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Autore: crimsontriforce    10/06/2007    8 recensioni
Dal primo incontro nelle prigioni di St. Bevelle alle battute finali dello Zanarkand Dome, e toccando buona parte dei luoghi comuni del fanon, un Pellegrinaggio formato mignon per un hobby particolarmente... evocativo.
“Una sola domanda - cos’è un cash-player, ad ogni modo?”
Genere: Generale | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato | Personaggi: Auron, Braska, Jecht
Note: Alternate Universe (AU) | Avvertimenti: nessuno
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Scritta per il concorso AU indetto da Lisachan sul forum, e arrivata terza con un inaspettato e graditissimo 8 tondo! Gioia e tripudi! Grazie a Lisachan per darmi sempre nuovi motivi per buttarmi a capofitto in generi a me ignoti (e sfracellarmici contro in allegria), ad Anachan co-giudicessa, e non da ultimo a Harriet, Melantò e RedEagle86 gloriose compagne di ventura!
Riguardo alla fanfic in sé, il prompt era appunto "Alternate Universe", mentre la mia idea portante era "mondo reale, ma non scolastico per pietà basta". Mi è sembrato che questa particolare ambientazione riprendesse decentemente legami, origini e obiettivi degli originali, seppur in chiave molto più leggera. E poi è il
mio mondo *indica foto nel profilo*, una volta al mese o giù di lì, e mi sono divertita a scriverlo. :) Un saluto ai due adorabili sirenetti, se mai leggeranno queste righe, sapete chi siete!
Specifico che è un... AU dell'AU, visto che in questo 'mondo reale' non esiste Final Fantasy. Squaresoft è... boh, è fallita nel 1986 ed Enix regna incontrastata nel campo dei JRPG. So there. Amano resta un famosissimo illustratore, Sakaguchi ha fondato Mistwalker una decina di anni prima, Uematsu produce cd kitsch in proprio, Naora vende tulipani in Olanda, Ito fa Prezzemolo a Gardaland (lunga storia...), Nomura disegna gente tamarra per Capcom, Kawazu produce cortometraggi postmoderni in CG, Watanabe compone haiku, e via dicendo. E, con quest'ultima uscita completamente random, vi lascio al racconto.
Lyrics: FFX OST - Otherworld. Il copyright è degli aventi diritto.







Cronache dell’altro mondo






Go now, if you want it
An otherworld awaits you
Don't you give up on it
You bite the hand that feeds you




Impossibile sbagliare: era finito in un altro mondo.
Il ragazzo si stropicciò gli occhi, sperando che quando li avesse riaperti la folla colorata e aliena se ne sarebbe andata. Li riaprì. Niente da fare. Era in un altro mondo. E aveva anche pagato 5€ per entrarci.

Sconsolato, si dedicò ad osservare gli altri visitatori. Quando aveva accettato di andare a Cartoomics nessuno gli aveva accennato a… quello. Notò con sollievo tracce di civiltà – una maglietta dei Blind o due in giro per l’atrio, un paio di graziose impiegate di FieraMilanoCity – ma il resto della gente… tutte le tonalità dell’arcobaleno e qualcuna in più. E non un viso noto. Erano già le undici passate. Non avevano nessun diritto di rovinargli una sana reputazione da star e ritardatario cronico…

“Secondo te è lui?”, sentì dire alle sue spalle.
“Capelli neri sciolti, fascia rossa, maglia e jeans tre taglie sopra… se ben ricordo il topic la descrizione sembra calzare. Mi avvicino io, Lord…”
Lord? Ma questi sono tutti sciroccati…
“Meglio di no o lo spaventi. Vado io… mi tieni gli accessori, sì?”

“Jecht? Sei tu Jecht?”, chiese poco dopo la prima voce. Ci mise un po’ a ricordarsi che, sì, Jecht era lui, e che probabilmente anche fra gli extraterrestri era d’uso voltarsi e presentarsi, e così fece.
Si trovò davanti un giovane, all’incirca suo coetaneo, che gli stava tendendo la mano col sorriso più sincero e inutile che ricordasse di aver mai visto. Cercò di associare un nome al volto, ma non aveva mai prestato attenzione a quel genere di cose e né le lunghe ciocche di capelli castani, né la bizzarra accoppiata di sciarpa di lana blu e maglione rosso cupo in quel marzo dal caldo infernale, né un portamento che avrebbe definito d’altri tempi gli suggerirono nulla. Errore che non avrebbe più commesso, perché pur nelle sue stranezze (“Lord”? Suvvia…), o anche a causa di esse, il tipo aveva carisma, una forza gentile che irradiava dal sorriso.
Dietro di lui, un ragazzo imbronciato pochi anni più giovane di loro, sulla ventina scarsa ipotizzò Jecht, reggeva con sacralità due sacchi neri della spazzatura e un terzo saccone di carta del tipo che danno nei negozi di vestiti.
Preferì non porsi domande.

“Sì, sono io”, rispose infine tornando a squadrare il primo, che stava ancora sorridendo senza che l’atto sembrasse minimamente forzato. “Siete di TLW.it?”
“Così è. Io sono Lord Braska, abbrevia pure in Braska. Lui è Auron. Ma, perdona la curiosità, non hai seguito il topic della fiera?”
“Er, no.” Gli mancava solo quello, si disse. Già gli allenamenti gli toglievano ogni forza per connettersi, una volta a casa, e comunque di quel covo di sciroccati seguiva solo i topic di sport, musica e sciocchezzuole da Youtube. O quelli che gli suggeriva Tidus. A proposito del quale…
“…gli altri?”, chiese, con un’espressione genuinamente allucinata. “Tidus… Wakka… Yuna… Belgemine…”, continuò con lo stesso tono vacuo, indicando il vuoto come se si aspettasse che gli utenti che aveva nominato comparissero dal nulla a suo comando.
“Sciopero delle FS… ma, perdiana, davvero non avevi sentito nulla? Non ti sei proprio informato prima di venire, suppongo… mi spiace”, lo compatì Braska con un tono che fece scattare il panico in Auron. Non quella Cartoomics, non con un estraneo che si era iscritto al ‘loro’ forum solo perché ci era stato trascinato da un altro cretino esaltato che si dava il caso unisse interessi sportivi a quello – dubbio – per i videogiochi… Tutto questo non sta succedendo, si ripeté come un mantra, tutto questo non sta succedendo.

