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Autore: endlosenacht    24/11/2012    10 recensioni
“E’ così presto che neanche i galli sono ancora svegli” protesto mentre Lea mi trascina di gran carriera per il centro storico addormentato di Verona.
“Ne varrà la pena, forza!” mi sprona lei, e lo fa con un tale tono di voce che sembra stia per esplodere in un urlo di gioia da un momento all’altro.
13 maggio 2013, Arena di Verona. Evento di stasera: concerto dei One Direction.
Genere: Comico, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Harry Styles, Louis Tomlinson, Nuovo personaggio
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Nota a priori:

Una parola: inverosimile. Mi rode che questa storia sia terribilmente inverosimile, ma non riesco assolutamente a cambiarla…neanche il finale, che in realtà non mi piace. Ho avuto un sacco di problemi con quella scena e ancora non è come la volevo io, uff!
Non ci è voluta una grande fantasia per scrivere questa storia, credo che ognuna di voi avrebbe potuto pensare la stessa cosa, quindi non stupitevi se alla fine penserete “Ma va? Tutto qui?” – è normale.
Il setting è scontato, ma non sono riuscita a trattenermi: Verona mi piace così tanto. Mi piace che ci sia sempre qualcosa da vedere per una piccola forestiera come me e mi piace che sia piena di storia, da tutti i lati.
Nella descrizione e nei nomi dei monumenti sono andata di memoria e Wikipedia, ma potrei aver preso tranquillamente un milione di granchi. Veronesi, avvisatemi se ho scritto castronate!
Ultima cosa: in corso d’opera ho scoperto che questa storia è tremendamente autobiografica. Leggetela, prestateci attenzione e praticamente troverete tutta me stessa. E’ un po’…inquietante. Forse è questo che provano gli scrittori quando si espongono con un libro…o forse sto solo divagando.
Buona lettura!, 
Vick

 

 

19 maggio 2013

 

 

“E’ così presto che neanche i galli sono ancora svegli” protesto mentre Lea mi trascina di gran carriera per il centro storico addormentato di Verona.
“Ne varrà la pena, forza!” mi sprona lei, e lo fa con un tale tono di voce che sembra stia per esplodere in un urlo di gioia da un momento all’altro.
“Tanto manco stiamo davanti, saremo più lontane di quanto lo è Narnia…” ribatto scontenta, ma non ricevo altra risposta che una gomitata affettuosa.
“Eccola!” esclama poi, puntando il dito freneticamente verso l’enorme Arena che cominciamo a intravedere: la mattina presto questa gigantessa appare ancora più imponente; si staglia maestosa sul cielo che comincia appena a tingersi di azzurro.
I tanti archi che la compongono sembrano altrettanti occhi, e si ha l’impressione che proprio con quelli l’Arena osservi e protegga tutto dall’alto della sua mole. E allo stesso modo, quando accoglie qualcuno al suo interno, lo cinge e lo culla, trasformandosi in una grande madre gentile.
Questa sera, però, anche la maestosa compostezza dell’Arena sarà messa a dura prova: oggi, 19 maggio 2013, ospiterà la prima tappa italiana del tour europeo della band One Direction. Accolti da giudizi contrastanti, questi ragazzi calcano la scena musicale da poco più di due anni con un successo strepitoso e scatenano isteria e svenimenti ovunque abbiano l’occasione di mostrare il viso. In molti hanno espresso i loro dubbi sulle effettive capacità di questi cinque ragazzi inglesi ma, che siano dei fantocci o autentici artisti con spiccata sensibilità musicale, hanno incontrato l’incondizionata approvazione di frotte di ragazzine.
Guarda caso, in questo esercito ci sono anch’io. Nonostante non faccia parte della frangia più sfegatata delle loro ammiratrici – credo sinceramente di non sapere un solo compleanno su cinque – questo gruppo mi ha colpito per un’assurda mescolanza di motivi: li ho scoperti sotto maturità e la loro musica allegra e obiettivamente disimpegnata mi ha aiutato a sfogare lo stress; sono simpatici, e sono britannici. Un paio di loro ha pure una bella voce e questo, per le mie scarse conoscenze musicali, basta a giustificare la mia predilezione per la loro musica.
“Dov’è il Gate X?” mi chiede dubbiosa Lea mentre studia l’arena come se questa fosse un temibile giocatore di football da superare per vincere la partita. Sembra quasi di vedere l’enorme monumento ridersela sotto i baffi.
“Lì a destra, di fronte ai giardini” le rispondo sbadigliando. Di prima mattina non c’è niente che potrebbe entusiasmarmi.
Ci avviciniamo e ci appostiamo al nostro Gate; intorno a noi non c’è niente e nessuno che possa lasciar intendere l’evento che di lì a poche ore avrà luogo. Niente, oltre le transenne posizionate già da qualche giorno intorno all’arena e i tir addetti al montaggio del palco. A questa vista sento un brivido percorrermi la schiena: sono anni che non assisto un concerto, mi ero dimenticata come l’adrenalina mi potesse prendere d’assalto quando meno me lo aspetto.
Lea e io facciamo colazione come due signore di gran  mondo elegantemente sedute per terra e poi ci aggiriamo furtive sotto gli occhi vispi dell’arena, ma non passa molto che ci stufiamo e ci lasciamo ricadere a terra.
Verona si sveglia: non molto, perché è domenica mattina e il mondo reclama la sua meritata giornata di pace, ma qualche coraggioso avventuriero c’è. Purtroppo sembrano essere le categorie meno raccomandabili a fare visita a Piazza Bra questa mattina, ma non manca qualche turista che si è trascinato fuori dal letto pronto a una giornata di visite ma che sicuramente ora sta avendo qualche rimpianto.
Tutti ci osservano, noi ragazze sedute per terra di fronte all’arena che canticchiamo e chiacchieriamo. Forse qualcuno di loro pensa che stasera ci sarà uno spettacolo, magari conosce addirittura l’artista che è riuscito a far arrivare qui queste due giovani già la mattina presto.
 
