A Place Nearby
You spread your wings,
you had flown
Away to something unknown
Wish I could bring you back...
You’re always on my mind
About to tear myself apart
You have your special place in my heart... always.
Probabilmente non ce l'avrebbe fatta ad arrivare viva al San Mungo, se
continuava a correre in quel modo, ma non riusciva a rallentare. La neve cadeva
fitta intorno a lei, e i rari passanti la guardavano come se fosse una pazza,
ma non le importava.
Londra era grigia, fredda e buia, in quella sera
di fine novembre, e lei non aveva addosso altro che una maglietta di cotone, un
paio di jeans e scarpe di tela. Era già fradicia da capo a piedi, ma non
sentiva freddo. Non aveva tempo di sentire niente, a parte quell'ansia che la
divorava, quello strano senso di sollievo misto a qualcosa che non riusciva a
spiegare. Paura, forse. O più semplicemente, felicità.
Era assurdo, lo sapeva. Perché sentirsi felice?
Erano passati mesi, dall'ultima volta che l'aveva visto, da quella lettera in
cui le diceva che la meta era vicina, che era quasi finita. Era strano che le
avesse scritto proprio lui, e non Hermione o Ron, come succedeva di solito.
Erano partiti tutti e tre, durante l'estate che precedeva il loro settimo anno ad
Hogwarts, e per i primi tempi tutti le notizie erano state, anche se non
proprio regolari, almeno sufficienti a far restare tranquilli - per quanto
possibile in una situazione del genere, ovviamente - quelli che erano rimasti a
casa. Poi, verso la fine dell'inverno, le lettere si erano interrotte
bruscamente, e da allora c'era stato il silenzio più assoluto fino a qualche
settimana prima, quando aveva ricevuto quella lettera stropicciata, ricoperta
dalla sua calligrafia sottile e familiare. Era una lettera breve, che l'aveva
fatta morire di angoscia mentre il suo cuore, nonostante tutto, batteva sempre
più forte come succedeva ogni volta che pensava a lui. L'aveva letta e riletta,
così tante volte che avrebbe potuto declamarla a voce alta nel mezzo di una
tempesta senza sbagliare neppure una virgola.
L'ultimo Horcrux è vicino. La fine di tutto è
vicina. Andrà tutto bene, te lo prometto. Tieni duro, ora e per sempre. Il
mondo sarà un posto migliore, quando tutto questo sarà finito. Vivi, Ginny.
Vivi anche per me.
C'era qualcosa di fondamentale di cui lei non era
a conoscenza? Harry sapeva per certo di dover morire, o lo temeva soltanto,
com'era comprensibile che fosse? O forse pensava che, in ogni caso, non sarebbe
più tornato da lei?
Non le aveva mai detto che sarebbe tornato da
lei, eppure prima che partisse non era stato difficile scorgere nei suoi occhi
l'amore che provava, l'amore che non aveva mai negato di sentire per lei. Era
quella la cosa più difficile. Se le avesse detto che non la amava più, che non
gli importava più nulla di lei, sarebbe stato più facile dimenticarlo...
avrebbe almeno potuto provarci e credere di avere una minima speranza di
successo. Ma così, no.
Ricordava ancora il matrimonio di Bill e Fleur,
quello stupido vestito verde chiaro che sua madre l'aveva costretta a
indossare, i suoi capelli assurdamente raccolti in un nodo elegante sulla
testa. Gli orecchini che tintinnavano ogni volta che chinava il viso o girava
la testa. Aveva passato tutta la cerimonia e metà del ricevimento seguente
appartata in un angolo, con le lacrime che le solleticavano gli occhi, e un
calice di champagne in mano. Non aveva guardato Harry neppure una volta, perché
era troppo doloroso - doloroso per entrambi - e lei era stanca di farsi del
male. Immaginava che anche Harry si sentisse come lei, che fosse stanco di
causare dolore alle persone che amava. Capiva bene perché aveva deciso di
lasciarla. Sarebbe rimasta sorpresa se si fosse comportato diversamente, ad
essere sincera. Lo amava tanto anche per via di quella sua stupida propensione
a salvare gli altri, a sacrificarsi per loro. Avrebbe tanto voluto innamorarsi
di qualcuno un po' più normale... più egoista, più menefreghista, più
comune. Sarebbe stato così facile. Ma non avrebbe mai potuto innamorarsi di una
persona del genere, non dopo aver conosciuto lui. Non dopo aver amato così
profondamente lui.
