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Autore: Synapsesss    21/11/2012    2 recensioni
Cosa succede quando la morte mette fine ad un amore?
Dove vanno a finire tutti quei 'per sempre' che accompagnano le promesse di amore eterno?
Rincotreremo chi abbiamo amato? E domanda più importante: lo riconosceremo quando ce lo troveremo davanti agli occhi?
Genere: Fluff, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Slash | Personaggi: Blaine Anderson, Kurt Hummel | Coppie: Blaine/Kurt
Note: AU | Avvertimenti: nessuno
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Disclaimer: Questi personaggi ovviamente non mi appartengono, sono proprietà della Fox, di Ryan Murphy e forse un pò anche di Babbo Natale.
Non mi appartengono, ma credo che in fondo le uniche persone a cui appartengano Kurt e Blaine, siano Kurt e Blaine.

 

Era una giornata che ricordava alla perfezione.
Quel 9 di Novembre Londra non sarebbe potuta essere più bella. Nonostante il freddo, il cielo grigio e una leggera nebbia che avvolgeva tra le sua braccia tutta la città, ai suoi occhi la capitale sembrava particolarmente magica quella mattina. Era salita sul vagone con in testa mille pensieri, e se fosse riuscita a focalizzare la propria mente su qualcosa anche solo per un minuto sicuramente si sarebbe soffermata a riflettere su quanto fosse stato sciocco da parte sua prendere la metro all’ora di punta, di martedì, con un freddo polare: tutta la popolazione londinese – senza contare i turisti – sembrava essersi riunita in quella carrozza. Non riusciva – o non voleva? – trovare qualcosa che non andasse in quella mattina, perché tutto doveva essere perfetto. Aveva un disperato bisogno che tutto volgesse per il meglio, e leggeva in ogni risvolto positivo – diciamo pure non negativo, neutro – della giornata un segno del destino, come se questo stesse cercando di rassicurarla, sussurrandole all’orecchio una leggera ninna nanna, un ripetersi di andrà tutto bene, stai tranquilla e non preoccuparti, puoi farcela, Elisabeth.
Non era molto fiduciosa, anzi per niente fiduciosa, ma era comunque decisa a provarci.
Testarda era il suo secondo nome, in fondo glielo dicevano sempre tutti. Testarda e pazza. Pazza, esatto. Perché, tranne i suoi amici più stretti, tutti pensavano che chiedere in affidamento un bambino all'età di 30 anni,quando si era ancora single, si viveva in una grande casa e si aveva una carriera più o meno promettente nel mondo della pubblicità fosse da manicomio. Sapeva che agli occhi di chi non la conosceva bene la sua decisione risultava solo un capriccio, il capriccio di una persona che ha già tutto quello che si possa desiderare e sente solo la voglia di qualcosa che porti aria di novità nella sua vita.In realtà la questione era un'altra, e molto più complicata.
Non centrava il fatto che non riuscisse ad avere una relazione per più di un mese, non centrava il fatto che a volte, durante la notte, si sentisse terribilmente sola in quella casa gigantesca, perché lo sarebbe stata anche in un monolocale, e non centrava il fatto che tutte le sue amiche fossero sposate e avessero dei figli.
In effetti, nemmeno lei sapeva dire con precisione quale fosse il fatto, ma era sicura al cento per cento di quella scelta. Ci aveva riflettuto per più di un mese, ed ora era li, seduta tra tutte quelle persone, la borsa stretta in grembo, pronta a scendere alla fermata successiva per incontrare una perfetta sconosciuta alla quale doveva dimostrate che lei, Elisabeth, era perfettamente in grado di occuparsi di un bambino.

Hyde Park aveva un significato particolare per Elisabeth perché era successo lì che lei, molti anni addietro, aveva sentito il suo cuore fermarsi per la prima volta; aveva mancato un battito perché la bellezza di quel luogo l’aveva sconvolta. E così aveva trascorso quasi mezza giornata seduta sull’erba appena bagnata dalla rugiada semplicemente ad osservare quella meraviglia, e verso mezzogiorno si era alzata con la ferma consapevolezza di appartenere a quel luogo. Dì lì a poco si trasferì a Londra.