 
E’ mezzogiorno quando un piccolo furgone si fa strada fra i passanti e si ferma davanti all’arena. Proprio nella cosiddetta area Vip, quella che in genere corrisponde alla posizione del palco all’interno del monumento. Tiro una gomitata a Lea, che si rivela inutile: come un suricato è già in attesa, il collo allungato in direzione dei nuovi venuti.
Non ci vuole molto per capire che quelli che stanno scendendo dal furgone sono effettivamente i membri dei One Direction: uno dopo l’altro cinque ragazzi fanno capolino e si guardano attorno, restando poi impalati col naso all’insù verso l’Arena, la bocca spalancata. Sono troppo lontani per captare quello che stanno dicendo ma sono tuttavia abbastanza vicini perché sentano gli strilli di gioia di Lea, che ha cominciato a saltellare, perché due di loro si voltano verso di noi. Se ricordo bene, dovrebbero essere Liam e Niall. Fanno entrambi un gesto di saluto verso di noi, sorridenti e lievemente frastornati dalla luce del sole che li colpisce in pieno. Noi ricambiamo, al settimo cielo; Lea non si risparmia in festanti esclamazioni d’affetto, mentre io sorrido soltanto, vagamente intimidita. Non sembravano affatto così alti, sullo schermo del mio pc, e nemmeno così…normali? Non c’è traccia, in loro, delle cinque statue greche per cui sono stata convinta di avere una cotta in questi mesi: potrebbero passare per semplici turisti, se non si trovassero dietro quelle transenne. In qualche modo, mi sento confortata da questo pensiero.
I ragazzi non fanno in tempo a girarsi che anche gli altri tre, Harry, Louis e Zayn ci individuino e ci salutano. L’ultimo a farlo è Harry, che sembra troppo impegnato a fissare l’Arena per accorgersi di qualsiasi altra cosa e ci rivolge un saluto appena distratto prima di scomparire in una delle tante bocche del monumento. Decisamente, sembra un turista.
“Vicky, ci hanno salutate!!” Lea è più che al settimo cielo, è dispersa nell’enorme galassia che ci sovrasta, e non posso fare a meno che lasciarmi contagiare dal suo entusiasmo.
“Magari dopo ritornano!” esclamo mentre una sincera speranza si fa spazio dentro di me. Sarebbe proprio bello, riuscire a incontrarli.
Ci lasciamo cullare da questa dolce illusione per tutto il soundcheck, che viene ascoltato praticamente solo da noi e preso per il solito rumore di lavori in corso dagli altri passanti, i quali ci rivolgono occhiate stralunate quando cominciamo a canticchiare qualche canzone. Non ci sono altre fan, per il momento. Mi rincuoro: vuol dire che il resto del mondo non è pazzo come me e Lea, pronte a trascinarci fuori di casa la mattina presto per uno stupido posto in gradinata.
E’ un miraggio quello che ci appare di fronte quaranta minuti dopo: i ragazzi, di ritorno dal soundcheck, ci vengono incontro. Tutti e cinque, sorridenti, salutando noi.
“Hi girls!*” Liam è il primo a raggiungerci, un sorriso incoraggiante tutto per noi, subito seguito dagli altri. Si presentano, salutano, chiedono come ci chiamiamo e se assisteremo allo show di stasera. Sento che Lea non riuscirà a pronunciare nulla di più del suo nome, quindi raccolgo il coraggio a quattro mani e mi cimento in una discussione in inglese.
“Parteciperemo, sì. Ma purtroppo siamo…ehm…lontane dal palco. Su” indico l’alto. Come si dice “gradinate” in inglese?
“Non preoccupatevi, ci faremo sentire anche da lassù” ci incoraggia un Niall sorridente. Questo ragazzo ha proprio un accento fantastico, e un viso adorabile.
La conversazione continua soprattutto perché i ragazzi sono talmente disponibili e gentili da non mettermi fretta, lasciandomi il tempo di frugare fra il mio inglese zoppicante alla ricerca della parola adatta e intervenendo prontamente in mio aiuto quando – spesso – non la trovo. E’ assurdo, io so l’inglese. Se c’è una cosa di cui mi piace vantarmi un pochino, è proprio il mio inglese. Ma oggi non vuole saperne di collaborare.
Tutto procede tranquillo – elettrizzante, ma tranquillo – fino a quando non poso gli occhi su Harry, che è rimasto in silenzio fino a questo momento, immobile come una lucertola nel sole di maggio che gli scivola sui riccioli castani. Mi basta incrociare il suo sguardo per incespicare considerevolmente nelle parole.
A differenza degli altri, Harry mi appare esattamente come sullo schermo del mio portatile: vicino alla perfezione. O, almeno, alla mia personale e discutibile idea di perfezione, in cui mani grandi, lunghe e affusolate e una figura alta, quasi dinoccolata, contano molto di più di addominali scolpiti. Non mi sono mai soffermata a pensarlo più degli altri perché considerato troppo lontano, perché tanto non lo avrei mai incontrato e ho appena imparato a lasciar perdere le celebrity crushes. Ma ora che me lo trovo davanti tutti questi pensieri sembrano rimpicciolirsi e perdere importanza: non posso fare a meno di pensare che è bellissimo.
“Accidenti!” mi lascio sfuggire, a metà tra un’esclamazione e un sospiro.
Passo falso, perché mette Lea sull’attenti. Sembra ritrovare il dono della favella e distoglie facilmente da me gli sguardi interrogativi che si sono dipinti sul volto di Harry e dei suoi colleghi.
“Avete altri impegni, prima del concerto?” chiede, in un inglese disinvolto.
E’ Liam a precedere i suoi compagni, bruciandoli sul tempo con la sua parlantina e lasciandoli a labbra appena socchiuse:
“In realtà no. Abbiamo fatto tutto questa mattina e ora vorremmo solo fare un giro per la città, ci è stato detto che è bellissima e vale la pena di visitarla, e già che è la prima volta e incredibilmente non abbiamo niente da fare…”
“Romeo and Juliet!” esclama Niall con convinzione, come se tutta la città si potesse riassumere nella storia dei due innamorati di Shakespeare.
“Non sappiamo da dove cominciare però” aggiunge Louis, guardandosi intorno in maniera teatrale.
Ascolto lo scambio di battute come in trance, evitando ostentatamente di guardare Harry, anche se sinceramente sarebbe l’unico con cui parlerei in questo momento, e rivolgo tutta la mia attenzione a Zayn, che col suo modo di fare silenzioso si sta trasformando nel mio nuovo migliore amico.
Torno cosciente solo quando sento Lea annunciare: “Vicky sa tutto di Verona!” e mi sento punzecchiare il braccio.
“Davvero?” mi chiede Niall stupito.
Mi ci vuole un attimo.
“Eh? Oh…non proprio tutto. Studio qui all’università e mi capita abbastanza spesso di fare un giro per il centro. Ho letto qualche cartello e mi sono informata, ma niente di più…”
All’improvviso Harry spara la proposta:
“Dovresti venire con noi e farci da guida, allora.”
Frena. Cosa?
Lea ha abbandonato anche la  galassia della felicità e ora si trova ancora oltre, in un posto talmente felice che l’umanità ancora non ha scoperto, e anche i ragazzi sembrano contenti della prospettiva – “Magari è la volta buona che impariamo qualcosa!” - .
“Ma se andiamo via perdiamo il posto…” protesto debolmente, stupendomi io stessa del tono petulante della mia voce.
Sei occhiate interdette mi trafiggono inebetite. Il primo a sciogliere la catena è proprio Harry, che con una flemma degna di Sherlock Holmes si rivolge a un uomo che sta passando in quel momento dietro di lui:
“Ehi, ci sono ancora dei pass per stasera? Sì?” – alza il pollice “Posso averne altri due?”
Si allontana in un coro di “Great idea!” da parte dei suoi compagni e torna un attimo dopo con due brillanti tesserini in mano. Ce li porge sorridendo sornione, ma con una strana luce negli occhi.
“Problema risolto” annuncia.
“Non avete più scuse, ora” mi canzona Louis.
 
