutto. Otto mesi prima aveva scoperto di aspettare un figlio senza volta cranica ed era sopravvissuta per tutto questo tempo, lottando contro la depressione a cui solo ora dava il permesso di dilagare in sé stessa. Prima doveva sembrare forte per Addison, la sua migliore amica, per Violet, Cooper, Pete e Sheldon, i suoi colleghi. E’ sempre stata così, ha sempre voluto dimostrare di essere superiore a tutto e a tutti, ma adesso basta, fanculo, non ce la fa e si odia e vorrebbe morire. Ha tenuto in braccio un bambino senza cervello. Lei, neurochirurgo,  aveva amato quel bambino senza cervello dal primo momento, perché era il figlio di Ryan ed c’era tutta la sua vita in quegli occhi chiusi e in quel corpo sostanzialmente morto e in quella testa deforme che lei, nonostante tutto, avrebbe amato per sempre. Anche quando aveva dato Chris in baccio a Sam, perché lui potesse portarlo in sala operatoria, farlo a pezzi e dare gli organi a tutti quei bambini che nel mondo potevano vivere perché magari non avevano un cuore o dei reni funzionanti, ma avevano un cervello. Cervello. Ecco la nuova parola che la spingerà sempre più nel profondo della depressione e della disperazione, dalle quali, lei lo sa, non uscirà mai. E intanto si distende in quel letto e accarezza la pancia vuota, morta, che ha ospitato un bambino senza cervello e senza vita e in cui lei vorrebbe affondare un coltello. Se solo potesse, se solo avesse un coltetto. Grazie Sam. Sposta i lunghi capelli neri a destra, osserva il comodino di legno azzurro e la grande finestra, le pareti beige e la poltrona rossa in cui Addison era stata seduta per così tanto tempo e da cui l’aveva guardata con quello sguardo pieno di compassione con cui tutti la guardavano, ora. Aveva persino finto di dormire, per non guardare quegli occhi tristi che odiava con tutto il cuore. E pure ora fingerà di dormire, perché sente dei passi nel corridoio. E’ Violet, che viene a trovarla ogni giorno nella speranza di riuscire a farla parlare. E’ una psicoterapeuta, è il suo lavoro far parlare la gente. Ma parlare di cosa? Lei non vuole parlare, vuole solo morire. 
Ora. 
Adesso. 
Sola. 
Per non vedere né sentire né ricordare più nulla e dire addio a tutto.
  
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