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Autore: Andrea_Sapori    23/11/2012    0 recensioni
"Puoi inseguire e cacciare la tua preda. O puoi fare in modo che venga lei da te".
Scopre il suo talento quasi per caso. Studia le sue prede fino al punto di diventare parte della loro vita.
E' conosciuto come "il maestro italiano".
Genere: Drammatico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: Contenuti forti
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Cap. 1 Agosto 1979 - Italia. Il bar del piccolo paese di montagna puzzava di fumo e salumi bruciati. Era il centro della socialità per 3 mesi. Poi tutto si addormentava di nuovo fino all'estate successiva, quando sarebbero tornati "i villeggianti". Li chiamavano così i turisti, da quelle parti. Anziani pensionati che approfittavano del fresco e del verde, fuggendo dalle città arroventate dall'afa e dallo smog, portando con loro i nipoti che avevano finito le scuole, facendo fare così ai propri figli, un po' di vacanza anticipata. Erano emigranti che tornavano al loro paese natale, sfruttando le grandi case costruite pietra su pietra dai loro antenati. Non c'era altra ragione d'essere lì. Era tutto molto italiano, economico e noioso. Dei divertimenti dei giovani di città non esisteva nulla. Loro non avevano ricordi di infanzia cui far riferimento e quindi avevano estrema facilità allo scazzo e predisposizione a che gli animi si riscaldassero, sostanzialmente perchè il clima era favorevole e perchè non c'era quasi niente altro da fare. Provvedevano a rompere la noia montana anche, alcuni dei già allora pochi giovani del posto. Ragazzi chiusi, ignoranti, induriti da quell'ambiente rude e semidimenticato. Non vedevano l'ora di avere per le mani quegli estivi giocattoli umani. Oltretutto, questo sarebbe poi servito a far passare il lungo inverno, seduti nel medesimo bar a fumare e bere, raccontando di una ragazza forestiera, che ora alcuni dicevano di avere avuto, senza ovviamente possibilità di smentita. Il racconto di qualche rissa, il pestaggio di uno di città che non aveva mica capito come giravano le cose lì. Epica da paesino di villeggiatura montano e italiano. Di questi giovani indigeni, uno era un deliquente. Era nato così. Capitava, ovvio, anche da quelle parti. Se fosse vissuto in una qualsiasi periferia urbana, sarebbe stato il classico giovane balordo, cattivo e ladro, una combinazione pericolosa a qualsiasi latitudine. E i più ne avrebbero prese le relative distanze. Ma in quel paesello si stava tutti molto più stretti e sfuggirgli era praticamente impossibile. Aveva 17 anni. Tutti sapevano che era il figlio illegittimo del medico condotto e di una giovane vedova, che abitava poco fuori il paese. Il medico, per lo scandalo, se ne era tornato con la moglie e i figli in città e nessuno lo aveva più visto. La madre del ragazzo era rimasta lì, con quel figlio che avrebbe dovuto servire da riscatto per una vita grama e che invece era diventato, fin dal suo concepimento incerto, causa per lei di ancora maggiori tormenti e tribolazioni. Così come di pubblico e gravissimo scandalo. Il ragazzo venne su senza guida e controllo, selvatico e viziato. A chi importava poi. Era il figlio della puttana del paese, in un paese di 100 abitanti. Col tempo trovò tra i suoi coetanei anche chi pensava fosse furbo e gli appuntò i gradi di capo banda. Nessuno pensava o provava a smentirlo, anche perchè questo tornava utile a tutti; avendo lui e la madre da indicare, il paese evitava di guardare se stesso e quanto schifo comunque facesse a prescindere da loro. I carabinieri della locale stazione erano, per così dire, poco interessati al rispetto della legge o anche solo alle regole della buona educazione, qualunque cosa volessero dire