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Autore: Evilcassy    21/11/2012    8 recensioni
"Natalia."
“…?”
"Quando vuoi usare il mio nome intero... non dico sempre, però ogni tanto... sentiti libero di chiamarmi Natalia."
Annuisce, le passa una ciocca di capelli dietro l'orecchio. "Lo preferisci?"
"Credo mi piaccia sentirlo, ogni tanto." Fa una pausa, lo fissa con l'angolo delle labbra piegato in un sorriso: "Mi piace che tu mi chiami con il mio vero nome."
È un'autorizzazione, un privilegio a suo esclusivo uso e consumo. Clint sorride di rimando: "D'accordo" La bacia. "Ci vediamo, Natalia."
Genere: Avventura, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Clint Barton/Occhio di Falco, Natasha Romanoff/Vedova Nera
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
- Questa storia fa parte della serie 'The Gushing Ledger.'
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To Stand For.

 

 

 

So I learned to cook
and finally lose my kitchen phobia
So I've got the arms to cuddle in
When there's a ghost or a muse
That brings insomnia
To buy more thongs
And write more happy songs
It always takes a little help from someone

 

[Shakira –The One]

 

Labbra che premono sul collo, braccio attorno alla vita.

I capelli a spazzola sono ancora umidi - è appena uscito dalla doccia, quando è entrata in casa sentiva l'acqua scrosciare - e lei si è lasciata cogliere di spalle mentre addentava un sandwich trovato sul mobile della cucina.

"E chi ha detto che questo spuntino fosse per te?" Baci leggeri sulla pelle nuda, brividi che ignora per gioco. Le braccia si appoggiano sul mobile ad intrappolarla.

Natasha non si scompone, seguita a masticare in tutta tranquillità. "Vuoi farmi credere che hai preparato questa prelibatezza al tacchino per te?"

Altro morso, è costretta a spostare la mano di lato per non farsi rubare un boccone da lui.

Polso bloccato.

Passa il panino nell'altra mano: oh no, non intende proprio dividere quella delizia con nessun altro. La bocca di Clint si chiude sulla punta delle dita libere. Scivolano tra le sue labbra con una lentezza esasperante, la lingua a stuzzicare i polpastrelli.

Gran bella idea che ha avuto a lasciargli le chiavi di casa: in materia di accoglienza Clint è veramente un portento, è un campione di tempismo e... ha una Calibro 357 nascosta sotto l'asciugamano o è contento di vederla?

Natasha simula noncuranza, continuando a fingere di prestare attenzione solo al sandwich: sa di essere stuzzicante quando gioca a non considerarlo, e sa come Clint reagisca con più impegno nella sua opera di convincimento in questo gioco.

Così, mentre lecca via la maionese delle sue dita - un dito per volta tra le labbra - quelle di Clint sono sui bottoni della camicia, a farli scivolare tra le asole con una semplicità straordinaria: sanno essere magiche, prima o poi dovrà chiedergli se è un'abilità data dall'addestramento con l'arco.

La camicia scivola sulle spalle, lungo la schiena e le braccia, raggiunge per terra l'asciugamano che Clint aveva attorno alla vita sino ad un secondo prima.

Penultimo boccone, adesso fa fatica a deglutire, il bicchiere d'acqua lì di fianco sembra una benedizione.

"Avrai tempo di mangiare più tardi." Il suo respiro è sulla nuca ed è il bottone dei pantaloni scuri ad arrendersi alle sue dita.

"Difficile, parto tra sette ore."  Già, proprio così: lui ritorna, lei parte. Qualcuno nello S.H.I.E.L.D. deve sospettare qualcosa

I jeans scivolano lungo i fianchi accompagnati dal fiato caldo che percorre la sua spina dorsale verso il basso: "Garantisco che partirai sazia."

 

"Non è meglio se dormi un po'?" Clint batte il palmo sul cuscino a fianco del suo come invito: Natasha sta controllando la sua attrezzatura - per la terza volta da perfezionista qual'è - e mancano soltanto cinque ore alla sua partenza.

Lei bofonchia un 'adesso arrivo' piuttosto distratto mentre rimette le mani sui suoi Morsi di Vipera.

"Tasha..."

"Finisco solo di calibrare..."

"Tash.."

"Giuro, controllo solo che le munizioni siano..."

"Nat..."

"Un po' di pazienza e..."

"Nattie..."

La testa rossa si volta di scatto, gli occhi mandano lampi. "Come mi hai chiamato?"

Clint incrocia le braccia dietro la testa, non si da cura neppure di celare il sorriso sornione. "Nattie, bambolina." cinguetta canzonatorio.

Morsi di Vedova ai polsi, scatto e salto sul letto: "Mi serviva giusto una cavia su cui testarli..."

 

La sveglia suona, a Clint sembra di essersi appena addormentato. Si stropiccia gli occhi mentre la sente alzarsi ed andare in bagno.

Si mette a sedere sul letto per impedirsi di riaddormentarsi, che la vuole salutare prima della partenza.

Natasha ci mette poco, pochissimo. Esce dal bagno pronta, recupera la borsa con l'attrezzatura e gli schiocca un bacio a fior di labbra, per poi lamentarsi del suo alito pestilenziale post dormita. "Ci vediamo tra qualche giorno."

"Sempre che non mi mandino dall'altro capo del mondo." Lei alza gli occhi al cielo: "Niente di più facile."

