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Autore: LovelyFrog    21/11/2012    2 recensioni
“Allora, come vi siete conosciuti?”. La ragazza dai capelli color del sole abbassò un attimo lo sguardo, fissandosi le mani. Come si erano conosciuti…si erano conosciuti in modo piuttosto insolito per una coppia…
Questa one-shot è basata su una canzone. Buona lettura:)
Genere: Introspettivo, Malinconico, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Harry Styles, Liam Payne, Louis Tomlinson, Niall Horan, Zayn Malik
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Quando in anticipo sul tuo stupore
verranno a chiederti del nostro amore
a quella gente consumata nel farsi dar retta

un amore così lungo
tu non darglielo in fretta



“Allora, come vi siete conosciuti?”. La ragazza dai capelli color del sole abbassò un attimo lo sguardo, fissandosi le mani. Come si erano conosciuti…si erano conosciuti in modo piuttosto insolito per una coppia…
 
***
Le ragazze intorno a lei urlavano in preda alla frenesia. Anche lei era attanagliata da una gioia irrefrenabile, ma non lo dava a vedere: semplicemente li fissava, ondeggiando lievemente al ritmo di quelle canzoni che più di una volta l’avevano salvata, per la prima volta sentendoli dal vivo. Si stava facendo male, lo sapeva benissimo: la verità era che li amava ancora, anche se aveva strappato via tutti i poster, anche se si era ripromessa di non andare più a vedere una loro foto, una loro notizia, qualsiasi cosa che potesse farla sentire ancora annientata dall’idea di non poterli vedere, di non potergli parlare, di non poterli abbracciare. Di non potergli dire quanto loro significavano per lei. Ma non era riuscita a rinunciare alla musica, quello per lei era troppo. E quando aveva saputo che loro sarebbero venuti in concerto, qui, in Italia, non poteva crederci. Come non poteva credere che sua madre le avesse regalato un loro biglietto. Scoprì solo dopo che la donna aveva risparmiato mesi per permetterselo, visto che era uno degli ultimissimi rimasti. Ed ora era lì, a così poca distanza da loro.
Era stato allora che lui l’aveva guardata: l’aveva fissata dritta negli occhi, senza vacillare. Le aveva sorriso per un attimo e si era rimesso a cantare, guardandola, ammiccandole. Era a lei che stava cantando, si rese conto.
Quello fu l’inizio di tutto
***
 

Non spalancare le labbra ad un ingorgo di parole
le tue labbra così frenate nelle fantasie dell'amore


“A un loro concerto.”. “Ohhh, eri una loro fan? Sentito ragazze, non dovete mai perdere la speranza!”
Odiava quella donna. Odiava dover parlare di tutto questo, di dare in pasto allo schermo la loro storia. Loro, e soltanto di loro due.
Ma il suo agente non le aveva lasciato scelta.
“E dimmi, lui com’era: che tipo di fidanzato era?”
Lui era…
 
***
Si accese una sigaretta, mentre si sdraiava accanto a lui. Il suo petto caldo la accolse, stringendola in una morsa dolce e protettiva. Si fissarono un attimo, mentre ad entrambi un sorriso affiorava alle labbra. “Sai, credo di amarti…”. Lui la fissò un attimo, poi portò le sue labbra alle sue e le diede un lungo bacio. Anche se si vedevano così poco, era ormai da un anno che si sentivano, ogni giorno, quali che fossero gli impegni di lui. Appena poteva, schizzava da lei su un aereo privato.
E tutto questo perché l’amava.
“Anche io…”. Quella sorrise sulla sua bocca, mentre dolcemente gli lasciava dei baci lungo il collo, sul petto, sulla spalla. Il suo profumo le era  rimasto impresso a fuoco nella mente la prima volte che si erano parlati faccia a faccia, la prima volta che si erano visti. Avrebbe riconosciuto quel profumo ovunque, quel profumo di casa, quel profumo così forte, di muschio e biancheria pulita.
 