Era rimasta sola a cercare di non piangere e di
sorridere ai rari ospiti che le passavano accanto dedicandole uno sguardo,
finché alzando la testa si era trovata davanti Harry. Doveva capitare, prima o
poi, ne era certa... aveva sperato che riuscisse a starle lontano, ma non era
il tipo. Le era bastato guardarlo un attimo per capire perché l'avesse
avvicinata. Aveva un'aria abbattuta, ma nello stesso tempo gli brillava negli
occhi una luce che Ginny conosceva bene: sarebbe entrato in azione, finalmente.
Avrebbe fatto qualcosa di utile per far sì che quella situazione assurda
finisse al più presto.
"Quando?" gli aveva chiesto soltanto,
sottovoce.
Lui aveva sorriso e, incredibilmente, era
riuscito a farlo sembrare quasi il suo solito sorriso.
"Domattina" aveva detto.
"Presto."
Ginny, senza smettere di guardarlo, aveva annuito
piano. Non sentiva niente, in quel momento, ma non si illudeva di aver preso
davvero così bene la notizia. Sapeva che era solo questione di minuti, forse di
ore, prima che la sua mente assimilasse davvero il significato delle parole che
lui aveva appena pronunciato.
"Ron.. Hermione...?"
Harry aveva distolto lo sguardo da lei,
abbassandolo solo per un breve attimo.
"Sì. Anche loro."
Sarebbe rimasta sola. Dopotutto, sapeva anche
questo, da sempre. Sapeva che, quando per Harry fosse giunto il momento di
partire, Ron e Hermione lo avrebbero seguito anche in capo al mondo. Aveva
sorriso, un sorriso triste, ricordando come si era sentita esclusa, persino
gelosa, nei primi anni di scuola, percependo quell'intimità e quella confidenza
che non poteva essere violata da una quarta persona. Negli ultimi due anni la
situazione era cambiata, e quando lei e Harry avevano cominciato a frequentarsi
come coppia Ginny aveva accantonato quei pensieri. Adesso che lui partiva,
lasciandola indietro, quella strana sensazione di non appartenenza, di rifiuto,
tornava a invaderla con prepotenza.
Dovrei esserci anch'io, accanto a te,
avrebbe voluto dirgli, mentre lo guardava in silenzio. Io, la persona che ti
ama più di qualsiasi cosa al mondo, che darebbe la sua vita per la tua senza
esitare...
Gli occhi verdi di Harry l'avevano scrutata in
silenzio, e non era stato difficile accorgersi che sapeva benissimo quello che
le passava per la testa. Le lacrime avevano trovato chissà come un varco, e
Ginny si era sentita invadere dall'angoscia. Non voleva piangere davanti a lui.
Non aveva mai pianto davanti a lui, e non sarebbe successo certo adesso.
Si era voltata ed era scappata.
Faceva fresco anche quella sera, anche se non
come adesso. Non c'era la neve che cadeva da guardare, perciò una volta fuori da
casa si era inoltrata più che poteva nei campi che circondavano la casa dei
suoi genitori per poter guardare le stelle. Si era seduta in mezzo all'erba, il
bicchiere mezzo pieno ancora in mano, e aveva sorseggiato lo champagne cercando
di trattenere quelle maledette lacrime traditrici.
Non doveva piangere come una ragazzina. Piangere
non era da lei, e non l'avrebbe resa degna di Harry. Le era venuto da sorridere
alla stupidità di questo pensiero.
"Che diavolo vuoi che importi,
stupida?" si era detta, sottovoce, in tono beffardo. Probabilmente era un
po' ubriaca. "L'hai perso comunque, forse proprio per questo. Lo perderai
per sempre."
Aveva continuato a ripetere piano quelle parole, per
sempre, cercando di rendersi conto di ciò che significavano veramente, ma
senza riuscirci. Si era sentita così stupida, così inutile, e così
terribilmente vuota.
Era rimasta lì seduta per molto tempo, a tremare
dal freddo, e a guardare le stelle in silenzio. Era rientrata solo quando aveva
sentito la voce di sua madre che la chiamava per informarla che gli ospiti sene
stavano andando.
