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Autore: SHUN DI ANDROMEDA    23/11/2012    1 recensioni
[Drama - Kamen Rider Fourze]
[RyuuseiCentric]
Migliore amico...
Studente di scambio...
Vendicatore...
Kamen Rider...
“Cosa sono, veramente?”
Genere: Malinconico, Slice of life, Triste | Stato: completa
Tipo di coppia: Shonen-ai
Note: Missing Moments | Avvertimenti: nessuno
- Questa storia fa parte della serie 'Tales From Tokusatsu Worlds'
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Fandom: Kamen Rider Fourze
Rating:
Giallo
Personaggi/Pairing:
Kengo/Gentarou, Kamen Rider Club, Ryuusei
Tipologia:
OneShot
Avvertimenti:
Fluff
Genere:
Malinconico, Triste, Slice of Life
Disclaimer:
Personaggi, luoghi, nomi e tutto ciò che deriva dalla trama ufficiale da cui ho elaborato la seguente storia, non mi appartengono ma sono di proprietà di Toei Animation e Shotaro Ishinomori, che ne detengono tutti i diritti. Questa storia non è stata scritta a scopo di lucro ed è dedicata al “Maritoh” Ankh e a tutti i miei compagni degli Italian Sentai Subranger.

 

I WANT TO KNOW WHAT'S MY PLACE IN THIS WORLD

 

Migliore amico...

Studente di scambio...

Vendicatore...

Kamen Rider...

“Cosa sono, veramente?” si chiedeva Ryuusei mentre camminava lentamente tra i corridoi della Subaruboshi, tenendo lo sguardo basso e le mani strette attorno alla cinghia della tracolla.

Sentiva dietro di sè gli sguardi preoccupati e inquieti di Shirakawa-kun e Jirou, sapeva che stavano parlottando alle sue spalle nel tentativo di capire cosa avesse, perchè si fosse chiuso in sé stesso in quella maniera, perché non si aprisse più con loro.

“Chi sono io?” si chiedeva continuamente: “Qual è il mio posto nel mondo?” e non sapeva neppure se ci fosse una risposta, da qualche parte.

Era insicuro, forse lo era sempre stato ma, prima, la situazione di Jirou era stata prioritaria rispetto ai suoi effettivi bisogni e alle sue dolorose incertezze, era stato il migliore amico in tutto e per tutto, aveva sacrificato tanto per lui, si era lasciato divorare da un desiderio che lo aveva quasi portato sulla via della distruzione ma che aveva realizzato, pur se con difficoltà, a costo di troppe cose e con un grande aiuto.

Ma ora che Jirou era tornato in piedi, che poteva di nuovo camminare con le proprie gambe...

Quei bisogni avevano deciso di tornare alla carica e sbattergli dritto sul muso il suo disagio, l'impellente necessità di trovarsi, di sapere cosa fare di sé stesso.

“Chi sono io?” era forse la domanda più cruda eppure più pressante che gli pendeva sulla testa: aveva sempre creduto di saperlo, si era sempre aggrappato alla convinzione di sapere esattamente chi fosse e quale fosse la sua missione, era stata la sua motivazione più forte nel corso dell'ultimo anno, così potente da annientare tutto il resto.

Ma ora, aveva perso ogni velleità, ogni desiderio di lottare.

Anni di deserto affettivo, gli stessi che lo avevano fatto legare in maniera quasi ossessiva a Jirou, erano tornati a chiedere soddisfazione delle mancanze.

Anni di solitudine per quel bambino dai capelli chiari che non aveva neppure ben chiaro chi fosse la sua famiglia, da dove venisse, un bambino che aveva trovato, nel kung-fu e nella scuola, un modo per nascondere ciò che lo tormentava, che incanalava la furia e la rabbia nelle grida che spaccavano il cielo notturno sopra la palestra, quella stessa rabbia che fungeva da lubrificante per i movimenti già fluidi del suo corpo mentre imitava forme, pose e mosse negli stessi gesti lenti e affettati, eppure così letali, all'occorrenza, che il maestro gli mostrava ogni giorno.

Si era aggrappato a quello sport come se fosse stata la sua ancora, il suo salvagente, aveva messo tutto sé stesso nel kung-fu per non continuare a sentire la solitudine di quelle notti insonni, consapevoli che nessuno al mondo lo stava aspettando.

