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Autore: Flami Destrangis    27/11/2012    3 recensioni
Ad un mese dalla sconfitta dell'Organizzazione, Shiho Miyano ha provato a rifarsi una vita: l'iscrizione all'Università, il sogno di diventare ricercatrice, la speranza di andare avanti. Ma c'è qualcosa che resta ancora in lei e che non potrà mai scacciare: il passato. Shiho vuole chiarire ogni dubbio, vuole mettersi l'anima in pace. Ed è per questo che sente il bisogno di parlare con con l'unica persona che mai ha affrontato, con l'unica persona che sua sorella Akemi abbia mai amato: Shuichi Akai. Shiho decide di partire, di volare verso New York per confrontarsi con lui, per togliere ogni sassolino dalla scarpa.
Start from scratch. Per ripartire da zero.
****
Mini-long di due capitoli dedicata a Shiho Miyano e Shuichi Akai.
Genere: Generale, Introspettivo | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna | Personaggi: Altro Personaggio | Coppie: Shiho Miyano/Ai Haibara
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Start from scratch

 

Hopeless

 

Il sapore acre dell’alcool le fece bruciare la gola. Fissò il vuoto nel bicchierino che aveva di fronte, da cui quasi straripava uno strano cocktail alla fragola.
Doveva ancora riabituarsi alla sua vita da adulta, nonostante fosse passato più di un mese. Le sembrava di dover rispondere alla esigenze di un corpo nuovo, che non era più il suo. C’aveva preso gusto ad essere una bambina di sette anni, passare la vita tra le lezioni a scuola e merende a base di succo di frutta.
Ora era di nuovo una donna, e l’incanto dell’infanzia era scomparso come se nulla fosse. Perché finché sei piccolo sei inconsapevolmente protetto, la maestra a scuola, i genitori a casa, mille occhi costantemente puntati su di te. E alle volte troppe attenzioni arrivano a darti fastidio, a farti sentire poco indipendente. Poi, quando diventi grande, ti ritrovi catapultato lì fuori, in un modo che credevi diverso. E allora ti accorgi che forse non è quella l’indipendenza che volevi, ti accorgi che vorresti, anche per un solo piccolo attimo, tornare come prima.
Ed ora si era pentita. Sì, si era pentita di non essere più Ai Haibara, ma di essere tornata Shiho Miyano. Perché, quando tutto era finito, quando gli Uomini in Nero erano stati sconfitti, quando avevano trovato nei loro laboratori l'antidoto per l'Aptx, perché aveva ingoiato quella maledetta pillola? Perché, lì per lì, aveva avuto la sensazione che tornare grande sarebbe stato un nuovo inizio? Ora le sembrava solo un inutile ritorno al passato.
Ricordava perfettamente quella notte. Il piano studiato nei minimi dettagli, lei che si era offerta per fare da esca, lei che si era fatta trovare e catturare dagli Uomini in Nero per condurre Shinichi e gli altri fino al loro covo. E poi l'intervento delle forze armate, della polizia in collaborazione con l'FBI, la cattura di Gin, lo sguardo sprezzante che l'uomo biondo le aveva sputato addosso, come a dirle “prima o poi avrò la mia vendetta”, mentre lei, madida di sudore, ancora legata mani e piedi ad una sedia, osservava l'irruzione degli agenti. Jodie, Shinichi (che allora era ancora Conan), Heiji, tutti avevano collaborato alla cattura di Gin e degli altri. E poi c'era lui, quel misterioso agente dell'FBI di cui Conan parlava spesso, ma che non le aveva mai permesso di incontrare. Chi era? Solo a distanza di un mese, Shinichi le aveva detto la verità su quell'agente: Akai, o meglio, Dai Moroboshi. Colui che lei riteneva uno dei responsabili principali della morte di Akemi. E poi Shinichi che aggiungeva, mentre lei lo fissava in silenzio, che si sarebbero incontrati al processo, entrambi come testimoni chiave. Era stato allora che Shiho aveva preso la decisione di giocare d'anticipo. Di incontrarlo prima, di andare a New York. Sarebbe stato un modo come un altro per chiarire, per cercare di superare il passato. E ora eccola lì, in un bar della Grande Mela, a bere alcolici elle tre del pomeriggio. Voleva andare il giorno stesso da Akai, e tornare a Tokyo il prima possibile.  