Hyde Park era la sua medicina: quando era stressata per il lavoro, aveva litigato con un collega o un’amica o la nostalgia di casa era troppo forte, tornava là, esattamente nel punto dove 8 anni prima qualcosa l’aveva stregata. La magia di quegli alberi, delle persone che passeggiavano, dei turisti che rincorrevano gli scoiattoli per fotografarli le ricordava quanto, nonostante le difficoltà che giornalmente bussavano alla sua porta, lei fosse fortunata a poter assistere a quella magia sulla propria pelle senza aver fatto nulla per meritarselo. Le rammentava di essere felice quando sembrava non avere particolari motivi per esserlo, e che nonostante la solitudine suonasse il campanello subito dopo i problemi e le difficoltà anche lei era riuscita a trovare il suo posto nel mondo. Per tutte queste ragioni quando l’assistente sociale, dopo un paio di colloqui, l’aveva invitata ad una festa di beneficenza ad Hyde Park, Elisabeth non poté non leggere in quella coincidenza uno dei tanti segni, ottimi segni, che stava disperatamente cercando. Il centro sociale era solito organizzare delle feste in collaborazione con la scuola frequentata dai bambini per autofinanziarsi. In realtà i benefattori erano tanti e i soldi non mancavano, e quella non era niente più di una buona occasione per far incontrare le coppie – e le donne – interessate all’affidamento e i bambini. La signora Brown, l’assistente sociale, le aveva spiegato che alcuni ragazzini si esibivano in piccoli spettacoli o numeri da loro preparati, altri vendevano torte o vecchie cianfrusaglie donate da qualche anziana e simpatica nonnina; si passava una bella giornata insieme e si tornava a casa a riflettere su quanto si fosse convinti di voler intraprendere veramente quella strada.“Non è una scelta facile, e troppo spesso vedo persone che credono di poter riportare indietro i bambini come fossero maglie prese alla boutique” le aveva detto la signora Brown al loro primo colloquio. In pratica era l'ultima possibilità che si aveva di ritirarsi dalla gara se non ci si reputava in grado di correre tutta la maratona.Non fu difficile individuare quel gruppo di bambini chiassosi nella tranquillità e quiete tipicamente inglese del parco. Da lontano si distinguevano un piccolo palchetto, che sembrava star su per miracolo, e numerose bancarelle lì accanto, attorno alle quali i bambini si aggiravano entusiasti. Elisabeth si prese qualche momento per fare mente locale e provare le ultime tecniche di training autogeno che aveva letto su Vogue di quel mese; inspirò profondamente e dopo essersi data un'ultima sistemata guardandosi nello specchietto che aveva sempre con sé si diresse verso quella folla di persone. Aveva girato quasi tutte le bancarelle, sorridendo e scambiando due parole con tutti i teneri mercanti, acquistando sempre qualche piccola cosa solo per vedere il loro viso illuminarsi di gioia. Bastava poco per renderli felici. Alla fine si era fermata a rovistare curiosa in una bancarella che vendeva vecchi cd, cercando gli album di una cantante che andava di moda quando sua nonna era giovane, una certa Lady Gaga, e che le era capitato di ascoltare di recente. Ne era rimasta molto colpita, ma purtroppo non aveva trovato da nessuna parte, neppure su internet, i suoi album da comprare. Mentre la sua ricerca in quella montagna di roba procedeva imperterrita, con la coda dell'occhio notò dei bambini a qualche metro da lei alle prese con un vecchio lettore cd: probabilmente volevano mettere della musica per attirare clientela. Elisabeth non poté trattenere un sorriso davanti a quella scena e volle cogliere al balzò l'occasione di veder nuovamente esplodere quella luce sui loro volti, perché era stata una sensazione così bella che ora non poteva farne a meno. Pescando un cd a caso dal tavolo si diresse verso di loro e con gentilezza chiese: “ Scusate ragazzi, vorrei comprare questo album, ma mi piacerebbe poterlo ascoltare un po' prima. È possibile?”. Una bambina di circa 7 anni si voltò verso di lei e le annuì timidamente, allungando la mano pronta per ricevere il disco; quando Elisabeth glielo ebbe porto, si diresse verso un ragazzino più grande di lei e gli tirò la maglietta per attirare la sua attenzione. “Devon, ho trovato un cd! Metti su questo per la signora per favore” gli chiese quasi sussurrando. Lui, dopo averle sorriso dolcemente, prese il cd, lo inserì nel lettore e premette play. Delle note gracchianti uscivano dalle casse, il disco saltava leggermente, ma Elisabeth sorrise soddisfatta, mentre le note di una canzone a lei sconosciuta riecheggiavano tra gli alberi sposandosi perfettamente con quell'esplosione di felicità che si era aperte sui loro volti. Quando la bambina le restituì la custodia lei la osservò attentamente e nonostante l'immagine fosse ormai del tutto sbiadita distinse a fatica la molto discutibile figura di una donna mezza nuda – forse meglio dire completamente – stesa su una nuvola.