"Puntiamo sulla qualità, non sulla quantità, Natasha."

Sorride. "Natalia."

“…?”

"Quando vuoi usare il mio nome intero... non dico sempre, però ogni tanto... sentiti libero di chiamarmi Natalia."

Annuisce, le passa una ciocca di capelli dietro l'orecchio. "Lo preferisci?"

"Credo mi piaccia sentirlo, ogni tanto." Fa una pausa, lo fissa con l'angolo delle labbra piegato in un sorriso: "Mi piace che tu mi chiami con il mio vero nome."

È un'autorizzazione, un privilegio a suo esclusivo uso e consumo. Clint sorride di rimando: "D'accordo" La bacia. "Ci vediamo, Natalia."

 

 

È alle spalle.

Incocca la freccia, ma l'avversario blocca l'arco e vira il colpo. Si divincola, respinge. L'ombra è veloce, scompare scivolando tra la ringhiera della passerella di metallo. Riappare al suo fianco.

Calcio alla vita, colpo al torace.

OcchioDiFalco arretra di un passo, coltello in mano, studia l’ombra per un istante, prima di attaccare.

Braccia bloccate, respiro affannoso ad un palmo dal suo viso. Afferra l'ombra per i capelli, torce la testa all'indietro.

La punta della lama le sfiora la gola. L'ombra resiste, è forte. Cerca di spostare la testa di lato, di togliersi dalla punta del coltello per mordergli la mano.

Non ce la fa.

La lama è affilata, le taglia la trachea come burro.

Sangue. Un'onda bollente sulle sue mani.

Non va bene, l'ombra muore troppo velocemente, così. Doveva soffrire, doveva pregarlo di risparmiarla - questa è la sua volontà.

Scivola a terra sulla schiena, tenta una strenua resistenza: incredibile come non si arrenda neppure in quelle condizioni. Solo quando è chino su di lei - Il coltello conficcato nell'addome e lei si muove sempre meno - la vista gli diventa nitida.

 

"Dimmi tutto."

Aveva obbedito.

Una risata bassa, di stupto scherno."...è amore, Agente Barton?"

Il Tesseract è più che conoscenza: è verità, il suo influsso non lascia spazio ad esitazioni.

Estrapolava le risposte direttamente dal suo cuore, senza che potesse porre nessuna barriera razionale.  "Sì."

 

I capelli dell'ombra hanno lo stesso colore del sangue. La belle madida di sudore è bianca, le labbra carnose, schiuse, solcate da un rivolo di sangue.

Sangue che lo imbratta sino al gomito, che brucia la pelle.

"...Natasha..."

 

Il pugno di Clint colpisce la lampada sul comodino - un modello di vetro dozzinale ed economico, niente di minaccioso o potenzialmente dannoso - scagliandola a terra.

C'è il rumore del vetro infranto, la scintilla elettrica dei contatti che si rompono e il silenzio della camera.

Cerca a tentoni l'interruttore della luce, lo trova e lo schiaccia.

La lampada è ridotta ad una nuvola di schegge sparse sul pavimento.

Non c'è nient'altro. Nessun corpo sul letto insieme al suo.

Si guarda le mani.

Pulite

Calli e pelle secca, ma niente sangue.

Riprende fiato, realizza.

Un incubo.

Piuttosto frequenti dalla battaglia di Manhattan. Di solito però riusciva a non prendersela con i suppellettili di casa.

Di solito però non sogna di uccidere Natasha al termine del loro scontro sull'Helicarrier.

Un paio di volte si era limitato a rifilarle nel sonno un calcio nelle costole e si era risvegliato con un occhio nero o sul divano. Senza contare di quella volta che si era messo a parlare nel sonno ed al risveglio si era accorto di essere stato abbandonato sul pianerottolo, testa sullo zerbino.

Guarda l'orologio: Le otto di mattina, ora di alzarsi.

Natasha a quell'ora doveva già essere arrivata a destinazione, probabilmente era già impegnata nella sua missione. Sul cellulare non c'è nessun messaggio, nessuna chiamata: il professionale silenzio di una spia impegnata sul campo, che non può e non deve avere contatti con il mondo esterno, tranne quelli di vitale importanza con la base.

Fuori c'è il sole di una bella e fredda giornata d'inverno che lo invita a fare una corsa all'aria aperta per stendersi i nervi.

E a comprare una lampada nuova.

 

“Posso farti una domanda? Sei libero di non rispondermi, è … personale.” 

Clint si porta la bottiglia alle labbra, beve un sorso di birra e lo invita con una mezza smorfia a continuare.

Banner giocherella con il bicchiere “Non per farmi gli affari tuoi è solo che...” si gratta la nuca in un modo più imbarazzato che nervoso. “Mi domandavo se fra te e Natasha … ecco, se tra voi due ci fosse qualcosa. Sei libero di non rispondermi, ne hai tutte le ragioni, capisco che sia stato indiscreto solo che … beh, me lo domandavo. Ecco tutto.”

La bottiglia di birra è mezza piena, è da quasi mezz’ora che si trovano al bancone del locale ed hanno esaurito gli unici argomenti trattabili: Battaglia di New York, relazioni con Tony Stark.