 
 
* * * * * * * * * * * * * *
 
 
“E’ altissima”
“ Mi viene mal di testa”
“Perché non abbiamo preso l’ascensore?”
La Torre dei Lamberti fa sempre lo stesso effetto a tutti. Dapprincipio i turisti restano affascinati dalla costruzione e si dirigono al banco dei biglietti come api sul miele allettati dalla promessa che lampeggia in biglietteria (“Magnifica vista su tutta la città”), e poi molti di loro si avventurano coraggiosamente lungo i 368 scalini che portano in cima. Arrivati appena a un quarto del percorso, cominciano a maledire i Lamberti e ogni singolo operaio che ha contribuito a posare anche un solo gradino.
Ho pensato di partire da qui perché è sinceramente uno dei miei posti di Verona preferiti: la vista vale veramente tutta la fatica. I miei improbabili e imprevedibili compagni di visita hanno accettato la proposta con entusiasmo, ma ora, arrancanti sulle scale, si stanno comportando nella stessa maniera di chiunque altro.
“Io mi fermo ragazzi, questo è un bel posto per morire” ansima alla fine Zayn, accasciandosi sul muro dell’ennesimo pianerottolo che incontriamo. Niall lo imita, riconoscente all’amico per non aver lasciato a lui il disonore di implorare una pausa.
“Vicky fermati!” mi urla Lea, prontamente accanto ai due caduti a parecchie rampe sotto di me. Io mi fermo un po’ stizzita: odio fermarmi durante una salita. E’ controproducente e non si arriva a farsi l’andatura. Ma ho un altro motivo: più cammino e meno mi accorgo del fatto che l’unico a tenere il mio passo e a non fiatare è Harry. Abbiamo scambiato qualche parola, sotto suo pronto invito, ma non sono stata in grado di portare avanti una conversazione. Ho passato gli ultimi 10 minuti della mia vita a stupirmi di quanto sia diverso parlare con qualcuno nella propria testa e nella realtà. Mi ha completamente spaesato, e questa incertezza non contribuisce di certo a migliorare le mie scarse doti di conversatrice.
“Meglio fare una pausa, o rischiamo che muoiano veramente” mi suggerisce Harry, lanciando un’occhiata divertita ai suoi amici. Riesco a intravedere un accenno delle sue famose fossette e sento le gambe cedermi. Mi impongo di ignorare il sintomo e rivolgo ostentatamente lo sguardo sotto di noi.
Louis è il primo a raggiungerci, con un passo tranquillo e un sorriso sornione in viso.
“Bella passeggiata, eh?” mi dice allegro, mentre prosegue dondolandosi, le mani dietro la schiena come un perfetto turista.
“Quando l’hanno costruita questa torre?” mi chiede Harry, guardandosi intorno un altro po’. Sotto di noi, sentiamo Liam e Lea che cercano di far coraggio a Niall e a uno Zayn fermamente deciso a restare lì dove si trova. Sento Niall chiedere qualcosa da mangiare e non riesco a fare a meno di sorridere. Sembra proprio che almeno parte delle cose che si leggono su internet siano vere.
“Allora?” mi incita Harry. Ha uno sguardo lievemente stizzito, sembra non voglia che lo si faccia aspettare.
“Uhm, credo…nel XII secolo più o meno. Ma poi l’hanno modificata in continuazione..” incespico un po’ all’inizio, ma poi mi riprendo facilmente. Parlare di qualcosa di passato, sicuro, mi aiuta sempre a ritrovare la rotta.
“Ed è ancora in piedi?” esclama stupito, spalancando la bocca. E’ bellissimo come ogni turista che venga da uno stato appena più giovane dell’Italia resti incredulo di fronte ai suoi monumenti che resistono fieri. Mi chiedo se Harry sa di preciso a quando risale l’Arena.
“Ovvio. O non ci saremmo saliti” gli rispondo soltanto, e riprendo a camminare perché sento che i nostri compagni si sono rimessi in marcia.
L’arrivo in cima alla Torre è accolto da esclamazioni festanti da parte di tutti, e, poi, da un silenzio attonito appena interrotto da mormorii ammirati. Capisco di aver fatto bene a portarli quassù: niente mette più voglia di visitare Verona che la vista che si ha dalla Torre dei Lamberti. Si vede così in lontananza, si vedono così tante cose che è impossibile scendere e pensare di andarsene in albergo o rinchiudersi in un bar qualsiasi.
“E’ incredibile!” esclama Liam, gli occhi brillanti. Si arrampica sul parapetto e guarda in ogni direzione, seguito a ruota dagli altri. Anche Lea è soddisfatta: si avvicina con cautela ai ragazzi e si abbandona alla dolcezza di Verona.
Decido di godermi la vista anch’io e mi arrampico imitando Liam, ma il mio risultato è appena più patetico. Non che sia un’incapace del movimento, ma sono bassa: è la mia croce. Arrivo appena a sporgere il viso dal parapetto e devo tenermi stretta alla pietra per non scivolare. Sembro un cucciolo indifeso, ma non mi importa. Niente può distrarmi dalla mia vista preferita.
“Posso aiutarti?”