 ***

La Dalton appariva in modo stupefacente, di un'eleganza e di uno stile unico. Altro che il McKinley, con quegli armadietti inguardabili e quei corridoi che gridavano all'orrore. La cupola poi era un tocco di stile che quei cani di Lima si potevano decisamente scordare. Si guardò bene attorno, avido di capire che tipo di scuola fosse quella e se anche lì gli studenti fossero dei trogloditi. Al momento quello era il suo chiodo fisso. Tuttavia i ragazzi che lo circondavano sembravano tutti tranquilli e pacati; nessuno gli ricordava minimamente quella sottospecie di uomo di Neanderthal che era Dave Karofsky. Tirò un sospiro di sollievo e si abbassò lentamente gli occhiali per osservare meglio tutta quella marmaglia di gente: dove stavano andando così di fretta? Non avevano lezione? In questa scuola cosa facevano invece di studiare?
Carine però queste divise rosse e blu. L'ennesimo tocco di classe.

***

Il nome del cd e dell'artista erano illeggibili. Intenta a decifrare il titolo di quel cd – la canzone non era male, un po' datata, ma vabbè...- improvvisamente venne distratta dal rumore di un forte fischietto, a cui tutti i bambini avevano risposto iniziando a correre ed urlare come dei matti per andarsi a radunare intorno al palchetto poco distante da lì. Solo qualche ragazzino più grande si era trattenuto dal partecipare a quell'impazzata e così Elisabeth ne approfittò curiosa per sapere cosa stesse succedendo. Si avvicinò lentamente ad un ragazzo che era appena andato ad alzare il volume della musica e quasi bisbigliando gli chiese “ Scusami, ciao! Posso farti una domanda? Sono nuova di qua!” esordì quasi ridendo, convinta che quella scena si ripetesse uguale a tutte le feste.

Ora la musica usciva quasi chiara dalle casse ed Elisabeth riusciva anche a capirne il testo.

 

My heart stops
When you look at me
Just one touch
Now baby I believe
This is real
So take a chance and
Don't ever look back