Riassegnato ad una missione di controllo sicurezza, Clint è andato nel pomeriggio a ritirare la sua attrezzatura nuova direttamente dalla provvisoria sede dei laboratori della Stark Industries, che Tony in persona aveva insistito per dare un’occhiata alle nuove munizioni intercambiabili delle frecce e doveva restituirgliele.

La sua nuova faretra era il doppio più capiente ed il triplo più accessoriata, l'inserimento delle punte era praticamente immediato e Stark aveva inserito un sensore nell'arco in grado di richiamare le frecce cadute nell'arco di quindici metri. .

Si era sentito come un bambino in un negozio di giocattoli: Non poteva chiedere di meglio.

Il suo umore era migliorato ulteriormente dopo un breve test balistico.

Dopo essersi assicurato di essere solo e fuori dall'occhio indiscreto delle telecamere di sicurezza, si anche era messo a saltellare come un idiota per l'eccitazione.

E dalla porta della palestra era comparso Bruce Banner.

"Birra. In cambio del tuo silenzio."

Inaspettatamente il dottore si era messo a ridere. "Stark mi ha già fatto firmare un contratto di riservatezza al momento in cui ho messo piede qui dentro, e ti posso assicurare che in soli due mesi ho visto ben di peggio. E poi... beh, ecco … la birra rende l’Altro Tizio … su di giri, diciamo.” Si era giustificato pulendosi gli occhiali con l’orlo del camice.

Oh, beh, peccato.

Tuttavia… beh, se scegliessi un locale che serve anche analcoolici…

La compagnia di Banner si era rivelata piacevole: non che sia un gran chiacchierone, ma almeno non sembrava camminare sul filo della malinconia come Rogers o essere un logorroico spaccone come Stark. Insomma, per passare una serata fuori non era male, anche se se ne era uscito con quella domanda.

Al suo posto Natasha avrebbe optato per una risposta ambigua del tipo: “Siamo Partners” valevole sia sul piano lavorativo che su quello sentimentale. Di sicuro, quella sarebbe stato il tipo di risposta più azzeccato e consono: la loro relazione era pur sempre sconsigliata, e avevano sorvolato sull’idea o meno di renderla pubblica a pochi intimi.

Anche perché loro, fondamentalmente, non avevano intimi. Neppure pochi.

Altro sorso di birra.

Gli torna in mente Coulson e a tutte le volte che l'aveva accusato di essere un 'Pusillanime Coglione' quando si trattava di Natasha.

E come biasimarlo, con una che come soprannome faceva “Vedova Nera”?

Probabilmente a lui l'avrebbe detto, della sua storia con Natasha: Coulson era una persona fidata e discreta. L'avrebbe preso in giro, poco ma sicuro, ma ci poteva scommettere il suo bulbo oculare sinistro che non ne avrebbe fatto parola con nessuno, e probabilmente avrebbe anche fatto in modo di non farli alternare così velocemente nelle rispettive missioni.

 

Ma Banner non è Coulson, non gli darebbe una pacca sulla schiena ordinando un’altra birra e facendo una battuta su un ipotetico Nido d’Amore e sul comprare cioccolatini alla vodka per San Valentino. Ma non è neppure Stark, che spammerebbe con gif animante di lui e Nat i terminali di tutto lo S.H.I.E.L.D.

E poi c’è anche un'altra cosa: C'è che Natasha ha dimostrato di essere incredibilmente affabile con il dottore, e lui con lei.

Un po' troppo, per i suoi gusti, e a Clint sorge il sospetto che quella domanda sia stata posta per sondare il terreno.

Gelosia e Paranoia. Cristo Santo, Barton, che ti ha fatto quella donna?

“Sì.” risponde soltanto, altro sorso alla birra.

Con sua somma sorpresa, piuttosto che abbattuto Banner pare piacevolmente colpito.“Immagino questa sia un’informazione assolutamente riservata, giusto?”

“Giusto.”

Sorso di birra per Clint. Di CocaCola per Banner. “E come fate a …”

“… a?”

“Voglio dire … con il vostro lavoro, immagino vi vediate … poco.”

“Diciamo che puntiamo sulla qualità, non sulla quantità.”

Bruce ride, e pare di gusto: “Oh, questa è ottima. Un sacco di coppie dovrebbero applicare questa tesi."

La birra finisce, la CocaCola pure. Banner insiste per offrire lui ma Clint è irremovibile, d'altronde si è ripromesso di pagargliela mesi prima ed ha una ragione in più per farlo, e si salutano. Mentre torna alla macchina Clint da un'occhiata al cellulare.

Nessuna chiamata.

La missione di Natasha sta procedendo correttamente.

 

I motori dell'elicottero sono già in funzione quando la voce della Hill alla radio ordina al pilota di non decollare e a Barton di scendere. "Il Direttore Fury ti attende nel suo ufficio."

"Il preside chiama." scherza con il pilota: "Deve avermi scoperto a fumare nei bagni."

Non è la prima volta che accade, che viene fermato mentre parte per una missione o fatto tornare indietro dopo cinque minuti e riassegnato.

È un po' una scocciatura, quando si è già entrati nell'ottica di una missione, venire sballottati a fare tutt'altro. Come per il New Mexico, l'anno prima: si era ritrovato nel deserto con l'attrezzatura e gli indumenti per sopravvivere in Groenlandia.

Ma tant'è, il lavoro è questo, e Clint è il tipo che in genere prende gli imprevisti con filosofia.

A stupirlo, piuttosto, è la presenza di Rogers, in divisa.