Non era stato facile fare buon viso a cattivo
gioco, mentre le persone la salutavano, soprattutto perché era un po' brilla e
aveva un gran mal di testa. Probabilmente stare seduta al freddo per due ore
non aveva giovato alla sua salute. Per qualche attimo aveva desiderato che le
venisse un febbrone talmente alto da renderla incapace di capire quello che le
succedeva intorno, così non si sarebbe accorta della partenza di Harry. Ma era
uno dei suoi soliti pensieri idioti.
Harry, ad ogni modo, sembrava aver deciso di
facilitarle le cose perché sembrava già essersene andato. Non l'aveva visto da
nessuna parte, e quando la porta si era chiusa alle spalle dell'ultimo ospite
Ginny aveva tirato quasi un sospiro di sollievo... anche se non avrebbe potuto
negare di provare una punta di risentimento. Non l'aveva nemmeno salutata.
Mentre saliva le scale diretta in camera sua,
aveva messo mano al nodo che aveva in testa, disfacendolo con malagrazia. Non
riusciva a credere che non le avesse nemmeno detto ciao, sapendo che esisteva
la possibilità che non si sarebbero più rivisti... com'era possibile?
Sei scappata da lui,
aveva ricordato a se stessa, mentre la porta della sua stanza si richiudeva
piano dietro di lei, lasciando fuori il mondo esterno, finalmente. Non
gliel'hai permesso. Gli hai fatto capire chiaramente che non volevi... che non
ce l'avresti fatta. E lui ti conosce meglio di chiunque altro.
Si era spogliata e si era infilata a letto,
rabbrividendo. Doveva avere davvero la febbre alta, e si era addormentata quasi
subito, in preda all'angoscia. I suoi occhi erano asciutti, ma il suo cuore
piangeva al pensiero di aver perso Harry per sempre.
Qualcosa l'aveva svegliata, molto più tardi.
Aveva aperto gli occhi, lentamente, mentre prendeva coscienza di una mano che
le accarezzava piano la fronte, scostandole i capelli con dolcezza. Il chiarore
dell'alba che filtrava dalle persiane era debole, appena sufficiente per
distinguere in controluce il viso di qualcuno chino su di lei. Non aveva
bisogno di vedere di più, in ogni caso. E non era possibile che lui fosse lì in
quel momento. Avrebbe dovuto già essere partito da un pezzo. Aveva provato a
snebbiarsi il cervello, ma non ci era riuscita. Aveva le membra intorpidite.
"Hai la febbre alta..." la voce di lui
era dolce come una carezza. "Che cosa pensavi di fare?"
"Tu non..." Ginny aveva tossito, la
gola ridotta a una fessura dolorante. "Non dovresti essere qui."
"Lo so."
"Dovresti essere già partito, tu
non..."
Harry le aveva poggiato un dito sulle labbra, e
nella luce che cresceva piano Ginny aveva finalmente potuto distinguere il suo
viso, l'espressione dei suoi occhi dietro le lenti degli occhiali, quella che
conosceva così bene e che amava più di tutte: divertita, intenerita e piena di
affetto. Quella che aveva solo e soltanto quando guardava lei.
"Sono tornato indietro per dirti una
cosa" le aveva spiegato, sottovoce.
Ginny non era riuscita a smettere di fissarlo.
"Mai" aveva aggiunto lui, e le sue dita
erano scese ad accarezzarle la guancia bollente. Il suo sorriso si era fatto
più dolce, e nei suoi occhi l'espressione era cambiata: adesso la guardava in
un modo nuovo, che Ginny non aveva mai sperimentato. Solo molto tempo più tardi
avrebbe capito che era il modo in cui la guardava quando nessuno poteva
vederlo. Il dolore che gli aveva letto nello sguardo le aveva fatto male, quasi
fosse il suo. "Non mi hai perso, Ginny, e non mi perderai mai."
Si era resa conto che l'aveva sentita parlare da sola,
la sera prima, nel buio, e si era sentita una stupida. Improvvisamente, il peso
della sua partenza l'aveva schiacciata. Il pensiero che avrebbe potuto non
rivederlo mai più l'aveva quasi annientata, e lo smarrimento che sentiva dentro
doveva risultare evidente nei suoi occhi, perché Harry le aveva cercato le mani
e le aveva strette con forza fra le sue.
"Questa strada potrà forse portarmi molto
lontano da qui, Ginny" aveva sussurrato, e la voce gli tremava un po'
"ma non potrà mai portarmi lontano da te."