in quel posto sperduto. Intervenivano solo in caso di gravi reati, lì del tutto inesistenti, e tolleravano la teppistaggine sua e dei figli degli altri, prontissimi a dare la colpa di tutto sempre al "figlio della puttana", assecondati palesemente dai loro genitori. I militari, tutti provenienti dal sud Italia, erano stati mandati lì a scontare qualche punizione, uno dei vari confini disciplinare della Benemeita. Erano entrati a far parte del paesaggio come le pecore e i bovini, pensando di essere invece attori importanti. La gente del posto comperava la loro benevolenza con qualche genere alimentare. Così pure faceva la madre del ragazzo che, non avendo merci da regalare, scambiava ciò che una donna in quella condizione e con quel retaggio si trovò a poter barattare, pur di tenere il figlio fuori dalla cella di sicurezza. Pertanto, la relativa impunità e il limitato tempo di azione, rendevano quel ragazzo particolarmente crudele e violento. Ma a tutto questo si aggiungeva una congenita vena di malvagità, quella che a volte tocca l'anima e la mente di alcuni esseri umani, come altri sono nati avendo in sè talento e bontà. E lui non mancava mai occasione per ricordare la sua indole a chiunque. Il ragazzino "villeggiante" stava giocando una partita all'unico flipper. Aveva 13 anni e stava passando quelle che sperava fossero le ultime vacanze assieme ai suoi genitori e soprattutto, le ultime in quel posto. Non aveva amici locali, essendo l'unico ragazzo di Milano fra prevalenti liguri, diversi da lui sotto troppi aspetti e non era disposto a prendere in esame alcun proprio cambiamento. Veniva da un quartiere periferico della città che, per numero di abitanti, era più popoloso di tutta la provincia cui faceva capo il paesello dove stava ora. Lì aveva amici di tutte le regioni d'Italia e aveva imparato a capirne i dialetti, condizione necessaria per insultarsi e giocare insieme a calcio nei parcheggi lasciati vuoti dalla mattina alla sera dai genitori, operai e manovali nelle fabbriche che allora facevano di Milano una capitale del lavoro. Capire i dialetti serviva anche per avere qualche contatto con i "ragazzi grandi". La droga era una piaga che, sbagliando, pareva ancora lontana, riservata a gente diversa da quella. Ma i furti e le rapine, fatte altrove ma ovviamente ideate lì, erano la quotidianeità. Bisognava relazionarsi con chi di quella malavita viveva e abitava il quartiere; non bastava prendere un tram e andare in Piazza Duomo per stare fuori da quel contesto. Dovevi capire come funzionavano "certe cose", se volevi stare tranquillo. Lui queste "cose" e il loro funzionamento lo aveva capito benissimo. Anche nel suo caso evidentemente, si poteva parlare di naturale predisposizione. Il ragazzo entrò nel bar e si avvicinò al ragazzino. Impaziente, guardò la biglia di acciaio correre su e giù e, stufo di aspettare, diede un colpo al flipper causando un tilt. Il ragazzino di Milano, come se se lo aspettasse, alzò la testa e fissandolo senza alcun timore disse: "Adesso mi devi 100 lire". Il violento, come se fosse la cosa più naturale del mondo, gli diede un fortissimo schiaffo in faccia. Il ragazzino barcollò indietreggiando, continuandolo a fissare bene in faccia. Tutti videro la scena e quella stupida violenza e ovviamente nessuno disse nulla. Il ragazzino uscì dal bar e si incamminò lungo la strada senza una meta. Lo schiaffo bruciava sul viso e gli lacrimavano gli occhi. La fontanella lì avanti gettava acqua gelata di fonte e si fermò a bere. Il freddo lo aiutò a calmarsi, a ricordare e a pensare. Non era giusto ciò che aveva subito ma la cosa non era per lui certo una novità. Prepotenze ed ingiustizie nel quartiere sapeva che c'erano, regole non scritte che si dovevano sempre tenere