Niente, tranne la voce di Harry Styles accanto a me. Lo vedo al mio fianco, vicino ma a rispettosa distanza inglese, che mi guarda con gentilezza e un’espressione vagamente divertita. Al mio cenno di assenso sento la sua mano poggiarsi delicatamente sulla mia schiena e poi spingere appena verso il parapetto, per tenermi in equilibrio. Prego che il recente moto giustifichi il rossore che sento colorarmi le guance.
“Grazie” gli dico, “Ho qualche problema a rapportarmi con le cose più alte di me…e purtroppo sono tante.”
Lui ride amabilmente, “Non c’è di che.”
Rimaniamo in silenzio, ascoltando i commenti estasiati degli altri ragazzi. Louis è il più rumoroso, chiacchiera e si lancia in complimenti sulla città e su tutti i suoi antichi abitanti che ci hanno reso possibile un’esperienza così bella.
“Hai scelto proprio bene” si complimenta Niall, scoccandomi un’occhiata allegra. “E’ bellissimo!”
“E’ uno dei posti più belli di Verona” rispondo, spostando pigramente lo sguardo dall’Adige a Castel San Pietro. E’ lui il mio posto preferito in assoluto, quello la cui vista fa invidia anche a quella di questa Torre.
“Qual è la prossima tappa?” mi chiede Harry.
Gli indico il Castello, e posso vederlo riflesso nei suoi occhi mentre lo guarda.
“E’ in alto” commenta. Spaventato? Scommetto che si sta pentendo di avermi chiesto di pensare a un itinerario. Non prevedeva che lo avrei fatto camminare così tanto.
Louis è il primo a stufarsi di stare a ciondolare in cima a una torre: “Voglio vedere la casa di Giulietta” annuncia, “Vicky, dov’è?”
Ha già adottato il mio soprannome e fa un effetto stranissimo, sentirmi chiamare con un nomignolo da qualcuno che fino a ieri credevo non avrebbe neanche mai saputo della mia esistenza.
“Non lontano da qui” rispondo voltandomi, costringendo Harry a lasciare la presa sulla mia schiena, che non ha accennato ad allentare fino a questo momento. Mi impongo di non esserne lusingata.
“Andiamo!” chiamo poi gli altri, che si girano mansueti e cominciano ad avviarsi alle scale. Solo Zayn esita un attimo, lamentandosi che trova questa Torre proprio un bel posto e che se fosse per lui resterebbe qui tutto il giorno. Anzi, vuole proprio restarci tutta la giornata, noi possiamo continuare il giro e venirlo a recuperare quando sarà ora di tornare all’Arena per le ultime interviste prima dello show. Liam si incarica di dissuaderlo e lo trascina giù con noi.
La passeggiata è delle più allegre: incredibilmente, io e Lea stiamo cominciando a chiacchierare con i ragazzi come fossero veramente dei turisti inglesi conosciuti per strada, con semplicità e senza imbarazzo. Riusciamo perfino a lasciarci andare nei nostri sciocchi, soliti problemi.
“Quanto vorrei quel vestito” sospiro in direzione di X, il negozio che ospita un magnifico vestito bianco fin da ottobre, quando sono arrivata a Verona per la prima volta. E’ da allora che gli faccio la corte, aspettando con trepidazione il giorno in cui avrò abbastanza soldi e abbastanza chili in meno da potermelo permettere.
“Ti starebbe benissimo” commenta Lea, “Te l’ho detto anche ieri che dovresti comprarlo.”
“Ma ho i fianchi troppo grossi” protesto. Ed è vero: un numero tutto sommato ridotto di chili tutti sui fianchi e sulle gambe. Un’altra ulteriore croce che mi trascino dietro da tempi immemorabili.
I didn’t understand a single word of what you just said *” si intromette Niall, guardando inorridito le nostre bocche che articolano suoni così strani come l’italiano.
I said I love that dress” traduco indicandogli il mio amato abito, sospirando di nuovo.
Very nice” commenta Louis alle nostre spalle, con un perfetto tono da esperto di moda.
And she said also that she thinks she’s fat” continua Lea. Ma che? Non ho assolutamente detto questo.
“Ma non è vero!” protesto.
“Oh, invece sì. Lo ripeti praticamente sempre, che hai i fianchi. Sei ossessionata” mi rimbecca Lea.
“Ho solo qualche problema con la bilancia.” Rispondo, facendo la finta offesa.
“Cioè?” mi chiede Louis interrogativo.
“Abbiamo un patto: io la evito e lei non si mette fra i piedi. Semplice. Ecco la casa di Giulietta!” cambio rapidamente discorso, prima di finire sotto processo per un normale complesso.
Per fortuna, questi One Direction sono facili a distrarsi: appena vedono la montagna di bigliettini e promesse di fedeltà eterna attaccati con amorevole cura con delle chewing gums alle pareti che portano al cortile si perdono a leggerli.
“Sono più delle lettere che riceviamo noi!” esclama Zayn, completamente incredulo. Sembra difficile, per lui, credere che ci sono altre cose che meritano attenzione oltre a lui e la band.
“Ah! Qui c’è scritto Larry Stylinson!” se ne esce Louis ridendo a crepapelle. Harry in un lampo è vicino a lui, cellulare alla mano, mentre scatta una serie di foto a loro due con alle spalle il biglietto. Si divertono da morire.
“Ti amo Styles”
“Ti amo Tomlinson”