***

Decise di fermare qualcuno per avere delucidazioni su tutta quella frenesia ed entusiasmo che pareva pervadere ogni singolo alunno; inoltre Puck l'aveva o no spedito lì con cattive intenzioni? Doveva o no spiare gli Usignoli? Metti le piume, così entrerai nel nido, gli aveva detto quell'altro.
Ah ah ah ah, si, molto divertente. Beh d'altronde se nessuno apprezzava la sua fenomenale idea del medley di Diana Ross e dei body marabou stile Bob Mackie, si sarebbe abbassato a fare il lavoro sporco. Purtroppo, però, si conosceva troppo bene per potersi mentire in quel modo: sapeva che non era stato il tono autoritario dell'amico o la convinzione di riuscire a battere gli Usignoli alle Provinciali solo sfoderando abili tecniche di spionaggio il motivo che l'aveva portato lì. Se ne era accorto la sera prima, quando nella solitudine della sua stanza aveva sentito una strana speranza crescergli lentamente dentro. Forse, aveva pensato, in un'accademia di soli uomini non avrei tutti quei problemi. Voglio dire, la concentrazione di gay sarà per forza di cose maggiore, o sbaglio?
Sapeva benissimo che sperare in un cambiamento al McKingley era, per citare una giovane Hilary Duff nei panni di una versione molto discutibile di cenerentola, come aspettare la pioggia durante la siccità: inutile e deludente; ma in qualcosa doveva pur riporre fiducia, no? Ogni tanto succedeva che non trovasse abbastanza buone ragioni per alzarsi dal letto, e se ne vergognava profondamente: i suoi amici del Glee, Mercedes, l'incessante – e molto stimolante - gara per gli assoli tra lui e Rachel, l'aver trovato un posto sicuro nel quale potersi esprimere liberamente, a volte semplicemente non gli sembravano valere tutte le spinte e gli insulti di alcuni suoi compagni di scuola. E delle belle, ma davvero tanto inutili, confortanti parole di chi gli era vicino non se ne faceva proprio più niente; loro non capivano, ma come avrebbero potuto? Ecco. Forse era alla ricerca di quello, Kurt: qualcosa di concreto, palpabile, un fatto, che lo aiutasse a superare quel momento, a continuare ad essere fiero di chi era senza lasciarsi scalfire dalle stupide convinzioni della gente. Il fatto che lo aiutasse davvero a tornare a credere in quella frase che suo padre gli aveva detto tempo prima, nessuno mette al muro gli Hummel.
Assorto nei suoi pensieri fermò un ragazzo che che lo stava superando sulle scale.
Uhm scusami, ciao! Posso farti una domanda? Sono nuovo qui” gli chiese.

 ***

Lui si voltò verso di lei e le sorrise. “Piacere, Devon” si presentò, per nulla intimidito dal fatto che lei fosse un'adulta, e mostrandosi immediatamente molto maturo, troppo, per la sua età. Elisabeth si sarebbe potuta intenerire vedendo quel ragazzino di appena dodici anni, eppure già così grande; i vestiti troppo larghi per essere stati comprati per lui, ma che comunque non nascondevano quando magro fosse, i capelli folti e biondi che gli cadevano in modo spettinato sulla testa, e gli occhi tristi di chi ha visto troppe cose brutte per essere così piccolo. Si, Elisabeth sarebbe anche potuta scoppiare a piangere perché la storia che lui le stava raccontando, solo stando lì in piedi con la sua aria ingenua e quel sorriso appena accennato che gli illuminava il viso, era la storia straziante di un bambino che era dovuto crescere troppo in fretta. Ma non lo fece, semplicemente perché non ne ebbe il tempo. Prima che si potesse anche solo rendere conto di tutte quelle cose lui si era girato verso di lei, e quando i loro sguardi si erano incontrati, nell'esatto istante in cui gli occhi azzurro oceano di lei e quelli miele di lui si erano fusi insieme, era stato come se le anche le loro due anime si fossero legate per sempre.

***

Questi gli si fermò innanzi, si voltò alla sua domanda e gli sorrise, porgendogli la mano con gentilezza: “Piacere, Blaine” si presentò.
Il suo cuore perse un battito o forse anche più d'uno, perché i suoi occhi si trovarono davanti lo sguardo più...più... più che avessero mai visto – e che videro mai in tutta la loro vita - : due iridi color castano, color miele, color dorato che sembravano aver la potenza di illuminare il mondo.

***

“Elisabeth” rispose con un soffio di voce, stringendo la mano che lui le aveva porto. Aveva una domanda o no? Doveva porgergliela o l'avrebbe presa per scema. “Senti, sai cos'è tutta questa confusione?” aggiunse poi. Devon sorrise: “Si, sta per iniziare lo spettacolo, è la parte finale della festa”.

