Po quella notte si era svegliato preso dall’agitazione più totale.
Tigre si era svegliata perché era preoccupata per lui.
Lui aveva iniziato a prendere a pugni l’albero della nave.
Lei l’aveva spinto a colpire qualcos’altro: la sua zampa.
E lui aveva urlato di dolore.
Ma Tigre aveva voluto vederci qualcos’altro in quel grido: una sorta di ammirazione tacita che nessuno dei due poteva negare all’altro, e quella sua unica frase che diceva tutto:
“Questo… è proprio fico.”
A volte Po sapeva dire più di quanto non volesse in realtà dire.
 
“Tigre…”
L’aveva sentito avvicinarsi e aveva alzato lentamente la testa. Non aveva saputo dire nulla. Una fitta all’addome l’aveva presa forte e lancinante.
Il suo dolore le aveva fatto abbassare la testa.
Si era sentita così debole e inerme, davanti a lui…
Ma anche stranamente protetta.
Era con lui.
Erano insieme.
Come all’inizio di quella strana avventura.
Erano lui e lei.
Erano loro due.
I due più grandi guerrieri della Cina.
E probabilmente, tra poco Po sarebbe stato l’ultimo grande guerriero.
 
Non poteva parlare.
Sentiva con forza i polmoni spingere sull’addome, e il doloroso sforzo per riuscire a respirare.
Stava morendo.
Lentamente.
Piano, piano.
Le morti più dolorose sono quelle più lente.
Lei non aveva mai creduto di poter morire.
Non così.
Lei non doveva morire.
 
Po l’aveva vendicata.
Aveva ucciso Shen e aveva liberato la Cina.
Aveva liberato tutti gli abitanti.
Era stato un trionfo.
Ma per lei lo era ancora di più.
Era vivo.
Ed era rimasto con lei.
 
Alla fine era sopravvissuta.
Guardando la larga ferita ancora aperta sul suo addome, Tigre non poté credere di aver davvero potuto credere di morire.
Lei non sarebbe mai morta fino a che lui fosse rimasto vivo.
Erano collegati.
In qualche modo, loro due erano stati collegati.
E lo sarebbero rimasti a vita.
Nello specchio, accanto al suo riflesso, apparve quello di Po.
“Tutto bene?”
Tigre si girò verso di lui e lo abbracciò.
“Sì, va tutto benissimo…”