Scherzano così per un po’, finchè non si accorgono del divertente rituale che ogni buon turista deve fare nel momento in cui visita la casa di Giulietta: scattarsi una foto mentre si tocca il  seno sinistro della statua.
I ragazzi sono lesti a entrare nell’ottica della tradizione e si lanciano in numerose pose degne del più assurdo dei visitatori: uno alla volta si succedono ai piedi della statua e alla fine si cimentano in una foto di gruppo in cui almeno un dito di ciascun membro del gruppo deve toccare la famosa parte del corpo. Io e Lea ci trasformiamo in fotografe anche quando, naturalmente, i ragazzi vengono riconosciuti: non succede tante volte quanto mi sarei ragionevolmente aspettata, ma probabilmente la maggior parte delle Directioners in questo momento si trova davanti all’arena. Al pensiero che io, invece, sono a spasso per Verona con i ragazzi in persona, ho un moto di orgoglio. E sincera gioia. Perché, dopotutto, sono proprio simpatici.
E’ quando ci allontaniamo dal famoso balcone che non è altro che un pallido fantasma del trono d’amore di Romeo e Giulietta che sento Harry dietro di me. Questo ragazzo sembra un gatto.
“Non sei affatto grassa. Non ci pensare neanche”.
Il suo tono sembra vagamente minaccioso. Lo guardo dal basso verso l’alto e alzo le spalle in segno di resa. Mi supera subito dopo.
Ci rendiamo conto di aver tempo per solo un’ultima visita: non posso far perdere Castel San Pietro, quindi chiamo tutti a raccolta e li preparo a un ultimo sforzo. “Poi ci sono i taxi, per tornare” cerco di accattivarmeli.
Nel tragitto passiamo davanti a un negozio di alimentari che sfoggia in vetrina una bellissima pila di scatole di bustine di thè. In cima, spicca quello alla vaniglia. Non posso trattenere un’esclamazione di gioia, “Oh, quanto lo amo”, sospiro.
Vanilla tea?”
Ma come fa?, mi chiedo.
Harry è di nuovo al mio fianco. Annuisco di nuovo, dato che sto scoprendo che è un rapido modo per rispondere ed evitare che la voce si spezzi.
“Quello nero è più buono” mi risponde, annuendo convinto.
Non posso lasciare che la mia droga venga insultata così.
“Figurati! Il thè alla vaniglia è la cosa più buona da bere la sera. E’ così dolce che sembra una ninna nanna!”
“Ti piace davvero così tanto?”
“Da morire. Più della tua musica” gli rispondo. Mi rendo conto un attimo dopo che il mio ultimo commento potrebbe essere intepretato come maleducazione.
“Anche se sono due cose diverse”, cerco di rimediare all’ultimo.
Harry ridacchia divertito, “Nevermind”.
E poi, all’improvviso, comincia.
Mi chiede un po’ di me, qualcosa in più di quello che si è intuito dalle chiacchiere di quella manciata di ore. Lasciamo gli altri un bel pezzo dietro di noi, immersi nelle parole. Dopo qualche scambio di battute, non sono più a disagio. La voce roca di Harry mi rassicura, mi culla, sembra quasi incoraggiarmi a raccontare i miei sogni.
Le sue domande mi guidano lungo le mie vecchie aspirazioni sepolte malamente sotto quelle nuove e quest’ultime, più sicure, più affidabili. Mi soffermo forse un po’ troppo a raccontargli della mia tanto sognata e neanche tentata carriera da egittologa, i templi e i geroglifici che ogni tanto mi investono con il loro mistero e mi rapiscono, senza dar segno di volermi lasciar vivere la mia vita senza di loro. Harry non si spazientisce, ma ascolta con attenzione. Sento i suoi occhi verdi su di me e, per la prima volta, ne sono contenta, e lusingata.
Con disinvoltura sposta la conversazione sulla mia università, sul motivo della mia scelta.
“Perché hai scelto lingue se tutto quello che vuoi è studiare l’Antico Egitto?”
Mi sento punta sul vivo. Nel giro di mezz’ora Harry è riuscito a farmi aprire il mio cuore e ora lo sa frugando con tanta naturalezza e spontaneità che mi lascia troppo stupita per sottrarmi.
“Per vari motivi” rispondo, abbassando lo sguardo. Lo rialzo quasi subito: non permetterò a un ragazzo qualunque di mettere in dubbio la scelta, non lascerò che infierisca più di quanto non faccia io stessa nei momenti di sconforto.
“Anche le lingue mi piacciono, e amo i libri. Sono praticamente al primo posto, solo che portano a una carriera meno definita. Sarò felice con la mia libreria in stile Bella e la Bestia, e magari se mi va bene riuscirò a scrivere un libro tutto mio” con questa arringa termino il mio discorso e gli scocco un’occhiata vagamente orgogliosa mentre accelero il passo e lo lascio leggermente indietro.
Arrivo alla scalinata che porta al Castello. Harry mi raggiunge e si posiziona al mio fianco, senza dire una parola. Sembra teso. Non sembra arrabbiato, mi sarebbe difficile capirlo visto che lo conosco da qualche ora, ma ha uno sguardo combattuto.