***

Kurt” rispose lui completamente estasiato da quello studente. Sentiva lo sguardo dell'altro penetrargli dentro, fino in fondo, come se quegli occhi potessero illuminare non sono il mondo intero, ma anche gli angoli più bui della sua anima. Cercò di essere ligio al compito assegnatogli e domandò con nonchalance, guardandosi attorno con aria curiosa: “Cos'è tutta questa confusione?”, anche se ormai a lui della confusione non interessava più niente. L'altro si aprì in un sorriso entusiasta, e a Kurt quel gesto sembrò quasi meglio dello sguardo di poco prima.Gli usignoli!” rispose con soddisfazione. “Ogni tanto improvvisano un’ esibizione in aula magna! La scuola va in tilt per ascoltarli”.
Quel Blaine lo stava prendendo in giro, vero? Gli Usignoli popolari? Impossibile.
Quelli del Glee sono sempre i più sfigati della scuola per la miseria!

***

Fu un attimo.
Davvero un millesimo di secondo.
Per una frazione di momento intorno a lei non c'era stato più il parco, ma le mura color crema di quella che ebbe la netta sensazione essere una scuola.
Scosse la testa e tornò a concentrarsi sul ragazzino. “Uno spettacolo dici, eh? Interessante...” rise guardandosi attorno.
Un'altro attimo.

Quando era ritornata a fissarlo era di nuovo lì, quella scuola, con delle pareti chiarissime e una scalinata, una cupola. E per un nanosecondo anche Devon era stato irriconoscibile: adesso indossava una giacca, aveva i capelli ricci e neri, ed era decisamente più grande. Lo aveva guardato attentamente e non seppe perché in quel ragazzo, così diverso dal bambino che aveva avuto innanzi agli occhi fino un attimo prima, avesse riconosciuto Devon. Eppure era lui. Ne era certa.
Lo vedeva in quei lineamenti marcati e ben definiti, che tanto erano in contrasto con i suoi, dolci e morbidi; lo vedeva in quei capelli neri e ricci, domati da una quantità esagerata di gel, così lontani da quegli altri, lisci e biondi, e lo riconosceva in quegli stessi, identici, occhi color miele e nocciola, in quello sguardo limpido, puro, che l’aveva incatenata a sé fin da subito.

Stava avendo delle allucinazioni? Forse.

***

 “Vuoi dire che il Glee Club è popolare qui?” si azzardò a chiedere scettico sul fatto che tutta quella agitazione potesse essere imputabile ad un esibizione del coro. L'altro lo guardò, “Gli usignoli sono come rock star!” concluse quasi offeso nel profondo.
Mamma mia, che spirito patriottico in questa Dalton...quasi come al McKingley, insomma.
Seguimi...conosco una scorciatoia” aveva continuato poi Blaine, stampandosi in volto un sorriso e prendendogli la mano, come se tenere per mano un altro ragazzo in quella scuola fosse la cosa più naturale del mondo.
La concentrazione di gay deve essere davvero MOLTO alta qua, riuscì a pensare Kurt prima di morire un po' dentro per quel gesto inaspettato.

***

 Le parole dell’altro la riportarono con i piedi per terra “Si beh, chi ci partecipa è considerato la rockstar del centro sociale”. Sorrise, ed Elisabeth lo fissò rapita. “Vuole vedere il backstage? Conosco una scorciatoia” continuò speranzoso allungandole una mano e lei non poté trattenersi dall'accettare e dallo stringergliela forte.
Oh. Le nostre dita si incastrano perfettamente.
Si, era vero; parevano proprio destinate ad unirsi. Le mani grandi di Elisabeth sembravano essere state create esattamente per quello: accogliere, custodire, proteggere quelle piccole e delicate del bambino. I due si scambiarono un cenno complice e iniziarono a correre sull'erba bagnata verso il retro del palco.
E poi successe l'ultima volta.

