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Autore: Eliada    12/06/2007    4 recensioni
Salve a tutti mi sono messa d'impegno e, con il consenso dell'autrice, ho tradotto dall'inglese questa splendida one-shot parental. Dopo un caso difficile, Gil e Cath fanno colazione assieme per cercare di ritrovare se stessi e rafforzare la loro incredibile amicizia... Succederà qualcosina di più? A voi scoprirlo.
Genere: Romantico, Malinconico | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato | Personaggi: Catherine Willows
Note: Traduzione | Avvertimenti: nessuno
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Desclaimer: non possiedo lo show di C.S.I.:CRIME SCENE INVESTIGATION e nemmeno i suoi splendidi personaggi. Magari!!

 

Nota 1: questa ff è la traduzione di “Being there” di Sitarra. Potete trovare le sue altre ff su Fanfiction.net

 

Nota 2: l’episodio narrato in questa storia si basa sugli eventi di “Cats in  the cradle”

 

Nota 3: commentate in tanti e io mi metterò in contatto con Sitarra per farle sapere cosa ne pensate.

 

 

Essendo qui

 

Catherine fissò il tavolo mentre la bambina dall'altra parte gridava e piangeva per sua madre. I pensieri scorrevano nella sua testa mentre l'avvocato per i minori Karpell portava via dalla stanza le sorelle. Notò appena quando l'ufficiale di polizia di fianco e lei se ne andò, lasciandola sola ai suoi pensieri.

"Perchè mai qualcuno dovrebbe uccidere per un gatto? Perchè dovrebbe un bambino?"

Sapeva che i suoi pensieri non avrebbero mai trovato risposta. Le persone sarebbero sempre state il mistero ultimo per lei.

Si alzò dal tavolo in preda all'ira e corse fuori dalla stanza. Non sapeva dove stava andando. Sapeva solo di aver bisogno di rivolgere i propri pensieri a qualcos'altro.

 

Dietro il grande specchio, Grissom la guardò uscire. Sapeva che casi come quelli la disturbavano. Conosceva i suoi pensieri e sapeva di doverla allontanare dal lavoro immediatamente.

-Catherine, che stai facendo qui dentro?-, chiese Grissom entrando nel proprio ufficio. Chiuse la porta dietro di sé, assicurandosi che le tapparelle fossero tirate. -Stai bene?-

Catherine lo guardò dal divanetto, registrando la sua presenza per la prima volta. -Sì, sto bene. Avevo solo bisogno di un posto tranquillo per pensare e il tuo ufficio era quel posto. Spero non ti dispiaccia. -

Lui scosse la testa -No, certo che no.  Mi fido di te. -

Grissom appoggiò alcuni documenti sulla sua scrivania, guardando lei per tutto il tempo. Era ancora più provata di quanto fosse nella stanza degli interrogatori. La guardò mentre si appoggiava al divanetto di pelle nera, portando un'unghia perfettamente curata alla bocca per mordicchiarla.

-Cath?- chiese ancora, osservando i suoi movimenti. Si mosse lentamente verso di lei e le si sedette accanto. -Sei sicura di stare bene?-

Lei lo guardò. -No, non sto bene!-, esclamò all'improvviso. Si alzò e iniziò a camminare sul pavimento di fronte a lui.

-Io non capisco. Non capisco come una bambina possa uccidere solo perchè una signora anziana non le ha dato un gatto. Perchè  sua madre non è andata semplicemente a comprarle un gatto? Non vedo perchè lei abbia dovuto uccidere la donna solo per avere il gatto.-, continuò Catherine.

Grissom continuò a guardarla camminare e parlare del loro caso più recente. Sapeva che ogni volta che erano coinvolti dei bambini le sue emozioni debordavano. Nessuno degli altri casi era mai finito come quello, però.

Il più delle volte sapeva di non doverle affidare casi con bambini coinvolti, ma sapeva che lei li avrebbe presi, che lui glieli avesse affidati o meno. D'altra parte, era brava con quelli e si preoccupava genuinamente. Questo era ciò che la rendeva una buona C.S.I.

Catherine smise di camminare quando la mano di Grissom sbucò fuori ad afferrarle il braccio, di fatto  fermandola.

