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Autore: robiii    23/11/2012    3 recensioni
Al tempo mi piacevano i cigni, ora non più. Non so perché, forse perché ho smesso di credere alle fiabe come Wendy non credeva alle fate, forse perché non sono più un bambino. O forse perché sapere il motivo reale per il quale queste sono state scritte non aveva nulla di magico.
Genere: Introspettivo | Stato: in corso
Tipo di coppia: Nessuna
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Da quando ho memoria scrivere non mi è mai costato fatica ed è una delle poche attività che ho sempre svolto con costanza, dedizione ed impegno. Ho iniziato a scrivere, come tutti i bambini, scarabocchiando dei semplici fogli di carta bianca e dall'ora non ho più smesso. Tutte le volte che mi muovevo di casa, anche per andare solo a trovare i parenti, avevo sempre con me un quaderno e una penna, rigorosamente nera. Si, perché il nero è più fine e professionale: con il nero si scrivono i documenti ufficiali, le cose importanti. È una delle cose che ti insegnano a fine elementari o inizio medie, non ricordo con esattezza è passato tanto di quel tempo.

Fatto sta che io ho sempre scritto e nulla mi rendeva più felice che avere come compito quello di redigere un tema in cui poter inventare ogni cosa. I personaggi, la trama, l'ambientazione. Era tutto quello che mi serviva per poter sfruttare quel pozzo strano e, il più delle volte, contorto della mia fantasia, alimentato forse dalle tante favole che mi hanno raccontato durante la prima infanzia. Tra tutte la mia preferita era CIGNO APPICCICA. Raccontava di un giovane un po' mingherlino che andava in giro per il mondo con un cigno e, quando qualcuno gli chiedeva se poteva prendere una piuma del cigno, egli ripeteva le parole “cigno appiccica” così il malcapitato rimaneva attaccato al cigno ed era costretto a seguirlo. Tutto a causa di un incantesimo.

Al tempo mi piacevano i cigni, ora non più. Non so perché, forse perché ho smesso di credere alle fiabe come Wendy non credeva alle fate, forse perché non sono più un bambino. O forse perché sapere il motivo reale per il quale queste sono state scritte non aveva nulla di magico. La ragione per cui esse sono nate è quella di spiegare ai bambini che il mondo non è solo luce, ma anche buio; che non esiste solo il bene, ma anche il male. Far comprendere alla generazione di domani che, per sopravvivere, deve aver ben presente che in ogni storia esiste un eroe o protagonista, ma anche un suo antagonista; e, siccome la mente dei bambini fa fatica ad interpretare assiomi troppo complicati, quale poteva essere il modo più semplice per mutuare questo importante insegnamento salvifico? Il folklore popolare composto da leggende, dicerie, racconti strani, fiabe e favole, ma, dopotutto, in ogni storia è sempre presente della verità. Il caro e buon vecchio Freud parlerebbe di spostamento ovvero trasferire le caratteristiche socialmente inaccettabili ad un altro oggetto in modo che questo assuma i tratti manifesti. Non so di cosa quel uomo si facesse, ma era davvero potente; anche se forse un pochino aveva ragione.

Tornando a parlare della scrittura devo confessarvi che preferisco questa attività al dialogo. È sempre stato più semplice per me scrivere che parlare. Lo preferisco di gran lunga che è diventata la mia voce. Si, sporcare il foglio di carta con l'inchiostro è il mio modo di esprimermi, mettermi a nudo, scaricarmi la coscienza. Scegliete voi la definizione che preferite, non ha molta importanza la sfumatura che le attribuirete: l'oggetto in sé sarà sempre lo stesso. Una mela è sempre una mela anche al variare della prospettiva; e la vita di un disastro ambulante è sempre quello: la vita di un disastro ambulante. Perché è questa l'etichetta che mi hanno affibbiato, sin da ragazzo. Io non sono Antony o Benjamin o Cory. No, io sono il disastro che cammina. È come un marchio impresso a forza nella carne e se tu cerchi di staccarlo te lo incollano da un'altra parte senza disturbo.

Due parole: disastro ambulante. Io però ho una definizione migliore e più spiritosa: buffone. Sono un buffone, un giullare, un pagliaccio. I'm a JESTER, suona bene anche in inglese. JESTER. Sono io.

Al tempo però credevo di essere un grande scrittore ed un esperto del mondo, ma la verità è che non lo ero affatto. Non sapevo nulla né del mondo né di cosa volesse dire essere uno scrittore; ma questo l'avrei capito solo molto tempo dopo.

Ciò nonostante non rimpiango nulla di quello che ho fatto. No, non è vero una cosa la rimpiango: aver lasciato scivolare via il sogno di diventare uno scrittore; anche se non ho abbandonato la scrittura. Per il resto ho sempre vissuto con il sorriso sulle labbra e di questo ne vado ancora fiero.

 

J.

 

 

 

 

 

Commento dell'autrice

Hello everyone! Aggiungo questo piccolo commento per precisare alcuni punti. Come prima cosa volevo puntualizzare il riferimento a Freud e alla droga. Cercare esperienza extrasensoriali o semplicemente evadere dalla realtà tramite sostanze stupefacenti era cosa comune nel 900 e Freud non faceva eccezione. Non solo la usava per sé, ma la procurava anche ai suoi pazienti per fini terapeutici. Insomma è un dato di fatto.

Seconda cosa volevo ringraziare la mia beta-lettrice ufficiale Yuki_o che si è subita ogni genere di castronata improponibile senza impazzire. I love you Darlin!! thank you so much!!

Beh, penso di aver detto tutto perciò.......buona lettura!

  
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