Che non è decisamente il tipo da dover essere richiamato dal preside.

"Hey Cap, vieni a farti un giro anche te?"

"Si, viene con te." Taglia corto Fury. "Cambio di programma." Il Capo non è decisamente di buon umore: batte le dita sul touch screen con decisamente troppa forza. "E cambio di destinazione."

Sullo schermo compare il protocollo dell’operazione Perovsk corredata dalla foto di Natasha.

Località: Kyzylorda - Kazakistan. [v. dettagli satellite - ultima localizzazione - area di interesse]

Assegnazione: Vedova Nera [v. profilo - ultima localizzazione]

Tipologia: Spionaggio militare/ antiterrorismo. [v. collegamenti]

Stato della missione: SOSPESA IN DATA ODIERNA. [v. riassegnazione]

Fury batte il dito sull'ultima voce.

RIASSEGNAZIONE TIPOLOGIA: Recupero.

 

A Clint manca un battito e non si da neppure troppa pena di nasconderlo.

"Dalle ore 19.37 di ieri sera, ora locale, abbiamo perso ogni contatto con l'Agente Romanoff sia via radio che via satellite. Come da protocollo, abbiamo attivato il Localizzatore di emergenza passate dodici ore.

È stato rimosso."

Un brivido percorre la schiena di Clint: serra la mascella e stringe i polsi, cerca di recuperare freddezza e lucidità, di scacciare dalla testa l’immagine di Natasha in un lago di sangue.

Steve lo osserva con la coda dell'occhio mentre lo sguardo di Fury resta fisso su Clint, a studiarne la reazione. "L'Agente Romanoff è ufficialmente dispersa, la procedura di recupero parte ora. Avete quarantotto ore di tempo."

 

Il Quinjet va troppo piano, per i suoi gusti.

"Stiamo andando incontro ad una tempesta tropicale sull'Atlantico, sarebbe rischioso aumentare la velocità di volo" Rogers esce dalla cabina di pilotaggio barcollando ed aggrappandosi.

"Stronzate, questo pezzo di latta ha resistito ai fulmini di Thor."

Rogers ignora il suo ultimo commento, raggiungendo il sedile a fianco e sedendosi. "I piloti ne prevedono il superamento tra tredici minuti."

"Dovevo pilotare io, quei due avranno preso il brevetto da una settimana scarsa."

"Gli ordini di Fury sono stati chiari."

"Degli ordini di Fury me ne fotto per hobby."

"No, quello è Stark." Clint lo fulmina con lo sguardo, poi si alza e si appoggia alla porta della cabina di pilotaggio. "Ti chiedo scusa, ho fatto una battuta in un momento pessimo."

"Decisamente."

Il capitano abbassa la testa, giocherella con le dita nervoso. Si scusa nuovamente, lo raggiunge e gli appoggia una mano sulla spalla. "So benissimo cosa si prova quando un proprio amico, un compagno è disperso e probabilmente in mani nemiche."

Clint ha uno scatto: "Non. Dirlo. Natasha non è in mani nemiche. Non è così stupida da cadere in una trappola o così incapace da non riuscire a liberarsi."

Barton, il Localizzatore..."

“È un equipaggiamento nuovo. Probabilmente non ancora testato a dovere. Mi sentirà Stark, al ritorno."

"Clint..." OcchioDiFalco gli volta le spalle, si risiede e si mette ad armeggiare con le munizioni. Steve rimane in silenzio, aspetta che si calmi e quando vede che controlla l'equilibrio delle frecce con meno nervosismo si azzarda a chiedere: " È la tua ragazza?"

"No." risponde secco. Rimette la freccia nella faretra, abbassa la voce sino quasi a sussurrare. "I liceali hanno la ragazza. Lei è la mia donna, la differenza è abissale."

 

C'è stata una raffica di colpi: uno dei membri della squadra di recupero è caduto a terra colpito ad una spalla ed un altro lo trascina dietro ad un muro.

Clint si getta di lato rotolando sull'asfalto sconnesso. Individua l'origine degli spari, focalizza la guardia - il visore notturno non gli impedisce di avere la sua solita vista eccellente- e fa fuoco.

Due volte.

Il cadavere della guardia cade dalla balaustra dell'edificio.

Altri colpi, si rintana dietro un muro. Rogers e gli altri sono dal lato opposto della strada.

I colpi cessano. Probabilmente le guardie stanno chiamando rinforzi e si preparano ad attaccare. "Abbiamo poco tempo, Barton." Cap si toglie lo schermo rilevatore dalla cintura e lo fa strisciare sulla strada, nella sua direzione. "Il Localizzatore non è lontano: vai avanti, noi li fermiamo."

"Affermativo."

 

Il localizzatore è un microchip di ultima generazione, una banda flessibile impiantata sotto la cute del braccio, in grado di trasmettere il segnale via satellite con una precisione millimetrica.

Ed è solo grazie al rilevatore che stringe tra le dita che lo trova.

È incastrato in una fessura del pavimento sbeccato di un condotto sotterraneo. C'è del sangue, per terra, abbastanza per più di una persona.

E segni di trascinamento: due corpi sono stati spostati.

Clint ha la gola riarsa e fa fatica a deglutire. Il localizzatore è lordato di sangue, ha pochi dubbi che sia di Natasha.

"...è amore, Agente Barton?"