“E neanche Rikku è potuta venire, nonostante abbia la macchina, perché si fida abbastanza della sua abilità al volante per affrontare un tratto autostradale così lungo…”, continuava serafico Braska sotto lo sguardo stralunato di Jecht. “C’è solo YuYevon91, è di Milano anche lui, ma…
“…quel niubbo pazzesco si attacca come una cozza…”
“…ed è meglio se non ci facciamo neanche riconoscere.”
Degni di Qui Quo e Qua. Bene, concluse Jecht. Sarebbero dovuti essere in quindici, aveva aspettato mesi il giorno in cui avrebbe potuto incontrare di persona Tidus e Wakka e parlare dal vivo dell’Eurolega e tutto, aveva accettato perfino di partecipare a quell’assurda manifestazione, e si trovava solo con due perfetti sconosciuti. Ma almeno su una cosa andavano d’accordo.
Guardati in faccia prima di dare del niubbo pazzesco a qualcun altro, lo silurò uno sguardo di Auron.
O quasi.

“Bene, visto e considerato che in tre si è in compagnia e che non abbiamo modo o desiderio di allargare la nostra cerchia, noi inizieremmo il giro di fiera. Che dici, Jecht, sei dei nostri? Se non vuoi fa nulla, ma stai in guardia, il posto tende a essere dispersivo alla prima visita.”
“Suona interessante. Dov’è la fregatura?”
“Ha… così facile da intuire?”, sorrise di nuovo Braska, tentando di suonare minaccioso, ma l’espressione serena del suo viso era talmente radicata che finì solo per essere estremamente buffo. “Avrò bisogno di una mano… o tre, un aiuto fidato che mi sostenga in quest’avventura. Una sorta di guardiano, mettiamola così.”
“Avventura…? Di che diamine stai parlando, amico? Siamo in una dannatissima fiera mercato, no?”
“Pensavo tu l’avessi capito dalla quantità di roba che, ehm, il mio attaccapanni personale sta gentilmente reggendo. Sono un cosplayer.”
“L’attaccapanni personale avrebbe una rimostranza, Lord Braska…”, s’intromise Auron da sotto il peso degli accessori, “Questo im-inesperto… come spalla? Non posso permetterlo.”
“Ti preoccupi troppo. Il tuo torneo è più importante del mio contest, me la caverò comunque. Che ne dici, Jecht?”
Domanda retorica. Aveva altre scelte? “Ci sto! Una sola domanda…”
“Sì?”
“Cos’è un cash-player, ad ogni modo?”

“Un po’ di rispetto”, sibilò Auron, “o almeno di cultura generale…”
“Ehi cocco, non c’è motivo di prendersela così, manco l’avessi detto a te poi!”, scattò Jecht sulla difensiva. Stava esagerando con le insinuazioni. Ripensandoci, forse era con lui che aveva avuto quello spassoso flame l’anno prima, ma tenergli ancora il broncio per una cosa del genere sarebbe stato incredibimente infantile... Non ebbe però la prontezza di esternare quelle considerazioni prima di un perentorio intervento di Braska.
“Basta, entrambi. O vi banno dalla fiera… a calci. Cos’è un cosplayer, chiedevi?”, riprese. “”Niente di strano nel non saperlo, suvvia, anche se credevo che col recente interesse mediatico il fenomeno fosse più noto. Facile a spiegarsi, comunque, data la situazione. Vedi quello laggiù?”, disse, puntando il dito in direzione di un ragazzo in braghe di tela con un’enorme spada in cartoncino che oscillava in modo abbastanza precario.
“Objection…”, sussurrò Auron sconcertato.
“Uh, accolta, Worthy, accolta… Ma chi altro potrei… oh! Sia ringraziato il santo protettore del prop making, ecco Refia che arriva in tutto il suo splendore, nondimeno! Dicevo, vedi quella?”
Corresse il tiro indicando un’aliena più aliena degli altri, una ragazza che sembrava scomparire sotto un’armatura scintillante, vesti degne del miglior principe azzurro e una folta chioma argentea intrecciata. Il suo portamento era fiero, e brandiva la spada come una vera guerriera sotto i flash di un capannello di fotografi.
“Quella”, ripeté con una punta di orgoglio, “quella è una cosplayer.”

Jecht ci mise qualche istante a processare.
“Figuranti in costume. Cos – play. Ce l’ho. Sei assoldato dall’ente fiera per ravvivare la manifestazione. Figo!” Accompagnò il commento con un pollice alzato. Al contrario del compagno, con le sue scope infilate dove non batte il sole dal vivo più ancora che online, aveva deciso che Braska gli piaceva. Assodata l’impressione iniziale, era paziente, socievole e non se la tirava troppo, non era difficile immaginarlo a capitanare qualche squadra, e si ripromise di chiedergli se avesse mai provato a giocare a pallanuoto.
“…sogno.”
Non aveva sentito una parola. Jecht non era abituato all’idea che il resto del mondo avesse qualcosa di interessante da dire, abituato com’era ad essere al centro dell’attenzione della sua vasta cerchia di amici, on- e offline. Così, quando seguiva i suoi pensieri più che il discorso non se ne curava troppo, e lasciava perdere il tutto con un fugace cenno di approvazione. Ma quella pareva essere un’informazione portante, il cardine della cultura aliena per così dire, e dubitava che in quel frangente se la sarebbe cavata con un ‘Pace e prosperità’…
“Eh… Scusa amico, non ho sentito bene – potresti mica ripetere?”, chiese dunque.
“Me lo sogno, dicevo, niente più niente meno. È una passione personale, non siamo affiliati in nessun modo alle fiere… è tutto a carico nostro.” Di nuovo con quel sorriso standard. E di nuovo riusciva a non sembrare ridicolo, era parte di lui. Non era abbastanza forte, però, per far passare inosservato il contenuto della frase, non quella volta.
COSA? Ma siete PAZZI!, avrebbe voluto gridare, ma rischiava di venir assimilato o chissà cosa. O, più realisticamente, Auron l’avrebbe azzannato alla gola. Pur conscio che aprendo il suo vocabolario interno alla voce ‘Diplomazia’ avrebbe trovato una pagina intonsa, non poteva lasciar cadere il discorso, ne era affascinato in un qualche modo perverso. Come un incidente autostradale.