Sento il mio animo in subbuglio. Da semplice icona da poster, Harry è diventato un ragazzo in carne ed ossa, che parla, ragiona e mi fa dubitare di me stessa. E’ incredibile come sia riuscito a infilarsi nella mia testa in così poco tempo; questo pensiero mi spaventa un po’ e mi lascio distrarre dagli schiamazzi del resto della comitiva che sta arrivando.
Riesco a sentire distintamente Zayn cadere preda dello sconforto.
“Ma esistono solo scale in questa città?!” urla, le mani alzate verso il cielo.
Niall, invece, questa volta si dimostra più propenso all’impresa: con una granita in mano sembra che nulla lo possa più spaventare. Liam e Louis, dal canto loro, sono prontissimi come al solito e Lea, lo potrei giurare, seguirebbe Niall dappertutto, anche in cima all’Everest.
La scarpinata è più breve di quella nella Torre, ma ha il difetto di svolgersi completamente sotto il sole che, a Verona, non sembra volersene andare fino alla sera. A casa mia, invece, già alle cinque è dietro le montagne e questa è una delle differenze che più mi pesano stando a Verona: le ore del crepuscolo sono bellissime, ma qui in mezzo alla pianura non si riesce ad assaporarle.
In poco tempo siamo di fronte alla vista panoramica più bella della città: si può vedere tutto, perfino una lieve sagoma di montagne in lontananza. Forse è anche per questo che Castel San Pietro mi piace così tanto: mi fa sentire un po’ più in alto, un po’ più vicina a casa.
Comincio a girovagare per il parco, assaporando l’aria lievemente più pura che si respira quassù, finchè non sento qualcuno avvicinarsi. Ormai non ho più bisogno di voltarmi per sapere chi è, e lo saluto direttamente.
“Ciao, Harry.”
“Riconosci già i miei passi?” mi chiede da dietro le spalle, e posso percepire una nota maliziosa nella sua domanda.
“Sei l’unico che vagabonda quasi quanto me, qui” gli rispondo.
Lui si gira verso il panorama, appoggiandosi a una balaustra: siamo un po’ più in alto degli altri e, mentre noi possiamo osservarli quanto più ci piace, siamo completamente nascosti alla loro vista.
“Se non fossi nella band non so cosa vorrei fare” esordisce Harry tutto ad un tratto, sospirando pensieroso.
Colgo al volo il collegamento col discorso che abbiamo abbandonato venendo qui, ma non capisco perché dovrebbe riprenderlo.
“E allora? Volevi cantare e sei riuscito a farti notare. E’ quello che volevi, no?”
“Certo” annuisce. Non sembra convinto.
“Ma non avevo assolutamente alcun piano B. Niente di serio…ho avuto solo un’enorme botta di culo.”
Vorrei intervenire, ma sento che non ha ancora finito.
“Se X Factor fosse andato storto sarei stato solo un fallito per il resto della mia vita.”
Non posso lasciarlo continuare. Non solo sta dicendo una marea di stupidate, ma il suo sguardo è così triste, così scoraggiato, che è impossibile lasciarlo solo.
“Ma sei scemo?”
Non mi è uscito niente di meglio. Harry si volta verso di me, sorpreso.
“Non è che ti hanno accettato a X Factor perché facevi pena o cose simili, sapevi cantare. Hanno scelto di salvarti perché promettevi bene.”
“Da solo non mi avrebbero tenuto. Non valevo abbastanza” mi interrompe.
“Ti hanno salvato perché valevi più degli altri, e ti hanno inserito nel gruppo perché sarebbe stato un peccato mortale perderti!” alzo la voce. Ho imparato a mie spese che, nei momenti di sconforto, l’attacco schietto e diretto è il migliore per scuotere la gente.
 “Te lo sei guadagnato. E anche se secondo me un sacco di gente vi mangia soldi da dietro le spalle, sapete cantare. Tutti, compreso te. Che è quello che conta nel vostro mestiere, giusto?”
C’è una nuova luce negli occhi di Harry. O c’è sempre stata? Tutta la sua persona esprime un senso di pace, di serenità: il suo viso si è disteso, non è più oscurato dal dubbio, dalla paura di non farcela. Anche se, in realtà, sono sicura che la minaccia non se n’è andata del tutto. Si avvicina un po’ a me.
“Giuro che ti bacerei”.
Giuro che non gli direi di no. Ma non posso. L’unica cosa che riesco a fare a spostarmi di qualche passo indietro, distogliendo lo sguardo dagli occhi di Harry che mi fissano con tale intensità da rischiare di sciogliermi.
“Meglio che impari a suonare il pianoforte” balbetto a mezza voce.
“Farò anche quello, ma dopo” annuisce, e si avvicina di nuovo a me.
Ci vuole molto più della mia forza di volontà per allontanarlo, ma alla fine ci riesco.
“Ma no! Ti conosco appena, Harry. E domani sarai già scomparso.”
Riesco a sostenere il suo sguardo per appena una manciata di secondi, ma fortunatamente interviene il suo cercapersone, che squilla e strilla con forza nella sua tasca. Sento l’eco di questo suono ripetersi dagli apparecchi degli altri ragazzi sotto di noi.
Harry lo spegne in fretta, e torna a rivolgersi a me.
“Non credo”.
Mi accarezza leggermente il braccio e si allontana al richiamo dei suoi compagni.
“Ragazzi, qui è meglio rotolare giù” sento Louis proporre tra i sospiri disperati di Zayn e le risate degli altri.
 