Mentre correva verso l'ospedale, quelle parole le
rimbombavano in testa, e le maledette lacrime rischiavano di averla vinta su di
lei. Quella mattina di tanto tempo prima, Harry era svanito nel nulla, tanto
che aveva persino pensato di aver sognato tutto, in preda alla febbre.
Non riusciva a capacitarsi di come fosse riuscita
ad andare avanti in quei lunghi mesi di attesa e di angoscia. Forse l'aveva
fatto per sua madre, forse per se stessa. Forse perché non voleva deludere
Harry. Era stupido, lo sapeva, ma a volte parlava con lui ed era come se lui,
da qualche parte là fuori, potesse sentirla, e potesse risponderle. Aveva
seriamente temuto di impazzire, in certi momenti. Era stata dura, e adesso
sembrava quasi assurdo, irreale, che tutto fosse finito davvero.
Ron e Hermione erano tornati una settimana prima,
ma non avevano idea di dove fosse finito Harry. Il sollievo di Ginny si era
trasformato in angoscia. Improvvisamente aveva capito che il pensiero di non
rivederlo mai più, di non sapere nemmeno che fine avesse fatto sarebbe stato
intollerabile per lei. Aveva passato notti intere a fissare il soffitto, senza
che il sonno venisse a lenire le sue sofferenze. Aveva provato a parlare con
Harry, ma la voce di lui sembrava aver smesso per sempre di rispondere, persino
nella sua testa.
Poi, quella sera, dal San Mungo era arrivato un
gufo indirizzato a lei, in cui le comunicavano che Harry era stato trovato nei
dintorni di Hogwarts. Non una parola sulle sue condizioni. Ginny era corsa via
da casa senza nemmeno prendere il cappotto ,e
adesso era costretta a correre per sei isolati sotto la neve perché il
perimetro intorno all'Ospedale era stato reso impenetrabile agli incantesimi di
Materializzazione e Smaterializzazione. Il cuore le batteva all'impazzata, ma
non si sarebbe fermata. Non ancora. In fondo, era tutta la vita che correva per
Harry, in un modo o nell'altro. Il pensiero, nonostante l'angoscia e la
preoccupazione, la fece sorridere.
Il San Mungo era affollato, ma la stampa non c'era.
Evidentemente il ritorno di Harry non era ancora stato reso noto. Ginny corse
su per le scale, urtando medimaghi e pazienti, senza nemmeno fermarsi a
chiedere scusa. Aveva paura di quello che avrebbe trovato ad attenderla al
quinto piano, ma non riusciva a smettere di andare così in fretta. Era come se
avesse risparmiato le energie, durante quei lunghi mesi bui, per quell'ultima
corsa contro il tempo.
Il corridoio le sembrò lunghissimo. C'era un
gruppo di medimaghi assiepato davanti a una delle porte sul lato destro, e
quando sentirono l'eco dei suoi passi frettolosi alcuni si voltarono nella sua
direzione.
"Dov'è?" chiese Ginny, avvicinandosi.
Si meravigliò di avere ancora il fiato necessario per parlare.
"Lei sarebbe...?" chiese una donna
dall'aria sospettosa.
"Ginny Weasley... mi avete fatta chiamare
per..."
Un altro medimago si fece da parte e le indicò la
porta:
"Entri pure, Miss Weasley."
"Ma come... come sta?" chiese lei,
angosciata.
I medimaghi si scambiarono occhiate preoccupate.
Ginny colse il disagio nei loro occhi, e un'espressione di tenerezza mista a
compassione nei suoi confronti.
"Non c'è molto tempo, Miss Weasley"
sussurrò uno di loro, serio.
“Cosa… che cosa?” la voce le mancò, quasi. Ma si
rese conto che in cuor suo l’aveva saputo fin dal primo momento: Harry non ce
l’avrebbe fatta. Per questo aveva corso come una disperata.
“E’ stato colpito da una maledizione molto
potente, ed è troppo tardi per fare qualcosa” spiegò il medimago, sottovoce.
Sembrava veramente desolato. “ Se l’avessimo trovato soltanto qualche ora
prima…”
"Mi dispiace" aggiunse la donna che
aveva parlato in precedenza.
Il cuore di Ginny sembrò fermarsi per un attimo.