“E così qualche decina…”
“Qualche centinaio, in tutta Italia un migliaio abbondante…”
Ugh. “Centinaio di ragazzi decide per i fatti suoi di comprare un vestito…”
“Farselo, non comprarlo. È l’intero senso della faccenda, vedi.”
Ugh! “…farselo, va bene, ho capito. Di farsi un vestito e peregrinare in giro per l’Italia per… andare a morire?”
“Prego?”
“Di caldo.” Indicò Refia, palesemente in difficoltà ma stoica sotto gli scatti incessanti.
“Sì, suppongo che la si possa vedere da questo punto di vista.” Inscalfibile. Jecht si chiese se insultare lui e la sua famiglia fino alla settima generazione gli avrebbe fatto almeno inarcare un sopracciglio. “Ma, vedi, è tutto per una passione. Non pretendo che tu mi capisca, libero di ritenermi pazzo o quello che preferisci, solo, se mi darai una mano, te ne sarà grato… E ora, se bene interpreto le occhiate gelide di Auron, è ora che ci muoviamo.”
“Lord Braska, non intendevo, non è questo che…!”, sentì lesta e affannata la risposta di Auron. E non mentiva, non ci voleva uno psicologo per vedere quanto ci tenesse. Emergeva un lato diverso del ragazzo in quelle parole, premuroso e indubbiamente intimorito da qualcosa. Paura di rovinare qualcosa, forse. Jecht non sapeva cosa né aveva particolare interesse a saperlo, ma il secondo compagno di sventura si era improvvisamente reso di una frazione più umano.
E aveva ben ragione a temere, dove passa il Grande Jecht nulla resta come prima, sogghignò compiaciuto fra sé e sé.

“E però non stiamo muti come dannatissimi pesci, ragazzi!”, esclamò dopo trenta abbondanti secondi di silenzio mentre stavano attraversando il corridoio di connessione col corpo centrale ella fiera. “I vostri nick, per esempio? Né ‘Auron’ né ‘Braska’ si vedono molto in giro…”, propose. Un argomento di conversazione come un altro.
“Da che pulpito – Jecht. Inizi tu?”, lo rimbeccò Braska con garbo.
“Ho chiesto prima io, iniziate voi!”
“Inizio io prima che torniamo all’asilo nido”, li interruppe Auron. “Sai cos’è God of War?”
“No.”
“Attento Jecht, gli hai appena fatto scendere di una frazione la fiducia nel genere umano…”, ridacchiò Braska.
“È… un… videogioco.”
“E cosa vuoi che ne sappia io dei vostri videogiochi? Se io ti chiedo cos’è un centroboa tu lo sai?”
“Ma tu hai una PS2.”
”E con ciò?”
“Non puoi avere una PS2 e non sapere neanche cos’è il miglior action game mai creato sulla faccia di questa terra!”, sbottò Auron.
Signore, rimetti ai giocatori EA Sports i loro peccati, e conducili sulla via dei titoli decenti… amen…”, gli fece eco l’amico mentre affrettava il passo in vista dei primi stand.

“…comunque”, riprese Auron. “Il mio primo personaggio di un live – un gioco di ruolo dal vivo – era ispirato al protagonista di God of War, Kratos. Ma non volevo copiare così anche il nome, mi sarei coperto di ridicolo, e, girando online in cerca d’ispirazione, scoprii che c’è un altro Kratos, che viene da Ta…un altro videogioco, che di cognome fa Aurion. Tolta la I, sempre per evitare il plagio, rimane Auron, ed essendomici affezionato l’ho poi promosso a nick principale. Tu, dunque?”, chiese con aria si sfida. In un gara all’etimologia più geek sarebbe stato certo di prendere il primo posto con lode.
Jecht, dal canto suo, sapeva cogliere un’aria di sfida. Sapeva raccogliere una sfida. E soprattutto sapeva spiazzare un attaccante. “Mi piace il suono. ‘Jecht’. È potente, energico.”
“Tutto qui?”
“Dici poco.” ‘la faccia sua. Uno a zero, e l’arbitro era troppo lontano per dargli un rigore. “E Braska? Che mi dici del suo?”
“Che è una lunga storia e te la dovrebbe raccontare lui”, sospirò. “E non credo voglia farlo. Andiamo a raggiungerlo?”
“Hm. Felice che tu l’abbia chiesto. Ma dove si è ficcato?”, chiese, seguendo l’inaspettata guida. Non poté fare a meno di guardarsi attorno meravigliato quando, dall’insignificante corridoio iniziale, giunsero infine nel padiglione centrale della manifestazione. Lo sciopero non sembrava essere stato sufficiente a fermare del tutto il popolo fumettaro, e visitatori, organizzatori e madri spaesate affollavano rumorosi gli spazi fra gli stand. Un numero sorprendente di ragazzi agghindati in costumi di ogni foggia, colore e fattura affollavano l’atrio, intenti a godersi un giorno prezioso di normale anormalità.