presente. Ma lì e in quel momento, quel dolore aveva fatto scattare qualcosa. Se ne rese subito conto. Sentiva dentro un odio profondo, fortissimo, come se fosse tornato a galla un ricordo ancestrale. Aveva già vissuto l'odio, ma mai lo aveva sentito razionalizzarsi e trasformarsi in forza. La rabbia sparì e venne sostituita da un gelo interno: amici che lo avevano visto in quello stato, dissero che era stato come trovarsi di fronte ad un cadavere. Gli occhi verdi solitamente allegri e curiosi non avevano più luce, la pelle sbiancava diventando quasi grigia, facendolo somigliare appunto, ad un morto. Era come se un'anima nera lo prendesse da dentro. Quello non era il primo episodio di violenza e malvagità che aveva visto compiere al suo schiaffeggiatore. Lo aveva sorpreso in tutta la sua crudele cattiveria, con un cagnolino binco che aveva avuto il solo torto di avvicinarglisi scodinzolante e fiducioso. Attiratolo a se con un pezzo di cibo, accarezzandolo, gli aveva poi spento sul musetto una sigaretta. La bestiola guaì terribilmente ma non fuggì perchè aveva troppa fame. O forse perchè nella sua animale ingenuità, non poteva credere di star subendo una tale crudeltà. Il ragazzo del paese allora si accese un'altra sigaretta. E ancora speranzoso il cagnolino si avvicinò di nuovo. Quella scena rieccheggiò nella mente del ragazzino. Il disgusto e la rabbia iniziali, furono sostituiti da un'analisi coerente, fredda: esistevano esseri umani malvagi ed esistevano le loro prede umane. A volte le prede sembrava volessero essere cacciate, che andassero in cerca della loro fine. E anche che la maggior parte delle persone tende a disinteressarsi dell' avversa sorte altrui e che anzi spesso ne gode o fa finta di goderne. Iniziò così a classificare le persone che conosceva e che aveva conosciuto fino ad allora, in base a questo nuovo concetto. La sua mente iniziò un divisione per caratteristiche che, a mano a mano che procedeva, divenne sempre più accurata e completa. C'erano specie e sottospecie, varianti di umane tipologie che a lui parvero di colpo chiarissime. Capì inoltre che questa sua classificazione aveva un enorme per quanto teorico potenziale: si trattava in estrema sintesi, di prendere possesso degli altri, di condizionarne e controllarne pensieri ed azioni. Si rese anche conto che lui non aveva paura della malvagità che adesso notava in alcune persone, anzi ne era attratto. Voleva studiarla più da vicino. Tutto cominciò in quel preciso istante. Lo schiaffo quel giorno fu solo un gradino di una scala che già da tempo il ragazzo di Milano aveva iniziato a scendere. Se già non aveva amicizie, quella cattiveria maligna , subita pubblicamente che nessuno, ne giovane ne vecchio, pensò di contestare, lo fece isolare ancora di più. Così prendeva la bici di suo zio e se ne andava a fare dei lunghi giri per strade semi deserte che collegavano il paese al resto della valle. Un giorno gli capitò di incrociare il ragazzo violento in sella al suo 50cc da cross truccato e smarmittato. Non successe niente, giusto un rapido scambio di sguardi. Ma al milanese la cosa diede delle idee. Scoprì così che lui abitava un po' più avanti, lungo la strada, in un borgo di 4 case che sembrava abbandonato, scelto forse da sua madre proprio per quello, autobanditasi dal paese. "E' questa la strada che fai ogni giorno". Si appostò per tre giorni in posti diversi ma sempre lungo il medesimo percorso. Automaticamente, si ritrovò a pensare a come poterlo colpire. Non voleva vendicarsi. Sentiva che non era per quello. Più di tutto, voleva realizzare un progetto. "Un incidente... ecco. Una pietra? Olio lungo la strada all'interno di una curva? No, non va". La pietra non garantiva precisione assoluta e l'olio avrebbe potuto