Poi, dopo quindici anni di solitudine e affetto negato, era arrivato Jirou, il più deboluccio dei nuovi allievi, quel fratello che non aveva mai avuto e che forse poteva cancellare in parte quel suo doloroso disagio e alleviare le sofferenze di un cuore bisognoso di legarsi a qualcuno da proteggere fieramente.

E così era stato.

Poi era arrivato lo Switch, il buio aveva ghermito quell'unica luce e l'aveva spenta e ciò che aveva creduto di aver sconfitto, era tornato ancora più cattivo di prima, aggravato dal senso di colpa e dalla lancinante nostalgia.

Era cambiato.

Era cambiato e tale cambiamento era avvenuto in modo troppo repentino, il gelo era calato su quel cuore che aveva cominciato ad aprirsi e a riscaldarsi nel sorriso sincero di quell'amico che, malgrado i lividi o i graffi, sporchi di sabbia e pietrisco, frutto di innumerevoli cadute in quelle notti stellate , era sempre e comunque rivolto a lui, come due stelle di un sistema binario che non fanno altro che guardarsi.

C'era solo la sua ricerca e basta.

Aries aveva la precedenza su tutto, anche su quella mano tesa che, intuendo istintivamente - senza realizzarla appieno - la sua necessità di non essere lasciato solo mascherata da indifferenza e crudele ironia, era rimasta tale anche dopo che il suo proprietario era stato freddamente ucciso dai suoi attacchi.

Era diventato un Kamen Rider, era diventato la Meteora che attraversava lo Zodiaco, eppure ne aveva equivocato la missione, il significato della lotta.

Era diventato un assassino.

Eppure, quando aveva realizzato il suo errore, quel qualcosa che credeva fosse ormai morto in lui si era fatto sentire forte e chiaro ed era tornato, aveva cercato fino alla fine di proteggere chi, in quella storia, aveva pagato il prezzo più alto.

E gli era stato restituito almeno un amico.

Due, contando anche Jirou.

Non aveva perso Gentarou, non aveva perso il Bu.

Ma gli strascichi delle sue azioni erano rimasti lì, a ricordargli la sua colpa macchiata del sangue di Kisaragi, il tradimento di un'amicizia disinteressata che lui aveva affogato nell'abisso della morte.

In un continuo desiderio di redenzione mascherato dalla missione come Rider che aveva ormai fatto propria, Ryuusei si era accorto di stare tendendo all'autodistruzione.

E quando anche l'Alleanza Anti-Zodiarts aveva esaurito il proprio compito, e l'M-BUS era stato cautamente riportato a terra, dopo aver liberato le persone, i comandanti, lì ospitati in animazione sospesa, Ryuusei si era accorto che quello non era il suo posto.

FLASHBACK

Quando, in quel pomeriggio pieno di sole, il Bu uscì fuori nel cortile dell'Ama con la bandiera che sventolava fiera al forte vento, l'intera scuola li osservò con curiosità.

Tutti sapevano, le voci correvano ed erano sempre di più le persone che, in un modo o nell'altro, avevano avuto a che fare con Fourze e il Bu, quindi nessuno si era stupito più di tanto nel vedere la bandiera in mano a JK e Tomoko.

Davanti a tutti, stavano Gentarou e Kengo, le mani si sfioravano mentre i visi affrontavano fieramente il cielo dipinto di calde tinte arancioni.

Ryuusei era in mezzo al cortile, seduto sul prato accanto a Shun, che teneva Miu sulle ginocchia mentre Oosugi e il corpo docente al completo sembravano aspettarli a pochi passi di distanza dai tre ragazzi.

Incuriositi, non pochi studenti cercarono di avvicinarsi ma l'intero club di football sembrava fungere da servizio di sicurezza e si prodigava a tenere lontani gli studenti, che già mormoravano e facevano congetture.

“I computer della scuola sono stati utilissimi per creare i radiocomandi e il software.” annunciò Kengo con serietà, una volta raggiunti i professori.

“Proprio quello che ci si aspetterebbe da Utahoshi-kun.” replicò Satake: “Avete trovato la giusta frequenza, quindi?”