Auron e Jecht si guardarono persi. Non era facile trovare una singola persona lì dentro, anche per uno sguardo allenato come quello di Auron, che pur provando a limitare la sua visione al solo colore dominante rosso non ne cavò altro che una collezione di Ed, Dante, Cou, Mario.
“Non lo vedo…”
“Hey, sei tu che lo conosci, ragazzo mio. Dove può essersi cacciato?”, chiese Jecht.
“Non ne ho idea… o meglio ne ho fin troppe. Ha così tanti interessi… senza contare che potrebbe aver incontrato qualche conoscente. Ma non è da lui, comunque non è da lui…”
“Eh, è un essere umano come tutti. Su con la vita, su!”
Dall’aggressivo al depresso, dal depresso all’aggressivo, Auron non sembrava conoscere vie di mezzo. E, per quanto fosse un bastardo – per quanto tutti e due fossero dei bastardi, si corresse includendosi nel conto – vederlo così gli dispiaceva. Almeno un poco. Era come vedere un cucciolo preso a calci, anche se il cucciolo era di dobermann e mordeva come un disperato.
“Ma ma ma ma quello è Jiraya!”, esclamò subito dopo, con caratteristico ricambio totale di tono, occupazione e registro di pensieri. Si trovava a pochi passi dal suo ultimo idolo dei cartoni, un po’ troppo magro ma chioma e portamento compensavano più che degnamente, e… e! Il rotolo! Il sorriso! Perfino un rospo di peluche!
Sentì a malapena la voce perplessa di Auron chiedergli “Segui Naruto?” che era già scattato in avanti per chiedere al malcapitato se fra i suoi ultimi scritti c’era qualche consiglio adatto alla sua situazione amorosa.

Pensavo fossi fermo a Mazinga… forse c’è speranza per te, in fondo, terminò Auron fra sé e sé. Con un sospiro rimandò l’esame di coscienza a più tardi, in fondo alla sua testa sapeva bene che quel ragazzone rumoroso e spaesato non aveva colpa se non quella di essere arrivato nel posto e nel momento peggiori che avesse mai potuto scegliere. Appoggiò i bagagli, si torturò una ciocca dei lunghi capelli e tornò a cercare Braska, tentando una selezione visiva per stand di possibile interesse dell’amico.
Lo trovò poco dopo, impegnato nella nobile devoluzione di 40€ per la salvaguardia di un indifeso artbook di Yoshitaka Amano.
“L’hai fatto apposta”, lo apostrofò, senza particolare risentimento o accusa. Voleva solo sapere se la sua ipotesi era corretta.
“Oh, eccoti. Cosa avrei fatto apposta, amico mio?”
“Sparire. Lasciarci soli.”
“Ah, dovrei essere più subdolo… sì, è così. Ma se vedo solo te devo dedurne che ho fallito e vi siete effettivamente scannati?”
“No, ha solo l’attention span di un puntaspilli. Ha vito un Jiraya ed è scappato via.”
“Jiraya… segue Naruto? Pensavo fosse fermo a Daitarn, forse c’è speranza per lui… Oh, non dirmi! Non so come ma sono riuscito a strapparti un sorriso, pare. Non contavo di esserne in grado oggi…”
“È che…”, si difese Auron lasciando che la tristezza tornasse a dominarlo, “è che ho pensato l’identica cosa qualche minuto fa.”
“Fake!”, esclamò garrulo Braska, riprendendo una loro vecchia battuta.
“Sì, il fake incattivito che scalpita e flamma in tua difesa, come sempre… ma tornando a prima… perché l’hai fatto? Perché siamo in tre, oggi? Non doveva andare così…”
“Suppongo di doverti delle scuse. So che è l’ultima e… sai che addolora anche me.” Braska finì di sistemare portafoglio e acquisto nello zaino e si allontanò dallo stand per dedicarsi completamente a quella conversazione. Sapeva che sarebbe arrivata, sarebbe stato sciocco a dubitarne, ma in qualche modo aveva sempre sperato di poterla evitare. Non tanto per se stesso, avendo avuto mesi e mesi per prepararsi all’idea, ma perché sapeva che il suo più caro amico, che lo stava guardando già in quel momento con aria persa, si sarebbe sentito solo e tradito.
“Lo so”, rispose Auron. “Penso di saperlo. E so che è contorto, ma mi addolora sapere che ti addolori, quando l’egoismo si quieta preferirei sapere che partirai felice.”
“E come faccio a partire felice? Lascio una vita qui… da novembre tutto questo per me non esisterà più.”
“Ma hai fatto la tua scelta”, rimarcò Auron, in evidente difficoltà a sopprimere l’egoismo da lui stesso citato.
Certo che l’ho fatta, e non torno indietro… un’offerta di lavoro del genere appena dopo la laurea è imperdibile, oggi come oggi. E poi lì sarò più vicino a Ester, il Missouri non è proprio il Nebraska ma almeno potrà tornare ad essere una relazione a distanza, e non un sogno lontano… cerca di capirmi.”
“Ci provo.”
“E te ne sono grato.”
“Mmmmh.” Auron si sarebbe morso la lingua, aveva così tante cose da dire e nessuna parola adatta a farlo. “Sai che puoi contare su di me.”
“Lo so.” Tornò ad accennare un sorriso, il momento di tempesta sembrava finito. Era la loro ultima fiera insieme, era sacra e per niente al mondo si sarebbe permesso di rovinarla così.
“Ma tutto questo non spiega Jecht”, incalzò Auron, in un certo senso felice che il nome dell’altro si prestasse così bene ad una pronuncia sprezzante.
“Io penso che lo spieghi eccome.”
“E allora illuminami con la tua saggezza, o mio comprensivo signore, perché io proprio non ci arrivo”, rispose sfinito il ragazzo. Tornare a pensare alla separazione che sarebbe avvenuta entro pochi mesi gli aveva nuovamente stretto il cuore, anche se riconosceva – almeno a livello intellettuale, se quello emotivo proprio non collaborava – che per l’amico trasferirsi in America fosse la migliore delle soluzioni possibili. Ma non gli perdonava l’aver fatto sì che un gallinaccio spennacchiato s’intromettesse nella giornata.
“Hai mai soppesato l’ipotesi che potesse essere per noi?”
“In tutta onestà, non vedo i vantaggi…”
“No, immaginavo non li avresti visti. Ma io credo, credo davvero, che oggi noi due soli ci saremmo depressi peggio che Shinji in giornata storta. Tutto qui.” Il tono era conclusivo, e Auron ne prese atto. Iniziò anche a prendere atto, lentamente, del fatto che la teoria sopra esposta potesse non essere una completa boiata, anche se ci sarebbe voluto del tempo prima che ammettesse che la ragione stava dalla parte dell’altro. Come sempre.
Camminarono per qualche minuto in silenzio, indirettamente avvalorando quella tesi, senza troppo allontanarsi dall’area in cui Jecht si era separato da loro, nella speranza che anche lui l’avesse inteso come punto di ritrovo.

