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Autore: PostBlue    24/11/2012    3 recensioni
Sono passati esattamente quattro anni, quattro mesi e sei giorni dall’ultima volta che mi hai cercato. Da quando non ho voluto parlarti.
Genere: Angst, Introspettivo, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Slash
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Missed Call

 
Come sarebbe rincontrarsi dopo tutto questo tempo? Sono passati esattamente dodici anni da quando ci siamo parlati l’ultima volta. Forse qualcosa in meno dall’ultima volta che ti ho visto per caso, in giro. Ma quella volta non mi sono avvicinato. Non potevo. Sono passati esattamente quattro anni, quattro mesi e sei giorni dall’ultima volta che mi hai cercato. Da quando non ho voluto parlarti. Non so perché. O meglio. Ora lo so. Al tempo è stato panico puro e semplice. Quella mano che mi tende il telefono. E’ per te. E’ un certo xxxxxx che vuole parlarti. Il tuo nome. Non ne conosco altri. Chissà se è un caso. Chissà se può esistere il caso in una storia come la nostra. So che hai sentito perfettamente che ero in casa. E che ho voluto farmi negare. Un terrore irrazionale. Capiscimi. Era il giorno prima del mio matrimonio.
Da quel giorno non sai quante volte ho pensato a come sarebbe potuta andare quella telefonata. Che effetto mi avrebbe fatto sentire la tua voce. Che cosa ti avrei detto. Per quanto avremmo parlato. L’ho immaginata così tanto, quella telefonata. Ci sono momenti in cui darei qualunque cosa per ritornare a quel momento e prendere quella dannata cornetta. Non che sia l’unica cosa che cambierei, di tutto quello che c’è stato tra noi due. Ma di tutto il resto non ha più importanza parlare, ormai. E’ tutto talmente lontano da essere ormai fuori portata anche per i rimpianti. Ma quella telefonata. Quella no.
 
Sono in piedi davanti alla tua porta. Fisso il campanello con un cognome che non è il tuo. Sei in affitto. Non so nemmeno se tu viva da solo ma non mi pongo il problema. Vedo la mia mano alzarsi e suonare. Una volta. Silenzio. In quel silenzio il sangue mi urla nelle orecchie, il mio respiro si blocca, la mia mente è come congelata. Un solo pensiero razionale, come una coltellata al centro della massa di ghiaccio che mi avvolge. Vattene via. Non è in casa. Ti è andata bene. Vattene finché sei ancora in tempo.
Apri la porta e rimani a fissarmi come se avessi visto un fantasma. Non sai cosa dire. Io non ci provo neanche. Cosa ci si può dire dopo dodici anni? Come si può dissimulare il fatto che tutti e due stiamo cercando un modo per verificare se quello che abbiamo sempre sentito durante questi anni di separazione è qualcosa di reale o solo un parto delle nostre menti? Un legame. Un collegamento sottile, silenzioso. Sotto tutto il resto. Un collegamento aperto. Un rumore di fondo soffocato dalle diverse melodie delle nostre esistenze. Era vero? C’era davvero quel canale di silenziosa comunicazione? Quella certezza di ritrovarci ancora allo stesso punto, qualunque cosa fosse successa nel frattempo. La consapevolezza radicata e fisica prima ancora che razionale, della presenza dell’altro. Siamo scritti nella nostra chimica. Siamo impressi l’uno nella vita dell’altro indipendentemente da tutto quello che possiamo fare per ignorare questo fatto.
 
