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Autore: Phoenix3    24/11/2012    12 recensioni
Un camino, una poltrona, le lacrime di una donna.
E qualcosa che cambia, quando perfino l'orgoglio saiyan inizia a vacillare.
Breve one shot dai tratti romantici, per chi come me ogni tanto ama commuoversi un po'.
Genere: Fluff, Romantico, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Bulma, Vegeta | Coppie: Bulma/Vegeta
Note: Missing Moments | Avvertimenti: nessuno
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Salve a tutti! ^_^

Sono qui con una one shot che ha avuto un percorso molto particolare, nel senso che l'ho iniziata circa un mese fa, per poi coltivarla giorno per giorno come una piccola piantina. Ed è stato un esperimento piacevole, perché ogni tanto la rileggevo e cambiavo qualcosa cercando di renderla sempre migliore. Non ho di certo raggiunto la perfezione, e io per prima me ne rendo conto, ma ciò non toglie che io abbia finito per amare questa storia. E non è qualcosa di associato alla qualità, è proprio un legame affettivo e irrazionale che mi lega naturalmente anche ai personaggi che ne fanno parte. Per questo motivo, anche se mi dispiace per tutte le persone a cui avrei potuto dedicarla, per questa volta sento che l'unica persona a cui voglio associare questo scritto sono proprio io. ^_^
Ci tengo in ogni caso a ringraziare molto Proiezioni Ottiche, che mi ha dato l'idea del camino con una sua storia, e che spero gradirà l'omaggio. :)

Ammetto di aver scritto questa storia con un obiettivo: riuscire a commuovere il lettore. Con ciò non dico che dovete per forza piangere, però se mi dite che vi ho fatto emozionare almeno un pochettino sono già contenta. ^_^ In caso contrario, prenderò atto di aver scritto qualcosa che commuove solo me (e pazienza, fa parte del gioco XD).

N.B. Questa one shot ha un alto livello di cose smielate. Io vi ho avvertito, quindi chi ha problemi di zuccheri stia lontano. XD


BUONA LETTURA! ^_^


 



Vita

 