La fortuna era evidentemente dalla loro e Jecht tornò, trafelato e con lo sguardo caratteristico di una tredicenne invasata.
“Ehilà, bentornato fra noi! Sei stato posseduto dallo spirito di una fangirl yaoi?”, domandò Braska tra il curioso e il faceto.
Che figata, che figata!! C’erano due Naruto e si sono messi a fare il Rasengan e poi un Rock Lee u-g-u-a-l-e! E stavano provando un combattimento contro Gaara che…”
Calma, calma. Sono lieto che ti abbiano entusiasmato, ma avrai ogni modo di rivederli sul palco. Ora, vogliamo proseguire o vuoi guardare questi quattro banchetti per l’eternità?”

Proseguirono dunque per un paio d’ore, cercando di mediare l’attenzione quasi maniacale di Auron per i set completi di card, l’interesse di Braska per colonne sonore e gashapon e la curiosità generica di Jecht che, pur capendo una parola su cinque delle spiegazioni, aveva deciso che interessarsi all’argomento era più costruttivo che stare col naso per aria a sentenziare l’assurdità di tali mercanzie.
Erano quasi le due quando arrivarono in uno spiazzo meno frequentato degli altri, con gente tranquillamente accampata a scambiarsi Pokémon o a confrontare gli acquisti. Una decina di postazioni di gioco presentava ai visitatori tutte le novità – e qualche vecchia gloria – per console portatili e casalinghe e, complice l’ora di pranzo, erano quasi deserte.
Guardate, c’è Soul Calibur III!”
Grow, grass, grow…”
La sapete una cosa? Vi odio quando parlate per citazioni…”
Veramente è solo lui che cita appena apre bocca, sembra un sacerdote che celebra messa dall’impegno che ci mette…”, ammise Auron con ammirazione. La sua conoscenza delle opere a loro care era più pratica, più personale, Braska al contrario non avrebbe ricordato la posizione della bussola in un dungeon se ne fosse andato della sua vita, ma i dialoghi, i nomi, non gliene sfuggiva uno.
Siete voi che non sapete apprezzare un quote colto quando ne vedete uno, è tutta invidia…”
Sì, lo è”, rispose Auron, idealmente già con le mani sul pad, “ma non è questo il punto… partita?”, chiese, rivolto a Jecht.
A cosa?”
A Soul Calibur III!”
Ah, quel gioco lì… ma è quello col tipo con l’ascia, ce l’ha un mio amico!”, rispose Jecht dopo un’occhiata scettica alla rosa dei personaggi selezionabili.
Quindi sai giocare?”
Diciamo che… me la cavo”, sogghignò.
Vedremo… vedremo.”
Signori miei egregi”, interruppe Braska, “mi unirei volentieri a fare da cuscinetto in un piccolo torneo, ma è ora che vada a cambiarmi, il contest si avvicina. Passami pure le ali… ecco, così, e grazie per avermele portate fin qui! Ci vediamo fra poco in area palco, Jecht, per favore? Avrò bisogno di aiuto, come ti accennavo…
A dopo, Lord… Waka!”, salutò Auron.
Wakka?”, chiese sconcertato.
Waka. È di un vid… ma cosa parlo a fare. Scegli un’arena e iniziamo!”

Bambini, sorrise Braska fra sé e sé avvicinandosi col suo fardello ai camerini maschili, sono due grandi e grossi bambini. Almeno sfogheranno lì la loro rivalità, suppongo sia un bene…
E ora a noi due, costume! Parte prima, l’hakama…

E tu? Non vai a cambiarti?”
No, non finchè posso devasta… Ring out! Parla meno e combatti meglio!”
No, seriamente. Braska sembrava in ritardo… Anch’io voglio saccagnarti di botte, cosa credi, ma possiamo farlo dopo… Hey, volevo cambiare personaggio, torna indietro!”
Lord Braska è in ritardo. Io ho ancora dieci minuti, il mio torneo è di Magic. Non mi piace vestirmi in cosplay, non direttamente almeno”, rispose Auron attardandosi, come richiesto, nei menu di selezione e giocherellando con la selezione dei costumi del suo Mitsurugi.
Che vuoi dire?”, chiese Jecht incerto fra i due guerrieri che più gli sembrava gli somigliassero.
Che mi piace farli, non indossarli. Lavoro il legno e ho qualche nozione di vetroresina, così aiuto Lord Braska. Poi serve qualcuno che faccia da supporto e fotografo in fiera… Per me ‘cosplay’ è vedere come sarebbe nella realtà un personaggio immaginario, quindi che alla fine dentro ci sia io o qualcun altro cambia poco… La parte sull’immedesimazione non fa per me.”
Quale parte?”
”Un’altra volta. Ora, vuoi deciderti a selezionare Yun-Seong o no?”