"Sì."

Stringe il microchip nel pugno: nessuno può dire che sia finita, e finché non troverà un cadavere con le sue sembianze rifiuterà di credere che tutto quel sangue appartenga a lei.

Passi lungo il condotto.

Non si fa trovare impreparato: una freccia, due, tre.

Tre cadaveri a terra.

Quello a cui non è preparato è stato il rimbalzo del proiettile che il terzo è riuscito a sparare: cade in ginocchio, il fianco che sanguina copiosamente.

Altri passi, Clint incocca una freccia.

Dolore. Stringe i denti e scocca – Quarto cadavere a terra.

La vista gli si offusca.

Colpi di pistola alle sue spalle – Quinto cadavere a terra.

Si volta: a sparare è stata un’ombra.

Un’ombra bellissima, dai capelli rossi come il fuoco.

Clint sorride prima di perdere i sensi.

 

La sua figura è quella che desidera vedere ad ogni risveglio, più di quelli che accadono nella realtà. Sta frugando tra gli scaffali di una vetrinetta, dandogli le spalle.

Prova a muoversi ma il dolore al fianco lo fa desistere: gli scappa un gemito e lei si volta di scatto: “Stai fermo. Sono riuscita a toglierti la scheggia del proiettile e a darti qualche punto, ma hai perso molto sangue prima che riuscissi a fermare l’emorragia.”

Ha la guancia destra sporca di sangue rappreso, all'altezza del neo che lui le preme sempre quando sono da soli ed in vena di scherzare e prendersi in giro.

Natalia…” bisbiglia e lei si ferma un istante ed abbozza un sorriso.

“Presto starai meglio.” Prende in mano un fonendoscopio, due grossi aghi ed uno sfigmomanometro. Li appoggia ad un carrello al suo fianco, gettando a terra garze sporche ed una siringa.

Natalia…

Hey, ti ho detto di usarlo ogni tanto quel nome, Non sempre.”

Alza un braccio ad accarezzarle il viso. È vera, è reale. È qui ed è viva. È con me. Sente gli occhi che pizzicano e realizza che mai in vita sua si è sentito più felice, nonostante sia ferito e nascosto chissà dove.

“Il Localizzatore…

“È a causa di quello che mi hanno localizzata, l’ho dovuto togliere” spiega indicando con lo sguardo il braccio fasciato: Si è dovuta tagliare da sola, nel tunnel, ed estrarre il chip con il solo ausilio del suo coltello d’ordinanza. “Ho dovuto fare la stessa cosa con te.”

Poco male, ha sempre trovato quel chip eccessivamente invasivo. E forse era a causa di un controllo interno sui loro spostamenti che lo S.H.I.E.L.D. aveva intuito la loro relazione. La rimozione era assolutamente una splendida idea.

Si sente uno stupido ad aver dubitato di Natasha; doveva capirlo, doveva arrivarci subito, che quello era tutto un piano. Ma con chi pensava di avere a che fare?

Davvero, si era spaventato come se lei fosse una principiante, una donzella in pericolo?

La guarda ammirata tagliare il tubo in caucciù degli strumenti medici ed assemblarlo diversamente, con la pompa dello sfigmomanometro in mezzo e due tubetti che terminano nei due aghi, che sterilizza con la fiamma di un accendino.

“Cosa stai facendo?”

“Come ti dicevo, hai perso molto sangue.” Natasha si alza la manica strappata della tuta e si avvolge un laccio emostatico a monte del gomito: “Ed i nostri gruppi sanguigni sono compatibili. Non farò molta fatica a trovarti la vena…” Infila uno degli aghi nel suo braccio, così sicura e veloce che Clint ha un sussulto.

Poi picchietta le dita sul proprio avambraccio per rendere più evidenti le vene ed infila l’altro ago con la stessa sicurezza.

“Non starai facendo una trasfusione corpo a corpo, vero?”

“Bravo, che intuito!” Natasha stringe tra le mani la pompa di gomma, lentamente.

Una. Due. Tre volte. Attende un attimo, probabilmente sta calcolando la quantità di sangue trasfuso.

Quattro, cinque, sei, sette. Natasha recupera un pezzo di cotone, preme sul foro e sfila l’ago, invitandolo a tenerlo premuto. Strappa il nastro adesivo, lo fissa al braccio.

“Dammi, faccio io.” Clint le sfila l’ago delicatamente dal braccio appoggiando un batuffolo sul foro, poi prende il pezzo di nastro adesivo che lei porge e lo applica con una carezza per farlo aderire bene alla pelle. “Questa non me l’aspettavo, davvero.”

"Credi di essere il solo a vantare un diritto sulle sorprese?"

"Le tue solo decisamente più utili."

Natasha piega la testa sulla spalla, un piccolo sorriso sul volto sporco. "Ma le tue sono più piacevoli, in genere." Si china su di lui per schioccargli un bacio veloce. Poi cambia tono ed espressione: "Voglio sperare tu non sia un cavaliere solitario."

Clint le spiega la composizione della squadra, la loro posizione e l'equipaggiamento. "Immagino che le comunicazioni via radio qui siano impossibili, giusto?"

Natasha annuisce: "L'area è schermata, è per questo che non sono riuscita a comunicare con l'esterno."