                                            * * * * * * * * * * * * *
 
 
 
La vista dei nostri pass sconvolge un folto gruppo di ragazzine convinte di essere le prime della fila. Ci scoccano occhiate incredule, chiedendosi a vicenda dove mai li avremmo vinti, mentre Lea si pavoneggia gongolando. Dal canto mio, riesco solo a trascinarmi malinconicamente dietro l’omone dello staff, mentre un minaccioso sentimento che sa di rimorso si fa strada a spintoni dentro di me.
Non c’è spazio in me per l’euforia di aver incontrato un cantante famoso, la felicità e il senso di soddisfazione di essere riuscita a parlarci. C’è solo il rimpianto di aver lasciato andare un ragazzo che si è dimostrato gentile e accorto e l’assurda speranza che torni indietro, che venga a prendermi per mano e mi chieda di ricominciare, uscire un’altra volta.
In tutto questo, ho il tempo di pensare che è comunque famoso e che comunque questa sera se ne andrà. Anche se questa fosse una favola, se tornasse veramente, indifferente al fatto che ci siamo appena conosciuti, dopo poco se ne andrebbe.
In ogni caso, non succederà mai.
Io e Lea prendiamo posto oltre la prima fila, appena sotto il palco. Questi pass fanno miracoli, ma non sono convinta che fosse incluso il fatto di non stare relegate nelle transenne. Mi chiedo se, oltre che questi pass, a Harry non sia sfuggita qualche altra richiesta. Preferisco evitare di pensarci, non ho bisogno di altre fantasie.
L’adrenalina sale: mancano pochi minuti, l’Arena è avvolta dal buio della sera ma è più popolata, più viva che mai. Per un attimo temo che si spezzi, che la forza delle voci di migliaia di ragazzine possa avere la meglio sull’ingegno degli antichi romani, ma l’Arena è impassibile. Sorregge tutti, anche le piccole fan che hanno trovato posto in cima alle gradinate, dove quasi sicuramente saremmo finite io e Lea se…
Le luci si alzano, le urla crescono di volume. Una voce annuncia l’imminente inizio, mentre i maxischermi si colorano di luci e immagini dei One Direction.
E’ come se un fulmine mi avesse colpita: tutta la mia attenzione è rivolta al palco, lo scruto trattenendo il fiato. L’eccitazione mi percorre le vene ad altissima velocità, e appena la prima nota è suonata mi lascio andare in un sospiro di gioia.
I ragazzi entrano, cominciano il loro spettacolo. Sono troppo confusa anche solo per prestare attenzione ai loro visi, nei primi momenti.
Mano a mano che le canzoni si susseguono prendo coscienza di dove mi trovo e comincio a saltare e cantare con loro. Probabilmente sono troppo discreta per i gusti delle festanti ragazzine dietro le mie spalle, ma una parte di me non riesce a evitare di spostare spesso lo sguardo sui riccioli che si muovono sul palco.
I ragazzi saltano, ballano, scherzano fra una canzone e l’altra: hanno addosso la maschera delle star, ma si riesce ancora a vedere chiaramente le loro personalità. Almeno qui, sul palco, vengono toccati poco dal peso delle apparenze e delle aspettative che tante volte ho visto sui loro visi durante vari eventi. Anche il viso di Harry è completamente sgombro dell’incertezza che per un momento mi ha lasciato intravedere questo pomeriggio al Castello. Sembrano tutti a casa.
“Zayn dovrebbe saltare, ma oggi ha fatto il turista ed è stanco” Louis canzone a più riprese l’amico, che effettivamente sembra stanco e fa poco più che cantare e muoversi avanti e indietro.
Harry partecipa gioioso agli scherzi reciproci che si scambiano i ragazzi, eppure mi sembra che il suo sguardo, ogni tanto, si posi su me e Lea. Questo dubbio diventa certezza quando ci rivolge un veloce saluto: non è un cenno dei tanti che rivolge alle fan, è un saluto amichevole, colloquiale. Forse, anche in lui è rimasta qualche sensazione da questo pomeriggio.