Va bene, ma se tu mi dici di prendere Yun-Seong io prendo Kilik.”
Fai come ti pare.”
Si stava aprendo… lentamente ma si stava aprendo, con il tempo e parlando di cose che gli interessavano. Forse anche quel ragazzetto scontroso e supponente poteva avere dei guizzi di simpatia. E forse una caterva di botte virtuali poteva aiutarlo ad aprirsi ancora un poco di più, pensò Jecht, smettendo di fare il finto tonto e impostando i comandi come sul pad di casa. Poteva non sapere cosa fosse quel tal God of War, ma Soul Calibur, oh, quello era pane quotidiano, lo conosceva da quando c’era Heihachi come personaggio bonus.

Quando, una ventina di minuti dopo, Auron lo ebbe salutato per dirigersi al suo beneamato torneo, Jecht si affrettò verso l’area palco, o piuttosto seguì la mandria di gente in costume sperando che lo portasse almeno in zona.
Sul palco una coppia di presentatori, un ragazzo e una ragazza entrambi vestiti da avvenenti sirene – con risultati leggiadri o dissacranti a seconda del caso – stavano già chiamando i primi partecipanti.
I suoi timori sul come trovare il ‘suo’ cosplayer in mezzo alle due-tre centinaia di presenti furono presto fugati: Braska lo attendeva di fronte agli spogliatoi, come una quercia in mezzo alla tempesta di gente vociante. Non aveva perso la sua compostezza, ma era palesemente non felice di essere ancora a metà vestizione a concorso iniziato. Il costume in sé sembrava completo, almeno da quel poco che Jecht poteva ricordare in materia di abiti tipici giapponesi: larghi pantaloni viola sotto un kimono rosso, sopra il quale ne portava un altro rosa acceso. Kitsch… due grossi pon-pon rossi centrali completavano l’opera. Alla cintura portava una katana e un flauto di bambù, ma il particolare che spiccava maggiormente era il modo in cui riusciva a restare in equilibrio su dei sandali in legno che terminavano in un solo, stretto appoggio centrale. Il trucco sul viso era però solo accennato, e reggeva ancora in mano i due sacchi della spazzatura.
Oi!”, salutò Jecht.
Infine! Temevo di non vederti più!”, rispose con più di un accenno di ansia nella voce. “Presto, aiutami a sistemare il copricapo! Auron è già andato? Dannazione, lui saprebbe come funziona tutta l’imbragatura…”
“…imbragatura?”

Presto spiegato. Braska scese dagli improbabili sandali e si fece spazio fra la folla per tornare, accompagnato dal nuovo aiutante, nei camerini ormai deserti. Con movimenti frettolosi ma esperti disfò i sacchi e trasse un grosso rotolo da uno e un ammasso di piume dall’altro. Messo temporaneamente da parte il rotolo, dispiegò l’ammasso, che si rivelò essere un elmo in foggia di rapace da cui si dipartivano due ali grandi quasi quanto il ragazzo stesso. Si poteva intravedere, da vicino, la complessa struttura portante in plastica e legno che le reggeva assieme a due cavi che probabilmente ne avrebbero azionato il movimento. L’intera costruzione dava allo stesso tempo una sensazione di fragilità e manifattura sapiente, anche agli occhi di un profano.
Bene, per prima cosa aiutami ad indossare la parrucca, per piacere…”

Fu un’operazione lunga e dolorosa, almeno per Braska che dovette a più riprese subire gli effetti dell’inesperienza dell’altro. La lotta per arginare la sua lunga chioma nella retina della parrucca era solo il primo passo, bisognava anche fissarla, fissare ad essa il pesantissimo elmo e non da ultimo far passare i cavi delle ali dentro al kimono in modo che restassero invisibili.
Sudarono freddo quando sentirono il sirenetto chiamare pochi numeri prima del loro, ma riuscirono a finire in tempo e, con una rifinita al trucco, erano pronti a fare la loro comparsa.
Sei buffo forte così agghindato… Ora ho finito?”, chiese Jecht quasi più esausto del cosplayer, mentre questi ritrovava il precario equilibrio sui sandali.
Se potessi chiederti un ultimo favore…”
Sarebbe a dire?”
Sul palco… il rotolo è la scenografia. Dovresti salire un attimo prima di me e distenderlo, chiedi a uno dei presentatori di tenerne un estremo e tu tendi l’altro. Se puoi.”
Non hai altra scelta, eh?”
Restare senza scenografia”, sorrise angelico l’altro, “ma Auron non ne sarebbe contento, l’ha dipinta lui…”
Vale a dire che se ci tengo alla vita farò meglio ad aiutarti, razza di ricattatore sotto mentite spoglie d’agnello”, rispose con uno sbuffo scherzoso. Certo a quel punto era curioso di vedere cos’avrebbe combinato su quel palco, e per lui, finchè era un modo per avvicinarsi alla sirena – quella non barbuta – tutto andava bene. “Ma di’ al tuo scenografo di allenarsi meglio a quel Soul Calibur III… o almeno di imparare a perdere”, concluse malignamente.
Ha, non ci posso credere! Il suo Mitsu, battuto? Questa è da raccontare ai posteri… Non invidio i suoi avversari al torneo, allora! Vieni, usciamo…”