 

dopo l'amore così sicure a rifugiarsi nei "sempre"
nell'ipocrisia dei "mai"

“Non lasciarmi mai…”.
Lui la fissò negli occhi per una attimo: quelle parole erano così difficili da mantenere, così impossibili. Era giusto dirle, se poi probabilmente le avrebbe infrante? Continuò a fissarla e si accorse, in un lampo, che lei non aspettava una risposta: lei aveva capito che nel suo silenzio c’era tutta l’indecisione di fare una promessa del genere, una promessa così grande. Lei ormai lo conosceva così bene da potergli leggere in faccia tutto ciò che pensava, come del resto poteva benissimo fare anche lui.
Entrambi sapevano che se lui era quello realista, quello concreto, quello che non faceva promesse al vento, lei era quella romantica, quella sognatrice, Quella che credeva ancora nel ‘per sempre’. Era la speranza che la animava nonostante ne avesse passate tante, quella speranza così focosa e ardua che la spingeva sempre verso la fiducia, verso l’amore incondizionato. Mentre lui sapeva fin troppo bene quali erano i rischi, qual era la realtà della loro situazione. Sapeva che probabilmente non ci sarebbe stato alcun per sempre nella loro vita, se non il per sempre dell’ipocrisia del per sempre.
Ma per quanto poco lui ci credeva e per quanto arduamente invece ci credesse lei, l’uno non avrebbe mai convinto l’altro.
***

non sono riuscito a cambiarti
non mi hai cambiato lo sai.


“Era romantico, ma realista. Sapeva ancor prima di me che non era una storia che poteva durare a lungo…”
La conduttrice le posò una mano su una spalla, con i suoi occhi pieni di una commozione finta come le sue tette. Lei si permise di fulminarla con lo sguardo, prima di abbassare gli occhi e poi guardare altrove. La donna tolse intelligentemente la mano da dove l’aveva posata.
Le telecamere inquadrarono la sua faccia, fissandosi su una lacrima che, volontariamente, come il suo agente le aveva ordinato di fare, lasciò cadere dagli occhi finemente truccati.
 

tu regalagli un trucco che con me non portavi
e loro si stupiranno
che tu non mi bastavi,

 

“In fondo c’era da aspettarselo da uno come lui. Una rottura così netta, così dura, dev’essere stata un colpo terribile per la tua giovane età. Del resto lui aveva così tanti difetti, insormontabili agli occhi di qualsiasi donna.”
“No…lui era solo umano. Come tutti noi, anche lui aveva i suoi difetti…”
 
***
Il vaso si scaraventò sul pavimento, in milioni di pezzettini, mentre la ragazza che sembrava aver rubato i raggi al sole lo fissava, attonita, senza sapere cosa fare. Lui continuava a camminare avanti e indietro, a imprecare, a maledire qualsiasi dio avesse mai udito, senza sosta, un flusso gorgogliante e infinito di parole. Un altro schianto, stavolta una sedia, scaraventata contro un muro. Lei guardava i mille pezzettini di legno che si sparpagliavano per terra, come un enorme, grande puzzle. Era immobile, mentre lo fissava in preda ai fumi dell’ira aggirarsi come una fiera ferita avanti e indietro.
Non aveva paura.
No, lui non le avrebbe mai fatto del male. Perché sapeva che lui l’amava, sapeva che se lei soffriva, soffriva anche lui, per questo sapeva che non le avrebbe mai fatto del male. Anche se, fra i suoi difetti,  il peggiore era l’ira incontrollata.
Per ciò continuò a discutere, anche se lo vedeva, vedeva che la rabbia gonfiava dentro di lui come l’aria che gonfia un palloncino vuoto, la poteva sentire, quella lava incandescente che, bruciante, gli sgorgava dagli occhi. Forse non aveva letto i segnali, forse semplicemente li aveva ignorati.
Il ceffone a mano aperta che le fece girare il viso arrivò così forte e inaspettato da mozzarle per un attimo il fiato.
Si portò una mano alla guancia ferita: lui stava lì, davanti a lei, gli occhi sgranati dalla sorpresa, la mano ancora tesa a chiudere l’arco che aveva percorso per colpirla. La bocca di lei era semi aperta, incredula, davanti a quel gesto. Vide il disgusto farsi strada nei suoi occhi, mentre portava la mano che come l’ascia del boia era calata su di lei fra i capelli, e cercava con l’altra di nasconderle i suoi occhi, pieni di vergogna e ribrezzo per se stesso.
Iniziò a singhiozzare, piano, per poi diventare sempre più forte e incessante, quel pianto che voleva dire solo una cosa: non volevo.
Lei lo fissava, una mano a mezz’aria fra loro, lo sguardo dolce di chi capisce: lui non voleva ferirla, lui non voleva farle del male, lui non le avrebbe mai fatto del male. Era la prima volta che posava anche solo un dito con eccessiva forza su di lei, ma lei sapeva perché ora lui l’aveva fatto. Lui l’aveva fatto per mettere a tacere la verità che gli stava dicendo, per mettere a tacere la parte di lui che la pensava come lei.
L’aveva picchiata con l’intento di picchiare se stesso.
Quando lei posò una mano sulla sua spalla lui la scansò, mugugnando parole senza senso, spezzate dai singhiozzi. Lei non demorse, lo strinse a se, finché lui non si lasciò andare fra le sue braccia e pianse, pianse come non lo aveva mai visto piangere, pianse come lui stesso non si era mai sentito piangere.
Perché si sentiva sporco, sporco al contatto con quelle mani così pure, così dolci, così incontaminate. Poteva vedere fra le lacrime il segno rosso sulla gota che le aveva lasciato, poteva vederlo chiaramente, il punto dove con la sua bruttura l’aveva cercata di macchiare. Lei non lo lasciò ritrarsi dalle sue braccia, dove si aggrappava con tutta la sua forza, con la forza della disperazione. Piangeva, continuando a ripetere solo una parola, scandita dai singhiozzi e dalle labbra tremanti.
“Perdonami”…”Perdonami”
***
 