L'ennesimo istante, come se il tempo si fosse bloccato perché voleva mostrarle qualcosa.
O farle ricordare. Farle rivivere.
Le mura crema non c'erano; ora erano in un corridoio ricco di arazzi e stavano correndo. Quel ragazzo in giacca e cravatta che aveva visto anche prima, e che sapeva essere Devon, la stava guidando da qualche parte. Si stava perdendo ad osservare l'eleganza di quel posto quando il suo occhio cadde sulle sue gambe: indossava dei pantaloncini e degli stivali.
E poi sulle loro mani, che non erano proprio quelle di Elisabeth e Devon, ma che avevano un modo di completarsi a vicenda identico.
Si erano trovati: occhi, mani, anime.
Di nuovo.

***

Se era un sogno qualcuno doveva svegliarlo, perché avrebbe preferito decisamente ricevere la brutta notizia in quel momento piuttosto che dopo, quando sarebbe stato troppo tardi per tornare indietro. Correre in quel corridoio con quel ragazzo, Blaine, quel super-carinissimo e sexyssimo – si dice sexyssimo? Io dico di si – ragazzo della Dalton in giacca e cravatta che lo aveva preso per mano dopo nemmeno un minuto di conoscenza, per andare a sentire un esibizione del Glee Club della scuola che era popolare – popolare, ci rendiamo conto? - non poteva essere assolutamente realtà. Arrivarono in una stanza affollata e quando Blaine gli lasciò la mano a Kurt mancò immediatamente quel contatto, perché aveva avuto la sensazione che le loro dita si incastrassero insieme alla perfezione, proprio come i pezzi di un puzzle. Guardandosi intorno il soprano si sentì un po' a disagio: era vero che il suo outfit era cento volte meglio di quella divisa, ma essendo l'unico a non indossare un blazer si sentiva davvero un pesce fuor d'acqua.Mi sento come un pinguino all'equatore!” sputò senza pensare.
Ma non solo qua, Blaine,
avrebbe voluto aggiungere.
Dappertutto. A scuola, a casa, al supermercato. A volte anche quando sono solo in camera mia.
Il ragazzo si voltò verso di lui, sorridendogli, e a quel gesto Kurt si sentì un po' meno spaesato.
La prossima volta ricordati la giacca novellino... e sarai uno di noi!” gli rispose ridendo e aggiustandogli il colletto della giacca. Il cuore del soprano mancò qualche battito.
Era ancora vivo?

Kurt arricciò il labbro, leggermente in imbarazzo, perché beh...insomma! Non aveva mai avuto così tanta confidenza con un ragazzo conosciuto da cinque minuti.
Blaine si allontanò da lui, giustificandosi con un “E ora, se vuoi scusarmi” e dirigendosi al centro della sala iniziò a cantare. Fu circondato presto da gli altri componenti del Glee Club, perché ormai era scontato che lui ne facesse parte, ed insieme intonarono una canzone di Katy Perry – ovviamente - . Per Kurt, tuttavia, avrebbero potuto cantare anche la versione in aramaico antico della Bibbia, che non avrebbe fatto differenza, perché lui era troppo concentrato su qualcuno per poter prestare attenzione alla canzone.

***

E mentre continuava a seguire quel ragazzo, mentre la sua mente cercava invano di decifrare quella strana sensazione che provava allo stomaco, solo una cosa la teneva saldamente legata alla realtà.
Musica. Una canzone che li raggiungeva ormai da lontano, dalle casse gracchianti di un vecchio stereo.

 

O da un coro di ragazzi in giacca e cravatta.

 

I'ma get your heart racing
In my skin-tight jeans
Be your teenage dream
Tonight
Let you put your hands on me
In my skin-tight jeans
Be your teenage dream tonight

***

Blaine aveva una voce così dolce e melodiosa, che la sensazione che donava al soprano era paragonabile a quella di un bacio, uno di quelli soffici, delicati, a fior di labbra, tanto intensi quanto ineffabili. Kurt avrebbe semplicemente voluto fermare quel momento, mettere pause e passare il resto della vita in quel fantastico istante, ma più voleva bloccarlo, più lo sentiva scivolare via dalle dita come fosse sabbia.
E più stringeva, più il tempo sembrava correre.
Per questo non staccò mai gli occhi da quelli di Blaine, per questo cercò di scolpire nella mente i più piccoli dettagli e particolari: non avrebbe mai dovuto dimenticarsene.
I loro sguardi restarono incatenati tutto il tempo, perché quasi come le loro mani, anche i loro occhi sembravano aver trovato dove specchiarsi, dove trovare riparo, dove incastrarsi.
Quella mattina, quel 9 Novembre, tante, troppe, cose si erano incastrate.
Dita, mani, occhi, anime.
E tutti quelli erano pezzi di puzzle destinati a rimaner legati per l'eternità.