“Ci abbiamo lavorato per parecchio tempo ma sì, l'abbiamo trovata.” disse Yuuki, guardando il cielo con un sorriso: “Possiamo tirarli giù in ogni momento.”

Shun annuì: “Faccio sgombrare il cortile?” chiese, pronto a fare un cenno a Miura.

“Secondo i dati forniti dal progetto, la porzione di terra che và dalle panchine a quel punto lì.” e JK indicò i gradini di accesso all'edificio principale della scuola: “Ci daranno abbastanza spazio per far atterrare quel coso.”

Con cura, Tomoko piantò la bandiera nel punto in cui si trovava poi si spostò di qualche passo per raggiungere Ryuusei e gli altri.

Gentarou annuì: “TIRIAMOLI GIU'!” esclamò con entusiasmo, voltandosi prima verso Yuuki, poi verso Ran e Haru e infine sorridendo a Kengo: “Facciamolo.”

Kengo annuì, inginocchiandosi sull'erba per aprire la valigetta mentre i due kohai, con due telecomandi gemelli, stavano in attesa di ordini.

C'era un insolito clima di attesa, nessuno capiva le stranezze del Bu a parte il Bu stesso o chi aveva avuto abbastanza a che fare con loro per comprenderne i processi mentali, e tutta quella storia pareva così assurda...

Solo la presenza dei professori sembrava dare un alone di serietà alla cosa.

Miura, coadiuvato da tutto il club di football, sgombrò parte del cortile come aveva concordato con il senpai mentre i tre armeggiavano con i loro strumenti elettronici, scambiandosi dati e istruzioni.

Ryuusei li osservava, incerto se essere felice o meno.

Dopotutto, l'M-BUS era parte della sua eredità come Meteor, era la base da cui Tachibana gli dava istruzioni...

Sapeva che la responsabilità della loro presenza lì non era sua, che erano stati salvati da Tachibana, eppure il senso di colpa lo pungolava.

Mezz'ora dopo, nel cielo comparve qualcosa...

“Ha superato la stratosfera, le placche di protezione reggono alla pressione, non rilevo alcuna variazione di sorta nelle apparecchiature interne.” disse Kengo con voce tesa.

“La gravità è sotto controllo.” assicurò Haru, sbirciando lo schermo di Ran: “Letture regolari come nelle simulazioni.” asserì lei.

“Preparati all'henshin, Gen-chan.” sussurrò Yuuki all'orecchio dell'amico: “Tra poco devi entrare in azione tu.”

“Non preoccuparti, sono pronto!” la rassicurò Gentarou.

Quando ormai la sagoma del satellite fu distinguibile ad occhio nudo, molte delle studentesse si lasciarono scappare gridolini eccitati o sorpresi mentre i ragazzi, agitati e inquieti, cercavano di districarsi dalla copertura che il club di football teneva sulla folla.

Ma tutti esultarono per la gioia nel vedere Fourze schizzare in aria col Rocket, posizionarsi sotto il satellite in discesa e rallentarne la caduta sfruttando la spinta inversa dello Switch.

“Ripiegare i pannelli energetici!” ordinò Kengo.

Haru eseguì e il satellite sembrò un enorme uccello metallico nel mentre dell’azione.

Quando infine l'M-BUS fu atterrato e Gentarou ebbe annullato l’henshin, sia il Bu che il corpo docente si avvicinò all'accesso: “E ora?” chiese Satake.

“Ora ci penso io.” disse Ryuusei serio, poggiando una mano sul piccolo pannello di apertura che c'era sul fianco del satellite, digitò alcune cifre, mostrò la pupilla...

Uno scampanellio, unito al chiaro rumore di una porta a tenuta stagna che si sganciava, aprendosi, fu ciò che attendevano.

“Ora tutti i dispositivi di sicurezza sono stati disinseriti, il sistema di raffreddamento ha già provveduto a entrare in azione per riequilibrare la temperatura della copertura esterna. A breve, potremmo tirarli fuori.” annunciò Sakuta.

“Tachibana-san doveva avere avuto sentore che qualcosa sarebbe andato storto, altrimenti non avrebbe mai cambiato le impostazioni di sicurezza.” fece notare Miu: “Per fortuna che è stato così, altrimenti non avremmo mai potuto tirarli fuori.” aggiunse Tomoko, sorridendo appena all'indirizzo di Ryuusei.