Raggiunsero il palco appena in tempo per il loro turno. Jecht era stranamente agitato. Per quanto fosse abituato a muoversi di fronte ad un pubblico, e per quanto il suo compito fosse elementare, era pur sempre la pria volta che saliva su di un palco. Gli bastò però un’occhiata al sofferente Braska, stoico sotto i chili di copricapo, per ricordarsi che, sì, c’era chi stava peggio al mondo e non aveva diritto di lamentarsi dei suoi mali…
Quando le sensuali creature acquatiche ebbero chiamato “Waka, da Okami”, la musica allegra della presentazione si interruppe per lasciare spazio ad una lenta melodia strumentale che si rifaceva a sonorità tipiche giapponesi. Jecht corse sul palco e riuscì in qualche modo a reggere, assieme ai presentatori, la scenografia, ritrovandosi inaspettatamente in una posizione privilegiata per assistere all’esibizione.
Non durò molto, ma lo colpì più profondamente di quanto avrebbe immaginato: con movimenti lenti e aggraziati, anche se da vicino poteva vedere che stava già tremando per lo sforzo e, forse, l’emozione, Braska aveva iniziato una danza rituale cui univa poco a poco dei fendenti con la spada. Era evidente come ognuno di quei movimenti fosse studiato e perfezionato tramite infinite prove e, sì, l’insieme riusciva in effetti a comunicargli pensieri come ‘nobiltà’ e ‘bellezza’. Chiunque fosse questo Waka avrebbe fatto meglio ad essere all’altezza di un tributo del genere, non aveva mai visto una cosa simile in vita sua e certo non gli sarebbe dispiaciuto rivederla. Il pubblico, fino ad allora abbastanza freddo, gli concesse un discreto applauso sul finale, quando aprì di colpo le ali prima di fermarsi sulla posa conclusiva, col flauto appoggiato alle labbra.

Dopo qualche secondo in posa a beneficio dei fotografi si avviò giù dal palco, e la sirena fece cenno a Jecht che era caso che anche lui riarrotolasse il riarrotolabile e si togliesse dai piedi.
Auron li stava aspettando a qualche metro di distanza dagli scalini, con un raro sorriso dipinto in volto.
Filmata!”, annunciò fiero. “È venuta benissimo!”
Ma… il tuo open?”, chiese Braska esterrefatto, togliendosi gli infami sandali e cercando di alleviare il peso che gli gravava sulla fronte. Era felice e confuso, in pace con se stesso e col mondo, mesi di lavoro avevano infine dato il loro dolce frutto. Si era del tutto dimenticato di ringraziare pubblicamente i suoi due angeli custodi, quello appena dietro di lui e quello che aveva reso possibile la parte vistosa di quel costume, ma in fondo non importava, l’avrebbe fatto dopo di persona, magari offrendo loro una cena quella sera stessa.
Forfaittato al secondo turno, non avevo possibilità e… non potevo perdere la tua scenetta.”
Sciocco, non dovevi! E poi l’hai vista milioni di volte mentre provavo!”
Sciocchezze, ci tenevo.”
Cosa ti devo dire, sono… felice e grato più di quanto possa esprimere. A entrambi, grazie, grazie, grazie… ma ora”, aggiunse con tono d’un tratto più pratico che sognante, “visto che hai gentilmente bigiato per causa mia, non è che potresti essere ancora più gentile e accompagnarmi fuori a scattare due foto finchè c’è il sole… e prima che io collassi per il peso?”
Jecht si guardò intorno, indeciso sul da farsi. “Io resto qui, penso. Voglio… voglio vedere il resto della gara”, si sentì dire, e fu il primo a stupirsi della scelta.
Bene, allora. Ne sono onorato… a nome dell’intera categoria di gioppini in costume, suppongo. E ora a noi due, caro il mio fotografo ufficiale, immortaliamo quest’ultima impresa…”, disse rivolgendosi ad Auron, e presto si confusero fra la folla.

La gara continuava, continuava, continuava. Si avvicendavano sotto i riflettori guerrieri e maghette, samurai, principesse, cavalieri Jedi. Jecht osservava ammirato le cose belle e rideva quando riusciva a capire, finalmente trovando un senso in quello che avveniva sotto i suoi occhi. Si affezionò a un quintetto di Lupin particolarmente somigliante e riprese la mascella da terra quando salì Optimus Prime in persona, ferraglia e tutto, apprezzò la coordinazione in combattimenti di picchiaduro a lui ignoti (belle figliole, ad ogni modo) e solleticò il suo lato trash spanciandosi di fronte a battute da cabaret di serie Z, dove non c’era bisogno di conoscere gli originali per capire che non avrebbero fatto ridere un sasso.
Raggiunta la ragguardevole cifra di 376 i partecipanti finirono, e la giuria si ritirò per deliberare. Qualunque cosa decidessero, però, agli occhi del neofita nulla era stato più meritevole dell’esibizione del compagno che per primo gli aveva fatto capire quanto di bello e appassionato potesse esserci anche in quel remoto estremo dello spettro dell’assurdo. Rimase così, pensieroso e un poco perplesso, sorpreso di guardare indietro e vedere già in quella giornata il seme di un bel ricordo. E così lo trovarono Braska e Auron quando tornarono, e furono talmente sorpresi da quell’inedita posa meditativa che restarono per qualche secondo ad osservarlo prima di rendere nota la loro presenza. Tolte le scomode vesti da spirito nipponico, Braska era di nuovo avvolto nel suo maglione cremisi, con ciuffi di capelli sciolti e spettinati che si ribellavano all’ordine imposto dalla sciarpa. Aveva ancora una traccia estatica negli occhi azzurri, eredità dei recenti momenti di gioia ed enfatizzata dal viso arrossato per lo sforzo e il caldo. Pur se tornato ‘in borghese’, come si soleva dire, restava ben separato dai comuni mortali.

Bentrovato, Jecht. Scusa il ritardo”, lo salutò avvicinandosi. “E perdonaci se prima siamo scappati via.”
Fa niente, fa niente. Mi sono trovato da fare.”
Mh, vedo. Eri così assorto… Posso chiederti un parere sulla giornata, o è troppo invadente?”
Dipende. Che tipo di parere vuoi?”, lo canzonò.
Uno in cui mi tranquillizzi dicendomi di non averti fatto passare una giornata orrenda in compagnia di due pazzi, per esempio.”
Se la metti così… Sui pazzi non posso garantire, mi spiace, ma, sì, mi sono divertito. Non pensavo”, ammise. “No, dico davvero… eri commovente, amico, sembravi un vero sciamano che danzava per gli spiriti dei morti, o qualcosa del genere… mai vista una roba simile. Credevi in quello che stavi facendo e si vedeva. Bello.” Non trovava aggettivi migliori, ma ‘bello’ in fondo poteva andare. Rendeva il concetto.
Auron si appoggiò al muro e incrociò le braccia, soffiando via un lungo ciuffo di capelli che, sfuggito al legaccio, gli era finito sul viso. Ancora una volta sapeva dove sarebbero andati a finire e ancora una volta trovava l’idea meno che entusiasmante. Braska poteva aver avuto ragione sul niubbastro, che in fondo tanto niubbastro non era, e meglio di tanti altri… poteva aver avuto ragione su un’ultima fiera passata ridendo invece che perdendosi in autocommiserazione… ma quello era follia. E, quel che era peggio, lui non sarebbe potuto essere lì ad aiutarli, e non poteva sopportarlo.