Stava cercando di rifarsi una vita, si era iscritta all'università, voleva diventare una vera ricercatrice, studiare e sperimentare nei maggiori laboratori del mondo. Voleva realizzare il suo sogno, farlo anche per Akemi. Ma perché era rimasta a Tokyo? Perché non si era trasferita, per ricominciare veramente da zero? La verità era che non voleva abbandonare i luoghi legati ai momenti felici della sua vita: la casa del dottore, la sua scuola elementare, e poi c'erano le persone, a cui in fondo voleva bene, il dottor Agasa, Shinichi, Ran, e poi i bambini, anche se da loro non poteva farsi vedere. Il dottore aveva raccontato loro che Conan e Ai era partiti entrambi, si era trasferiti molto lontano. Forse, chissà, quando Ayumi fosse cresciuta, avrebbe potuto raccontarle la verità.. Nel frattempo, gli unici a conoscenza della versione completa dei fatti erano Shinichi, il dottore, Heiji, Jodie e Akai. Al processo si sarebbe presentata come una ex militante dell'Organizzazione, trasferitasi all'estero nell'ultimo anno per sfuggire a quegli uomini. Ci aveva poi pensato l'FBI a falsare le carte in gioco. L'unica persona al di fuori della cerchia che era stata informata del reale svolgimento dei fatti era Ran. In fondo, Shinichi glielo doveva, doveva controbilanciare le troppe bugie dell'ultimo anno con una buona dose di verità. Shiho sorrise. Erano accadute molte cose in quell'ultimo mese. Forse sarebbe stato davvero l'inizio di un periodo migliore. Scostò appena il bicchiere, ed estrasse dalla borse un bigliettino spiegazzato. Era l'indirizzo di Shuichi Akai, che Shinichi le aveva scarabocchiato in fretta su quel pezzettino di carta. All'inizio, il detective si era dimostrato titubante, infine aveva ceduto.
Non è ancora troppo presto, Ai?” le aveva detto, mentre prendeva in mano la penna.
Che senso ha aspettare ancora? Incontrarlo ora o incontrarlo tra un mese non cambierà nulla.”
Ma forse aspettare ancora un po' potrebbe..”
Ho aspettato più di un anno, Shinichi. Ti prego. Se non vuoi darmi l'indirizzo, lo ricaverò in qualche altro modo.”
E allora lui l'aveva scritto in fretta, prima di pentirsene. Il giorno dopo Shiho era partita. Si trovava a New York da un paio di giorni, e non aveva ancora avuto il coraggio di muovere un dito. Ma quello era il giorno giusto, doveva muoversi. Allora o mai più. Per questo aveva preso qualcosa di forte al bar. Forse l'avrebbe aiutata a non pensare, ad agire d'istinto. Pagò senza nemmeno finire quello schifoso cocktail, e si alzò. Ci mise un quarto d'ora buono a fermare un taxi. Lesse l'indirizzo all'autista, augurandosi che non fosse molto lontano. Non aveva molti soldi con sé.
Arriveremo in venti minuti, considerando il traffico a quest'ora. Ma non è molto distante.”
Le previsioni del conducente si rivelarono esatte, e in poco tempo fu a destinazione. Pagò, e incominciò a guardarsi intorno, alla ricerca del numero civico che stava cercando. Una volta trovato, si fermò. Era una palazzina di circa sei o sette piani. Lesse velocemente i nomi sui pulsanti, e si ritrovò a sperare di aver sbagliato indirizzo, oppure che si fosse trasferito da qualche altra parte, chissà. Aveva improvvisamente paura di quell'incontro.
No, eccolo lì il nome. Sulla targhetta c'era scritto a chiare lettere “Akai.”
Cosa doveva fare, citofonare? Notò che il portone era aperto. Spinse ed entrò. Avrebbe bussato direttamente alla porta dell'appartamento. Ogni scusa era buona per rimandare anche di qualche minuto quell'incontro. Scelse le scale, ed ispezionò uno ad uno i pianerottoli, alla ricerca della porta che le interessava. Infine la trovò. Terzo piano. Akai. Ora doveva semplicemente bussare. Avvicinò l'indice al campanello, il dito che le tremava. Forza, Shiho, forza, devi farlo, prima o poi doveva accadere, meglio prima che poi, dai, avanti, premi questo pulsante, ce la puoi fare. Lo fece prima di pentirsi. Sentì il campanello suonare. Il cuore batteva a mille.
Mio Dio. Fa' che non sia in casa.

 

 