-Torna a sederti, Cath. -, le ordinò gentilmente. Lei ubbidì, sedendosi vicina a lui senza farci caso. Le lacrime le inumidivano gli occhi e temeva che non sarebbe riuscita a fermarle.

-Perchè l'ha fatto, Gil? Non le ha insegnato niente sua madre?-

La sua voce era bassa e morbida e le lacrime stavano iniziando a scendere.

Grissom non rispose alla sua domanda. Invece scelse di avvolgere le braccia attorno alla sua piccola figura e offrirle conforto.

Catherine collassò nelle sue braccia, piangendo sommessamente sulla sua spalla. Si concesse il pianto per la morte della donna e per tutti i problemi nella sua vita. Gil era la sola persona a cui avrebbe permesso di vederla piangere. Chiunque altro avrebbe potuto pensare che fosse debole.

Cinque minuti dopo, scoprì che le sue lacrime stavano diminuendo. Si ritrovò inoltre maggiormente stretta nelle braccia di Gil. Il suo capo poggiava sul  petto di lui con un braccio attorno alla vita. L'altro suo braccio era avvolto attorno a lei stessa, le sue dita inconsciamente giocavano con quelle di Grissom.

-Mi dispiace essere collassata in questo modo su di te, Gil.-, si scusò Catherine, asciugandosi le lacrime. -Di solito non lo faccio. -

Gil prese di nuovo la sua mano e la appoggiò sul proprio ventre, lasciando la propria mano sopra quella di lei.

-Va tutto bene, Cath. Tutti hanno bisogno di una spalla su cui piangere di tanto in tanto. -, la rassicurò. Appoggiò il proprio mento sulla testa di lei. Qualcosa dentro di lui notò che la sua mano stava ancora giocando con quella di Catherine. Doveva ammettere, però, che gli piaceva abbastanza quel contatto.

-Persino tu?-, scherzò lei, spostando gli occhi chiari e profondi su di lui.

-Sì, persino io presumo. Ma io...-

-Se dici che tu non piangi, è una bugia. -, interruppe lei. -Ti ho già visto piangere prima. Puoi negarlo finchè vuoi ma ti ho visto. -

Gil lasciò che un sorriso gli increspasse le labbra. Per quanto odiasse ammetterlo, lei lo aveva visto piangere. Era immensamente arrabbiato una notte dopo che aveva finito di risolvere un caso. Un uomo aveva abusato e ucciso sua moglie e rapito insistentemente le sue due figlie prima di uccidere anche loro, entrambe sotto i dieci anni. Catherine stava lavorando con lui e aveva immediatamente notato la sua rabbia non appena avevano scoperto cos'era accaduto alle vittime. Lo aveva seguito nel suo ufficio quando se ne era andato velocemente dalla stanza degli interrogatori. Gli aveva chiesto quale fosse il problema ed era stato allora che aveva notato le lacrime scendere lungo le sue guance.  Era avanzata verso la sua scrivania, girandole attorno fin dove era seduto lui.  Lo aveva attirato a sè e lo aveva abbracciato. Lui si era concesso volentieri di piangere, allacciando le braccia attorno alla vita di lei e appoggiandole la testa sul ventre. Era accaduto due anni prima e non lo aveva più visto piangere da allora.

-Stavo per dire che non piango spesso, ma grazie per avermelo ricordato. -

-Prego. È stata una bella vista, però. -

-Come mai?-

-Mi ha mostrato che sei umano, proprio come il resto di noi. Ha mostrato che i casi smuovono il duro, faccia di pietra Gil Grissom. -

-Solo perchè non mostro le mie emozioni durante i casi non significa che non le abbia. Scelgo semplicemente di tenerle per me. -

-Hai bisogno di condividerle con qualcuno. Non fa bene tenerle chiuse dentro di te -, gli suggerì.

-E con chi li dovrei condividere?-

-Beh, che ne dici di me? Lavoro ad un sacco di casi assieme a  te; ti conosco da molto più tempo di chiunque altro, qui. Ci considero migliori amici perciò non vedo perchè non dovresti dirmelo. - disse lei, esponendo argomentazioni disordinate.