Ma questi non ricambiò.

Si sentiva così fuori luogo...

“Temperatura normale. Sakuta, tocca a te.”

Le istruzioni di Kengo toccarono solo marginalmente Ryuusei, che aveva già provveduto ad aprire il portellone e ad entrare all'interno, seguito rapidamente da Gentarou.

Non ricordava il periodo trascorso lì dentro - anche lui era stato messo in animazione sospesa - ma qualcosa, nel suo cuore, gli urlava che dovevano sbrigarsi, che quel posto non era fatto per loro.

Nel ronzante buio appena appena rischiarato dai led colorati dei macchinari, Ryuusei distinse l'impianto di contenimento.

Muovendosi a fatica nel poco spazio disponibile, tirò fuori la torcia tascabile, facendo cenno a Gentarou di fare lo stesso.

“Sono-chan!” gridò Kisaragi all'improvviso, dopo aver visto il volto privo di sensi della propria ex professoressa all'interno di una delle cabine che, fremendo, Ryuusei aveva scambiato in un primo tempo per macabri loculi di vetro ammassati gli uni sopra gli altri in un angolo ingombro di cavi.

“Fai attenzione nel tirarla fuori.” lo avvertì, inginocchiandosi per raggiungere quello che ospitava Kijima: “Chiama Daimoji-senpai per aiutarci a portarli fuori. C'è ancora Sugiura.”

E mentre Gentarou parlava nel MagnetPhone, mentre Shun si precipitava all'interno per prendere in consegna Sugiura e tutti e tre uscivano da lì dentro per venire accolti dalle grida festanti dei compagni per aver salvato i prigionieri, Ryuusei capì che quella felicità non gli apparteneva, che i successi del Bu non erano ANCHE i suoi perchè lui non ne era parte davvero.

Perchè ci sarebbe sempre stato qualcosa che l'avrebbe differenziato, che l'avrebbe allontanato, e lui non poteva farci nulla.

Così, dopo aver depositato con cautela Kijima sulla barella che lo avrebbe portato in infermeria, semplicemente raccolse le proprie cose e se ne andò, senza degnare di uno sguardo chicchessia, sordo ai richiami di Gentarou che, nonostante tutto, con le braccia occupate da Sonoda-sensei, non poteva fare altro che lasciarlo andare, ripromettendosi di correre a cercarlo appena possibile.

FINE FLASHBACK

Ed erano passati ormai un paio di giorni, giorni durante i quali lui aveva deciso di chiudersi definitivamente, di tornare a essere il Ryuusei cupo e silenzioso che era stato per tutta l'infanzia e l'adolescenza.

Aveva smesso pure col kung-fu, aveva deciso di dare un taglio ad ogni cosa nel tentativo di azzittire quella paura e quel bisogno che non poteva assolutamente esaudire né cancellare.

Cosa poteva mai, lui, offrire? Che amico poteva essere? Che persona poteva essere?

Non sapeva quale fosse il suo posto nel mondo, non sapeva come comportarsi e anche solo chiedere aiuto, invocare quell'affetto che sentiva necessario gli pareva inutile e patetico.

Tutto quello che aveva sempre fatto era stato distruggere con le proprie mani ogni cosa.

Lui, che non sapeva amare, che sapeva solo possedere ossessivamente, come poteva presentarsi davanti a Gentarou, instabile com'era, davanti all'intero Bu che aveva faticosamente imparato a definire “famiglia”, la stessa che gli era sempre mancata, e implorarli di non lasciarlo solo?

Era più comodo chiudersi e tagliare il mondo fuori...

Uscito nel cortile dell'istituto, semplicemente sparì dietro l'angolo al di là del cancello.

§§§


“Cosa vuol dire che Ryuusei è sparito?!”

Gentarou aveva lasciato il proprio numero di telefono a Jirou qualche mese prima, dopo aver accompagnato Ryuusei a trovarlo in ospedale e convinto di poter costruire una bella amicizia con il ragazzo, ma non si sarebbe mai immaginato di ricevere una sua telefonata completa di richiesta di aiuto.

Era nel corridoio che portava all'infermeria, era di turno per stare con Kijima, l'unico tra i ricoverati che ancora si trovava lì.

