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Autore: fliflai    23/11/2012    3 recensioni
Questa storia parla di una ragazza costretta a sposare un uomo contro la sua volontà. Cose che succedono ancora purtroppo. Quindi per ricordare che al mondo ci sono donne che sono vittime di violenza di ogni genere ho deciso di scrivere questa storia, anche se non sono sicura che sia all'altezza dell'argomento.
Non mi resta che augurarvi buona lettura, sperando di ricevere dei commenti sia positivi che negativi!
Genere: Drammatico, Triste | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna
Note: nessuna | Avvertimenti: Violenza
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Una ragazza senza nome.

 

Viveva in quella casa da quando aveva quattordici anni. Una catapecchia con cinque stanze, abbastanza alta e fatta di legno. Quando quella ragazza dai capelli neri e stopposi l'aveva vista il suo sguardo si era incupito. I profondi occhi neri si erano fatti lontani. Quella sarebbe stata la sua prigione per il resto della sua vita. Il sole batteva forte su quella pelle nerissima, lei si fermava a guardare meglio la capanna. Poi, alla fine e con un peso nel cuore, aveva spinto la porta ed era entrata. La teneva ancora aperta, aspettando che suo marito entrasse. Finché non oltrepassava la soglia non la poteva chiudere altrimenti l'avrebbe picchiata. Aspettava ancora, poi quell'uomo si era degnato di entrare, lanciandole un'occhiataccia mentre lei chinava in capo in segno di rispetto. Rispetto per l'uomo che l'aveva strappata alla sua famiglia e alla sua casa, dalla libertà. E ancora non gli era bastato, perché l'aveva picchiata, tutte le volte che aveva alzato la voce, tutte le volte che cercava di far valere i suoi diritti. Poi quelle stesse mani che l'avevano toccata con tanta violenza si erano posate sul suo corpo e l'avevano umiliata, derisa. Le avevano ucciso l'anima, tolto ogni dignità. Non aveva avuto pietà di una ragazzina e l'aveva strappata al resto del mondo, chiudendola in quella prigione. Usandola ogni giorno, lui che era un vecchio. E la picchiava in continuazione per il figlio mancato. Aveva venduto come schiave le sue stesse figlie. “Così imparerai a darmi un maschio” le diceva. E lei gli credeva, credeva che era solo colpa sua se non poteva dargli un maschio. Non aveva più avuto il coraggio di alzare il suo piccolo viso per guardare quello dell'uomo davanti a lei. Su quel viso paffuto, solcato dalle rughe, e non aveva visto quei capelli bianchi e quelle labbra che tanto odiava.

La ragazza quel giorno era “libera”, suo marito era altrove, non le aveva detto però in quale posto.

Probabilmente da una delle sue altre mogli. Si sentiva male, appesantita, aveva mal di schiena, e un dolore fortissimo alla testa, come se con un bastone la picchiassero all'interno.

Era un periodo in cui gli alberi erano secchi, però ce n'erano molti. Fu all'improvviso aggredita da un attacco di nausea. Dondolò come una scimmia fino all'albero più vicino e vi si aggrappò. Era uno grande ed alto baobab delle foglie abbastanza verdi. Era vestita con un abito azzurro lungo fino alle caviglie. Il sole quel giorno era più caldo del solito e sembrava che volesse ucciderla. Neanche il velo che indossava la proteggeva. Poi cadde a terra svenuta, il senso di nausea che non voleva abbandonarla.

Si risvegliò a causa degli schiaffi. Aprì piano gli occhi scuri e si trovò davanti il volto di suo marito. Era arrabbiato, si vedeva dagli occhi accesi per la collera e dalla mandibola serrata. Le colpì con una manata l'occhio nero facendola piegare dal dolore. Ma non avrebbe pianto. Certo che no, niente soddisfazioni quella volta.

<< Non hai svolto i lavori di casa stupida donna! Ti ho trovato qui che dormivi! >> l'accusò mentre le tirava un calcio alla gamba. Una gamba piccola, magra, ricoperta di pelle nera. << Non dormivo, sono svenuta >> sussurrò lei cattiva mentre si leccava il labbro inferiore spaccato. La picchiò più forte solo perchè aveva risposto, perchè la sua bellissima voce l'aveva raggiunto.

Quelle mani sapevano fare solo violenze.

Solo in seguito scoprì di essere in attesa di un figlio. Era seduta sul letto molto scomodo in cui aveva perso la sua dignità. E dalla porta entrò suo marito vestito con una tunica bianca. Non era un uomo alto, infatti era più basso di lei, stempiato, ed aveva dei capelli bianchi, d'un bianco candido.

Si avvicinò alla moglie, una piccola donna dalla pelle scura, i riccioli neri e gli occhi scurissimi e profondi, e le labbra carnose.

<< Se questa volta non è un maschio giuro che ti uccido >> il tono con cui pronunciò la frase era cattivo, duro. Poi si voltò verso la porta.

<< Solo perchè le tue amiche te lo hanno già dato? >> chiese a denti stretti. E ancora botte, e ancora sangue e grida e lacrime che scendevano sulle guance magre.

I mesi trascorsero molto lentamente, come una tartaruga, mentre la donna era sempre più agitata, rispondeva sempre di più e veniva picchiata molto più spesso da quelle mani callose.

E poi partorì il figlio che presto seppe un maschio.

Ma odiava quella creatura esattamente come aveva odiato le figlie. Solo frutto di violenza. Non di amore.

Poi sentì che il respiro le mancava. Sentì la vita abbandonarla. Chiuse piano gli occhi.

Mai nella sua vita era stata così felice, come quando una donna libera partorisce un figlio. Ed era sicura che nessuno avrebbe mai rimpianto la sua morte.

Così, felice come mai avrebbe mai pensato di essere, capendo che il mondo si liberava di lei, che non importava a nessuno, cadde in un sonno dal quale non si sarebbe mia più risvegliata.

  
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