 

My missing puzzle piece
I'm complete
let's go all
The way tonight
No regrets, just love
We can dance, until we die
You and I
We'll be young forever

 

***

 Nessuno dei due seppe mai spiegare cosa scattò a Hyde Park quella mattina, ma se fossero stati una coppia probabilmente qualcuno l'avrebbe definito un colpo di fulmine.La cosa certa fu che Elisabeth cercò di accelerare tutto il percorso burocratico più che poté, non andando al lavoro per settimane così da potersi preparare al meglio fino a che, dopo svariati incontri con lo psicologo ed uscite con Devon, finalmente, quasi due mesi dopo, riuscì a firmare un foglio che gliene affidava la completa custodia.

Per la seconda volta Hyde Park le aveva stravolto la vita, e questa volta nel migliore dei modi possibile. Elisabeth aveva impressi nella mente e nel cuore tutti i più piccoli particolari, i più insignificanti dettagli di quel 9 di Novembre, e da quel giorno in poi li aveva sempre voluti definire i segni che il destino le aveva mandato; perfino il fatto che avesse scelto casualmente il cd di Katy Perry in tutta quella mischia dopo tanto tempo non le sembrava più una coincidenza.

Destino, fato, provvidenza. Ognuno lo chiama con un nome diverso, ma intendono tutti la stessa identica cosa. Una forza superiore, una necessità, che sembra determinare gli eventi e appare esterna e superiore alla volontà dell'uomo. Ma quanto potere ha effettivamente il destino? Siamo delle semplici marionette in suo possesso, o aveva ragione Appio Claudio quando diceva faber est suae quisque fortunae?
Chi lo sa.
Forse alcuni usano la parola destino, e altri la parola Dio, semplicemente per indicare qualcosa al quale potersi aggrappare nei momenti di bisogno, o da incolpare quando tutto va male, per potersene lavare le mani quando le cose sembrano volgere al peggio. Io non so in cosa credere, e forse non lo sapeva nemmeno Elisabeth, ma sono del parere che una fede universale dovremmo averla tutti: quella nell'amore.
In quell'amore chiassoso che ti fa sentire le farfalle svolazzare nello stomaco e ti fa battere il cuore all'impazzata; in quell'amore silenzioso che ti toglie il fiato e il cuore invece te lo fa fermare.
In quell'amore che non ha paura delle discriminazioni, degli insulti, di lottare per potersi mostrare.
In quell'amore che è davvero per sempre, quando il per sempre equivale all'eternità; in quell'amore che vince anche la morte, e che si ritrova dopo di essa ancora più forte di prima...dovunque e qualunque sia questo dopo. Nell'amore, qualsiasi sembianza esso abbia, quella tra due amanti, tra fratello e sorella, tra madre e figlio. Tutti dovremmo credere nell'amore, in qualsiasi forma esso si mostri, perché dopotutto gli si può concedere il lusso di apparire con parvenze diverse senza però che esso perda nulla della sua essenza.

 Era una giornata che ricordava alla perfezione. E sempre l'avrebbe ricordata, perchè quando i loro occhi si erano incrociati, in un oceano azzurro di miele lu-lei aveva trovato finalmente il fatto.

 E poi, in fondo, chi dimentica il giorno in cui ha incontrato il primo amore? Il pezzo mancante del proprio puzzle?
Beh, di sicuro non loro, non Kurt e Blai- ehm scusate, non Elisabeth e Devon.

 

 

   
 
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