"Ma si può sapere dove siamo?" domanda Clint guardandosi intorno. Nessuna finestra, un neon freddo a rischiarare la stanza. Ci sono ferri chirurgici, attrezzatura medica ammonticchiata in un angolo, casse di medicinali impolverate. Ed è coricato su una barella.

"Nella sala operatoria del bunker sotterraneo."

"Sembra tu conosca questa zona piuttosto bene."

"Durante l'Unione Sovietica era una base operativa piuttosto importante." risponde evasiva "La sala operatoria nel bunker serviva in caso di attacco, per curare meglio i feriti."

"Ah, non per esperimenti segreti, eh!" Doveva essere una battuta ma Natasha non sorride, anzi, distoglie lo sguardo e cambia discorso, spiegando velocemente dove dovranno dirigersi per uscire dalla zona schermata. "Meglio aspettare un paio d'ore, in modo che ti riprenda." aggiunge.

Ci sono due barrette energetiche nelle tasche dei pantaloni di Clint, una per uno: "Provvedi sempre alla cena tu, eh?" A Natasha scappa un piccolo sorriso mentre scarta la barretta: è evidentemente affamata, fatica a controllarsi e a mangiare la barretta a piccoli bocconi per farsela durare di più.

"Sono uno chef in incognito, lo sai..."

Mangiano in silenzio, si scambiano un paio di sorsi dalla stessa fiaschetta d'acqua. Poi Clint si mette inaspettatamente a ridacchiare.

"Che c'è?"

"Nulla."

"Rispondimi."

"Nulla, davvero."

"Guarda che ti tolgo i punti....!" Natasha punta il dito contro il fianco, come a rendere più reale la sua minaccia e lo fissa con il sopracciglio alzato nella sua espressione da 'Guarda che faccio sul serio'. Clint smette di ridacchiare, le sfiora la mano sul taglio catturando le dita tra le sue e spostandosele sul petto.

"Mi è solo tornato in mente un vecchio film western, uno di quelli che guardavo da bambino."

"Quelli con indiani ed cowboys?"

"Sì, esatto, proprio quelli. Ce n’era uno – non ricordo neppure il nome – dove un 'viso pallido' si innamorava della squaw figlia del capo tribù e la sposava. E durante la cerimonia, si praticavano a vicenda un piccolo taglio lungo il palmo e si stringevano le mani, a sancire la loro unione con piccole gocce di sangue. Mi è tornata in mente quella scena, con la nostra trasfusione!"

Un leggero rossore si fa largo nelle guance di Natasha che sbatte le ciglia stupita. "Beh, fortunatamente, noi non siamo indiani, giusto? Almeno, io non la sono per niente."

"Beh, già. Fortunatamente, eh." C'è un pizzico di fastidio nel fortunatamente che pronuncia, non gli è piaciuto il sollievo espresso da Natasha.

Che poi, la sua era solo una battuta, un aneddoto sciocco per rompere il silenzio. Non c'era bisogno di rispondere così piccati, ecco.

Anche se, lo ammette con sé stesso, sarebbe più consono per Natasha sezionargli il palmo della mano che infilargli l'anello all'anulare sinistro in abito bianco.

Ok. Basta. È solo talmente felice di ritrovarla e di averla di nuovo con sé – ma ha davvero pensato che Natasha si facesse ammazzare da un gruppo di pseudoterroristi? – che si è messo a fare pensieri simili.

O forse è l'effetto della trasfusione.

Oppure...

"...è amore, Agente Barton?"

"Sì."

"Se ti senti meglio, potremmo andare."

"Sì, Nat. E' decisamente ora di muoversi."

 

Il bunker è un dedalo di tunnel, scale e porte scrostate che Natasha insiste a definire 'ininfluenti per l'esito dell'operazione'.

Camminano al buio per non farsi individuare, approfittando del visore notturno, con la memoria di Natasha che indica quale direzione sia meglio prendere.

Non mi freghi, cara mia, tu questo posto lo conosci come le tue tasche.

Clint fa qualche calcolo mentale: Natasha non dimostra che circa trent'anni – il suo vero anno di nascita però è un mistero per tutti e lui stesso ha dovuto pregarla a lungo per solo sapere qual'era il giorno del suo compleanno – quindi, alla caduta dell'U.R.S.S., non poteva avere al massimo sette, otto anni. Dunque in quel posto doveva esserci stata da bambina. Che avesse ricevuto lì i primi addestramenti?

E nella sala dove si era risvegliato probabilmente non operavano le reclute di appendicite.

"Natasha...."

"Sssht!" Passi in lontananza. La sente togliere la sicura alla pistola, ma le blocca la mano sulla fondina. "Gli spari attirerebbero altre guardie, non possiamo permettercelo Nat." Allunga una mano verso il muro, trova la maniglia di una porta e la apre per poi spingerla dentro ignorando le sue proteste, seguirla e chiudere la porta senza fare il minimo rumore.

Solo quando i passi si allontanano decide di estrarre dal taschino del giubbotto la torcia di dotazione ed accenderla.

"Tasha... dove siamo?"

Sembra un ambulatorio. O forse un laboratorio. O peggio ancora, entrambi,con le piastrelle sbeccate e sporche di muffa, un tavolo operatorio  in mezzo alla stanza e banconi pieni di provette ed attrezzature ammonticchiate alla rinfusa.

"Un posto." risponde, appoggiando la mano sulla torcia e premendo il tasto dell'accensione. "Andiamocene." Appoggia la mano sulla maniglia ma è Clint a fermarla, questa volta. "Natalia, per favore."