Sia Sonoda che Sugiura erano tornati a casa, in riposo forzato, Kijima si era svegliato da poco meno di mezz'ora e non era ancora abbastanza stabile per essere rimandato a casa.

Toccava a tutti loro rimettere assieme quegli ultimi cocci della storia degli Zodiarts.

“E' sparito, ieri è uscito da scuola ma all'istituto dove sta mi hanno detto che non è tornato, ho provato a cercarlo ma nulla, il maestro ha detto che si è ritirato dalla palestra e ho esaurito le idee...” ammise Jirou nel panico.

“Aspettami davanti a scuola, arrivo!” sbottò Kisaragi, facendo irruzione all'interno della stanza: “Scusami, Kijima, ma devo scappare!” esclamò, afferrando la giacca e la valigetta, “Mando Yuuki o Kengo a stare con te, d'accordo?”

“Sakuta-kun ha deciso di sparire?” chiese lui con voce debole, era pallido, col volto segnato e aveva una flebo attaccata al braccio.

“Sì, è uno stupido!” inveì il moro.

“Non è uno stupido...” sussurrò Cancer, bloccandolo sul posto: “E' un bugiardo come me, so come funziona la sua mente... Troppe bugie, agli altri ma soprattutto a sé stessi, non fanno bene... E lui ha bisogno di aiuto... Molto più di me... Ha bisogno di te. Vai da lui, io non me ne andrò di qua, non preoccuparti. Prova a cercarlo in posti che non penseresti mai che possa frequentare... Ti stupirà.” sussurrò, prima di addormentarsi di nuovo.

"Kisaragi!"

Gentarou era corso fuori a tutta velocità, incurante del fatto che potesse o meno finire addosso a qualcuno o cadere lui stesso, venendo bloccato dalla voce di Kengo una volta giunto nei pressi del cancello.

Utahoshi era lì, seduto su una panchina assieme a Yuuki, Haru e Ran.

"Dove stai andando?! Non toccava a te stare con Kijima?!" domandò Utahoshi, squadrandolo: "É successo qualcosa?" lo osservò attentamente negli occhi.

"Ryuusei é sparito, Jirou mi ha chiesto di aiutarlo a cercarlo."

"Dobbiamo cercarlo anche noi!" esclamó Joujima con veemenza: "Se un kohai é nei guai, un senpai deve aiutarlo." a sorpresa, anche Miu li aveva raggiunti con Shun, e dietro di loro venivano Tomoko e JK.

"Qualche idea?" tagliò corto Kengo, fissando Gentarou con un velo di preoccupazione: conosceva fin tropo bene il suo fidanzato per non sapere che il panico poteva offuscarne la già scarsa capacità di giudizio.

"Jirou mi aspetta davanti alla Subaruboshi. Partiremo da lì." rispose Kisaragi con urgenza.

"Andiamo allora." comandò Utahoshi, afferrandogli la mano: "Sakuta ha bisogno di aiuto."

§§§

Rientrando a casa, quella sera, con la giacca sudata e impolverata, i piedi che si rifiutavano di muoversi per la stanchezza, Gentarou si sentiva frustrato e preoccupato.

Di Ryuusei, alcuna traccia, benché avessero unito le forze con Jirou, benché avessero cercato ovunque, benché avesse seguito il consiglio di Kijima, non aveva concluso nulla.

E sentiva di averlo tradito per questo, di averne tradito l’amicizia e di non averne capito i bisogni, di aver ignorato le sue lacrime e la sua paura.

Jirou gli aveva raccontato a grandi linee cosa fosse successo, aveva esternato i suoi dubbi e le sue ansie, aveva raccontato loro con dolore dell’infanzia che Meteor aveva avuto e di quelle confidenze che lo stesso gli aveva fatto.

Non era stato giusto, un segreto è pur sempre un segreto, ma volevano salvare Sakuta dal suo abisso di disperazione, avevano bisogno di ogni indizio, di qualunque cosa fornisse loro anche il più piccolo indizio per ritrovarlo.

Si erano divisi, avevano frugato la città, ma erano stati sconfitti.

Sospirando, Kisaragi entrò nel piccolo garage del nonno immerso nella penombra.

Non appena accese la luce, la voce dell’anziano gli giunse agitata dal piano superiore: “Gen, sei tu?!” chiese lui, il moro ne sentì i passi veloci e ansiosi scendere le scale e l’uomo, pallido, comparve sulla soglia.