Guardandolo, mi trovo a pensare a quanto effettivamente mi piaccia la sua voce, come annuncia le canzoni, come sorride. E mi rendo conto che poche ore fa l’ho avuto davanti, e che era davvero lui. Niente maschera, niente atteggiamenti da star. Solo Harry.
“Back for you!”.
Non riesco a reprimere una specie di singhiozzo. Come dal nulla è arrivata la canzone che esprime esattamente i miei desideri. Sapere che però non saranno mai realizzati mi spezza il cuore, non riesco quasi a seguirla.
Una cosa cattura la mia attenzione: Harry mi sta guardando. A più riprese, canta fissandomi negli occhi e vi posso leggere la più limpida sincerità. O forse lo voglio così tanto che lo sto solo immaginando. Eppure, eccoli che tornano, i suoi occhi su di me.
A canzone finita, una pausa. I ragazzi scompaiono e io ho il tempo di cercare di riprendere il controllo. Scambio commenti estatici con Lea, che è al settimo cielo per il fatto che i ragazzi ci hanno salutate e canta ancora a squarciagola.
Dopo pochi minuti, tutti e cinque i giovani tornano sul palco. Si dispongono in fila, seduti su delle sedie che danno l’idea di essere molto scomode. C’è una quinta sedia accanto a loro.
“Siamo all’ultima canzone per questa sera” annuncia Liam, con un’espressione un po’ sconsolata.
Seguono i soliti commenti nostalgici e i saluti verso tutte le fan che sono venute al concerto, volano sorrisi e urla.
Alla fine, Louis prende la parola e annuncia la canzone: “Per finire, eccovi Little Things. Vorrete scusarci, ma questa sera abbiamo dovuto apportare delle piccole modifiche al palco. Harry dice che è necessario.”
Scambia un’occhiata con l’amico, che prende la parola: “Ne ho bisogno.”
E mentre i primi accordi di chitarra vengono suonati, si alza. Un coro di urla lo saluta, ma lui non vi bada.
Sta venendo verso di me.
Vorrei pensare, vorrei che il mio cervello desse l’ordine di articolare una parola, una qualsiasi, ma non ci riesco.
Harry si ferma al limite del palco, mi porge la mano, e in quel momento esatto la folla scompare.
Qualcuno mi aiuta a scavalcare il palco, cosa che in un momento normale mi imbarazzerebbe, ma non riesco a fare nulla se non guardare Harry che mi aspetta.
“Sempre problemi con le cose alte, eh?” mi sussurra, mentre la sua mano trova la mia proprio durante il primo ritornello.
“Almeno trovo pantaloni della lunghezza giusta” rispondo, sorridendo orgogliosa. Sento la mano bruciare, palpitante.
Incurante della folla mi accompagna alla quinta sedia, quella accanto a lui, mentre Zayn canta e mi fa l’occhiolino. Anche gli altri ragazzi mi salutano, sorridendo complici.
Louis comincia la sua parte, e durante la sua strofa Harry mi porge qualcosa: una bustina di thè alla vaniglia.
Sorrido appena, commossa. Non si è dimenticato nulla. Si ricorda.
Tocca a lui, e comincia a cantare piano.
E’ completamente voltato verso di me, mi prende nuovamente la mano. La accarezza, così come sembra fare la sua voce roca, così vicina a me. Riesco a sentirla oltre il microfono, posso percepire il leggero raschiare delle corde vocali arrivare dritto nella mia testa.
Tutti i ragazzi stanno cantando, ma io non vedo che Harry e i suoi occhi, che sembrano implorarmi di credere alle parole che sto ascoltando. E non potrei essere più desiderosa di concedergli fiducia.
Non è stato tutto un sogno, uno sbuffo di fumo.
Mentre l’ultima nota vibra ancora nell’aria, sento le labbra di Harry sulle mie.
E non le respingo.

 

 
Nota in fondo:

Vi ringrazio di essere arrivati fino a qui! Avete vinto...niente, la mia gratitudine ahahah. Lo so, era una OS mastodontica. Scusatemi. 
Ancora grazie grazie grazie,
Vick

 
 
 
 
 * E’ ovvio che si sta parlando in inglese, ma scrivo in italiano per rendere più facile la lettura e non avventurarmi in strani errori di battitura. Le frasi in inglese in corsivo servono a far capire che si è cambiata momentaneamente lingua. 
   
 
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