La vede mordersi il labbro e a fissare un punto imprecisato del pavimento, indecisa. " È il posto in cui sono nata."

 

"Mi hanno raccontato che mia madre era una spia e che mi ha offerto volontariamente per il progetto Red-Room, in alternativa ad un orfanotrofio. Sai le spie, a quei tempi, non era il caso che avessero famiglia. Ma capitava, sai... e quindi hanno creato questo posto. Ci addestravano, fisicamente e mentalmente, a diventare armi umane. Qui avveniva la Fase Uno: ci forgiavano il carattere, ci indottrinavano e ci selezionavano. E quelle di noi che non si dimostravano all'altezza, venivano riciclate per il bene delle altre."

"Cosa significa riciclate?"

"Diventavano cavie. Per testare medicinali o sieri che contribuissero a rendere le altre reclute più forti. Le migliori invece continuavano l'addestramento con la Fase Due, tornando in Russia."

"E poi?"

"E poi una volta terminata la Fase Due con successo si diventava operative. Si ricevevano i primi incarichi, si andava sul campo. Terminai la Fase Uno a nove anni, e passammo al livello successivo solo in due. Nonostante il regime fosse caduto, la Red Room continuava ad esistere: era ritenuta molto utile, nonostante la guerra fredda fosse da considerarsi finita. Il progetto Red Room cessò di esistere ufficialmente, ma come ben sai, noi eravamo comunque operative. Poi mi è stato ordinato di eliminare l'altra, che si era compromessa con uno dell'MI6, e così sono rimasta la sola. L'ultima, e con un carico di informazioni marce che avrebbe fatto cadere almeno cinque governi. Ed hanno fatto in modo che cadessi in una trappola, a Budapest."

 

A Budapest le gocce di sangue macchiavano la neve candida.

La punta della freccia era ad un millimetro dal suo occhio sinistro, eppure la Vedova Nera restava immobile, stesa sul selciato imbiancato di un vicolo cieco.

Non tentava più di difendersi – con una probabile frattura al bacino data dalla caduta da un cornicione era impossibile anche per lei.

Non cercava di salvarsi la vita impietosendolo – sapeva che non avrebbero fatto effetto le sue parole.

Non provava neppure ad offrire merce di scambio – lui era lì per ucciderla, non per estrapolarle informazioni.

Restava lì ferma e basta, in attesa, con gli occhi verdi aperti e vuoti a facilitargli il compito.

Non mostrava dispiacere, né paura, né sollievo. Nulla.

Il vuoto totale.

Forse era stato quello a convincerlo ad abbassare la freccia.

 

"Mi sembra di aver passato tanti anni in una bolla." mormora guardandosi intorno. "Ad apprendere come imitare sentimenti, movenze, espressioni ed accenti. Alla fine, tutto quello che riuscivamo a provare davvero era il dolore fisico. Per noi era quasi mistico: era l'unica sensazione reale che avevamo. Il resto era una finzione, la necessità e la volontà di altri."

Clint le passa una mano tra i capelli, la guida ad avvicinarsi e ad appoggiarsi a sé, le bacia la testa "Mi dispiace." sussurra.

"E di cosa? Non è colpa tua. E non hai avuto di certo una vita facile anche tu. A te è stata tolta la famiglia, sapevi chi erano i tuoi genitori e cosa si provava a stare con loro: suppongo che vivere dopo aver perso i propri affetti sia peggio che crescere senza sapere cosa siano, no?"

"Non lo so, Nat. Ma non credo sia peggio di passare la propria infanzia qui dentro."

"Beh, sono sopravvissuta." Natasha ha gli occhi asciutti e Clint si domanda come faccia, che solo a pensare a cosa possa essere accaduto in quel mondo sotterraneo, a quelle bambine, gli fa salire una rabbia sorda nel petto. "Avevo comunque del cibo caldo ed un tetto sopra la testa. Fossi finita in un orfanotrofio, non credo sarebbe stato lo stesso." C'è una piccola nota tremula nella sua voce, qualcosa che solo chi è abituato a sentirla sempre ferma e decisa può captare: sottolinea quella frase con magra consolazione e disperato auto-convincimento. Clint vorrebbe dire qualcosa, qualsiasi cosa suoni meno stupido e più concreto di una frase fatta come "Non sei più sola" e "Ci sono qui io per te." Eppure non riesce a dire nulla, resta solo con un braccio attorno alle sue spalle e le labbra appoggiate alla fronte ad elaborare quello che Natasha ha appena raccontato.

Quasi preferirebbe piangesse, una reazione del genere lo sconvolgerebbe abbastanza da riuscire a reagire. Invece Natasha resta tranquilla ed impassibile ad abbracciarlo rigidamente, quasi per inerzia.

La radio che torna a gracchiare li fa trasalire.

 

"Appena siamo riusciti a neutralizzare le guardie sulla torre delle comunicazioni, gli altri uomini hanno eliminato la schermatura e abbiamo così potuto riprendere le comunicazioni radio." Rogers non sembra aver risentito dei combattimenti: la divisa è solamente sporca qua e là ed i capelli appena spettinati dall'utilizzo della maschera. "Pare che dispongano di sistemi di intercettazione all'avanguardia, se riescono ad impedire ad i nostri dispositivi di funzionare. Senza contare che potevano rilevare la presenza del Localizzatore praticamente nell'esatto momento in cui entrava nel loro perimetro."