Mi hai fatto entrare mi hai offerto una birra. C’è stato imbarazzo all’inizio. Entrambi goffi e insicuri. Entrambi in attesa di in cenno di conferma da parte dell’altro. Ci sono. Sono ancora io. C’era quella telefonata tra di noi. Io ero lì. Avevo fatto il primo passo perché l’ultima mossa era stata mia. Ero stato io a respingerti quando tu mi avevi cercato per la prima volta dopo otto anni. Anche se prima di quegli otto anni eri stato tu a mandarmi fuori dalla tua vita. Poi abbiamo cominciato a parlare. Come se niente fosse. Stiamo parlando da ore ed è come se non avessimo mai smesso. Non mi chiedi perché sono lì. Lo sai e ti sta bene così. Riconosco ogni tuo singolo gesto. Il tuo modo di parlare. Riconosco che sei entrato immediatamente nel ruolo che hai sempre rivestito con me. Riconosco che stai cercando di sedurmi. Stiamo cercando di sedurci. Non abbiamo mai conosciuto altro modo di parlare. Io e te. E’ sempre stato inevitabile. Anche quando era finita. Non siamo mai riusciti a stare per più di qualche ora nella stessa stanza da soli senza litigare o scopare. Non mi riesce difficile prevedere che stasera non litigheremo. Non mi riesce difficile niente in questo momento.
Vai a prendere altre due birre e quando torni questa volta ti siedi di fianco a me. Il divano è enorme ma tu ti siedi terribilmente vicino a me. Non è incertezza. Non è disagio. Ma di fatto è come se perdessi un colpo. Mi chiedi quand’è che mi sono lasciato crescere i capelli e allunghi una mano a toccare l’elastico che li tiene legati all’altezza della nuca. Poi lo afferri e lo fai scivolare via. Ti fermi un momento a guardarmi con un’espressione che mi ricorda praticamente tutta la mia vita. Mi scosti una ciocca di capelli che mi è scivolata davanti agli occhi. E io ho di nuovo quindici anni e nessun controllo della mia mente. Il mio telefono squilla. E’ tardi ma il mio telefono squilla a qualsiasi ora. Devo rispondere. Ma tra quando lo dico e quando mi alzo passa qualche secondo di troppo. Non è niente in realtà. Fa parte del gioco.
Del copione che io e te abbiamo sempre recitato. Siamo incastrati in un copione fatto solo di inizi e senza nessun finale.
Ho lasciato il telefono nella tasca della giacca e la giacca in cucina. Tasca destra. Tasca sinistra. Guardo il numero. Niente che non possa aspettare. Rifiuto la chiamata e tolgo la suoneria perchè tanto so già che ricomincerà a squillare.
Non ti ho sentito arrivare. Sei dietro di me e mi circondi la vita con le tue braccia magre. Stai dicendo qualcosa di stupido. E anche questo è così tipico di te. Cominci sempre per scherzo. E’ un  gioco davvero. Sei più alto di me e per un attimo appoggi le labbra sui miei capelli. Mi giro dentro al tuo abbraccio cercando di dire qualcosa che suoni vagamente sensato ma non ho capito niente di quello che hai detto. Ho di nuovo sedici anni e non ho nessuna difesa. Anche questo fa parte dei nostri ruoli. Tu sei sempre stato più forte di me e parte della tua forza si manifesta lasciandomi credere di avere il controllo per alcuni momenti. Ma ora non lo voglio. Il controllo. Voglio morire qui e adesso, perchè sei più di quanto possa sopportare.
Tento di liberarmi senza troppa convinzione ma tu non mi lasci andare. E poi arriva. Ci abbiamo girato intorno tutta la sera. Ci abbiamo girato intorno tutta la vita. Avvicini il tuo volto e vedo ogni singola sfumatura dei tuoi occhi. Mi sembra di non aver mai smesso di guardarti, tanto bene mi ricordo ogni minuscolo particolare del tuo viso. Non sei cambiato. Non quanto me almeno. Mi porti una mano dietro la nuca e sento il tuo corpo premere contro il mio, appoggiato al tavolo della cucina. Non c’è più niente. Sento le tue labbra contro le mie, la tua lingua che si fa strada nella mia bocca. Il tuo odore. Ed è come essere finalmente a casa, dopo un tempo interminabile. Vorrei piangere tanto è il sollievo che provo. Sei la droga da cui non mi disintossicherò mai. Sei tutto quello che non dovrei fare e sei tutto quello che voglio. Sei l’amore della mia vita.
 
Guardo il profilo del tuo corpo in mezzo alle lenzuola arrotolate. Sei sempre magro e asciutto ma hai più muscoli di una volta. Sicuramente per merito di tutto lo sport che fai. Io non sono mai stato soddisfatto del mio corpo, se non con te. Per il modo in cui lo hai sempre desiderato, indipendentemente da come stessero andando la cose tra noi.
Quando ci salutiamo non riusciamo del tutto ad evitare di raccontarci qualche bugia. E probabilmente in quel momento ci crediamo anche un po’ al fatto che sia possibile continuare a sentirci. Non perderci di nuovo per chissà quanto. Ma basta uno sguardo per far crollare l’inganno. Sei il mio amore, non la mia vita. Lo sappiamo entrambi perchè per entrambi è lo stesso. Non avrebbe senso opporci ora.
Mentre esco in strada e l’aria gelida della notte mi toglie di dosso quel poco di sonno residuo, ripenso ancora una volta a quella telefonata. Alla fine non l’ho persa. Con più di quattro anni di ritardo, ma ti ho risposto. Ora non mi resta che aspettare.


NOTA: 
E’ la prima storia originale che pubblico su Efp. 
Se qualcuno avrà voglia di dirmi cosa ne pensa sarò davvero molto felice perchè non riesco proprio a farmi un’idea dell’impressione che può dare dall’esterno.

Grazie comunque a chi è passato di qui e a chi ha letto. :-)
PB
   
 
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