La stanza era illuminata dalla luce di una
candela posata sul comodino accanto al letto in cui giaceva Harry. Ginny
trattenne il fiato, mentre si richiudeva la porta alle spalle. Si avvicinò al
letto, un po' rigida, sistemandosi nervosamente i capelli fradici dietro le
orecchie. Doveva avere un aspetto orribile.
Harry si mosse leggermente al suono dei suoi
passi. Voltò la testa dalla sua parte, e lo vide sorridere. Si sforzò di
ricambiare il sorriso, ma capì che non sarebbe riuscita a tirare fuori qualcosa
di più di una smorfia ridicola.
Quando fu in prossimità del letto, le gambe non
la ressero più e cadde in ginocchio, vinta dalla commozione, dalla stanchezza,
da mille sentimenti contrastanti che aveva dovuto tenere a bada per tutto quel
tempo. Appoggiò la testa sul petto di Harry e pianse, singhiozzando
disperatamente.
Sentì le dita di lui fra i capelli.
"Non piangere" sussurrò, con dolcezza.
Non aveva nemmeno il coraggio di guardarlo in
faccia. Riusciva solo a piangere come un'idiota, e a dirsi che non era quello
il modo in cui avrebbe voluto passare gli ultimi istanti con lui. Avrebbe
desiderato che le parole “ultimi istanti” non avessero alcun senso.
"Ginny..." la voce di Harry era dolce.
"Smetti di piangere, e guardami."
Tremando, lei si sforzò di obbedire. Rialzò la
testa e intravide il suo viso fra le lacrime. Harry rise sottovoce e allungò
una mano per asciugarle gli occhi con la punta delle dita.
Il suo viso era esattamente come lo ricordava:
gli occhi verdi, il naso deciso, le labbra che tante volte aveva baciato. I
capelli ribelli che gli ricadevano scomposti sulla fronte. Era pallido,
terribilmente... e la sua cicatrice era scomparsa.
Ginny sbatté le palpebre, incredula. Harry seguì
la direzione del suo sguardo, e annuì.
"Se n'è andata" disse piano. "Per
sempre. Come lui."
E come te, pensò lei, disperata. Fra
poco te ne andrai e stavolta sarà davvero per sempre.
L'espressione di lui si fece più dolce.
"Mai" disse, sorprendendola. Lo guardò
senza capire, e lui sorrise. Sembrava quasi divertito, nonostante fosse
evidentemente più debole ogni momento che passava.
"Credevo di avertelo già detto, tempo
fa" aggiunse. "Dovunque mi conduca la strada, Ginny, non mi porterà
mai lontano da te."
Chiuse brevemente gli occhi, ma li riaprì subito
e tornò a guardarla. "E se io parto mentre tu rimani, non avrai che da
cercarmi, quando avrai bisogno di me. Se non mi trovi subito, non ti
scoraggiare, e continua a cercare in ogni posto che conosci. Da qualche parte
sarò, ad aspettarti."
Lottando contro le lacrime, Ginny annuì, senza
staccare lo sguardo dal suo. Non ci fu bisogno di altre parole, perché - adesso
era chiaro - entrambi sapevano già tutto quello che c'era da sapere l'uno
dell'altro. Era sempre stato così.
Uscì dal San Mungo mentre arrivavano i primi
giornalisti. Le lacrime scendevano sul suo viso, contro la sua volontà. La neve
continuava a cadere senza sosta, e Ginny si immerse nel traffico, avvolta nel
vecchio cappotto di Harry. L'aveva trovato nella sua camera, appoggiato allo
schienale di una sedia. Era sporco, lacero, ma non le importava. Quando fu a
distanza di sicurezza dall'Ospedale, chiuse gli occhi e si Smaterializzò.
Riapparve nel cortile della Tana. La neve le
arrivava al ginocchio, e turbinava nell'aria gelida. Ginny si strinse nel
cappotto e si lasciò cadere sulla schiena, nella neve soffice, ricordando
quando da ragazzina giocava a fare gli angeli di neve con i suoi fratelli. I
fiocchi candidi le sfiorarono le guance come morbide carezze, come piccoli baci
affettuosi. Sorrise tra le lacrime, mentre un pensiero assurdo le attraversava
la mente.
Non era andato molto lontano, in fondo.
Heaven is a place nearby
So I won’t be so far away.
And if you try and look for me
Maybe you’ll find me someday.
Heaven is a place nearby
So there’s no need to say goodbye
I wanna ask you not to cry
I’ll always be by your side...