Grissom considerò ciò. Non sembrava una cattiva idea. Li avrebbe aiutati a diventare amici ancora più intimi, forse qualcosa di più. Dio solo sapeva quanto voleva stare con lei. Lo aveva voluto per anni e non aveva mai detto niente riguardo a ciò.

-Suppongo che potrei provare. Se lo farò, anche tu mi dirai tutto?-, chiese Gil. Era solo giusto che lei facesse la stessa cosa per lui.

-Se lo farai, lo farò anch'io. Hai la mia parola. - Non staccò mai gli occhi dai suoi.  Era intrappolata dallo sguardo che vi aveva trovato.

Proprio allora, bussarono alla porta. Nessuno dei presenti nell'ufficio si mosse. Stavano troppo bene per pensare anche solo di muoversi. Warrick aprì la porta, troppo impegnato a guardare i file tra le sue mani per accorgersi della scena di fronte a lui.

-Sono arrivati i risultati sulle impronte che Catherine ha trovato sulla scena. L'hai vista?-, chiese, scorrendo diverse pagine.

-Sì, sono proprio qui. -, disse lei con un ghigno. Ciò colse l'attenzione di Warrick. Alzò gli occhi dalle carte e subito uno sguardo apologetico si dipinse sul suo viso.

-Scusate, ragazzi. Spero di non aver interrotto niente. -

-No, proprio niente. -, disse Catherine. Riluttante se staccò dalle braccia del suo supervisore, ma rimase vicina a lui.

Le piaceva la loro prossimità. Le dava i brividi nel senso buono. -Il caso mi aveva scosso e Grissom mi stava costringendo a dirgli il perchè. -

L'uomo di colore credette alla sua spiegazione, non c'era ragione per cui non lo facesse. Sapeva però che c'era qualcosa di più dietro al loro abbraccio ma decise di non dire nulla. Non voleva affrontare lei ire di quei due messi assieme.

-Allora, i risultati sono...?-, chiese lei, la sua voce marcata sulla parola. 

-Positivi, ma tu lo sapevi già. Ho solo pensato di lasciarti le carte prima di andarmene. -

Le porse le carte e tornò al suo posto vicino alla porta.

-Grazie, Warrick. -

-Nessun problema, Cath. Ci vediamo stasera, ragazzi. -, disse prime di ritirarsi dalla stanza.

Gil si alzò assieme a Catherine e guardò i risultati assieme a lei. Era ancora sconvolto da come una bambina di otto anni potesse uccidere una signora di settant'anni per qualcosa di così stupido come un gatto. A cosa sarebbe arrivato, questo mondo?

Guardò la donna seduta di fianco a lui quando la sentì sospirare profondamente.

-Vuoi venire da me per la colazione? Penso che farebbe bene a entrambi. -, suggerì Gil, prendendo un foglio dalle sue mani.

-Mi sembra una buona idea. D'altro canto, Lindsey è già a scuola e non me la sento di tornare ad una casa vuota. -

Se ne andarono dopo poco, Gil facendo strada, Catherine seguendolo nella sua auto. I suoi pensieri potevano correre mentre guidava. Non riusciva a non pensare a sua figlia e a quell'orribile bambina di quella mattina. Avrebbe mai potuto Linsday fare una cosa simile? L'avrebbe fatto? Catherine non voleva particolarmente sapere la risposta a quelle domande ma non poteva non pensarci.

Le luci di posizione la costrinsero ad uscire dal suo mondo. Riuscì a frenare in tempo da non urtare l'auto di Gil.

Chiuse la propria auto e guardò Gil scendere dalla sua Tahoe. Seguì i suoi movimenti e rapidamente lo raggiunse davanti alla porta di casa.

Nessuno disse nulla mentre lui armeggiava con le chiavi. Rapidamente aprì la porta e la tenne aperta per consentirle di entrare prima di lui.

-Allora, che cosa ti va? Pancakes, waffles, French toast, omelette, bacon, uova?-, chiese Gil, depositando le sue cosa su una sedia prima di avviarsi verso la cucina.

Catherine lo guardò strano quando menzionò bacon. Piazzò le sue cose vicino a quelle di lui e lo seguì.