"Stark mi sentirà, quando torniamo."

"Già. Tutta quella tecnologia futuristica e poi abbiamo risolto con i vecchi metodi!" Il Capitano abbozza un sorriso mentre li guarda sedersi vicini sull'Helicarrier, con Natasha che invita Clint a fare attenzione ai punti, poi ordina ai piloti di fissare sul radar un centro medico convenzionato con lo S.H.I.E.L.D. per il primo soccorso. "Credo che vi lascerò soli." ridacchia, prendendo posto con gli altri tre membri della squadra nella cabina di pilotaggio.

 

"Clint, non è che il Capitano..."

"Beh, ecco...io..."

"Non gli avrai mica detto tu...!"

"Sai, mentre venivamo qua..."

"Io ... io ... io ti ..."

"NATASHA NO, TI PREGO, IL TAGLIO NO!

 

New York imbiancata è un bel panorama. Ha sempre trovato la neve catartica, e lo incanta ogni volta vedere come riesce ad impreziosire tutte le superfici su cui si posa.

La strada su cui si affaccia la finestra della camera sembra una bomboniera.

Un uomo porta a spasso il cane e scivola sul marciapiede.

Clint sorride.

È inverno, l'inverno di una New York che in pochi mesi ne ha viste di cotte e di crude, e nonostante tutto vuole e deve andare avanti.

Hanno riaperto la pista di pattinaggio su ghiaccio al Rockfeller Center, e lui ha una mezza idea di proporre un paio di giri a Natasha, appena i punti glielo permetteranno. Ha sempre pensato fosse capace di pattinare, ma ora non ne è più sicuro, e pregusta il momento in cui riderà di gusto nel vederla con il sedere a terra sulla superficie fredda.

La sente uscire dal bagno e spegnere la luce, infilarsi sotto le coperte nel letto alle sue spalle e bofonchiare qualcosa sullo smettere di farsi i fatti del vicinato. "D'accordo." risponde tirando la tenda. La raggiunge sotto le lenzuola, l'abbraccia stampandole un bacio sulla guancia. La sente sorridere, voltarsi per ricambiare  e poi farsi seria:

“Mi spiace solo che non riuscirò a darti quello che desideri.”

Una dichiarazione così, a bruciapelo, non se l'aspettava. Resta un attimo spiazzato, a cercare di afferrare bene il senso delle sue parole.

“E cosa desidero?”

"Credo tu desideri una storia normale. Una relazione comune, ecco, che segua il suo corso e…

"Le relazioni normali finiscono con lei che non si fa più la ceretta ed ingrassa di trenta chili e lui calvo, con la pancetta e le piaghe da decubito sul culo per il troppo divano."

Natasha lo fissa per un secondo sorpresa. Poi scoppia a ridere. Di gusto. Rida talmente forte da avere le lacrime.

“Che c’è? E’ vero!” Natasha continua a ridere. “Beh, non che io preveda di depilarmi ancora a lungo però…

OcchioDiFalco, di tutte le risposte stupide che potevi darmi … beh, questa è di gran lunga la migliore.” Gli schiocca un bacio in bocca, cercando di riprendere il controllo: “È che ho dei limiti. Non so ancora bene quali siano ma… tutto quello che è successo là sotto … deve aver lasciato qualche traccia su di me. Dentro di me. Ed io non so bene quale e come possa influire.”

“Non c’è fretta, Nat. Lasciamo che tutto venga da sé. Quello che desidero, ora, è di stare insieme a te. Voglio incontrarti dopo una missione e lanciarti sul pavimento della cucina, preparare il tuo piatto preferito e portarti fuori al cinema. O a pattinare. Tormentarti il neo sul viso, scaldarti i piedi quando me li pianti sulla schiena mentre dormi, e lasciarmi appestare dal tuo alito mattutino – non credere, neppure tu sai di buono. Il resto verrà da sé, anche se staremo separati a lungo.”

“Faremo in modo di incontrarci. Anche di nascosto.”

Ohh… sarà intrigante!”

“Terribilmente eccitante, non trovi?”

La bacia di nuovo, a lungo. Poi i punti iniziano a tirare, così Natasha appoggia un dito sulle labbra e lo fa staccare. “Il paziente ha bisogno di riposo.”

“D’accordo, signora infermiera.”

Natasha si volta su un fianco, Clint le fa da cucchiaio. Intreccia le dita con le sue: “Io non sono un’infermiera. Sono una squaw.”

 

 

 

FINE!!

Doveva essere una breve one-shot. Si è trasformata quasi in un incubo, non riuscivo più a finirla!

Allora, non so bene che dire, se non che spero vi piaccia: non credo sia all’altezza di Scent of a Woman, ma spero comunque sia di vostro gradimento.

Come sempre consigli e critiche costruttive sono ben accette.

E, sì, è il sequel naturale di Washing the Spider Out.

Ad ogni modo, GRAZIE, GRAZIE e GRAAAZZIIIEE a chi mi ha seguito, letto, commentato ed inserito tra i preferiti sino ad ora.

Davvero,

Grazie.

EC

 

PS: e se disgraziatamente aveste qualche domanda da farmi… http://ask.fm/EvilCassyBuenacidos

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

   
 
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