Bene. Ne sono felice”, sorrise Braska. “Anche perché ho una proposta… oltre a una cena insieme al giapponese. Sentiti libero di rifiutare e mandarmi a quel paese, non voglio costringere nessuno, ma non posso non provarci, almeno.”
Sì a una pizza insieme, e spara la proposta!”
Auron guardò dall’altra parte.
Devi sapere,”, spiegò l’altro, “che ogni anno vengono selezionati due rappresentanti italiani per l’unico evento internazionale di cosplay, il World Cosplay Summit… le selezioni italiane si tengono a Roma, a metà ottobre, che è sì lontano ma si può organizzare una macchina in comune.”
Vuoi che accompagni te e Auron a fare questa cosa? Fotografo e tutto?”
No… Auron non può venire fino a Roma. E poi quello perfetto sei tu.”
Cioè, grazie”, mugugnò l’altra parte in causa.
Auron… Sai che non intendo in generale, e sai che so che non approvi il progetto e sai che lo tenterò comunque perché ho la testa più dura della tua.”
Sei troppo idealista… non funzionerà mai. Il ciclo continuerà, continueranno a selezionare idol carine e i tuoi sforzi saranno stati invano!”
Ma c’è sempre una possibilità che stavolta non accada. Vale la pena di tentare.”
Riuscivano a sembrare commoventi, come se ne andasse del destino del mondo e non del riuscire, per una pura questione di principio e di senso della giustizia, a far selezionare due costumi invece di due bei visini. Jecht era quasi dispiaciuto all’idea di interromperli. Quasi.
E basta voi due! Qualcuno mi spiega cosa sta succedendo?”
Che il progetto di Lord Braska è folle.”
E allora non farlo.”
Oh, grazie per la preoccupazione, Jecht…”
Bon, ho detto la mia, la coscienza è a posto.”
Ma io no!”, riprese Auron con foga. “non ha senso impegnare un’estate in costumi complessi per un progetto impossibile! Ripensaci!”
Se tu ti opponi con tutta quella forza mi vien da pensare che può essere simpatico e divertente, sai? Braska, spiegati meglio.”
Uhm. Ci provo, Jecht, ci provo. Auron non ha tutti i torti, è molto difficile, ma ci ho pensato a lungo… e ho concluso che Fay e Kurogane di Tsubasa potrebbero essere i candidati migliori. Non ti sto a spiegare il ragionamento che c’è dietro, ma, fidati, ha il suo senso. Io sono abbastanza simile a Fay, a ben vedere… e poi sei arrivato tu. Kurogane fatto e finito. Viso, atteggiamenti, tutto. Ti posso aiutare col costume, tutto il supporto che vuoi, se ti va di tentare questa follia.”
E… avremo fama… e… tipo, parate e fuochi d’artificio?”
Se riusciremo a passare, qualcosa del genere, sì”, rispose. Cadde il silenzio, ma era sereno. Niente sarebbe potuto andare male in quella giornata benedetta, e aspettò sorridendo tranquillo, come il cuore gli suggeriva.

Ci sto. Sei un pazzo, Braska, ma di un tipo di pazzia contagiosa.”
Non farlo, Jecht! Se ti tiri indietro… può esserci ancora modo di farlo rinsavire!”
Jecht.”
Che c’è ora, non vorrai fermarmi anche tu? Dopo avermelo chiesto e tutto?”
Scusa. Volevo dire, grazie.” Si poteva vedere la determinazione che gli si era dipinta in viso. Incrollabile. Jecht pensò che l’avrebbe potuto seguire fino in capo al mondo, e, ne era certo, anche Auron.

Non buttarti giù… il tuo Lord ha ancora da prepararlo, il costume, e avrà bisogno del tuo aiuto. Non sei tu quello che lavora il legno? Faglielo bene, mi raccomando.” Tentò così di ravvivare un po’ il morale del silente compagno, ma ricevette in risposta solo un grugnito. “Senti, capisco il tuo punto di vista, e quello che hai detto ha senso. Ma troverò un modo per spezzare questo vostro ciclo.”
Hai un piano?”, controbatté Auron, cercando con ogni forza di restare torvo. Aveva anche lui una reputazione da mantenere, in fondo.
Jecht?”
Fidatevi… penserò a qualcosa.”



Nessuno crede che ci riusciremo.”
Era tardi, e la piccola pizzeria quasi deserta. Braska stava finendo la seconda birra, e gli effetti cominciavano a farsi sentire, ma erano ben lungi dal riuscire a farlo tacere, anzi la parlantina si faceva più sciolta e ispirata mentre la sua mente era già lontana, persa in cartamodelli e stoffe degne di un re. Jecht lo interruppe per un ultimo brindisi, a una nuova amicizia, al Cartoomics, agli alieni. Rispettò qualche secondo di silenzio, poi riprese.
Facciamo vedere loro che sbagliano. Un cosplayer tutto sommato inesperto, un uomo da un altro mondo… e un fedele aiutante destinato all’oscurità per colpa di una famiglia autoritaria…”
Un’altra pausa.
“Che dolce ironia sarebbe…”



Free now, ride up on it
Up to the heights, it takes you
Go now, if you want it
An otherworld awaits you

   
 
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