Blood’s smell
Ciao! Non avevo mai provato a scrivere una one-shot in questa maniera: spero che vi piaccia! Era da un
po’ che avevo in mente un’idea simile, solo che non ne ho mai trovato il tempo,
ma qualche giorno fa ci sono riuscita, anche se non ero sicura di pubblicarla.
Ringrazio quindi la mia super visore Masuke e Hime-chan che mi hanno
incoraggiato a farlo! Grazie mille!
Buona lettura!
Isa
Un tonfo: un altro corpo steso a terra. Con facilità saltava agilmente
da un ramo ad un altro, guardandosi distrattamente attorno, ma il suo sguardo
vacuo degnò appena un attimo gli altri componenti del
suo team, essere scialbi e senza valore. Non capiva come potevano essere una
squadra. Loro. Inetti. Solo un peso. Lui no: non era così. Mai era stato ferito, mai aveva fallito una missione. Questo era
logico: lui, per il cognome che portava, per l’abilità innata che aveva, lui
non poteva fallire. Fallire equivaleva recare vergogna alla sua famiglia: al padre,
capo della polizia. Il più dotato del clan Uchiha non
poteva permettersi di sbagliare.
Un kunai gli sfiorò l’orecchio.
Lui era
perfetto: aveva ricevuto un’educazione esemplare, come avrebbe potuto non
averla? Era cresciuto tra lusso e vizi, tutti erano pronti ad accontentarlo. E lui era come un animale in gabbia. Rinchiuso,
soffocato dall’ipocrisia di chi gli stava intorno. Ipocriti, falsi,
bugiardi, disposti pure a tralasciare, non vedere –perché l’averlo notato avrebbe fatto male- il
comportamento del giovane: freddo, distaccato, troppo per un ragazzo normale.
Ma lui non lo era: lui era un ragazzo prodigio. Un
ragazzo che avrebbe voluto vivere lontano da quel clima opprimente, circondato
da trame oscure, da destini già segnati: come il suo.
Questa volta il kunai si conficcò dove un attimo
Prima aveva
posato il suo piede: c’era qualcuno.
Li odiava tutti.
Solo per uno però, aveva “compassione”: suo fratello. Suo
fratello che stava crescendo in quel mondo. In quel
cerchio rarefatto, circondato dalle premure, ma che erano onnipresenti con la
costante associazione all’orgoglio del clan. Lui.
Il più piccolo doveva
eguagliare il maggiore,
quante frottole.
Il più piccolo doveva prendere
esempio dal maggiore,
a che scopo?
Ipocriti. Ecco
cos’erano, Nient’altro che quello. L’avevano rovinato:
era solo un burattino nelle mani del clan, uno stolto con un’idolatria
smisurata verso il fratello. Era stato posto su un piedistallo, ma ci avrebbe pensato lui stesso a farla finita.
Aveva
individuato i nemici: sei.
Con un ghigno beffardo scomparì, per poi ricomparire, in un
attimo, dietro al suo inseguitore più vicino. Non gli lasciò il tempo di contrattaccare: con un kunai gli tagliò la giugulare. Il sangue del nemico
imbrattò la sua divisa. Era questa la fine che aspettava a chi si fosse
intromesso sulla sua strada. Senza neanche muoversi lanciò ,
con una velocità due shuriken, che trafissero altri due avversari: caddero
dagli alberi. Sentì il loro ultimo grido, le ossa rompersi dopo aver avuto
contatto con il duro terreno. Non aveva più tempo per riflettere, purtroppo lui
odiava essere disturbato: si ritrovò a sfogare la sua rabbia contro un quarto
aggressore. Sferrò un calcio: l’avversario cadde all’indietro. Toccò il terreno
e lui vi si lanciò sopra: calci e pugni contro quel nemico, contro chi ormai
non poteva fare nulla per scappare al proprio destino. La morte. Il giovane Anbu sentì le ossa della vittima rompersi una ad una e
l’odore del sangue invase l’aria: quanto adorava quell’odore, quanto adorava essere “cacciatore”. Ma, soprattutto,
quanto adorava il potere. Amore e desiderio: binomio
inscindibile per quell’oscura forza che provava ogni
qual volta combatteva. Sentiva i muscoli fremere ad ogni suo movimento,
come se fosse nato per combattere. E chissà: forse lo
era. Quella voglia inafferrabile che cresceva ogni attimo che passava, ma non
si sentiva completo, mancava ancora una cosa al raggiungimento del suo scopo:
una sola. E presto se ne sarebbe impossessato. Anche a costo di sacrificare chi gli era di più caro. Infondo, era il suo sogno. E il suo
sogno doveva essere realizzato.
Ora ne mancavano
solo due,
quando ad un tratto sentì un
cambiamento del vento. Era lui.
Il sole stava tramontando
ed era in controluce, ma riusciva comunque a
distinguerlo.
“Non ti riesce
proprio a chiedere aiuto quando sei in difficoltà, vero?
La tua squadra era preoccupata, cugino”
“Non mi importa. Poi io non ero in pericolo”
“Perché non ammetti la verità per una volta tanto, Itachi?”
“E tu perché non ti rassegni e credi alle mie bugie?”
“No, aspetto.
Aspetto che tu ti decida a dirmi che ti passa per la testa”
“Stai diventando
noioso Shisui : continui con
questa domanda”
“Continuerò finchè non riceverò una
risposta adeguata. Dai, ora torniamo a casa. Gli altri
sono già sulla via del ritorno per Konoha”.
“E’ primavera, Shisui: la tua stagione preferita”
“Sì. Non credevo
che ti interessassi a questo genere di cose, cugino”
“Sei tu che lo
pensi”
“E che altro dovrei pensare?”
“Non credi che
sia una stagione bella per morire?”
“…”
“…”
“Sì”.
Itachi in fondo voleva bene a
Shisui: lo uccise durante la sua stagione preferita.
Sono pazza, non linciatemi! Spero che sia venuto
almeno decentemente, sigh. Per me è stato
veramente difficile descrivere Itachi sotto quest’ottica. Avviso che non conosco la stagione in cui è
morto Shisui Uchiha, me la
sono inventata io.
Commentate,
please!
Grazie
a tutti coloro che hanno letto.
Isa