Il ricordo le annebbiò la vista, per un attimo di vera commozione. Ma fu un attimo, una attimo che in diretta nazionale non fu nemmeno notato. Le iridi grigi si fissarono sullo schermo di tutte le persone che la stavano fissando: mai, nemmeno nelle foto di moda che per tre anni si era lasciata scattare, era stata così bella, così vulnerabile, così maledettamente allettante.
Ma per chi l’aveva vista in prima persona, quello sguardo era solo l’ombra di quel grigio color del cielo rannuvolato. Perché i suoi occhi fissavano vacui tutto ciò che la circondava, privi di quel velo di falsa emozione che la caratterizzava quando si trovava a contatto col mondo dello spettacolo. Quegl’occhi schermavano la vera lei, la lei che lui aveva visto, e di cui si era innamorato
 

i tuoi occhi come vuoti a rendere per chi ti ha dato lavoro
i tuoi occhi assunti da tre anni
i tuoi occhi per loro,

 
I suoi occhi, che ormai non riuscivano a trovare pace, troppo intenti a vivere nel passato per curarsi del presente, quegl’occhi così irrequieti eppure così calmi, intenti a osservare senza vedere, a sorridere senza gioire, a bagnarsi senza piangere.
I suoi occhi, ormai persi, persi per sempre.
No, non persi, regalati, regalati a lui, che li avrà per sempre con se nel suo cuore. Anche lei sapeva di avere i suoi occhi con lei, quegl’occhi così particolari, di un caldo color nocciola, così pieni di emozioni. Anche se lei non lo sapeva, quegl’occhi la stavano guardando. O forse, forse dentro di lei lo sapeva: forse sapeva che attraverso lo schermo si stavano guardando, si stavano parlano. Un messaggio fra loro due, nessun’altro, solo per loro. Era il loro addio, un addio sincero, un addio patito.
Un addio per sempre.
E quegl’occhi vacui, per la prima volta veri dall’inizio del programma, sembravano così provati, così vissuti: così corrosi.
 

e troppo stanchi per vergognarsi
di confessarlo nei miei
proprio identici ai tuoi


Ma non era stato lui a corroderla.
A corroderla era stato dover stare sempre nei riflettori, non vivere quell’amore così vero, così forte, dietro le quattro mura di casa, al parco sotto un albero, al cinema nel buio della sala. Quell’amore era stato strappato, lacerato, consumato dalla televisione troppo velocemente per entrambi. Entrambi ne erano rimasti così distrutti da volersi rifugiare per sempre nell’anonimato, voler essere per la prima volta nella loro vita invisibili: poter avere una vita normale, un litigio normale, del sesso normale, dei baci normali. Un amore normale.
Ma a loro non era concesso.
 

sono riusciti a cambiarci
ci son riusciti lo sai.

 
“E…dimmi, hai già cercato di dimenticarlo con qualcun altro?”
Lei si volse verso la conduttrice, china verso di lei, il collo esageratamente lungo che si sporgeva verso il suo viso, gli occhi quasi che buttavano all’infuori.
Non l’avrebbe detto a lei, non l’avrebbe detto a quell’inutile giraffa che voleva solo un attimo di fama riflessa solo per lei, un attimo di attenzioni nella sua patetica scalata al successo. No, l’avrebbe detto a lui. In fondo era solo per lui che parlava.