-Perchè hai menzionato il bacon? Sai che lo odio. -

-Lo so. Penso solo che lo sguardo che hai quando qualcuno lo menziona o lo sta mangiando vicino a te è divertente. -

Catherine rise sommessamente ma non disse nulla. Andò dritta al frigorifero ed estrasse tutti gli ingredienti necessari per preparare uno Screwdriver.

-Alcool? A quest'ora?-, chiese lui con un sopracciglio alzato.

-Lo sai. -

-Allora, cosa ti sembra meglio?-

Gil si voltò verso i fornelli e iniziò a gironzolare per la cucina senza la sua risposta. La conosceva abbastanza per sapere a cosa avrebbe acconsentito.

-Non m'importa. Scegli tu. Voglio solo una buona colazione. -, disse lei facendo spallucce.

-Allora questo significa che ti piace la mia cucina?-

-Non sarei qui se non mi piacesse. -

Si scambiarono un sorriso per un lungo momento prima che Gil si voltasse per recuperare i suoi ingredienti.

Catherine si dedicò a finire i due Screwdriver che aveva preparato. Ne posizionò uno vicino a lui sul piano cottura prima di lasciare la cucina per mettere su un po' di musica.

-Non hai niente a parte classici?-, gridò, frustata dopo aver trovato solo musica classica.

-Mi dispiace, non ho nient'altro. Ma davvero ti aspettavi che avessi qualcos'altro?-

-Lo so, era una domanda stupida. -

La risata di lui dalla cucina la seguì fino al salotto. Alla fine decise per Beethoven, immaginando che fosse meglio di niente.

La musica leggera si espanse per la casa, creando uno strano senso di serenità che fluiva lungo il corpo di Catherine mentre rimuoveva le sue scarpe.

-Beethoven. -, disse lui, ascoltando la dolce musica. -Buona scelta. -

-Sì, beh, non c'era nient'altro e mi sono detta che era meglio di niente. -

Gil rise e continuò a cucinare. Catherine guardò la sua schiena mentre lavorava. Appoggiò il suo drink e contemplò i movimenti delle sue spalle e della sua schiena. Si incantò a guardarlo e pregò di non perdere mai la sua presenza.

All'improvviso, due braccia si allacciarono attorno al torso di Gil. i suoi movimenti furono momentaneamente fermati mentre annusava il familiare profumo. Poteva perdersi nel tocco di lei, ma ben presto si ricordò chi lui fosse. Lui era  l'Insensibile Grissom. Non poteva perdere la sua fama per colpa di un semplice tocco.

-Catherine, che stai facendo?-

-Ho bisogno di un abbraccio. Spero che non ti dispiaccia. -

-No, per niente. Ma, a dir la verità, tu mi stai dando un abbraccio mentre sarei io a doverlo dare a te. - , spiegò lui, facendosi tecnico.

-Lo so ma tu sei occupato, così ho deciso di dare un abbraccio io a te. -

Sentì la risata di lui mentre la presa su di lui aumentava. Inalò la naturale, mascolina fragranza che lui emanava.

Sapeva che lui non portava mai la colonia a parte nei suoi giorni liberi quando andava da qualche parte. Il suo odore naturale era molto migliore per lei, ad ogni modo, nonostante la sua colonia stuzzicasse i suoi sensi e accrescesse il suo desiderio per lui.

Sistemò il capo sulla schiena di lui e chiuse gli occhi. Era raro che facessero colazione assieme da soli. O la saltavano o la facevano assieme ai "bambini".

-Cath, hai intenzione di spostarti prima o poi o intendi starmi attaccato mentre cerco di finire la colazione?-, disse Gil, pulendosi le mani su un asciugamani coprendo le mani di lei con le sue senza rendersene conto.

Catherine contemplò la propria risposta prima di darle voce. Non era sicura di poterlo lasciare andare senza una qualche promessa di essere tenuta da lui più tardi.

-Penso di sì, dal momento che stai preparando la colazione. Ma potrei aver bisogno di un abbraccio, più tardi. -

Si allontanò da lui e lo lasciò continuare con la colazione.

-Non ho obiezioni a riguardo. -, rise lui.

Gil servì la colazione alcuni minuti più tardi, rifiutando di farsi aiutare da lei. Parlarono di numerosi argomenti mentre mangiavano, evitando il recente caso.