“Che succede?” chiese Gentarou con tono velatamente inquieto.

Per tutta risposta, il nonno lo afferrò per il polso, tirandolo verso le scale: “E’ quel tuo amico, quello vestito di chiaro!” disse con urgenza, trascinandolo al piano superiore senza neppure curarsi di spegnere la luce.

Sbucati nel salotto di casa avvolto da una luce soffusa, Fourze sentì il cuore balzargli in gola.

L’espressione semi-priva di colore e di vita di Ryuusei sdraiato nel futon del nonno l’aveva terrorizzato.

“C-Cosa ci fa qui?!” chiese subito, correndogli accanto e tirando fuori di tasca il MagnetPhone.

“L’ho trovato fuori dalla nostra porta, ha la febbre, continuava a urlare il tuo nome…” cercò di spiegare l’uomo: “Ho cercato di contattarti ma non sapevo come fare.” ammise, vedendo le mani tremanti del nipote mentre cercava di aprire quello strano dispositivo di cui non comprendeva l’utilità.

“Kengo! Ryuusei è qui da me!” gridò all’improvviso il ragazzo, facendolo sobbalzare, lo osservò muovere vorticosamente le mani mentre cercava di parlare con il suo interlocutore al di là della linea e al contempo di fare qualcosa per alleviare la sofferenza della malattia per l’amico a terra.

“Jii, Kengo e gli altri possono restare qui? Ryuusei ha bisogno di noi.”

Gli occhi di Gentarou erano limpidi e decisi, così come decisa era la sua stretta sulla mano di Ryuusei.

Il vecchio sospirò: sapeva della relazione tra il nipote e Utahoshi, non aveva mai giudicato negativamente la cosa, aveva sempre appoggiato quella storia, anche perché vedere quel mocciosetto che aveva cresciuto alle prese con l’amore era un’esperienza discretamente divertente ed esilarante, dati i modi di fare del moro.

Aveva sempre visto quegli amici di Gentarou come persone a posto, degne di fiducia e aveva intuito quel loro legame come più forte della morte.

“Resterò in piedi a lavorare di sotto, chiamatemi se vi serve qualcosa.”

§§§

Con mano delicata, Miu passò la pezza umida sulla fronte ancora bollente di Ryuusei, osservando con un misto di malinconia e inquietudine la ciotola ancora piena di zuppa di miso abbandonata accanto al letto.

Erano riusciti a fargli ingurgitare solo pochi sorsi, era già qualcosa dopo i due giorni di evidente digiuno del più giovane, ma erano comunque poco rispetto al necessario.

Timidamente, Yuuki sbucò dalla porta, portando in mano una tazza di thè.

“Gli altri?” chiese la Queen.

“Sono andati a parlare con Iseki-kun e Shirakawa-kun…” pigolò lei, sistemando la coperta a una Tomoko addormentata nell’angolo: “Dovrebbero essere ormai di ritorno…” sussurrò lei, spiando con aria triste il volto del ragazzo.

“Non preoccuparti per lui.” cercò di mostrarsi ottimista Miu: “E’ solo un po’ di febbre, presto tornerà in piedi.”

“Perché si è arrivati a tanto?” mormorò Joujima, sembrava non aver neppure udito le parole della sua senpai: “Perché non si è confidato con Gen-chan, con uno qualsiasi di noi? Siamo amici, no?” chiese con espressione sperduta mentre si sedeva accanto alla ragazza più grande.

Quest’ultima la abbracciò: “Appena si sveglierà, ci faremo spiegare ogni cosa. Vedrai.”

La porta cigolò, facendole voltare di scatto.

Come se fossero stati evocati, Gentarou e gli altri erano rientrati.

“Com’è andata?” chiese Miu a bassa voce.

“Jirou ha detto che ci penserà lui a informare la scuola e il loro maestro.” Shun si era seduto accanto a lei con aria stanca: “E Shirakawa ha detto che proverà a passare domani se Ryuusei si sentirà meglio.” si era aggiunto Gentarou, “Come sta?!”

“Dorme ancora, anche se la febbre non è così alta come prima…” Miu si era allungata a prendere il bicchiere d’acqua: “Aiutatemi ad alzarlo.”