coinvolgere altri. Riconobbe la soluzione istintivamente perchè gli dava quel senso di sereno benessere che già aveva percepito altre volte. A metà strada tra il paese e il borgo, erano stati posti in strada dei cartelli e dei cavalletti che restringevano per alcuni metri la carreggiata. Segnalavano una frana che aveva rovinato il lato interno della strada che salendo dava sul monte. La parte esterna, che scendendo portava in paese, dava su uno strapiombo di pietra che finiva in un torrente a valle. Tutto a quel punto gli apparve chiaro, fluido, naturale. Il giorno successivo arrivò nei pressi dei cartelli e li sistemò più verso il ciglio esterno della strada, avendo cura eventualmente di rimetterli a posto e di nascondersi nel bosco se avesse inteso sopraggiungere una vettura, che in quel silenzio di montagna si sentiva arrivare da chilometri. Dopo qualche minuto riconobbe il piccolo rombo del motorino truccato che arrivava arrancando in salita dal paese, diretto verso casa. Il milanese mise per terra la bici come se volesse ripararla. Lo spazio a disposizione del motorino per passare così si fece ancora più stretto. Il paesano rallentò ancora. Fu anche attratto da ciò che vedeva fare all'altro ragazzo intorno alla bici in terra. Quando gli fu di fianco, quasi fermo, il milanese scattò come una molla e spinse di lato il paesano facendolo precipitare giù dal burrone. Il tempo a quel punto rallentò, e lui ebbe modo di studiare tutte le espressioni che cambiavano sul volto della sua preda. Le annotò con cura nella sua mente, perchè voleva analizzarle non appena fosse stato possibile riavvolgere il nastro di questo evento. Cercò anche di ricordarsi ciò che provava. Riteneva fosse importante. Il motorino si fermò quasi subito e si spense. Il ragazzo invece rimbalzò sulle rocce per metri e metri rotolando a valle. Non fece quasi rumore. Ad ogni rimbalzo emetteva un suono sordo come di un panno bagnato che viene sbattuto a terra. Gli vide volare dalle tasche, soldi chiavi, sigarette ed accendino. Il corpo si fermò. Vide che il sangue ne aveva segnato il percorso sulle rocce. Tolto questo e il motorino poco sotto, non si vedeva altro. Il milanese rimase immobile. Non si guardò intorno. Sapeva per istinto che a quel punto, se qualcuno aveva visto la scena, era inutile nascondersi o scappare. Quindi con calma rimise a posto i cartelli, avendo cura però di lasciare il più esterno a terra, caduto. Urtato. Inforcò la bici e tornò in paese pedalando appena, sfruttando la discesa della strada. Arrivò a casa dei nonni e trovò tutti già a tavola per il pranzo. Di sua iniziativa, andò a lavarsi le mani, evitando così che qualcuno glielo ricordasse. Annotò tra sè la cosa come un errore. Si sedette. Nessuno lo salutò o gli rivolse parola. Si mise a forza il cibo in bocca e lo inghiottì, pur non avendo assolutamente fame. Iniziarono a farsi largo i pensieri ma non riuscì a dar loro alcun ordine. Raggiunto un tempo ragionevole per non essere ripreso, si alzò e andò in camera sua. Si sdraiò e si addormentò, o meglio, si spense, come se qualcuno avesse premuto un'interruttore. Interessante, pensò poi. Si iniziò a percepire trambusto in strada. Era senzaltro successo qualcosa. La gente correva verso il centro del paese e poi tutti si dirigevano lungo la strada che portava al borgo. Arrivò dopo parecchio tempo, perchè doveva fare la strada che c'era dal primo ospedale che era a valle di parecchi chilometri, un'ambulanza. Correva e aveva le sirene che urlavano. Quando se ne andò, ormai a sera fatta, le sirene erano spente. Il ragazzo di Milano giocava a flipper, approfittando del fatto che nel bar non c'era quasi nessuno. Cap. 2 Ottobre 1993 - Tel Aviv, Israele.
  
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