Ma senza che gli altri non ne sappiano niente
dimmi senza un programma dimmi come ci si sente


“No…non ho ancora trovato nessuno. Ma spero un giorno di trovare qualcuno che mi ami come lui è riuscito ad amarmi, un uomo che sappia farmi sentire di nuovo innamorata come lo sono stata fino a pochi mesi fa.”. Lei le sorrise, con quei denti fin troppo bianchi, mentre faceva finta di asciugarsi una lacrima di commozione. “Hai ancora tempo cara. Dimmi, hai già adocchiato qualcuno?

andrai a vivere con Alice che si fa il whisky distillando fiori
o con un Casanova che ti promette di presentarti ai genitori

 
“Non ancora…”
 
•••
Fuori il vento di metà dicembre imperversava. La ragazza si infilò gli occhiali e nascose il volto nella folta sciarpa, prima di essere scortata fuori nel marasma di ragazzine che le lanciavano a dosso di tutto. Aveva dovuto confrontarsi con le fan fin dal primo giorno che si era trovata spiattellata in prima pagina in un fotomontaggio insieme a lui. Allora la maggior parte era felice di vedere il loro idolo con una fan a tutti gli effetti, per di più straniera. Ma ora non ce n’era una che non la odiasse, che non la aggredisse per strada, che non la insultasse sui social network. Ormai non le faceva più né caldo né freddo.
Entrò nella macchina con i finestrini oscurati e si lasciò adagiare sulla morbida pelle. Era svuotata, svuotata di tutto. Quell’intervista era stata più dura di quanto potesse immaginare: il dolore per la sua rottura con quello che per anni era stato il suo salvatore le aveva lasciato uno squarcio indelebile nell’anima, una ferita che non si sarebbe mai rimarginata davvero. Anche ora, lontana dalle telecamere, non riusciva a permettersi di piangere: era ancora rinchiusa, in gabbia, sottomessa a quello che gli altri le dicevano di fare, di dire, di provare.
Era quella la sua vita, ora e per sempre.
Che buffo usare quelle due parole. Per sempre. Il per sempre, l’aveva capito, non esisteva. E l’aveva capito nel peggiore dei modi, scoprendolo con lui, con i suoi baci, con le sue carezze, con le loro chiacchierate.
Con il loro addio.
L’aveva capito, e forse non l’avrebbe mai più usato quel dannato ‘per sempre’. Lei lo aveva creduto, e forse, forse per un attimo c’aveva creduto anche lui, avevano creduto che insieme avrebbero potuto affrontare il loro palcoscenico, avrebbero potuto affrontare la bramosia di quel pubblico mai sazio, avrebbero potuto sopportare la stanchezza del dover sempre andare avanti, qualunque cosa fosse successo, in quello show che sarebbe durato davvero per sempre.
Ma forse erano stati degli ingenui, troppo giovani per aver capito che non c’è mai il lieto fine nei per sempre: nei per sempre c’è solo la stanchezza, la noia, lo sforzo. Che nei per sempre non si vince mai.
Uno striscione con l’immagine di una ragazza alta e bionda apparve come per magia per la strada. Con qualche fatica, la ragazza dagli occhi color dell’asfalto si riconobbe in quel cartellone pubblicitario: mezza nuda, in una posa tutt’altro che casta, mentre si metteva un lucida labbra color ciliegia, mentre le sue labbra urlavano ‘baciami’.
Dov’era finita? Chi era lei?
In lontananza, nell’abitacolo, poteva sentire la voce del suo agente che, dentro lo schermo quadrato della sua limousine, la aggiornava su quanto avrebbe fatto nelle prossime due ore: altri meeting, altre interviste, un paio di foto e poi una festa a cui non poteva assolutamente mancare.
Lei non voleva, non poteva farlo.
Non ce la faceva, non riusciva ad andare avanti: aveva solo bisogno di un attimo, un attimo per piangere la perdita di quello che era, a tutti gli effetti, la sua adolescenza, fatta da promesse e da false speranza, in cui lei riponeva tutta la sua fatica e la sua frustrazione per non poter fare ciò che voleva, per non poter mangiare a pranzo un sano cheeseburger, per non poter mettersi a correre nel mezzo di strada, per non potersi presentare al mondo completamente struccata. Per non poter essere libera.
 

continuerai a farti scegliere
o finalmente sceglierai.