Cercando di essere il più possibile delicati, Shun e JK misero seduto Ryuusei, così da permettere a Miu di fargli bere qualche sorso d’acqua; a fatica, Sakuta ne ingoiò metà bicchiere ma i suoi tentativi di divincolarsi si erano fatti talmente disperati che, per paura di fargli del male, ambedue lo fecero nuovamente sdraiare.

A sorpresa, però, egli aprì debolmente gli occhi velati di lacrime, aprendo e richiudendo alternativamente la bocca nel tentativo di parlare, senza però riuscirci.

D’istinto, afferrò la mano di Gentarou, che gli era accanto, nei suoi occhi Fourze lesse solitudine, tanta solitudine.

Non sapendo che dire, si limitò a stringergliela forte.

Tutti gli altri, in silenzio, si strinsero attorno a lui, Tomoko gli mise addosso la coperta in cui era stata ella stessa avvolta fino a poco prima, voci basse gli mormoravano all’orecchio parole dal tono rassicurante, qualcuno gli sorrideva ma lui era concentrato solo sul mondo che i suoi occhi febbricitanti vedevano, un mondo oscuro, di solitudine, dove quella piccola luce che stava per spegnersi era rappresentata dalle schiene dei membri del Bu che si allontanavano, lasciandolo lì.

Non aveva riconosciuto Gentarou, aveva solo bisogno di non sentirsi così solo, di aggrapparsi a qualunque cosa potesse infondergli il tepore necessario per non congelare nella paura.

“Non lasciatemi solo…” aveva rantolato nel delirio della febbre e della stanchezza, osservando con gli occhi pieni di lacrime tutti loro: “Non è il mio posto ma non voglio andarmene…”

Col cuore pesante, Miu gli asciugò le lacrime, cercando di sorridere: “Nessuno ti obbligherà ad andartene, nessuno di noi vuole lasciarti…”

Pallido, col pigiama di Gentarou che praticamente gli faceva da cappotto e le maniche che superavano le mani, Ryuusei pareva tanto un bambino sperduto, Kengo aveva raccolto la coperta e gliela aveva messa sulle spalle, stringendo i pugni, impotente nel vederlo così indifeso…

Non lo riconosceva come il Ryuusei che era arrivato nella loro classe sei mesi prima, come la recluta poco gradita nel Club, come il Meteor che aveva ricordato nella lettera…

“Ryuusei-kun…” mormorò Yuuki, sporgendosi in avanti: “Non fare così…”

Allo stesso modo, neppure gli altri sapevano che fare, non immaginavano che avesse sofferto così tanto…

Quella voce così spaventata, così debole…

Gentarou fece l’unica cosa sensata che il suo cuore gli suggeriva.

E mentre il malato, rannicchiato col viso in grembo a una Miu addolorata, delirava, cercando quel posto nel mondo che non riusciva a trovare, cercando quella famiglia che lo circondava senza che lui riuscisse a vederla, lo tirò bruscamente seduto, abbracciandolo con tutta la forza di cui era capace.

“Non te ne andrai… Non vogliamo che tu te ne vada… Il tuo posto è qui… Con noi.”

Kengo annuì, poggiando la testa contro la spalla di Kisaragi e allungando la mano a toccare la spalla sussultante di Sakuta.

“Nessuno se ne andrà… E’ una promessa…” Miu gli stava bagnando le labbra screpolate: “Resteremo con te…”

Forse troppo esausto per stare sveglio o forse le loro parole rassicuranti l’avevano raggiunto, convincendolo che fosse al sicuro, con un singhiozzo appena appena accennato, Ryuusei crollò, addormentandosi tra le braccia di Kisaragi.

Avrebbero montato la guardia per tutta la notte, non avrebbero neppure dormito se necessario.

Se il posto di Sakuta era dentro il loro cuore, nella loro famiglia, il loro era accanto a lui.

Avrebbero combattuto per fargli capire quale fosse il suo posto nel mondo, per cancellare quel buio che lo attanagliava, più potente di qualunque Switch, più spaventoso di qualunque Zodiarts.

Il Bu sarebbe andato fino ai limiti dell’universo per un amico, e lui non faceva eccezione.

“Quando ti sveglierai, noi saremo qui…” la voce di Yuuki era come una carezza.

   
 
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