Shuichi Akai era tornato dal Giappone ormai da un mese e, doveva ammetterlo, aveva fatto non poca fatica a riabituarsi alla sua vita da agente americano. Le scorrazzate per la città con Jodie all'inseguimento di banali rapinatori, i corridoi dell'ufficio dove rimbombava da una parte all'altra quel pazzesco accento americano, i grattacieli di New York, lo stile di vita degli americani. Era tutto come prima, con una piccola, grande differenza: tutto era cambiato. Aveva finalmente catturato Gin, anche se, su consiglio di Conan, non aveva partecipato personalmente all'azione, per evitare di farsi vedere da quella bambina. Da Shiho. Non era stata per lui una sorpresa conoscere le vere identità di Ai e Conan. Aveva già intuito tutto da molto tempo, e la certezza era stata semplicemente un qualcosa di più. Gli piaceva ricordare quel momento, il momento in cui aveva spintonato Gin dentro la macchina della polizia, quel momento in cui si erano guardati con odio, non dicendosi niente eppure dicendo tutto ciò che c'era da dire. In quello sguardo c'era risentimento, rancore, biasimo, odio, vendetta, tutto il peggio dell'essere umano. Eppure Akai lo ricordava come uno dei momenti migliori della sua vita. Aveva provato un'immensa soddisfazione, era stato come ridare in parte la vita ad Akemi. Ma poteva forse quel momento elevarlo al rango di uomo coraggioso, se solo due giorni dopo era scappato come un ladro dal Giappone? Solo per non incontrare Shiho. Solo per non dover ammettere che la cattura di Gin non poteva annullare il passato, né renderlo migliore. Solo per cercare di non ricordare ancora. Aveva avuto paura.
Shuichi Akai aveva bisogno di pensare. Di stare un po' con se stesso, di chiarirsi le idee prima di dover tornare in Giappone per il processo che si sarebbe svolto a distanza di poche settimane. E allora sì che l'incontro con Shiho sarebbe stato inevitabile.
E allora eccolo lì, seduto sul divano, lo sguardo fisso sul muro. Anche se, in realtà, non stava osservando nulla di preciso. Lo sguardo andava al di là di quel muro, vagava tra i suoi ricordi, in una continua dialettica tra passato e presente.
Akemi. Akemi che gli parlava, Akemi che lo abbracciava, Akemi che gli sorrideva, che si lasciava baciare, accarezzare, Akemi con le guance rosse per l'emozione, con quel suo sguardo allegro da cui traspariva una profonda tristezza, Akemi con le lacrime agli occhi, e poi il corpo di Akemi lì, per terra, senza più vita, le iridi azzurre sbarrate, e lui che era fuggito, lui che l'aveva abbandonata, lui, lui, lui, solo lui, dannazione! Si alzò, colpendo il muro con il pugno chiuso. Perché finiva sempre così? Perché i ricordi continuavano a tormentarlo? Perché non ce la faceva, perché non poteva superare tutto? Eppure lo voleva, lo voleva con tutto il cuore. Ma ce la poteva davvero fare da solo? O aveva bisogno d'aiuto?
Lui era sempre stato abituando a cavarsela per i fatti suoi. Per questo, quando Jodie gli aveva teso una mano, gli aveva detto “ripartiamo da zero, ce la puoi fare, io ti aiuterò”, lui aveva rifiutato, continuando a chiudersi in se stesso, sicuro di poterne uscire. Ma ora, ad un mese di distanza, non era più così convinto.
Aveva interrotto ogni contatto con il Giappone, non aveva risposto alle mail di Shinichi, aveva preso ad alzare il gomito qualche sera di troppo. Forse andando avanti così sarebbe impazzito. Forse era quello che si meritava.
Fu allora che sentì suonare il campanello. Chi poteva essere a quell'ora? Forse qualcuno dei vicini, che, sentendo il forte colpo sul muro di una decina di minuti prima, si era spaventato. Dannati ficcanaso. O forse ancora era Jodie, che di tanto in tanto passava a trovarlo, per sapere come stava. Povera Jodie. Aveva capito perfettamente che la donna non aveva rinunciato a lui. Ma doveva farlo, prima o poi. Lui non poteva più amare nessuno. Andò a passi lenti fino alla porta, e aprì senza pensarci, senza guardare lo spioncino, pronto a cacciare chiunque fosse venuto.
Quando vide quella testolina castana e quegli occhi azzurri un po' impauriti, credette di stare sognando. Era la realtà? Probabilmente sì, perché quella ragazza aveva appena parlato, aveva detto qualcosa come un semplice ciao.
Non poteva crederci. Davanti a lui c'era Shiho Miyano.

 

 

 

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Salve a tutti!

In primo luogo, devo ringraziarvi per aver letto questo primo capitolo! La storia, inizialmente, era stata pensata come una one-shot. Ma poi, rileggendola, ho pensato di dividerla, e di inserire questa sorta di prologo e introduzione iniziale, lasciando il confronto diretto al secondo capitolo. Spero che vi sia piaciuta, e mi piacerebbe molto sapere il vostro parere! Ogni critica che possa aiutare a migliorarmi è ben accetta, anzi, se avete qualcosa da dire, non abbiate alcun timore :) nell'ultimo periodo non mi sembra di scrivere particolarmente bene, e sono in cerca di consigli :)

Un bacione grandissimo e, per chi vorrà seguirmi, ci si rivede al prossimo e ultimo capitolo!

Flami

 

PS: il titolo “Start from scratch” è un'espressione inglese, vuol dire “Ripartire da zero”. Penso che rispecchi bene il tema principale della fanfiction, cioè la voglia di andare avanti contrapposta ai ricordi dolorosi che tengono Shiho e Akai ancorati al passato.. 

  
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