 
Ma non stavolta.
“Ferma la macchina!”. L’autista sembrò non capire, la guardava sbalordito dallo specchietto retrovisore. “Ho detto ferma la macchina!”.
Quello sembrò capire il messaggio e frenò. La ragazza premette contro la portiera, mentre era già pronta per correre verso quel parco sulla sinistra, all’ombra di alberi alti e ampi.
“Che cosa credi di fare?! Torna nell’auto!”. Lei fissò lo schermo, con quei suoi occhi che per un attimo irradiavano una felicità che per troppo tempo era rimasta latente per color che non fossero lui.
“Mi dispiace, ma io devo andare. Ho un impegno inderogabile, quindi dovresti cancellarmi tutti quelli che hai preso per la giornata.”. “Cosa?! No, è impossibile, non si può fare! Con chi lo avresti questo impegno?”.
La ragazza gli sorrise e spalancò la portiera al sole gelido di metà inverno. “Con me stessa.”
Non attese la risposta dell’agente. Semplicemente uscì all’aria aperta e si richiuse la sua gabbia alle spalle. Era libera. Si addentrò nel parco, respirando a pieni polmoni l’aria fresca e pungente che le riempiva le narici, la gola, il petto. Il cuore. Si, era libera, e mai sarebbe tornata a quella prigionia. Perché con lui aveva capito cosa volesse essere sinceri, cosa volesse dire essere veri con coloro che ti stanno attorno. Come poteva fingere ancora, come poteva nascondersi ancora sotto quella maschera, così soffocante e stretta, quando aveva provato la sensazione della pelle che respira l’aria pura?
Si avvicinò al piccolo laghetto al entro del parco, osservando le peperelle che infreddolite se ne stavano tutte ammucchiate le une accanto alle altre, a scaldarsi. Fissò l’acqua increpata dal vento gelido e si vide riflessa: vide il suo volto così perfettamente mascherato, così perfettamente curato e truccato. Così perfettamente finto. Superò lo steccato e immerse i piedi nel lago, mentre brividi di freddo le correvano dalle piante dei piedi su, fino alla punta dei capelli, lasciandole una piacevole sensazione sulla pelle. Il sole pallido non riusciva a riscaldarla, ma non le importava.
Immerse la faccia nell’acqua cristallina, beandosi della sensazione del trucco che colava via, che scivolava dalla sua pelle nell’acqua gelida, che lasciava libera la sua faccia. Quando non riuscì a trattenersi liberò il volto dalla morsa gelida e bagnata del lago, lasciando ricadere i capelli gocciolanti sul cappotto. Sorrise.
Si era dimentica di quanto le piacesse sorridere.
Poi il sorriso si allargò finché gli angoli della bocca non ricaddero all’ingiù e dai suoi occhi sgorgarono grosse e calde lacrime. Lui non c’era più. Lui non ci sarebbe mai più stato al suo fianco. Se chiudeva gli occhi poteva ancora sentire il suo profumo. Prese il telefono e andò ai vecchi messaggi, ai loro vecchi messaggi. Le dita scorrevano veloci sul palmare.
“Grazie. Grazie di tutto. Sei stato il mio primo vero amore e adesso ho capito quello che volevi dirmi, adesso finalmente capisco. Non esistono i lieto fine. Ma sappi che non hai ragione. Perché io ti amo, ti amo ancora, e ti amerò per sempre. Addio.”
Inviò il messaggio. Rimase a guardare  il lago, in silenzio, mentre il cielo si oscurava velocemente e i lampioni si accendevano, iniziando a illuminare le vie sterrate fra l’erba del parco. Le peperelle se ne erano andate, forse a casa, al calduccio. Lei non aveva una casa dove tornare. Non credo che aspettasse una sua risposta, piuttosto credo che aspettasse il coraggio, quel coraggio di darci un taglio. Prese il cellulare, rigirandoselo fra le dita, prima di buttarlo nell’acqua ormai nera, lontano dalla riva.
In cuor suo avrebbe voluto seguirlo.
Voleva adagiarsi in quelle acque che sembravano così calme, così ammalianti, così stramaledettamene dolci da poterla finalmente acquietare quel dolore sordo che sentiva proprio in mezzo al petto. Ormai non aveva più lacrime da versare, le aveva finite tutte. Perciò rimase lì, a fissare un punto indefinito lontano, in mezzo agli alberi, a seguire le ombre che sotto la flebile luce si rincorrevano, giocando a nascondino, fra le frasche maestose del parco. Piano piano gli angoli della bocca si arcuarono in un accenno di sorriso, un sorriso timido, impaurito, troppo debole per resistere anche solo a una piccola cattiveria. Ma il sorriso si allargava, cresceva, finché non divenne forte abbastanza da sopportare il vento malevolo che imperversa nel mondo.
“Starò bene.”
 
 
 


Hola cocorite:D
questa  OS è basata sulla canzone di De André 'Verranno a chiederti del nostro amore'
finta di scriverla mi sono accorta che non avevo scritto il nome, ma mi piaceva così, quindi l'ho omesso:)
Comunque, io l'ho immaginata con Zayn;D
Spero vi piaccia sto coso, mi è venuta un po' di getto, e non so a quante piaceranno
Un abbraccio morbido:3
xx
P.S. la canzone ve la consiglio, è lenta, ma è davvero dolcissima:')

 

LovelyFrog

  
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