Non l’aveva mai vista piangere in quel modo.
Lei era forte, o almeno così aveva iniziato a credere da quando aveva imparato ad associare quel termine a qualcosa di diverso dalla lotta.
Lei era forte, eppure altrettanto forti erano ora i singhiozzi che risuonavano per tutta la stanza, mentre quelle gambe snelle si avvicinavano alla poltrona su cui era seduto.
Tutto ciò gli appariva assurdo, anche se non ne capiva il motivo.
In fondo perché stupirsi?
Cosa c’era da meravigliarsi in quella situazione?
Perfino lui una volta aveva pianto, no?
Durante la sua esistenza, nelle sue conquiste in giro per l’universo, aveva fatto implorare pietà a vecchi e bambini, aveva provocato lacrime di disperazione e di sangue, aveva assistito allo spegnersi di milioni di vite nel dolore.
Davvero uno come lui era ancora in grado di sorprendersi?
Spostò lo sguardo sul camino alla propria destra, le cui fiamme donavano riposo ai muscoli nudi affaticati dall’allenamento. E lei gli saltò a cavalcioni. La sentì sistemarsi sulle sue ginocchia e prendergli la testa tra le mani per costringerlo a guardarla. E la vide di nuovo piangere, piangere così tanto che si chiese per quanto tempo avesse accumulato quelle lacrime.
La fissò. Fissò il riflesso del fuoco sulle sue iridi azzurre, la luce chiara che dava ai suoi capelli, il luccichio dei brillantini sul suo maglione invernale.
La fissò, e la vide sorridere.
Così d’un tratto comprese. Non era il pianto folle a stupirlo, ma l’espressione che l’accompagnava. Perché di tutte le lacrime che aveva visto versare, di tutte quelle che lui stesso aveva provocato nell’intero universo, nessuna era mai stata di gioia.
Sentì quelle mani sottili scorrergli sulla nuca, infilarsi tra i suoi capelli.
«Immagino che sia come penso» le disse allora.
Avvertì il pizzicore della lana sulla propria pelle, quando quelle braccia esili si strinsero sul suo collo.
Il fuoco scoppiettò nel camino.
Osservò di nuovo le fiamme, mentre nuovi singhiozzi gli arrivavano all’orecchio. Si sentì inumidire la fronte con quel pianto non suo, che poi gli bagnò la guancia, il collo, la spalla.
«Scusa» la udì mormorare, il tono misto di tristezza e felicità. «Non era mia intenzione dirtelo così.»
«Non importa.» Mantenne un tono freddo, gli occhi ancora fissi sul fuoco. «Un modo vale l’altro.»
La sentì ridere, poi strofinare lo zigomo contro il suo viso. «Sei stato bravo.»
Lui inarcò un sopracciglio. «Non mi pare di aver fatto nulla di diverso rispetto a ciò che faccio da più di dieci anni a questa parte.»
Altre risa, altri singhiozzi. «Hai ragione. Non hai cambiato l’atto, ma hai cambiato lo scopo.» La sua voce assunse un tono melodioso. «Mi hai reso felice.»
«Appunto, non è cambiato niente.» Si bloccò, chiedendosi da dove gli fosse uscita quella frase.
Vide che lei era tornata a incrociare il suo sguardo, gli occhi spalancati per lo stupore.
«Non fraintendermi» aggiunse dunque. «Intendevo dire che anche prima di certo non ti dispiaceva infilarti nel letto con me.»
La vide sorridergli. «Hai ragione, ma adesso mi hai dato un motivo ben più importante per esserne lieta.» Si sentì prendere la mano ruvida tra le dita, e la osservò appoggiarsi sul maglione di lei all’altezza del ventre. «E sarà per sempre.»
Un nuovo scoppiettio gli giunse alle orecchie.
Stupore.
Inutile che continuasse a negarlo, quella situazione l’aveva sorpreso.
Anche se l’aveva già prevista, anche se era la seconda volta che succedeva. Perché quell’altra volta, così lontana, era troppo diversa perché riuscisse a fare dei paragoni.
E se già un frutto non voluto era stato in grado di scalfirlo così tanto, quanto ancora avrebbe potuto scavare ciò che lui aveva accettato ancor prima che venisse concepito?
Meglio non pensarci.
Meglio restarsene lì seduto, il petto contro il fuoco, e fingere che per i restanti nove mesi, o quel che erano, nulla sarebbe cambiato.
Che in fondo lui sarebbe rimasto quello di un tempo.
Che le sue braccia stavano per stringere quel corpo terrestre solo perché il maglione che indossava l’avrebbe aiutato a grattarsi il petto. Poco importava che la zona in cui avvertiva prurito fosse circoscritta al suo lato sinistro, poco importava che fosse ben più interna alla pelle, poco importava che non fosse affatto un prurito, ma un calore ben più ardente di quello che gli portavano le fiamme del camino.
«Non prenderci l’abitudine» le disse, le braccia strette attorno alla sua schiena. E si stupì del tono tranquillo della propria voce, di quella stessa voce con cui non si era mai fatto problemi a lanciare insulti sprezzanti, e che ora invece pareva così priva di convinzione.
La sentì ricambiare la stretta, cercare il suo viso, appoggiare le labbra sulle sue.
Incredibile.
Quel giorno lei aveva perfino poca voglia di blaterare. Il che era un sogno, poteva ammettere almeno questo al suo orgoglio?
Dannazione.
Era felice.
Al perché di tutto questo ci avrebbe pensato dopo, ora che se ne andasse al diavolo.
Era felice, il resto non contava.
Era felice, lo era tanto da sorprendersi.
Chiuse gli occhi, sentendo quella bocca staccarsi dalla sua e appoggiarsi sugli stessi punti che poco prima erano stati inumiditi dalle lacrime.
E pensò che se lei l’aveva bagnato tutto, in fondo era giusto che l’asciugasse, anche se forse le labbra non erano lo strumento più funzionale, ma d’altronde non c’erano asciugamani nei dintorni, quindi non poteva fare altrimenti.
E pensò che forse quel prurito avesse bisogno di essere grattato meglio, che aumentando la stretta si sarebbe riscaldato i muscoli per poter tornare ad allenarsi.
E pensò che tutte quelle elucubrazioni fossero solo stupidaggini.
Che lui voleva tutto questo.
Che lo voleva follemente.
Che si raccontava quelle favole da una vita, ma quel giorno era diverso. Quel giorno nemmeno il suo orgoglio gli credeva più, e c’era poco da biasimarlo.
In fondo da quando in qua le sue braccia facevano gesti simili?
Non era forse qualcosa di estremo, che mai in situazioni normali si sarebbe abbassato a compiere?
Riaprì gli occhi, le pupille puntate sul camino, mentre lo scoppiettio del fuoco gli arrivava alle orecchie.
E lì, in mezzo alla pace di quella giornata d’inverno, la mente lo riportò a un altro abbraccio, a quello che aveva donato in guerra, pochi anni prima, decidendo di sacrificare tutto se stesso.
Perché lui aveva abbracciato la morte.
Ma ora abbracciava la vita.
 
 

FINE

  
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