Più tardi, Gil si accorse di quanto stanca fosse Catherine. Dal momento che sapeva che Lindsey era con Eddie, le offrì di dormire da lui invece di farla guidare fino a casa sua.

Le lasciò fare una doccia mentre preparava il letto per lei. Lei aveva protestato per non occupare la sua stanza ma lui non aveva voluto sentire ragioni. Mentre lei era a casa di lui, si assicurava che fosse come a casa sua.

-Sai, potrei dire che questo è molto comodo. -

Gil voltò il capo verso la porta del bagno, i suoi occhi incontrarono la vista mozzafiato di Catherine. Indossava una sua vecchia maglietta del college e alcuni pantaloni della tuta grigi. Erano un po' grandi ma nessuno aveva mai reso quei vestiti così... così... stupendi.

-Potrei rubarteli. -, completò Catherine. Continuò ad asciugarsi i capelli come meglio poteva con uno dei morbidi asciugamani di Gil.

-Sentiti libera di farlo. Stanno meglio a te di quanto non stiano a me. -

Catherine alzò un sopracciglio prima di scomparire di nuovo nel bagno. Lasciò l'asciugamano e si diede un ultimo sguardo allo specchio. Si passò una mano tra i corti capelli biondo-rossici, Con un sospiro, lentamente spense le luci del bagno e rientrò in camera.

Gil era vicino alle finestre e stava litigando con le tapparelle, mormorando tra sè e sè riguardo alla loro testardaggine. Catherine non potè fare a meno di ridere mentre si sedeva sul letto.

-Okay, fatto. -, annunciò Gil mentre abbassava l'ultima tapparella. Si voltò verso Catherine. -C'è nient'altro che desideri o vuoi che me ne vada così puoi dormire?-

Catherine sorrise senza accorgersene mentre si infilava sotto le coperte. "Stranamente confortevoli e rassicuranti", pensò.

-Un altro abbraccio sarebbe carino. O invece di farmi sentire colpevole perchè ho occupato il letto, potresti raggiungermi. -, suggerì lei. Poteva vedere l'esitazione nei suoi occhi all'idea ma non gli avrebbe permesso di dire no. -Andiamo, Gil. Prometto che non ti morderò. D'altra parte, non voglio restare da sola. -

Dopo la sua battaglia interiore, chiedendosi se doveva o no, Gil lentamente si fece strada verso il letto. Lui sapeva, e lo sapeva anche lei, che non era la migliore delle idee quella di dividere il letto ma loro erano amici. Lui si sarebbe sempre preoccupato che i desideri di lei fossero esauditi.

Si sistemò sul letto di fianco a lei, lasciando che fosse lei a scegliere la distanza tra di loro. Lei mise un braccio attorno a lui, costringendolo a prenderla fra le sue braccia.

Stettero in silenzio, entrambi esausti per il lungo turno ma entrambi impossibilitati a dormire. C'era qualcosa nell'essere assieme che li costringeva a non perdere nemmeno un minuto.

-Gil? Grazie per essere qui. Mi hai aiutato tanto durante questi anni essendoci per me e io lo apprezzo. -, ringraziò Catherine, la sua voce era sonnolenta ma si rifiutò di addormentarsi senza averglielo prima detto.

Gil colse al volo l'occasione e posò un leggero bacio sulla fronte di lei. Non lo aveva mai fatto prima ma in qualche modo sapeva che a lei non avrebbe dato fastidio.

-Prego, Cath. È un onore essere la persona a cui ti rivolgi quando sei giù. -, ammise lui onestamente.

La sentì sorridere contro il proprio petto dove stava la sua testa. Il suo braccio si strinse contro di lui quando le baciò la fronte un'altra volta, una mano nei suoi capelli umidi.

Lei si sentì contenta, riscaldata, rassicurata dalla presenza di lui, salva, e più di tutto, amata. Lo amava e ora lui sapeva con certezza di amare lei. Quello che lei non sapeva era cosa sarebbe accaduto in seguito e quando. Tutto ciò che sapeva a riguardo era che qualcosa avrebbe fatto meglio ad accedere presto. Non sapeva quanto a lungo avrebbe potuto aspettare.  

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

  
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